Fonte: Climate&Capitalism - 14.07.2024

Settima parte di un articolo sulle cause e le implicazioni dell’entrata del capitalismo globale in un'epoca in cui le malattie infettive sono sempre più diffuse. Le mie opinioni sono soggette a continui dibattiti e verifiche pratiche. Attendo vostri commenti, critiche e correzioni.

[Parte 1] [Parte 2] [Parte 3] [Parte 4] [Parte 5] [Parte 6]



Allevamenti di animali selvatici e mercati umidi

Alla fine degli anni '80, il governo cinese ha iniziato a incoraggiare gli allevatori che erano stati esclusi dai mercati dei suini e del pollame a passare ad allevamenti non tradizionali. Il Congresso Nazionale del Popolo del 1988 ha dichiarato che la fauna selvatica è una risorsa da utilizzare per lo sviluppo economico, e nel 2004 è stato ufficialmente approvato l'allevamento commerciale di cinquantaquattro specie selvatiche. Le agenzie nazionali e statali sono state incaricate di «promuovere attivamente l'allevamento e la fornitura al mercato di animali selvatici terrestri per i quali è stata sviluppata una tecnologia di allevamento matura».[1]

Questa apertura ha attirato investimenti privati e una rapida crescita: nel 2016 l'Accademia Cinese di Ingegneria ha stimato che l'industria legale della fauna selvatica impiegava oltre quattordici milioni di persone e le vendite ammontavano a quasi 74 miliardi di dollari all'anno. Non sono disponibili statistiche dettagliate, ma nel 2020 è stato riferito che quasi ventimila aziende agricole allevavano animali selvatici da vendere come cibo.[2] Tra le specie coinvolte vi sono ratti di bambù, pangolini, pavoni, zibetti delle palme, procioni, istrici, cinghiali e molti altri.

 

Il mito del cibo tradizionale

Gli articoli sul commercio di animali selvatici in Cina descrivono spesso il consumo di animali esotici come un'antica caratteristica della cultura cinese, perpetuata da contadini ignoranti emigrati in città. Spesso questo viene proposto come una caricatura razzista, una prova che le pratiche alimentari cinesi sono impure, crudeli e barbare.

Queste cifre non comprendono il commercio illegale di fauna selvatica, che è molto esteso.


In realtà, come afferma il dottor Peter J. Li, una delle principali autorità in materia di benessere degli animali in Cina, «la maggior parte della popolazione cinese non mangia animali selvatici».[3]

 «L'affermazione che il consumo di animali selvatici sia tradizionale, che possa risalire all'antica Cina e che vi sia una domanda di carni di animali selvatici è una disinformazione diffusa e perpetuata dagli allevatori di animali selvatici del paese e dai proprietari di ristoranti di cibo esotico. Ho studiato l'allevamento di animali selvatici e l'industria della ristorazione in Cina negli ultimi vent'anni. Non ho mai trovato prove a sostegno dell'affermazione che la Cina avesse una tradizione di consumo diffuso di animali selvatici. ...

«Le massicce operazioni di allevamento di animali selvatici in Cina e le attività correlate, come la produzione di mangimi per animali selvatici, il trasporto trans-provinciale di animali vivi allevati in cattività e cacciati, la produzione di farmaci veterinari e le centinaia di migliaia di ristoranti di cibo esotico, fanno parte di un impero commerciale sorto negli ultimi quarant’anni. Attribuire questo impero di sfruttamento della fauna selvatica alla cultura tradizionale cinese, e quindi suggerire che sia qualcosa di cui andare fieri, è una tattica ideata dalle aziende per zittire i critici».[4]

In un sondaggio del 2020, il 97% dei cittadini cinesi si è opposto al consumo di animali selvatici e il 79% si è opposto all'uso di pellicce e altri prodotti della fauna selvatica.[5] Uno studio del 2014 ha rilevato che il consumo di animali selvatici fa parte di «uno stile di vita alla moda e simbolo di uno status d'élite» e che «i consumatori con un reddito più elevato e un livello di istruzione più alto hanno tassi di consumo di animali selvatici più elevati e costituiscono il principale gruppo di consumatori di animali selvatici».[6]

La maggior parte degli animali selvatici, allevati a scopo alimentare, viene venduta ai ristoranti che si rivolgono alle élite urbane – manager e funzionari che possono permettersi pasti costosi e per i quali mangiare e servire animali esotici è una forma rispettata di consumo da esibire.

(Va notato che il consumo di animali selvatici da parte dei ricchi non è un'esclusiva della Cina. «I cacciatori di trofei americani pagano fior di quattrini per uccidere gli animali all'estero e importano oltre 126.000 trofei di fauna selvatica all'anno... solo come forma di ostentazione».[7]).

L'allevamento di animali selvatici, quindi, non è una continuazione delle pratiche tradizionali, ma un'estensione dell'industrializzazione e della mercificazione di tutto il bestiame – in questo caso, l'industrializzazione e la mercificazione di alimenti di lusso per i ricchi. Non si tratta di tradizione, ma di capitalismo moderno in azione.

 

Mercati umidi

I mercati umidi [wetmarkets] sono centri di vendita al dettaglio di alimenti deperibili – sono umidi perché l'acqua e il ghiaccio mantengono i prodotti freschi e puliti.[*] La maggior parte vende solo carne macellata, frutti di mare, verdura e frutta. Per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, in particolare nell'Asia orientale e sudorientale, sono fonti essenziali di cibo e nutrimento. Nonostante gli errati luoghi comuni occidentali, gli animali vivi non vengono venduti e macellati in tutti i mercati umidi e solo una minoranza di venditori di animali vivi – principalmente grossisti che vendono a ristoranti e catering – tratta animali selvatici allevati o cacciati.

Tuttavia, il commercio di animali selvatici può rappresentare un pericolo significativo per la salute umana. Il presidente dell'Associazione Medica Cinese e capo dell'Istituto di Malattie Respiratorie di Guangzhou ha tratto questa conclusione dall'epidemia di SARS del 2002-3,

«I mercati della fauna selvatica rappresentano una pericolosa fonte di possibili nuove infezioni che potrebbero minare la prevenzione della SARS....  Molti mercati sono mal gestiti e insalubri, quindi è possibile che si verifichino infezioni incrociate, trasmissione interspecie, amplificazione, convergenza genetica e mescolamento di coronavirus. I commercianti di animali che si trovano in prossimità di questi animali infetti possono essere colpiti, così come coloro che macellano gli animali infetti nelle cucine dei ristoranti, causando la diffusione del SARS-CoV dalla fauna selvatica all'uomo – dopo di che può diffondersi da uomo a uomo».[8]

Più recentemente, un rapporto pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente ha avvertito che «qualsiasi aumento significativo dell'allevamento di animali selvatici rischia di 'riproporre' l'aumento delle zoonosi che probabilmente ha accompagnato la prima domesticazione degli animali nell'era neolitica, circa 12.000 anni fa».[9]

«In teoria, gli allevamenti di animali selvatici potrebbero offrire condizioni sanitarie adeguate che riducono il rischio di trasmissione di malattie. Ma in realtà, il rischio di trasmissione di malattie negli allevamenti di animali selvatici è significativo. ...

«Nei mercati vengono commercializzate diverse specie animali – selvatiche, in cattività, d'allevamento e domestiche – nei veicoli di trasporto e nelle gabbie del mercato. ...

«Lo stretto contatto tra l'uomo e diverse specie di animali selvatici, nel commercio globale di animali selvatici, può facilitare la diffusione da animale a uomo di nuovi virus in grado di infettare diverse specie ospiti. Ciò può innescare eventi patologici emergenti con un maggiore potenziale pandemico, perché questi virus hanno maggiori probabilità di amplificarsi attraverso la trasmissione da uomo a uomo, e quindi di diffondersi ampiamente».[10]

 

Evoluzione inesorabile

L'evoluzione non si ferma mai e i coronavirus si evolvono in modo particolarmente rapido. Nella natura delle cose vediamo solo i successi, perché gli insuccessi non sopravvivono né si riproducono – quindi non abbiamo modo di sapere quanti virus mutati siano passati senza successo dagli animali selvatici a quelli d'allevamento.

Ciò che sappiamo è che nel 2002 un coronavirus precedentemente sconosciuto, probabilmente evolutosi di recente nei pipistrelli a ferro di cavallo[**], ha infettato gli zibetti delle palme allevati nella Cina meridionale. Gli zibetti infetti sono stati trasportati nei mercati umidi della provincia di Guangdong, dove il virus si è diffuso ad altri zibetti, mutando ulteriormente prima di diffondersi all'uomo.[11]

Il risultato è stata la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), la prima pandemia del XXI secolo. La malattia, simile alla polmonite, scoppiata nel Guangdong nel novembre 2002, si è poi diffusa in altri ventinove paesi, contagiando circa 8.100 persone e uccidendone almeno 774.

Una forte connessione tra l'epidemia iniziale e i mercati di animali vivi è stata evidente fin dall'inizio. «Circa il 40% dei primi pazienti erano addetti alla manipolazione di alimenti, con probabile contatto con gli animali; la maggior parte di questi pazienti viveva più vicino ai mercati di animali vivi che agli allevamenti, il che suggerisce che i mercati, e non gli allevamenti, sono stati la fonte iniziale di trasmissione».[12] I divieti sulla vendita di piccoli mammiferi per l'alimentazione, combinati con un abbattimento di massa degli zibetti di allevamento, hanno contribuito alla rapida soppressione della SARS.

Sfortunatamente, i divieti sono stati presto revocati, sotto la pressione delle lobby dell'industria alimentare. Nei quindici anni successivi, l'allevamento industriale di animali selvatici si espanse insieme all'allevamento industriale di pollame e maiali, utilizzando gli stessi metodi di produzione, gli stessi sistemi di trasporto e spesso gli stessi mercati.

Alla fine – e possiamo aggiungere inevitabilmente – l'evoluzione inarrestabile ha prodotto un altro nuovo coronavirus, meno letale ma molto più contagioso della SARS. Inizialmente si è formato nei pipistrelli selvatici e poi è passato agli animali selvatici d'allevamento che venivano venduti a Wuhan, la settima città più grande della Cina. L'esatta via di trasmissione non è ancora nota, ma alla fine del 2019 il nuovo virus è arrivato agli esseri umani nel mercato all'ingrosso dei frutti di mare di Huanan, il più grande mercato di animali vivi della Cina centrale.

La supposizione che il virus provenisse da un laboratorio ha avuto una certa credibilità nei primi giorni della pandemia, ma l'idea è stata da tempo smentita. La sintesi più recente e completa delle ricerche pubblicate non ha trovato alcuna prova che il virus provenisse da un laboratorio e ha concluso che «i dati disponibili indicano chiaramente un'emergenza zoonotica naturale all'interno del mercato all'ingrosso dei frutti di mare di Huanan a Wuhan, o strettamente legata ad esso».[13]

 

Un virus in movimento

Nelle ultime due settimane del 2019, quarantuno persone a Wuhan sono state ricoverate in ospedale con una malattia simile alla polmonite, precedentemente sconosciuta, due terzi delle quali erano state esposte direttamente al mercato di Huanan. Il 1 gennaio le autorità hanno chiuso e disinfettato il mercato, ma il virus era già fuoriuscito.

Wuhan è da tempo un importante snodo dei trasporti, ma il numero di treni ad alta velocità, autostrade veloci e voli che la collegano al resto della Cina e del mondo è aumentato radicalmente dal 2000.

«I tempi di percorrenza ferroviaria tra Wuhan e Pechino o Guangzhou sono scesi da circa dodici a quattro ore, e i passeggeri annuali sono passati da circa un miliardo nel 2000 a oltre 3,3 miliardi nel 2018. ... Nel 2000, l'aeroporto principale di Wuhan serviva 1,7 milioni di passeggeri con 34.000 voli nazionali. Nel 2018, oltre 27,1 milioni di passeggeri hanno viaggiato attraverso l'aeroporto di Wuhan con 203.000 voli, tra cui sessantatré rotte internazionali».[14]

Questi collegamenti, prodotti diretti della spettacolare crescita economica cinese, hanno trasportato il nuovo virus a una velocità senza precedenti. È stato trasportato da persone che non potevano sapere di essere infette, perché la SARS-CoV-2 è contagiosa per diversi giorni prima della comparsa dei sintomi. Letteralmente milioni di persone hanno lasciato Wuhan a gennaio, la maggior parte in viaggio verso casa per l'annuale Festa di Primavera e, come sempre accade nelle epidemie, molti speravano di sfuggire alla nuova misteriosa malattia.

 Nel giro di poche settimane, il virus aveva raggiunto la maggior parte delle province cinesi e almeno una dozzina di altri paesi in Asia, Europa e Nord America. Il 30 gennaio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato «Emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale», come termine ufficiale per indicare una pandemia. L’11 febbraio, il Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus ha confermato che il nuovo virus era geneticamente correlato a quello che causò la SARS nel 2002, denominandolo SARS-CoV-2. Lo stesso giorno, l’OMS ha chiamato la malattia COVID-19.[15]

 

La minaccia rimane

In risposta alla pandemia di COVID-19, la Cina ha imposto un divieto permanente di allevamento di animali selvatici a scopo alimentare. Se applicata in modo efficace, si tratterebbe di una misura di sanità pubblica che altri paesi dovrebbero emulare, ma è lungi dall’essere una risposta adeguata alla minaccia delle malattie zoonotiche. Emergono due problemi critici.

Innanzitutto, il divieto si applica solo alle aziende agricole che allevano animali selvatici a scopo alimentare, che rappresentano meno di un quarto dei ricavi dell’industria della fauna selvatica. Le aziende agricole che allevano animali selvatici per le pellicce, per la medicina tradizionale e per altri scopi sono esenti, anche se è noto che alcuni di questi animali sono portatori di coronavirus, e altri sono potenziali agenti patogeni, quindi molte migliaia di attività di allevamento di animali selvatici (e virus selvatici) rimangono attive. Gli animali non possono essere mangiati o venduti nei mercati umidi, ma poiché la maggior parte delle malattie virali possono essere contratte attraverso la respirazione o il contatto fisico, possono infettare ed essere diffuse dalle persone che lavorano a stretto contatto con essi.

In secondo luogo, e cosa più importante, il divieto non colpisce il pollame, i suini e altri animali “domestici” allevati in strutture molto più grandi e numerose degli allevamenti di animali selvatici. Come discusso nella Parte 6, c’è una spinta continua – fortemente sostenuta dalle politiche di sviluppo economico del governo – per realizzare allevamenti intensivi sempre più grandi, aumentando il pericolo di nuovi e più grandi focolai di malattie zoonotiche.

Come scrive Li Zhang, l’unico metodo efficace per invertire la tendenza verso l’aumento di malattie zoonotiche sarebbe quello di «smantellare le agroindustrie non sostenibili… decentrando sia gli animali che gli esseri umani rispetto alle metropoli».[16] Se le megafattorie continuano a crescere e a diffondersi, in Cina, negli Stati Uniti e altrove, è molto probabile che la produzione zootecnica industriale possa provocare un’altra pandemia globale.

[Continua]


Note

[*] N.d.T.«Il nome wet market – letteralmente “mercati umidi” – deriva in parte dal sangue, dalle viscere, dalle squame e dall’acqua che bagnano i pavimenti delle bancarelle. Resti degli animali brutalmente uccisi per soddisfare i clienti che desiderano carne appena macellata. Grazie ai filmati esclusivi girati dagli investigatori di AnimalEquality nei wet market di Cina, Vietnam e India, possiamo mostrare come gli animali quali cervi, procioni, coccodrilli e cani vivono in gabbie sporche, disidratati, affamati e malati.Questi mercati rappresentano anche una minaccia per la salute pubblica ed è proprio qui che in passato sono nate diverse epidemie, inclusa la SARS. I ricercatori ritengono che anche il COVID-19 abbia probabilmente avuto origine in un wet market di Wuhan, in Cina, mercato noto per il commercio di animali selvatici.Questi wet market sono una minaccia alla salute pubblica e causano incredibili sofferenze agli animali selvatici e da allevamento. È per questo che AnimalEqualityha chiesto alle Nazioni Unite di vietare tutti i wet market. Questi mercati non solo rappresentano un pericolo reale e concreto per l’uomo, ma sono anche fonte di sofferenze estreme per gli animali» https://animalequality.it/campagne/wet-market/.

[**] N.d.T.«Il ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum Schreber, 1774) e il ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros Bechstein, 1800) sono pipistrelli della famiglia dei Rinolofidi, diffusi nell'Ecozona paleartica». (Wikipedia)

[1] Amanda Whitfort, COVID-19 and Wildlife Farming in China: Legislating to Protect Wild Animal Health and Welfare in the Wake of a Global Pandemic, «Journal of Environmental Law» 33, n. 1, 23.04.2021, pp. 57-84.

[2] Michael Standaert, Coronavirus Closures Reveal Vast Scale of China’s Secretive Wildlife Farm Industry, The Guardian, 25.02.2020, sezione: Environment.

[3] Peter J. Li, intervista vocale, 06.03.2020.

[4] Peter J. Li, Animal Welfare in China: Culture, Politics and Crisis, University of Sydney, N.S.W, Sydney University Press, 2021, pp. 213-14.

[5] Anna McConkie, Illegal Wildlife Trade in China, «Ballard Brief», Autunno 2021.

[6] Li Zhang e Feng Yin, Wildlife Consumption and Conservation Awareness in China: A Long Way to Go, «Biodiversity and Conservation» 23, n. 9. agosto 2014, p. 2279.

[7] Humane Society of the United States, Banning Trophy Hunting, 2024.

[8] Nanshan Zhong e Guangqiao Zeng, What We Have Learnt from SARS Epidemics in China, «BMJ» 333, n. 7564, 19.08.2006, pp. 389-91.

[9] Delia Grace Randolph, Preventing the Next Pandemic: Zoonotic Diseases and How to Break the Chain of Transmission, Nairobi, United Nations Environment Program, 2020, p. 16.

[10] Delia Grace Randolph, op. cit.,p. 33.

[11] Jie Cui, Fang Li e Zheng-Li Shi, Origin and Evolution of Pathogenic Coronaviruses, «Nature Reviews Microbiology» 17, n. 3, marzo 2019, pp. 181-92.

[12] Bing Lin et al., A Better Classification of Wet Markets Is Key to Safeguarding Human Health and Biodiversity, «The Lancet Planetary Health» 5, n. 6, giugno 2021, pp. 386-94.

[13] Edward C. Holmes, The Emergence and Evolution of SARS-CoV-2, «Annual Review of Virology», 17.042024.  Si veda anche l’eccellente rapporto tecnico di Phillip Markolin, Treacherous Ancestry: An Extraordinary Hunt for the Ghosts of SARS-CoV-2, «Protagonist Science», 11.04.2024.

[14] Li Zhang, The Origins of COVID-19: China and Global Capitalism, Stanford, California, Stanford University Press, 2021, pp. 34-35.

[15] Dali L. Yang, Wuhan: How the COVID-19 Outbreak in Wuhan, China Spiraled out of Control, New York, NY, Oxford University Press, 2024, p. 2.

[16] Zhang, The Origins of COVID-19, op. cit., p. 133.

 

Ian Angus

Traduzione di Alessandro Cocuzza

Fonte: Climate&Capitalism - 14.07.2024


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