Fonte: Climate&Capitalism - 15.04.52024

Quinta parte di un articolo sulle cause e le implicazioni dell’entrata del capitalismo globale in un'epoca in cui le malattie infettive sono sempre più diffuse. Le mie opinioni sono soggette a continui dibattiti e verifiche pratiche. Attendo vostri commenti, critiche e correzioni.

[Parte 1] [Parte 2] [Part3 3] [Part 4] [Part 5]



Le macchine pandemiche

Nuove malattie zoonotiche sono inestricabilmente legate agli allevamenti intensivi di pollame, maiali e bovini.

«Il sistema alimentare globale è un disastro che si muove lentamente, ma senza interruzione.
Funziona proprio come dovrebbe funzionare un sistema alimentare capitalistico:
si espande costantemente, concentrando la ricchezza in pochi e potenti monopoli,
mentre trasferisce tutti i costi sociali e ambientali sulla società».
Eric Holt-Giménez[1]



A marzo, Cal-Maine Foods, il più grande produttore di uova degli Stati Uniti, ha riferito che i polli di una delle sue aziende in Texas avevano contratto l'influenza altamente patogena di tipo A, meglio nota come influenza aviaria. Per impedire la diffusione della malattia, l'azienda ha abbattuto 1,6 milioni di volatili. Questo è stato solo l'ultimo abbattimento di massa nell'attuale epidemia di influenza aviaria: dall'inizio del 2022 sono morti oltre 100 milioni di volatili d'allevamento e innumerevoli uccelli selvatici negli Stati Uniti e in Canada.[2]

In tutti gli Stati Uniti, la Cal-Maine gestisce quarantadue “impianti di produzione” in cui 44 milioni di galline depongono oltre 13 miliardi di uova all'anno. Nel 2023 ha registrato profitti lordi di 1,2 miliardi di dollari dalle vendite, per 3,1 miliardi di dollari.[3] In questo contesto, la perdita di 1,6 milioni di polli in Texas è un inconveniente minore, soprattutto se si considera che il governo degli Stati Uniti (rispondendo alle lobby del settore agroalimentare) paga per i polli abbattuti durante le epidemie di influenza aviaria. Milioni di polli morti sono un costo per gli affari, e non uno dei più importanti.

I virus dell’influenza sono stati trasportati dagli uccelli acquatici per secoli senza farli ammalare, ma, quando una variante soprannominata H5N1 è passata al pollame in Scozia nel 1959, e alle anatre d'allevamento nel Sud della Cina nel 1996, si è rapidamente evoluta in una forma altamente infettiva e mortale per il pollame. Questa versione è poi tornata agli uccelli selvatici e ha continuato a mutare diffondendosi in tutto il mondo. La malattia colpisce principalmente il pollame, ma tra il 2003 e il 2019 sono stati segnalati 861 casi umani in diciassette paesi, e 455 dei pazienti sono morti.[4]


Denominazione dei virus

Esistono quattro tipi di virus influenzali: A, B, C e D. Il tipo A è il più comune e causa i sintomi più gravi. I sottotipi con caratteristiche ed effetti diversi prendono il nome dalle proprietà delle proteine emoagglutinina (H) e neuraminidasi (N) presenti sulla loro superficie. Ad esempio, A(H7N2) è un sottotipo di virus dell'influenza A che possiede le proteine H-7 e N-2. Sono stati identificati oltre 130 sottotipi di tipo A, ognuno dei quali si presenta in forme multiple, chiamate cladi o gruppi.



Una variante dell'influenza, apparsa per la prima volta nei suini negli Stati Uniti e in Messico nel 2009, ha poi contagiato milioni di persone in tutto il mondo, uccidendo tra le 150.000 e le 575.000 persone.

Dalla fine degli anni '90, una nuova variante altamente patogena dell'H5N1 è diventata la causa principale dell'influenza aviaria in Europa, Africa, Asia e Nord America, responsabile di milioni di morti nel pollame. Nell'aprile 2024, il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha riferito che per la prima volta il virus aveva infettato i bovini da latte. L'8 maggio, il CDC ha riferito che trentasei allevamenti di bestiame da latte in nove Stati sono stati colpiti dall'H5N1, ma si tratta certamente di una sottostima, poiché molti operatori si rifiutano di testare il bestiame o di segnalare le infezioni.

Un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas è il primo esempio conosciuto di trasmissione dell'H5N1 da mammifero a uomo, ma anche in questo caso è possibile che non siano stati segnalati altri casi, soprattutto perché i sintomi umani di questa influenza sono lievi e di breve durata. Il rischio per la salute umana è attualmente basso, ma gli scienziati non sanno se questa epidemia si attenuerà o porterà a un'altra pandemia globale.[5]


Fabbriche di influenza

Fino al terzo quarto del XX secolo, un virus dell'influenza aviaria che fosse passato a un pollo o a un maiale domestico si sarebbe rapidamente arenato. Quasi tutti i polli erano allevati in fattorie a conduzione familiare in branchi di poche decine di volatili: un branco di quattrocento esemplari era molto grande. I maiali erano allevati in numero molto inferiore. Quindi, anche se il virus era altamente contagioso, avrebbe presto esaurito i nuovi ospiti da infettare.

Le cose sono cambiate con quella che è stata definita «La più profonda alterazione del rapporto uomo-animale da 10.000 anni a questa parte»[6]: la rapida espansione delle operazioni di alimentazione animale concentrata (CAFO), più precisamente chiamate allevamenti intensivi.

Oggi una manciata di gigantesche società controlla la produzione di polli da carne e galline ovaiole. Un tipico impianto ha centinaia di migliaia di volatili stipati in edifici senza finestre e con poco spazio per muoversi. Alla fine del XX secolo, l'industria avicola del Nord America si è completamente trasformata e i suoi metodi sono stati ampiamente copiati, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Cina.

L'allevamento di suini si è trasformato ancora più rapidamente, a partire dagli anni Novanta.

«Nel 1992 meno di un terzo dei maiali statunitensi era allevato in aziende con più di duemila animali, ma nel 2004 quattro maiali su cinque provenivano da una di queste gigantesche aziende e nel 2007 il 95%. Un'analisi di Food & Water Watch ha rilevato che tra il 1997 e il 2007, ogni giorno sono stati aggiunti 4.600 maiali a un allevamento industriale, portando il totale a oltre 62 milioni».[7]

In tutto il mondo, tre quarti del totale di mucche, polli, maiali e pecore sono allevati in strutture industriali. Negli Stati Uniti, la percentuale di allevamenti intensivi è molto più alta, e comprende oltre il 99% dei polli e il 98% dei maiali.

I volatili e gli animali di questi sistemi industriali sono allevati in modo da crescere rapidamente, producendo quantità costanti di carne o uova e consumando una quantità minima di mangime. Grazie a programmi di allevamento finalizzati al profitto, il pollame commerciale ha perso più della metà della biodiversità dei suoi antenati selvatici.[8] Gli allevamenti intensivi sono popolati da animali geneticamente identici che rispondono in modo simile a nuove infezioni: un virus che fa ammalare un animale può fare lo stesso con gli altri senza ulteriori mutazioni. Se un pollo in una mega-stalla contrae l'influenza aviaria, la maggior parte degli altri animali muore in pochi giorni.

Se si volesse costruire una macchina per la creazione di pandemie, difficilmente si potrebbe migliorare il sistema delle fattorie industriali. Come scrive Rob Wallace, «Il nostro mondo è circondato da città di milioni di maiali e pollame in allevamenti intensivi pressati l'uno accanto all'altro, un'ecologia quasi perfetta per l'evoluzione di molteplici ceppi virulenti di influenza».[9]

«Per quanto non intenzionale, l'intera catena di produzione è organizzata intorno a pratiche che accelerano l'evoluzione della virulenza degli agenti patogeni e la conseguente trasmissione. Gli allevamenti intensivi e la coltivazione di monoculture genetiche – animali e piante alimentari con genomi quasi identici – sopprimono i sistemi immunitari che in popolazioni più diversificate rallentano la trasmissione. Gli agenti patogeni ora si possono evolvere rapidamente intorno ai genotipi immunitari comuni dell'ospite. Nel frattempo, le condizioni di sovraffollamento indeboliscono la risposta immunitaria. L'aumento delle dimensioni e le densità degli allevamenti facilitano una maggiore trasmissione delle ricorrenti infezioni. L'elevata produttività, aspetto caratteristico di qualsiasi produzione industriale, rinnova continuamente il numero di capi di bestiame sensibili a livello di stalla, azienda e regione, contribuendo all'incremento della letalità dei patogeni. Allevare insieme molti animali premia i ceppi che possono meglio infettarli.È probabile che riducendo l'età di macellazione – sei settimane nei polli – si selezionino agenti patogeni in grado di sopravvivere a sistemi immunitari più robusti».[10]

Analogamente, una task force multidisciplinare sponsorizzata dal no-profit Council for Agricultural Science and Technology ha concluso che:

«Uno dei principali effetti dei moderni sistemi di produzione intensiva è che essi consentono la rapida selezione e l'amplificazione di agenti patogeni che derivano da un capostipite virulento (spesso attraverso un'impercettibile mutazione), con conseguente aumento del rischio di ingresso e/o diffusione della malattia. ... In parole povere, a causa della rivoluzione zootecnica, i rischi globali di malattia stanno aumentando».[11]

L'accelerazione dell'insorgenza di malattie zoonotiche è inestricabilmente legata all'industrializzazione degli allevamenti di pollame, suini e bovini, che a sua volta è inestricabilmente legata alla spinta del capitale ad espandersi, indipendentemente dai danni che provoca. Profitti annuali di 4,9 miliardi di dollari (Cargill), 4,4 miliardi di dollari (JBS Foods) e 4,1 miliardi di dollari (Tyson Foods)[12] sono possibili solo perché scaricano i costi delle pandemie e dell'inquinamento sulla società in generale. Finché le aziende agricole generano tali profitti, continueranno a considerare le malattie epidemiche come un costo accettabile del loro business.

L'agroalimentare, come dice Rob Wallace, è in alleanza strategica con l'influenza. Big Food è in guerra con la salute pubblica, e la salute pubblica sta perdendo.[13]

 
Continua


Note

[1] Eric Holt-Giménez, Can We Feed the World without Destroying It?, Global Futures  Medford, MA: Polity Press, Cambridge, UK, 2018, p. 86.

[2] Andrew Jacobs, A Cruel Way to Control Bird Flu? Poultry Giants Cull and Cash In., The New York Times, 2 Aprile 2024, sec. Science.

[3] Cal-Maine Foods, 3Q 2024 Investor Presentation.

[4] Centers for Disease Control and Prevention, Highlights in the History of Avian Influenza (Bird Flu), Centers for Disease Control and Prevention, 8 Luglio 2022.

[5] Michael Mina e Janika Schmitt, How to Stop Bird Flu From Becoming the Next Pandemic, «TIME», 9 Maggio 2024. 

[6] Michael Greger, Bird Flu: A Virus of Our Own Hatching, Lantern Books, New York, 2006, pp. 109-10.

[7] Wenonah Hauter, Foodopoly: The Battle over the Future of Food and Farming in America, New Press, 2012, New York, p. 171.

[8] William M. Muir et al., Genome-Wide Assessment of Worldwide Chicken SNP Genetic Diversity Indicates Significant Absence of Rare Alleles in Commercial Breeds, «Proceedings of the National Academy of Sciences» 105, no. 45, 11 Novembre 2008, pp. 17312-17.

[9] Rob Wallace, Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science, Monthly Review Press, New York, 2016, p. 38.

[10] Rob Wallace et al., COVID-19 and Circuits of Capital, «Monthly Review» 72, n. 1, 1 Maggio 2020, pp. 1-15.

[11] Council for Agricultural Science and Technology, Global Risks of Infectious Animal Diseases, «Issue Paper», Febbraio 2005, p. 6.

[12] Warren Fiske, ‘Big Four’ Meat Packers Are Seeing Record Profits, «Politifact», 30 Giugno 2022.

[13] Rob Wallace, Big Farms Make Big Flu, op. cit., p. 11; Rob Wallace et al., COVID-19 and Circuits of Capital, op. cit., p. 12.


Ian Angus

Traduzione di Alessandro Cocuzza

Fonte: Climate&Capitalism 15.05.2024


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