Fonte: Monthly Review - 01.02.2024

In questo articolo, John Bellamy Foster discute lo stato passato e presente della politica nucleare degli Stati Uniti, affermando che la sua dipendenza da approcci bellicosi mette in pericolo il mondo intero. Foster sostiene che «solo un approccio minimalista e non massimalista agli armamenti nucleari può portare l'umanità sulla strada del disarmo nucleare», concludendo che «la risposta sta in un passaggio a livello mondiale dal capitalismo morente al... socialismo completo».



Quando arriverò a studiare in dettaglio alcuni degli argomenti di questi nuovi scrittori militari sulla guerra nucleare, dovrò necessariamente
adottare molti aspetti dei loro metodi e della loro terminologia, cioè dovrò incontrarli sul terreno metodologico di loro scelta.
Voglio quindi scusarmi in anticipo per la nauseante disumanità di gran parte di ciò che ho da dire.


—P. M. S. Blackett
[1]


Fu la caduta dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1991 a far dichiarare proprio in quel momento preciso a Washington che un nuovo ordine unipolare del mondo stava per cominciare, con gli Stati Uniti come sola superpotenza. Gli Stati Uniti, supportati dai loro alleati della NATO, avviarono immediatamente un’imponente strategia di cambiamento di regime o “
naked imperialism” [imperialismo nudo]* nei Balcani, nel Medio Oriente, in nord Africa, e lungo tutto il perimetro dell’ex Unione Sovietica. Ciò fu accompagnato dalla rapida espansione della NATO verso est, nei paesi e nelle regioni dell’ex Patto di Varsavia, precedentemente parte dell’URSS.[2] L’obiettivo principale di questa espansione, come spiegato dall’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli USA Zbigniew Brzezinski in The Grand Chessboard, era di incorporare l’Ucraina nella NATO, cosa che avrebbe creato le condizioni geopolitiche e geostrategiche per la definitiva sopraffazione e rottura forzata della Federazione Russa.[3]

Alla base di questo disegno imperiale volto alla formazione di un ordine mondiale unipolare, vigeva lo sforzo di Washington di ristabilire il suo dominio nucleare assoluto dei primi anni della Guerra Fredda, quando ancora deteneva un monopolio nucleare (1945-1949), al quale poi seguì un periodo di superiorità nucleare quantitativa (1949-1953) - prima che l'Unione Sovietica raggiungesse una parità nucleare effettiva con gli Stati Uniti.[4] Nei primi anni ‘60, durante l'amministrazione di John F. Kennedy, si tentò a più riprese di passare alla counterforce [strategia di attacco preventivo – rappresaglia limitata]* (l’attacco ai sistemi di armi nucleari e ai comandi sovietici) come mezzo per ristabilire l'egemonia nucleare degli Stati Uniti. Tuttavia, questa tattica fu presto abbandonata perché all’epoca impraticabile, e la strategia di deterrenza nucleare degli Stati Uniti nei decenni dagli anni '60 agli anni '80 rimase quella della Mutual Assured Destruction (MAD) [distruzione reciproca assicurata], in cui le armi nucleari venivano puntate principalmente sulle città nemiche, o obiettivi di countervalue [rappresaglia strategica]*. Ma, con la scomparsa dell'URSS dalla scena mondiale nel 1991, Washington abbandonò repentinamente il MAD come sua strategia nucleare, sostituendolo con la strategia di attacco preventivo, a volte definita NUTS (a partire dalle teorie sulla Nuclear Utilization Target Selection) [Selezione dell’Obiettivo per l’Uso delle Armi nucleari].[5] Ironia della sorte, la caduta dell'Unione Sovietica ha portato negli Stati Uniti (e nella NATO) al trionfo della strategia di deterrenza massima, nonostante vari accordi sul controllo degli armamenti strategici, e all'apparente sconfitta finale di coloro che avevano a lungo sostenuto una strategia di deterrenza minima.[6]

La strategia di attacco preventivo ha come obiettivo la supremazia nucleare o la capacità del primo colpo, cioè l'uso di armi nucleari per “falcidiare” le armi nucleari nemiche prima che queste possano essere avviate (a volte definito “vero primo colpo”).[7] Inoltre, la strategia di attacco preventivo si presta anche all’idea di guerra nucleare limitata e può quindi essere considerata come parte di un quadro d’insieme che include anche armi nucleari non strategiche o tattiche e armi convenzionali, rappresentando in questo modo la piena integrazione delle armi nucleari nella strategia militare a ogni livello. Con la MAD, che mira agli obiettivi di valore strategico, le armi nucleari erano considerate inutilizzabili per promuovere fini politici e militari (utilizzabili solo nel caso di una rappresaglia massiccia), mentre la rivoluzione della strategia di attacco preventivo avviata da Washington nell'era post-Guerra Fredda aveva appunto il fine di rendere le armi nucleari utilizzabili.[8]

Il lungo dibattito sulla deterrenza nucleare tra i
minimalisti (talvolta definiti “rivoluzionari nucleari”), come Patrick Blackett, George Kennan e Bernard Brodie, e i massimalisti come Albert Wohlstetter, Herman Kahn, Henry Kissinger e Thomas Schelling, in quella che a volte è denominata “età dell'oro” della strategia di deterrenza nucleare, si giocava principalmente sugli obiettivi a cui mirare, se di valore strategico o limitato.[9] Per i minimalisti, la MAD, che puntava agli obiettivi strategici e che mirava alla parità nucleare, era la condizione più stabile della deterrenza poiché nessuna delle parti avrebbe potuto sperare di trarre beneficio da una guerra nucleare, creando in questo modo un duraturo stallo nucleare. Al contrario, i massimalisti appoggiavano lo sviluppo di una strategia di attacco preventivo finalizzata al primato nucleare degli Stati Uniti (e della NATO) come unica soluzione stabile al problema della deterrenza nucleare. L’argomento massimalista – come dimostrato da Blackett, il celebre socialista britannico, premio Nobel per la fisica e fondatore della ricerca operativa militare – traeva la sua coerenza dall'assunto relativo ad una "asimmetria morale" tra Est e Ovest, una posizione che rappresentava il fallimento della ragione.[10] È stata la critica precoce di Blackett alla condotta di massima deterrenza a costituire sino ai giorni nostri la sfida teorica più incisiva alla dottrina dell’attacco preventivo.[11]

La coincidenza tra il declino dell'egemonia statunitense nell'economia mondiale e il tentativo degli Stati Uniti di assicurarsi il dominio unipolare attraverso mezzi militari, in linea con la loro attuale politica di deterrenza massima attraverso l’attacco preventivo e la supremazia nucleare, è culminata nella attuale guerra per procura in Ucraina tra gli Stati Uniti/NATO e la Russia, e nelle crescenti tensioni su Taiwan tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese. I conflitti in corso in Ucraina e Taiwan costituiscono i principali focolai della Nuova Guerra Fredda che proviene da Washington, e che comporta una guerra per procura reale e una potenziale ai confini stessi delle superpotenze. Ciò ha aumentato enormemente il rischio di una guerra termonucleare globale. Il che, a sua volta, comporta la minaccia di un omicidio globale della specie umana [
omnicide] con l'inizio dell'inverno nucleare, poiché il fumo e la fuliggine derivanti da incendi attivi in cento o più città bloccherebbero la radiazione solare, abbassando drasticamente le temperature globali e portando, entro un paio di anni, all’effettivo annientamento della popolazione globale.[12]


La critica della deterrenza massima

Con la caduta dell'Unione Sovietica, i massimalisti riuscirono a ottenere il predominio completo sui minimalisti all'interno dei circoli istituzionali, predominio sancito dalla prima “Nuclear Posture Review” [Revisione della Strategia Nucleare] degli Stati Uniti nel 1994.[13] Tuttavia, la critica alla massima deterrenza emersa nei decenni precedenti, in stretta relazione con movimenti mondiali per la pace, deve essere riportata alla luce e riscoperta nel contesto della crisi nucleare odierna.

La più grande critica alla dottrina della massima deterrenza nell'”età dell'oro” della deterrenza nucleare fu avanzata da Blackett nel suo libro del 1948, Fear, War, and the Bomb: Military and Political Consequences of Atomic Energy, che apparve quasi contemporaneamente all’annuncio del conferimento del Premio Nobel in fisica per il suo lavoro sperimentale in fisica nucleare.[14] Quel libro fu seguito da altri due sulla strategia delle armi nucleari: Atomic Weapons and East-West Relations (1956) e Studies of War: Nuclear and Conventional (1962).

Blackett fu un eminente pensatore socialista britannico, fece parte del movimento che reclamava il ruolo sociale della scienza, legato a J. D. Bernal, e stretto collaboratore di altri socialisti britannici, tra cui Bernal, J. B. S. Haldane, C. H. Waddington e Solly Zuckerman.[15] Blackett fu inoltre presidente dell'Associazione dei Lavoratori Scientifici di sinistra dal 1943 al 1947. Fu anche amico intimo del fisico Robert Oppenheimer negli Stati Uniti, che guidò il Progetto Manhattan.[16] Nel suo saggio del 1935, "The Frustration of Science", apparso in un libro dallo stesso titolo – un volume a cui anche Bernal contribuì, e in cui figurava un'introduzione di Frederick Soddy – Blackett sostenne il "socialismo completo" e dichiarò che il capitalismo era un "movimento retrogrado" che sfociava nel fascismo. Aveva grande ammirazione per i successi dell'Unione Sovietica nei settori della scienza e dell'industria.[17]

Come altri scienziati di sinistra, in particolare Bernal, Haldane e Zuckerman, Blackett, che aveva prestato servizio nella marina britannica, fu una figura di spicco nella formazione della strategia militare britannica durante la Seconda Guerra Mondiale. Egli fu il "padre" nel campo della ricerca operativa militare. Giocò un ruolo decisivo nello sviluppo della catena radar che si rivelò essere l'arma chiave nella guerra aerea, nota come la Battaglia d'Inghilterra, e nell'organizzazione delle difese antiaeree. Il suo più grande successo nella guerra, tuttavia, fu «di contribuire all’ideazione del sistema di convogli per affrontare l'offensiva dei sottomarini tedeschi nell'Atlantico».[18]

Nell'agosto del 1945, il primo ministro britannico Clement Attlee nominò Blackett nel nuovo Advisory Committee on Atomic Energy [Comitato Consultivo sull'Energia Atomica]. Venne anche nominato membro del Committee on Future Weapons [Comitato sulle Armi Future] del Capo di Stato Maggiore. Blackett si oppose fortemente allo sviluppo britannico di armi nucleari e sostenne una politica di neutralità nei confronti dell’Unione Sovietica. Con la chiusura del Comitato Consultivo nel 1947, si impegnò pubblicamente nel dibattito sull'uso delle armi nucleari.[19]

In Fear, War and the Bomb, Blackett si occupò della decisione degli Stati Uniti di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki dove sostenne per la prima volta che «il lancio delle bombe atomiche non rappresentò tanto l'ultimo atto militare della Seconda Guerra Mondiale, quanto la prima operazione principale della Guerra Fredda diplomatica in corso con la Russia». I giapponesi si erano già offerti di negoziare termini di pace, mentre un'invasione del Giappone da parte degli Stati Uniti era ancora in fase di pianificazione e non sarebbe avvenuta ancora per un po' di tempo. Più che alla necessità di “salvare vite americane”, come comunemente si sostenne, la fretta di sganciare la bomba su Hiroshima il 6 agosto 1945, e poi una seconda bomba su Nagasaki tre giorni dopo, era dovuta al fatto che l'Unione Sovietica si stava preparando a entrare in guerra contro il Giappone l’8 agosto, iniziando il 9 agosto l'offensiva in Manciuria. L’obiettivo degli USA, spiegava Blackett, era quindi forzare una resa incondizionata da parte del Giappone, prima che i Sovietici potessero avanzare profondamente in Manciuria, e assicurarsi che il Giappone si arrendesse solo agli Stati Uniti.[20]

L'analisi di Blackett fu oggetto di pesanti critiche in un forum dedicato al suo libro apparso nel Bulletin of Atomic Scientists, ma ricevette il sostegno dal fisico del Progetto Manhattan Philip Morrison, che fece presente che gli scienziati responsabili della creazione della bomba furono spinti a rispettare una "misteriosa" scadenza entro cui doveva essere pronta per "una data vicina al 10 agosto".[21] La tesi che il lancio delle bombe atomiche non fosse, in realtà, l'ultimo atto della Seconda Guerra Mondiale, ma piuttosto il primo atto della Guerra Fredda, sarebbe stata verificata successivamente da studi storici di figure come Gar Alperovitz e Robert Jay Lifton.[22]

Blackett dimostrò in Fear, War and the Bomb che, inizialmente, nei circoli strategici negli Stati Uniti esisteva un forte consenso circa l’utilizzo, per un primo attacco, della bomba atomica sulle città sovietiche, poiché all’epoca l'URSS non aveva ancora la bomba, e non ci si aspettava che la sviluppasse e ne possedesse un deposito fino al 1953. Nel 1948, Winston Churchill aveva proposto di minacciare l’Unione Sovietica con una guerra nucleare preventiva. Tuttavia, Blackett, cercando di promuovere il raziocinio, sostenne all'epoca che dal punto di vista militare, le bombe atomiche, per quanto devastanti, non avrebbero potuto sconfiggere l'Unione Sovietica, non più di quanto il bombardamento strategico fosse stato efficace contro la Germania. L'Unione Sovietica possedeva un grande esercito convenzionale e in caso di primo attacco nucleare degli Stati Uniti/NATO, avrebbe quasi certamente invaso l'Europa.

Quando Blackett scrisse Atomic Weapons and East-West Relations, la situazione era completamente cambiata. L'Unione Sovietica testò per la prima volta le armi atomiche nell'agosto 1949, appena quattro anni dopo che gli Stati Uniti avevano bombardato con l’atomica Hiroshima e Nagasaki. Nell’agosto 1953, l'URSS effettuò il suo primo test con la bomba all'idrogeno, meno di un anno dopo gli Stati Uniti. In quel momento, l'Unione Sovietica aveva raggiunto una parità nucleare effettiva con gli Stati Uniti in tutti i campi eccetto che nel lancio. Fu a questo punto che il dibattito sulla deterrenza prese avvio sul serio. Blackett insistette sull'importanza dello stallo strategico tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica: «Oggi le armi atomiche strategiche non solo si sono annullate a vicenda e hanno reso estremamente improbabile una guerra totale su larga scala, ma hanno finalmente abolito la possibilità di vincere contro una grande potenza solo con la forza aerea [...]. Penso che dovremmo agire come se le bombe atomiche e all'idrogeno avessero abolito la guerra totale e concentrare i nostri sforzi per capire quante poche bombe atomiche e loro vettori siano necessari per mantenerla in tale condizione».

Avendo compreso che la NATO si stava affidando ad armi nucleari tattiche come risposta alla maggiore forza convenzionale dell'Unione Sovietica, congiuntamente alla scarsa inclinazione europea nel sostenere il costo per eguagliarla, Blackett intuì che tali armi nucleari non strategiche fossero un problema importante. La sua risposta fu di prendere in considerazione una politica di non utilizzo «di alcuna bomba atomica, nemmeno sul campo di battaglia».[23] Si oppose fermamente alla dottrina massimalista degli Stati Uniti di “deterrenza graduata” o alla nozione dell'uso di armi nucleari a vari livelli di escalation, dall’uso sul campo di battaglia sino a un vero e proprio primo colpo, al fine di raggiungere obiettivi politici e militari.[24]

Blackett sostenne risolutamente Oppenheimer, che all'epoca era sotto attacco nel clima maccartista degli Stati Uniti. Spiegò che l'iniziale opposizione concreta di Oppenheimer alla bomba all'idrogeno si basava sulla sua cattiva progettazione. Ma la successiva e più profonda opposizione di Oppenheimer, e più in generale degli scienziati del Progetto Manhattan, fu una risposta al modo in cui la bomba atomica era stata impiegata, in modo non necessario, in guerra. Come ha sottolineato Blackett, «c'è un passaggio poco notato nelle audizioni. Quando fu chiesto a Oppenheimer quando fosse iniziata la sua opposizione alla bomba H, egli rispose: “Credo sia stato quando mi sono reso conto che questo Paese tendeva a usare qualsiasi arma avesse”».[25]

Nonostante il suo enorme prestigio come premio Nobel per la fisica e come fondatore della ricerca operativa militare, il tentativo di Blackett di promuovere una strategia di deterrenza razionale e minimalista, che riducesse o addirittura eliminasse le armi nucleari, provocò attacchi nel più puro stile della Guerra Fredda, tanto da venir accusato di essere un simpatizzante comunista. È stato «il più franco e il più denigrato degli scienziati britannici che si opposero alle politiche nucleari americane e britanniche dalla metà degli anni '40 al 1960 circa».[26] George Orwell inserì Blackett nella sua lista nera segreta di criptocomunisti, anche se apparentemente non sapeva chi fosse Blackett, definendolo erroneamente un «divulgatore scientifico». Il sociologo della Guerra Fredda Edward Shils scrisse un articolo per il Bulletin of the Atomic Scientists intitolato "L'apologia di Blackett per la posizione sovietica", definendo l'attenta analisi di Blackett in Fear, War and the Bomb, «un regalo alla propaganda sovietica».[27] Sia l'MI5 in Gran Bretagna che il Federal Bureau of Investigation negli Stati Uniti lo tenevano sotto sorveglianza, con l'MI5 che registrava tutte le sue telefonate senza tuttavia scoprire nulla. Blackett fu attaccato da Scientific American per il suo «pregiudizio filosovietico».[28] Tuttavia, era impossibile ignorare Blackett o metterlo completamente da parte, a causa della sua enorme credibilità sia negli ambienti scientifici che in quelli militari, alle sue argomentazioni convincenti sulla deterrenza nucleare e al suo confronto diretto con i massimalisti nucleari come Wohlstetter, Kahn e Kissinger.

La prima parte di Studies of War di Blackett, dedicato alla deterrenza nucleare, consisteva in saggi scritti tra il 1948 e il 1962, i primi dei quali si sovrapponevano ai suoi primi due libri sull'argomento. Tuttavia, Studies of War comprendeva anche saggi dedicati alla strategia nucleare scritti tra il 1958 e il 1962. In questo periodo, tra il lancio sovietico dello Sputnik nel 1957 e la crisi dei missili di Cuba del 1962, il dibattito nucleare si era intensificato. Particolarmente degno di nota fu l'articolo di Blackett del 1961, "Critique of Some Contemporary Defence Thinking", che costituì il suo più importante contributo a quello che è noto come il dibattito Blackett-Wohlstetter, che rappresenta il punto di vista minimalista contro quello massimalista sulla guerra nucleare.[29] Sebbene il precedente lavoro di Blackett sulla deterrenza nucleare gli valesse l’appellativo di “atomico eretico”, Studies of War, apparso all'incirca all'epoca della Crisi dei Missili di Cuba, fu accolto favorevolmente nei circoli più alti dell'Occidente e dal pubblico in generale, e lo si considerò l'espressione dell’opinione maggioritaria sul nucleare dell’epoca.[30] Pertanto, uno dei principali obiettivi dei massimalisti negli anni seguenti nel corso della campagna fu di rovesciare l'analisi di Blackett, al fine di rendere utilizzabili le armi nucleari.

In "Critique of Some Contemporary Defence Thinking" e in altri saggi contenuti in Studies of War, Blackett elaborò una critica classica, sulla linea della filosofia tedesca e della teoria marxiana, in cui la logica interna e le contraddizioni della posizione massimalista sulle armi nucleari venivano lette come l’esito della distruzione irrazionalista della ragione. Egli sosteneva che la parità nucleare sovietica con gli Stati Uniti aveva creato una situazione di stallo nucleare in cui l'uso di armi nucleari contro un'altra nazione dotata di armi nucleari simili fosse impensabile «da/per qualsiasi nazione che volesse sopravvivere».[31] La sua tesi era diretta contro tre dei principali pensatori massimalisti: Kissinger, Kahn e Wohlstetter. In Nuclear Weapons and Foreign Policy (1957) Kissinger si schierò contro la politica – allora attuale – di affidamento alla MAD, e chiedeva invece che gli Stati Uniti sviluppassero armi nucleari non strategiche o tattiche, che avrebbero potuto essere utilizzate per una guerra nucleare limitata e sarebbero state disponibili come un’estensione della politica.[32]

La posizione di Kissinger fu respinta con forza da Blackett e dal principale pensatore minimalista statunitense, Kennan, meglio conosciuto come l'ideatore della strategia di “contenimento” della Guerra Fredda. Blackett sottolineò che la tesi di Kissinger si basava sul dispiegamento unilaterale da parte dell'Occidente di armi nucleari tattiche da dirigere contro le forze convenzionali sovietiche, con l'Europa, sia orientale che occidentale, come campo di battaglia. Secondo Kissinger, la NATO avrebbe potuto utilizzare armi nucleari tattiche in un primo attacco, con l’aspettativa che i sovietici non avrebbero risposto con una massiccia rappresaglia, per non mettere in pericolo il proprio Paese. Inoltre, in una guerra nucleare limitata, Kissinger sosteneva che i soldati occidentali sarebbero stati superiori nell’impiego delle armi nucleari tattiche rispetto ai sovietici, anche se questi ultimi avessero sviluppato tali capacità – un'opinione che Blackett definì «una semplice fandonia». In effetti, «l'inizio di una guerra nucleare tattica da parte dell'Occidente potrebbe accelerare la sconfitta militare o portare alla distruzione dell'Europa con bombe H o entrambe le cose».[33] Blackett si opponeva a coloro, come Kahn in testi come On Thermonuclear War (1960) e Thinking About the Unthinkable (1962), che sostenevano che si potesse sopravvivere alla guerra nucleare, e persino vincerla, attraverso misure come la difesa civile. Blackett replicò che la difesa civile in una guerra nucleare era impraticabile.[34]

Kahn coniò la distinzione tra countervalue e counterforce [nucleare strategico e nucleare tattico].[35] Con il profilarsi della parità nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica e il dominio della MAD, che dichiarava inutilizzabili le armi nucleari, i massimalisti dedicarono tutti i loro sforzi a sostenere che qualsiasi equilibrio nucleare fosse instabile e che l'unica risposta praticabile dagli Stati Uniti fosse lo sviluppo di armi nucleari tattiche finalizzate alla possibilità del primo colpo o al primato nucleare. Il principale sostenitore di questa posizione all'inizio degli anni '60 fu Wohlstetter, che, come Kahn, Schelling e altri massimalisti, lavorava per la RAND Corporation.

Il testo chiave che ha lanciato la tesi dell'instabilità della MAD e ha sostenuto la necessità per gli Stati Uniti di passare a una strategia di attacco preventivo fu "The Delicate Balance of Terror" di Wohlstetter, pubblicato nel 1959 sulla rivista del Consiglio per gli Affari Esteri, Foreign Affairs.[36] Wohlstetter criticava pesantemente Blackett e altri che sostenevano che la «mutua estinzione» fosse «l'unico risultato» di una guerra nucleare generale, adottando così la posizione della MAD. Wohlstetter sosteneva invece che la strategia di attacco preventivo o primo colpo potevano, in via teorica, eliminare la capacità dell'altra parte di effettuare un secondo colpo, sollevando così la questione della “sopravvivenza” della capacità di un secondo colpo nucleare da parte della nazione attaccata. Un primo attacco poteva quindi essere visto, secondo Wohlstetter, come una politica "sana" per un attaccante. Ciò richiedeva che gli Stati Uniti perseguissero la capacità di primo attacco o la supremazia nucleare e la modernizzazione delle armi nucleari per ottenere una maggiore precisione e la massima deterrenza. Presente in modo sottaciuto nell'argomentazione di Wohlstetter, ma alla base della sua affermazione che la parità nucleare fosse instabile, fu la presunzione che i sovietici non sarebbero stati dissuasi da dieci milioni o anche più di morti, dal momento che avevano subito venti milioni di morti nella Seconda guerra mondiale. Inoltre, l'intera argomentazione di Wohlstetter si basava sul presupposto che esistesse ciò che nella sua critica Blackett aveva definito una «asimmetria morale» tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, secondo cui la supremazia nucleare degli Stati Uniti non rappresentava alcun pericolo per l'URSS, mentre la parità nucleare russa costituiva una minaccia molto concreta di un attacco nucleare contro gli Stati Uniti.[37]

La risposta di Blackett a Wohlstetter fu devastante. Il noto storico militare britannico Michael Howard l'ha definita una «critica feroce».[38] Impiegando esempi aritmetici, egli mise in luce come una reale capacità di effettuare il primo attacco avrebbe richiesto la distruzione non solo del 90% delle armi nucleari della controparte – considerata impossibile, dati i problemi tecnici, il numero di bersagli, le risposte quasi automatiche della controparte e le immense difficoltà di intelligence – ma avrebbe richiesto una distruzione del 99% delle forze nucleari avversarie, e anche questo non sarebbe sufficiente se si volessero evitare milioni di morti sia da parte dell'attaccante che dell'attaccato. Quindi, una maggiore precisione non avrebbe ovviato «alla follia essenziale di una politica di primo attacco». Blackett sottolineava che Wohlstetter riteneva che un primo attacco statunitense contro l'Unione Sovietica sarebbe stato sensato all'epoca in cui gli Stati Uniti avevano il monopolio nucleare o anche quando avevano semplicemente la superiorità nucleare. Per quelli come Wohlstetter, l'obiettivo era ristabilire le basi per un simile primo attacco “sensato”. [39]

L'aspetto più importante fu la critica di Blackett alla nozione elaborata da Wohlstetter di “asimmetria morale” tra Stati Uniti e URSS. Come scrisse Wohlstetter, «loro [i sovietici] fanno scelte strategiche sensate e noi no», il che significa che essi userebbero senz’altro la superiorità nucleare (o persino la parità nucleare) come base per un attacco nucleare per raggiungere i loro scopi, mentre gli Stati Uniti non lo farebbero, a causa della loro più alta moralità.[40]

In risposta, Blackett dichiarò: «La dottrina di Wohlstetter sembra risolversi nel fatto che l'Occidente deve pianificare sulla capacità del nemico, ma l'URSS deve pianificare sulle intenzioni dell'Occidente», che si presumono essere benevoli. «Introducendo un ampio e arbitrario grado di asimmetria morale tra i due contendenti» come «dispositivo metodologico», Wohlstetter, secondo Blackett, vedeva «il periodo dal 1954 al 1957 [quando la Russia “non deteneva alcun potere effettivo di colpire l'America” con i missili] [...] come un periodo sicuro perché, sebbene l'America possedesse una grande superiorità nucleare, era pacifica, mentre il momento attuale è pericoloso perché questa superiorità è minore e l'URSS è aggressiva».[41] Era questo tipo di logica pericolosa, insisteva Blackett, che stava alla base delle richieste dei massimalisti, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto tentare di «riacquistare la supremazia nel nucleare tattico attraverso il miglioramento dei missili e dei satelliti di ricognizione».[42]

Sostenendo con forza la «politica della minima deterrenza», Blackett insistette sul fatto che «quando è troppo è troppo».[43] Tuttavia, se i massimalisti avessero avuto la meglio e convinto Washington a perseguire una strategia di attacco preventivo, l'Unione Sovietica e la Cina avrebbero dovuto rispondere a un certo punto, intraprendendo azioni per garantire la sopravvivenza della loro deterrenza come questione di pura difesa, il che avrebbe scatenato una corsa agli armamenti nucleari senza fine e aumentato i pericoli di una guerra nucleare.[44] Egli criticò aspramente coloro che alla RAND, come Schelling, utilizzavano la teoria dei giochi per creare falsi scenari di guerra nucleare limitata e strategie di attacco preventivo nel perseguimento irrazionale di continue spese per la modernizzazione nucleare. Nel 1962, Blackett sollevò ancora una volta la questione del disarmo nucleare che, secondo lui, avrebbe dovuto essere effettuato su scala estremamente ampia o sarebbe stato inefficace.[45]

Negli anni '80, le amministrazioni di Jimmy Carter e Ronald Reagan tentarono di collocare in Europa missili da crociera e Pershing II ad armamento nucleare, apparentemente in risposta all'SS-20 sovietico, un missile a raggio intermedio più resistente che si riteneva potesse ridurre la capacità di primo attacco da parte della NATO.[46] Gli Stati Uniti risposero introducendo nuovi missili tattici utilizzando l'Europa come base operativa. A ciò si aggiunse il piano statunitense di avviare la Strategic Defense Initiative, meglio nota come Guerre Stellari, un sistema di difesa missilistica globale. Anche questo aveva senso solo in termini di attacco preventivo o tattico. Il risultato fu lo sviluppo di un enorme movimento antinucleare in Europa, in cui lo storico marxista E. P. Thompson svolse un ruolo importante come principale portavoce del disarmo nucleare europeo.[47] Negli Stati Uniti, tali sviluppi generarono il movimento per il congelamento delle armi nucleari. In questo contesto, Wohlstetter cercò ancora una volta di criticare Blackett, morto nel 1974, per le sue critiche alla massima deterrenza e alla teoria dei giochi. Zuckerman rispose facendo riferimento alla questione dell'asimmetria morale di Blackett, presente nel lavoro di Wohlstetter e di tutti gli altri strateghi statunitensi della counterforce.[48]


La ricerca statunitense del primato nucleare: dal 1991 ad oggi

È una delle grandi ironie del nostro tempo il fatto che la scomparsa dell'Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda abbiano provocato a Washington l'immediato trionfo della dottrina della massima deterrenza e la ricerca del primato nucleare attraverso lo sviluppo di capacità di attacco preventivo. Nonostante gli accordi sugli armamenti nucleari inizialmente stipulati e le riduzioni delle testate nucleari, la struttura di base delle forze nucleari è rimasta intatta, mentre Washington ha visto in ciò l’occasione per assicurarsi una supremazia nucleare globale o una vera capacità di primo colpo, e quindi un dominio nucleare assoluto. La "deterrenza minima", secondo Lawrence Freedman e Jeffrey Michaels nella loro opera classica, The Evolution of Nuclear Strategy, “contava/aveva ancora i suoi sostenitori, che erano tuttavia in minoranza” e molto indeboliti.[49] La strada era quindi aperta all'avvio di una completa strategia di attacco preventivo. Come ha dichiarato Janne E. Nolan dell'Arms Control Association, «l’attacco preventivo rimane il principio sacrosanto della strategia nucleare americana».[50]

Poiché la strategia nucleare degli Stati Uniti si basa sull’attacco preventivo, sulla costruzione della capacità di un primo attacco che giunga come un “fulmine a ciel sereno” e con i sistemi antimissile che eliminano successivamente le poche armi sopravvissute/rimaste, essa richiede l'unificazione delle armi nucleari "offensive" e "difensive".[51] L'obiettivo generale è garantire la non sopravvivenza dei centri di comando e controllo, e dei sistemi di armi nucleari dell’altra parte. I sistemi missilistici antibalistici, ritenuti praticamente inutili per difendersi da un primo attacco su larga scala, non sono armi difensive, ma hanno lo scopo di garantire che le poche armi nucleari del Paese attaccato che riescono a sopravvivere di fronte a un primo attacco vengano eliminate prima che possano raggiungere i loro obiettivi. Pertanto, i sistemi di difesa missilistica nucleare sono destinati principalmente a migliorare la capacità di primo attacco.[52]

Di fronte alla prospettiva di un primo attacco, una potenza nucleare ha solo quattro modi per proteggere il proprio deterrente [nucleare]: (1) abbondanza delle armi nucleari, poiché più sono i bersagli, più è difficile per un attaccante effettuare un primo attacco di successo; (2) rafforzamento dei silos missilistici per proteggere il deterrente strategico dai missili in arrivo; (3) occultamento delle armi nucleari, mediante armi nucleari sottomarine e missili mobili a terra/lanciatori di missili; e (4) (il più discutibile di tutti) far affidamento sulle macchine cosiddette del giorno del giudizio, che consentono una rappresaglia massiccia che può essere avviata al minimo segnale, pressoché automaticamente, con il minimo intervento umano.[53]

Tenendo conto di queste condizioni, è possibile comprendere le mosse di Washington, altrimenti apparentemente contraddittorie, in materia di controllo e sviluppo degli armamenti nucleari dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica. Tutti i presidenti degli Stati Uniti, da Reagan a Biden, hanno dato grande rilievo allo sviluppo di sistemi di difesa missilistica nucleare, considerati cruciali per un'efficace strategia di attacco preventivo. L'amministrazione di George H. W. Bush, pur allontanandosi dalle Guerre Stellari di Reagan, scelse di promuovere il programma "Global Protection Against Limited Strikes". Questo programma è stato portato avanti dall'amministrazione di Bill Clinton, che ha proposto uno schema di difesa missilistica nazionale. Tuttavia, i sistemi di difesa missilistica non potevano essere messi in funzione finché gli Stati Uniti fossero rimasti vincolati al Trattato sui missili anti-balistici del 1972, motivo alla base del ritiro unilaterale dell'amministrazione di George W. Bush dal trattato nel 2002. Nel 2007, l'amministrazione Bush decise di ampliare i due siti di difesa missilistica in California e in Alaska e di aggiungere un “terzo sito” in Europa, con la scusa di proteggere l'Europa dall'Iran (una potenza non nucleare), ma i russi naturalmente compresero che quest’operazione era diretta contro di loro. Nel 2008, questo sistema è stato integrato con il sistema missilistico di difesa generale della NATO. L'amministrazione di Barack Obama ha rivisto questo piano posizionando in Polonia e Romania sistemi di difesa missilistica contro missili balistici a più lungo raggio (ma anche in grado di lanciare missili offensivi ad armamento nucleare).[54]

Allo stesso tempo, mentre i sistemi di difesa missilistica venivano introdotti in Europa, le scorte di testate nucleari possedute da Stati Uniti e Russia vennero ridotte.[55] Ciononostante, nel 2023 gli Stati Uniti disponevano ancora di 5.244 testate nucleari strategiche, la Francia di 290, il Regno Unito di 225 e la Russia (che cercava di eguagliare tutte e tre le potenze nucleari della NATO) di 5.889. La Cina, nel frattempo, ne aveva 410.[56]

La riduzione del numero di testate nucleari da parte di Washington, in linea con le riduzioni parallele di Mosca, sembra fosse mirata a raffreddare le tensioni nucleari. Tuttavia, questa politica è conforme alla sua strategia globale di attacco preventivo, poiché la ridondanza del numero di tali armi è uno dei mezzi principali per garantire la sopravvivenza di un deterrente nucleare. Insieme all'ammodernamento dei sistemi di armi nucleari per ottenere una maggiore precisione e mezzi più efficaci di rilevamento dei sottomarini nucleari e dei missili mobili a terra, gli Stati Uniti sono stati in grado di avvicinarsi velocemente al loro obiettivo di supremazia nucleare. Come ha scritto Cynthia Roberts del Saltzman Institute of War and Peace della Columbia University in "Revelations About Russia's Deterrence Policy", «i russi percepiscono gli ulteriori miglioramenti statunitensi delle forze strategiche, sia convenzionali che nucleari, come parte di uno sforzo continuo per mettere in crisi il deterrente nucleare russo e negare a Mosca una valida opzione di secondo colpo», con l'obiettivo di eliminare effettivamente il suo deterrente nucleare attraverso la "decapitazione”.[57]

Nel 2006, gli analisti nucleari di tutto il mondo furono sorpresi dalla pubblicazione su Foreign Affairs, la rivista di punta del Council of Foreign Relations, di un articolo di Keir A. Lieber e Daryl G. Press intitolato "The Rise of U.S. Nuclear Primacy".[58] Lieber e Press misero in evidenza come gli Stati Uniti avessero perseguito una vera capacità di primo colpo sin dalla fine della Guerra Fredda e fossero allora «sul punto di raggiungere la supremazia nucleare. [...] A meno che le politiche di Washington non cambino o Mosca e Pechino non prendano provvedimenti per aumentare le dimensioni e la rapidità delle loro forze, la Russia e la Cina, e il resto del mondo, vivranno all'ombra della supremazia nucleare degli Stati Uniti per molti anni a venire». In effetti, «il peso delle prove», scrissero, «fa pensare che Washington sta, di fatto, sforzandosi deliberatamente di raggiungere la supremazia nucleare».[59]

Gli Stati Uniti, sostengono Lieber e Press, hanno già ottenuto il primato nucleare nei confronti della Cina, che non è in grado di proteggere né i suoi silos missilistici temprati né i suoi sottomarini nucleari (a causa del loro livello di rumore, che però si sta riducendo), e sono prossimi a ottenere una capacità plausibile di primo attacco anche nei confronti della Russia. Armi come i missili da crociera ad armamento nucleare, i sottomarini nucleari in grado di sparare i loro missili molto più precisi con testate a bassa potenza vicino alla costa, e i bombardieri stealth B-2 a bassa quota e i caccia stealth che trasportano missili da crociera e bombe a gravità nucleari potrebbero eliminare più efficacemente i silos missilistici temprati. La più avanzata tecnologia di telerilevamento, di cui gli Stati Uniti erano i leader, aveva notevolmente migliorato la capacità di individuare e colpire missili terrestri mobili e sottomarini nucleari.[60] L'estensione a est della NATO ha reso possibile il posizionamento di sistemi di armi nucleari (compresi i sistemi di difesa missilistica) molto più vicini a Mosca. La maggiore precisione dei missili e delle bombe a gravità guidata statunitensi, inoltre, fa sì che le armi nucleari dei Paesi bersaglio siano sempre più vulnerabili alle armi convenzionali con testate non nucleari.[61]

La notizia che gli Stati Uniti erano, almeno teoricamente, sul punto di detenere una capacità di primo colpo ha fatto scattare l'allarme in Russia e in Cina, portando a nuovi e massicci sforzi per proteggere la sopravvivenza delle loro armi nucleari e a misure per difendersi da una strategia di attacco preventivo attraverso lo sviluppo di una nuova tecnologia missilistica ipersonica, capace di eludere i sistemi missilistici antibalistici. La Cina l'ha definita una "mazza dell’assassino", un'arma vantaggiosa soprattutto per chi sfida un avversario più potente.[62] Nel 2007, infastidito dal tentativo degli Stati Uniti di ottenere il primato nucleare oltre che dalla relativa espansione della NATO, il Presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato inequivocabilmente che non ci sarà un mondo unipolare.[63] Ciononostante, nel 2008 la NATO ha annunciato di voler includere l'Ucraina e ha portato avanti i suoi piani per posizionare sistemi di difesa missilistica in Polonia e Romania. Le Aegis Ballistic Missile Defense [sistemi balistici di difesa dai missili N.d.R.] installate in questi Paesi sono anche potenziali armi offensive in grado di lanciare missili da crociera Tomahawk ad armamento nucleare.[64]

Gli Stati Uniti, attraverso la NATO, hanno sempre fatto affidamento su una strategia di primo colpo basata su armi nucleari sia non strategiche che strategiche, che costituiscono il nucleo della difesa della NATO, prima contro le forze convenzionali dell'Unione Sovietica e poi contro quelle della Russia, incluse sotto l'ombrello della “deterrenza estesa” statunitense.[65] Nonostante l'Unione Sovietica, come la Cina di oggi, appoggiasse una politica contraria al primo colpo – mentre la Russia post-sovietica ha dichiarato che utilizzerà le armi nucleari di primo colpo solo se lo Stato/territorio russo fosse minacciato direttamente – tutti i presidenti statunitensi fino all'attuale hanno riconfermato la politica di primo colpo degli Stati Uniti.[66] Per Washington, le armi nucleari (sia strategiche che tattiche) sono “sul tavolo” in tutto il mondo, in alcuni casi anche contro potenze non nucleari. Una politica rafforzata dall'estensione imperiale degli Stati Uniti che mantengono almeno ottocento basi militari all'estero.[67] Sebbene Obama avesse dichiarato, durante la sua corsa alla presidenza, di voler perseguire «un mondo in cui non ci sono armi nucleari», al momento dell'insediamento alla Casa Bianca ha adottato una posizione più massimalista, rifiutando di impegnarsi a non effettuare il primo colpo.[68] Il vicesegretario aggiunto per la politica nucleare e di difesa missilistica dell'amministrazione Obama, incaricato di redigere la Nuclear Posture Review del 2010, era Brad Roberts, un falco nucleare profondamente impegnato in una strategia di primo utilizzo del nucleare. La Nuclear Posture Review del 2010 «ha riaffermato una dottrina di attacco preventivo e ha rifiutato di cambiare rotta per concentrarsi su obiettivi di rappresaglia strategica». Poco dopo aver lasciato l'amministrazione, Roberts ha pubblicato The Case for U.S. Nuclear Weapons in the Twenty-First Century, in cui sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero essere pronti e disposti a impegnarsi in combattimenti nucleari a tutti i livelli. L'amministrazione Obama ha avviato un aggiornamento trentennale di 1.000 miliardi di dollari delle armi nucleari statunitensi, in linea con la strategia di attacco preventivo.[69]

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno appoggiato la rivoluzione colorata/golpe di Maidan in Ucraina, che ha destituito il presidente eletto democraticamente Viktor Yanukovych. Ciò ha portato a una guerra civile in Ucraina tra il governo di Kiev, controllato dai nazionalisti ucraini sostenuti dalla NATO, da un lato, e i separatisti russofoni della regione del Donbass, sostenuti dalla Russia, dall'altro. Nel 2022 la Russia, dopo che la NATO aveva continuamente ignorato le sue linee rosse, è intervenuta con risolutezza a fianco dei separatisti. Di fronte a una guerra per procura contro Stati Uniti/NATO in Ucraina, la Russia ha messo in allerta le sue forze nucleari.[70] Improvvisamente, uno scambio termonucleare globale che mette a rischio di annientamento l'intera popolazione mondiale (per mezzo dell'inverno nucleare) è diventato una minaccia imminente.

Nel frattempo, l'amministrazione di Donald Trump si è ritirata unilateralmente dall’Intermediate Nuclear Forces Treaty [Trattato sulle forze nucleari intermedie] nel 2019 e dall’Open Skies Treaty [Trattato sui cieli aperti] nel 2020. Il ritiro unilaterale da questi trattati ha favorito Washington, consentendole di sviluppare ulteriormente le sue capacità di attacco preventivo. La Guide to Nuclear Deterrence in the Age of Great Power Competition (2020) del Louisiana Tech Research Institute - redatta da esperti di armamenti nucleari per i circa trentamila membri della Global Strike Force dell'aeronautica statunitense e settecentomila aviatori in tutto - dichiarava che «gli Stati Uniti non si sono mai accontentati di una mera capacità di secondo colpo», ed erano pronti a un primo colpo e a vincere una guerra nucleare come parte della loro strategia di massima deterrenza.[71]

All'inizio del gennaio 2023, gli Stati Uniti hanno autorizzato l'uso dell'aereo da trasporto C-17A dell'Aeronautica Militare per la spedizione di bombe nucleari B61-12 in Europa, con una consegna più rapida di quella originariamente prevista.[72] La bomba nucleare B61-12 è stata definita da National Interest «l'arma nucleare più pericolosa dell'arsenale americano», perché è quella meglio utilizzabile, in quanto ha il duplice scopo di essere un'arma nucleare strategica in grado di sferrare un primo attacco preventivo contro i silos missilistici temprati, ma anche di raddoppiare l'arma nucleare tattica sul campo di battaglia.[73]

La B61-12, sebbene faccia parte della classe delle bombe nucleari B61, introdotta per la prima volta dopo la crisi dei missili di Cuba, è un'arma nuova, giacché, secondo le parole di Hans Kristensen, esperto di armi nucleari presso la Federation of American Scientists, rappresenta «la prima bomba nucleare a gravità guidata degli Stati Uniti», con un kit di coda manovrabile che le conferisce una precisione molto più grande (una testata due volte più precisa è otto volte più letale). Le bombe nucleari statunitensi esistenti hanno un cerchio di errore probabile (CEP) di 110-170 metri, mentre la B61-12 ha una CEP di 30 metri. È considerata un'arma nucleare “a basso rendimento”. Tuttavia, ha una resa di livello tre volte superiore a quella della bomba atomica sganciata dagli Stati Uniti su Hiroshima. È anche capace di penetrare nel terreno, il che significa che può esplodere sottoterra. Lanciata contro un bersaglio sotterraneo, la sua distruttività rispetto all'obiettivo, secondo l’ICAN (Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari), è «l'equivalente di un'arma a scoppio superficiale con una potenza di 1.250 chilotoni, cioè l'equivalente di 83 bombe di Hiroshima».[74]

La B61-12 è anche un'arma "dal rendimento variabile", in cui la resa esplosiva può essere regolata fino a 0,3 chilotoni o fino a 50 chilotoni. Pertanto, è considerata un'arma nucleare "tattica" e "strategica". Può essere sganciata sugli obiettivi da jet da combattimento, come il caccia stealth F-35, e da bombardieri strategici. Gli Stati Uniti la stanno usando per sostituire le loro attuali armi nucleari in Europa. Essendo un'arma nucleare più "utilizzabile", considerata anche un'arma da campo di battaglia, la B61-12 abbassa la soglia nucleare in Europa. Secondo la Russia, la B61-12 è particolarmente minacciosa a causa della vicinanza agli obiettivi russi. Sebbene la Russia disponga di duemila armi nucleari tattiche, queste sono tutte attualmente nei depositi, mentre le nuove bombe B61-12 saranno dispiegate (rappresentando le uniche armi nucleari tattiche dispiegate al mondo) e situate in Italia, Germania, Turchia, Belgio e Paesi Bassi, «a un breve volo dai confini della Russia». La Polonia, che ha appena ottenuto il caccia F-35, chiede ora che anche le bombe B61-12 siano collocate sul suo territorio.[75] In caso di guerra, secondo l'accordo di condivisione nucleare della NATO, gli Stati Uniti potrebbero rilasciare queste armi nucleari alle singole nazioni.

La National Defense Strategy statunitense da parte dell'amministrazione Trump nel 2018 è stata redatta in gran parte dal falco anticinese Elbridge A. Colby, allora Vice Assistente del Segretario della Difesa per la Strategia e lo Sviluppo delle Forze Armate. La National Defense Strategy si concentrava sulla Cina come principale minaccia strategica per gli Stati Uniti (una posizione poi adottata dall'amministrazione Biden) e stabiliva che la politica statunitense del primo attacco avrebbe autorizzato l’utilizzo di armi nucleari contro un attacco cibernetico non meglio definito. Inoltre, per la prima volta, la preparazione di una guerra nucleare limitata è stata formalmente integrata nella grande strategia nucleare degli Stati Uniti. Colby è famoso soprattutto per la sua "strategia di negazione" ultra-aggressiva nei confronti della Cina, promossa dal suo think tank Marathon Initiative. Questa strategia include scenari che prevedono l'uso di armi nucleari di attacco preventivo da parte degli Stati Uniti in un conflitto su Taiwan. La logica della politica statunitense rispetto a Taiwan, compresa quella di entrambi i partiti politici dominanti, punta quindi a superare le linee rosse della Cina, minacciando nuovamente il mondo intero.[76]

Fin dal suo primo test nucleare nel 1964, la Cina ha dichiarato in modo inequivocabile che «non sarà mai, in nessun momento e in nessuna circostanza, la prima a usare le armi nucleari».[77] A differenza degli Stati Uniti e della Russia, le armi nucleari della Cina sono tenute fuori dallo stato di allerta, con le testate non accoppiate ai missili, anche se ora ha un sottomarino nucleare sempre in mare.[78] Le sue armi nucleari sono deliberatamente orientate alla MAD, senza la precisione necessaria per l’attacco preventivo. Secondo Benjamin C. Jamison, attualmente tenente colonnello dell'aeronautica statunitense in servizio presso la divisione imprese nucleari del Comando europeo degli Stati Uniti, l'arsenale nucleare cinese «comprende esclusivamente armi da più megatoni e imprecise, che sono più adatte a una strategia di rappresaglia». Non ha cercato la parità nucleare con gli Stati Uniti e la Russia. L'obiettivo della Cina «rimane il mantenimento di un'opzione di secondo colpo in grado di sopravvivere. Tecnologicamente, e dal punto di vista delle risorse, non c'è motivo per cui la Cina non sia capace di costruire una forza nucleare competitiva con gli Stati Uniti o la Russia, ma ha semplicemente scelto di non farlo».[79] Coerentemente a ciò, la Cina ha rinunciato a sviluppare un arsenale di armi nucleari tattiche.[80] La Cina insiste sul fatto che nessuna nazione dovrebbe posizionare armi nucleari in un altro Stato. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti si concentrano sulla capacità di primo attacco, la Cina ha recentemente dato il via alla modernizzazione e all'espansione del suo arsenale nucleare, con l'obiettivo di migliorare la sopravvivenza della sua capacità di secondo attacco. I più recenti documenti sulla difesa degli Stati Uniti indicano che la Cina è riuscita a mantenere un deterrente nucleare di secondo colpo ridotto e in grado di sopravvivere.[81]

Tuttavia, nulla di tutto ciò ha fatto deviare la ricerca del primato nucleare da parte dell'Occidente. «A livello nucleare, le difese missilistiche e l'attacco di precisione», ha scritto il politologo norvegese Even Hellan Larsen nel giugno 2023, «rendono realistica la priorità totale della rappresaglia nucleare». In altre parole, adottare una strategia di attacco preventivo contro altre potenze nucleari potrebbe essere interpretato come una politica "razionale" da parte della principale potenza di contrasto, gli Stati Uniti/NATO.[82]


Il declino dell’egemonia statunitense e la minaccia di un Armageddon nucleare

Gli strateghi nucleari e i pianificatori militari statunitensi, che oggi sono quasi tutti massimalisti, di norma non fanno riferimento in nessuna delle loro analisi agli effetti completi di uno scambio termonucleare globale, anche quando si prospetta una guerra nucleare su larga scala. In questo modo, non si menziona l'inverno nucleare, che annienterebbe quasi per intero la popolazione umana mondiale, nonostante diversi studi scientifici lo abbiano più e più volte affermato.[83] Più spesso, i pianificatori militari statunitensi sostengono che una strategia di controffensiva al primo colpo con armi nucleari strategiche relativamente “a basso rendimento” (anche se in genere con un rendimento maggiore rispetto alle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki), può decapitare la capacità di secondo colpo della controparte, con un fulmine a ciel sereno, eliminando la possibilità di una rappresaglia massiccia. A ciò si accompagnano piani per una guerra nucleare limitata che presuppongono che il Paese attaccato sia in grado di distinguere tra un attacco parziale e un vero e proprio primo colpo, e che si possa far affidamento su una risposta altrettanto “limitata”, senza minaccia di escalation. Più volte, tuttavia, questi presupposti, pur governando la strategia nucleare statunitense, si sono dimostrati falsi e irrazionali. La pericolosa realtà che le analisi nucleari massimaliste puntualmente ignorano è meglio descritta da Daniel Ellsberg, anch'egli un tempo stratega nucleare della RAND Corporation: «Gli Stati Uniti e la Russia possiedono ciascuno una vera e propria macchina dell'apocalisse. Non è lo stesso sistema relativamente economico immaginato da Herman Kahn (o ritratto da Stanley Kubrick) [...]. Ma esiste comunque una controparte per ciascun Paese: un sistema molto costoso di uomini, macchine, elettronica, comunicazioni, istituzioni, piani, addestramento, disciplina, pratiche e dottrine che, in condizioni di allarme elettronico, conflitto esterno o aspettative di attacco, porterebbe con una probabilità sconosciuta ma probabilmente elevata alla distruzione globale della civiltà e di quasi tutta la vita umana sulla Terra».[84]

Oggi, la guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina, al confine con la Russia, e il comportamento minaccioso di Washington nei confronti di Pechino su Taiwan (riconosciuta da tutto il mondo come parte della Cina, ma con un governo diverso), hanno messo al centro delle preoccupazioni mondiali il problema di uno scambio termonucleare complessivo. Come ha scritto nel 2005, in "Apocalypse Soon", l'ex segretario alla Difesa statunitense Robert S. McNamara, «lanciare armi contro un avversario dotato di armi nucleari sarebbe un suicidio. Farlo contro un nemico non nucleare sarebbe militarmente inutile, moralmente ripugnante e politicamente indifendibile». L'idea che «le armi nucleari possano essere usate solo parzialmente» è «fondamentalmente sbagliata», poiché gli effetti sui civili non possono essere contenuti, mentre «non c'è alcuna garanzia contro un'escalation illimitata una volta che si verifichi il primo attacco nucleare»[85]

Tuttavia, Blackett rimane il più grande critico della strategia nucleare massimalista. Howard scrisse nel 1984 che le «opinioni di Blackett sarebbero oggi etichettate dai teorici strategici [occidentali] come “deterrenza minima” o MAD (distruzione reciproca assicurata) e considerate così primitive da non meritare di essere prese in considerazione. A mio avviso, tuttavia, esse rimangono valide oggi come 20 anni fa: l'unica base su cui si può fondare una politica di difesa accettabile e una politica di controllo degli armamenti credibile».[86]

Gli elementi più rilevanti della critica di Blackett sono cinque: anzitutto, un primo attacco preventivo contro altre grandi nazioni nucleari è strategicamente, operativamente e matematicamente impossibile da realizzare senza provocare un enorme numero di decessi da entrambe le parti. Pertanto, tutti i sogni di supremazia nucleare sono pericolose illusioni. In secondo luogo, una guerra nucleare limitata con armi nucleari tattiche o non strategiche subirebbe rapidamente un'escalation fuori controllo. In terzo luogo, tutti gli argomenti occidentali a favore della massima deterrenza nucleare, che rifiutano l'idea di uno stallo nucleare, si basano sulla nozione di asimmetria morale per giustificare il perseguimento della supremazia nucleare. Quarto, tutte le nazioni devono adottare una strategia che rifiuti il primo colpo. Quinto, le armi nucleari dovrebbero essere limitate a obiettivi di rappresaglia strategica; questa è anche l'unica base da cui può prendere avvio il disarmo nucleare.

È significativo che oggi l'unica grande nazione nucleare che ha attuato tutti i precetti di Blackett sia la Repubblica Popolare Cinese. Il fatto stesso che la Cina, sia nel protocollo che nella pratica nucleare, abbia aderito rigorosamente a una linea minimalista sulle armi nucleari mostra come ciò sia possibile anche per altre nazioni nucleari.

Al contrario, la strategia nucleare massimalista degli Stati Uniti, che va contro tutti i precetti di Blackett, è oggi giustificata nei circoli della deterrenza nucleare in termini di una presunta asimmetria morale che pone gli Stati Uniti al di sopra delle altre nazioni. Gli strateghi nucleari statunitensi sostengono comunemente che il forte "tabù" creato dal lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki rende «improbabile che gli Stati Uniti impieghino un attacco nucleare di rappresaglia strategica anche in risposta a un attacco all'America continentale. Pertanto, le minacce nucleari di rappresaglia strategica non sono più credibili per la deterrenza americana». Ciò viene attribuito ai presunti valori morali degli Stati Uniti, ritenuti più elevati rispetto ad altri Stati, nonché alla loro maggiore riluttanza a usare armi nucleari su città e contro popolazioni civili, con il risultato che gli Stati Uniti non hanno altra scelta se non quella di orientare la loro strategia nucleare per contrastare il primo attacco preventivo, o primato nucleare. «Il targeting di rappresaglia strategica, tuttavia, [ci viene detto] rimane valido per altri Stati nucleari», come la Russia e la Cina, che non sono così soggetti al tabù sull'uso delle armi nucleari, poiché non condividono gli alti valori morali degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali in generale, con il risultato che non si tirerebbero indietro di fronte a una massiccia rappresaglia contro obiettivi civili.[87]

L'ironia di tutte queste argomentazioni basate sull'asimmetria morale è che l'unica nazione che ha effettivamente impiegato le armi nucleari, uccidendo centinaia di migliaia di persone – e non come ultimo atto militare della Seconda Guerra Mondiale ma, come ha dimostrato Blackett, quale primo atto politico della Guerra Fredda – la nazione, inoltre, responsabile della morte di circa diciotto milioni di persone in guerre e operazioni militari solo dal 1945, vede se stessa (e la NATO) così moralmente al di sopra di altri grandi Stati nucleari (come la Russia e la Cina) da essere costretta a perseguire una capacità di attacco preventivo o di primo colpo.[88] Tale strategia mira a scatenare e vincere una guerra nucleare, non semplicemente a fare affidamento sulle armi nucleari per una massiccia rappresaglia. È rafforzata da piani per una guerra nucleare limitata e per il dominio in ogni grado dell’escalation.

La strategia nucleare massimalista degli Stati Uniti, radicata nel presupposto che gli Stati Uniti possano dominare in tutti gli stadi dell'escalation convenzionale e nucleare e persino vincere una guerra nucleare, è uno dei principali fattori che inducono un falso senso di potenza nei decisori, rendendo Washington aggressiva nei confronti di Pechino e Mosca nell'attuale Nuova Guerra Fredda. Il risultato più probabile dell'attuale visione occidentale secondo cui le armi nucleari possono essere utilizzate per raggiungere fini politici e militari è che finiranno effettivamente per essere utilizzate, distruggendo quasi tutta l'umanità.[89] Il fatto che l'intera strategia nucleare occidentale dal 1991 in poi si sia basata sull’attacco preventivo, sulla capacità di primo attacco, sulla supremazia nucleare e sulla guerra nucleare limitata, considerando le armi termonucleari come strumenti utili nella lotta per garantire un ordine mondiale unipolare, significa che gli Stati Uniti/NATO costituiscono oggi la più grande minaccia esistenziale per l'umanità per mezzo di una Terza Guerra Mondiale (esclusa, cioè, la crisi ecologica planetaria). Solo un approccio minimalista, anziché massimalista, alle armi nucleari può condurre l'umanità sulla strada del disarmo nucleare. In ultima analisi, tuttavia, la risposta sta nel passaggio a livello mondiale da un capitalismo morente a quello che Blackett ha definito socialismo completo.


Note

* N.d.T. "Naked imperialism" [imperialismo nudo] è un concetto coniato da John Bellamy Foster nel suo libro Naked Imperialism: The US Pursuit of Global Dominance, pubblicato nel 2006.

** N.d.T. I due termini counterforce e countervalue usati nell’originale inglese non hanno un corrispondente diretto in italiano, in quanto sia l’uno che l’altro hanno un senso letterale molto diverso da quello che si vorrebbe dare, dunque si è deciso di tradurli con espressioni più ampie, considerandoli dei termini gergali.


[1] M. S. Blackett, Studies of War: Nuclear and Conventional (New York: Hill and Wang, 1962), 130.

[2] Estratti da The Pentagon Plan: Preventing the Emergence of a New Rival,” New York Times, 08.03.1992; Wesley K. Clark, Don’t Wait for the Next War, New York: PublicAffairs, 2014, pp. 37–40; John Bellamy Foster, Naked Imperialism, New York, Monthly Review Press, 2006; “Notes from the EditorsMonthly Review 73, n. 11, 01.04.2022, pp. 2–67.

[3] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, New York, Basic Books, 1997, pp. 46, 92–96, 103; Grey Anderson, “Weapon of Power, Matrix of Management: NATO’s Hegemonic Formula,” New Left Review, 140/141, marzo-giugno 2023, pp. 16, 21–22.

[4] M. S. Blackett, Atomic Weapons and East-West Relations, Cambridge, Cambridge University Press, 1956, pp. 27–33; Keir A. Lieber e Daryl G. Press, “The Rise of U.S. Nuclear Primacy,” Foreign Affairs 85, n. 2, 2006, pp. 42–54; Lawrence Freedman e Jeffrey Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, Londra, Palgrave Macmillan, 2019, pp. 649–63.

[5] John T. Correll, “The Ups and Down of Counterforce,” Air and Space Forces Magazine, October 1, 2005; Daniel Ellsberg, The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner (New York: Bloomsbury, 2017), 120–23; 178–79; Spurgeon M. Keeny and Wolfgang K. H. Panofsky, “MAD vs. NUTS: Can Doctrine or Weaponry Remedy the Mutual Hostage Relationship of the Superpowers?,” Foreign Affairs 60, no. 2 (1981): 287–304; William D. Hartung, “Bush’s Nuclear Doctrine: From MAD to NUTS?,” Institute for Policy Studies, December 1, 2000, ips-dc.org.

[6] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, p. 649.

[7] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, p. 668.

[8] Nina Tannenwald, The Nuclear Taboo, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, p. 22.

[9] Michael Joseph Smith, “Nuclear Deterrence: Behind the Strategic and Ethical Debate,” Virginia Quarterly Review 63, n. 1, 1987, pp. 1–22; Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 666, 672; Michael Howard, “Brodie, Wohlstetter and American Nuclear Strategy,” Survival: Global Politics and Strategy 34, n. 2, 1992, pp. 107–16.

[10] Blackett, Studies of War, p. 138.

[11] Rajesh Basrur, “Nuclear Deterrence: The Wohlstetter-Blackett Debate Revisited,” RSIS Working Paper N. 271, S. Rajaratnam School of International Studies, Nanyang Technological University, Singapore, 15.04.2014; Mary Jo Nye, Blackett: Physics, War, and Politics in the Twentieth Century, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 2004, pp. 65–99.

[12] Vedi John Bellamy Foster, “‘Notes on Exterminism’ for the Twenty-First-Century,” Monthly Review 74, n. 1, maggio 2022, pp. 1–17.

[13] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 649–50.

[14] M. S. Blackett, Fear, War and the Bomb: Military and Political Consequences of Atomic Energy, New York, McGraw Hill, 1949. Il sottotitolo del libro era il titolo dell'edizione britannica del 1948; il titolo Fear, War and the Bomb fu aggiunto per l'edizione statunitense.

[15] Sugli scienziati marxisti britannici e il movimento delle relazioni sociali della scienza, vedi John John Bellamy Foster, The Return of Nature, New York, Monthly Review Press, 2020, pp. 367–73, 457–76.

[16] Blackett, Atomic Weapons and East-West Relations, p. 73.

[17] M. S. Blackett, “The Frustration of Science,” in The Frustration of Science, eds. Daniel Hall et al. New York, Books for Libraries Press, 1935, pp. 137, 140–44.

[18] Gregg Herken, Albert Wohlstetter, Thomas Powers, e risposta di Lord Zuckerman, “‘Counsels of War’: An Exchange,” New York Review of Books, 21.11.1985; Nye, Blackett, pp. 67–85.

[19] Blackett, Fear, War and the Bomb, v–vi; Bernard Lovell, “Blackett in War and Peace,” Journal of the Operational Research Society 39, n.3, 1988, p. 228.

[20] Blackett, Fear, War and the Bomb, pp. 131–39.

[21] Philip Morrison, “Blackett’s Analysis of the Issue,” Bulletin of the Atomic Scientists 5, n. 2, 1949, p. 40; Nye, Blackett, p. 91. Morrison è stato un editorialista di Monthly Review dal 1956 al 1961.

[22] Gar Alperovitz, The Decision to Use the Atomic Bomb, New York, Vintage, 1996; Robert Jay Lifton e Greg Mitchell, Hiroshima in America, New York, Harper, 1996; Ben Norton, “Atomic Bombing of Japan Was not Necessary to End WWII: US Government Documents Admit it,” Geopolitical Economy, 07.08.2023.

[23] Blackett, Atomic Weapons and East-West Relations, pp. 99–100.

[24] Michael Howard, “Blackett and the Origins of Nuclear Strategy,” Journal of the Operational Research Society 36, n. 2, 1985, p. 92.

[25] Blackett, Atomic Weapons and East-West Relations, p. 78; In the Matter of J. Robert Oppenheimer, April 15–May 6, 1954, Before the Personal Security Board, Washington, DC: U.S. Government Printing Office, 1954, p. 250.

[26] Nye, Blackett, p. 66.

[27] Nye, Blackett, pp. 2–4, 66, 90–93; Edward Shils, “Blackett’s Apologia for the Soviet Position,” Bulletin of the Atomic Scientists 5, n. 2, 1949, pp. 34–37.

[28] Camille Rebouillat-Sarti, “MI5 and Atomic Scientists (1945–1958): The Case of Patrick Blackett,”11.09.2022, da arcadia.org; Nye, Blackett, p. 92; Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, p. 72.

[29] Il saggio di Blackett “A Critique of Defence Thinking” u pubblicato per la prima volta sulla rivista Encounter nell'aprile 1961 e fu ristampato, insieme alla maggior parte dei suoi articoli sulla deterrenza nucleare, nel suo Studies of War. Encounter era una pubblicazione della sinistra socialdemocratica e anticomunista ed era una delle numerose pubblicazioni finanziate segretamente dalla CIA. Blackett, in quanto premio Nobel, era chiaramente ricercato per la pubblicazione. Tuttavia, a differenza di altri che pubblicarono su Encounter, non si impegnò in attacchi alla sinistra, ma dedicò il suo articolo interamente alla critica dell'establishment nucleare.

[30] Blackett, Studies of War, pp. 73–77.

[31] Blackett, Studies of War, p. 77.

[32] Henry Kissinger, Nuclear Weapons and Foreign Policy, New York, Harper Brothers [per il Council on Foreign Relations], 1957.

[33] Blackett, Studies of War, pp. 58–63.

[34] Nye, Blackett, pp. 95–97, 218; Herman Kahn, On Thermonuclear War, New Brunswick, New Jersey, Transaction Publishers, 2007.

[35] Vedi Carl Sagan e Richard Turco, A Path Where No Man Thought: Nuclear Winter and the End of the Arms Race, New York, Random House, 1990, p. 215.

[36] Albert Wohlstetter, “The Delicate Balance of Terror,” Foreign Affairs 37, n. 2, 1959, pp. 211–34.

[37] Wohlstetter, “The Delicate Balance of Terror,” pp. 212, 217, 222, 226; Blackett, Studies of War, pp. 128–46.

[38] Howard, “Blackett and the Origins of Nuclear Strategy,” p. 94.

[39] Blackett, Studies of War, pp. 131–34.

[40] Wohlstetter, “The Delicate Balance of Terror,” p. 222.

[41] Blackett, Studies of War, p. 162.

[42] Blackett, Studies of War, pp. 135–41.

[43] Blackett, Studies of War, p. 153.

[44] Blackett, Studies of War, p. 157.

[45] Blackett, Studies of War, pp. 144, 163–64.

[46] Freeman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 415–16.

[47] Vedi E. P. Thompson e Dan Smith, eds., Protest and Survive, New York, Monthly Review Press, 198; E. P. Thompson, Beyond the Cold War, New York, Pantheon, 1982; Steve Breyman, Why Movements Matter: The West German Peace Movement and U.S. Arms Control Policy, Albany, State University of New York Press, 2001; Christos Efstathiou, P. Thompson: A Twentieth-Century Romantic, Londra, Merlin Press, 2015, pp. 116–65.

[48] Wohlstetter e Zuckerman in “‘Counsels of War.'” Wohlstetter scrisse un saggio molto polemico, con un linguaggio ironico, attaccando principalmente Blackett, ma anche Zuckerman e C. P. Snow per le loro critiche alla «teoria troppo sofisticata dei teorici americani del gioco» nello sviluppo della strategia di deterrenza nucleare, che era arrivata a "corrompere" il «buon senso intuitivo dei pensatori inglesi», dimenticando forse che stava criticando, nel caso di Blackett in particolare, sia uno dei più grandi fisici del mondo che il fondatore della ricerca operativa militare. Albert Wohlstetter, “Sins and Games in America,” in Game Theory and Related Approaches to Social Behavior, ed. Martin Shubik, New York, John Wiley and Sons, 1964, pp. 209–25.

[49] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 649, 671.

[50] Janne Nolan citata da Correll in “The Ups and Downs of Counterforce.”

[51] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, p. 651.

[52] Andrey Baklitskiy, James Cameron, e Steven Pifer, “Missile Defense and the Offense-Defense Relationship,” Freemann Spogli Institute for International Studies, 28.10.2021, fsi.stanford.edu; Keir A. Lieber e Daryl G. Press, “The New Era of Counterforce,” International Security 41, n. 4, 2017, pp. 12, 49.

[53] Lieber e Press, “The New Era of Counterforce,” pp. 16–17; Lieber e Press, “The Rise of U.S. Nuclear Primacy,” pp. 44–45; Ellsberg, The Doomsday Machine, p. 306, 323.

[54] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 657–61; Jack Detsch, “Putin’s Fixation with an Old-School U.S. Missile Launcher,” Foreign Policy, 12.012022.

[55] Hans M. Kristensen, “How Presidents Arm and Disarm,” Federation of American Scientists, 12.10.2014, fas.org.

[56] Hans Kristensen, Matt Korda, Eliana Johns, e Kate Kohn, “Status of World Nuclear Forces,” Federation of American Scientists, 31.03.2023.

[57] Cynthia Roberts, “Revelations About Russian Nuclear Deterrence Policy,” War on the Rocks (Texas National Security Review), 19.06.2020, warontherocks.com

[58] Lieber e Press, “The Rise of Nuclear Primacy.”

[59] Lieber e Press, “The Rise of Nuclear Primacy,” p. 43, 50.

[60] Lieber e Press, “The Rise of Nuclear Primacy,” p. 45; Lieber e Press, “The New Era of Counterforce,” pp. 18–19; Kris Osborn, “US Air Force Stealth Bomber Missions Deploy Over Europe,” Warrior Maven, Center for Military Modernization, 22.08.2023.

[61] Ian Bowers, “Counterforce Dilemmas and the Risk of Nuclear War in East Asia,” supplement 1, Journal for Peace and Nuclear Disarmament 5, 2022, p. 9, 14.

[62] Richard Stone, “‘National Pride Is at Stake’: Russia, China, United States Rush to Build Hypersonic Weapons,” Science, 08.01.2020. Come nota Bowers, i sottomarini cinesi sono vulnerabili anche perché «le rotte di accesso della Cina al Pacifico sono difficili da attraversare senza essere scoperte, poiché le navi cinesi devono transitare attraverso punti di strozzatura controllati da Giappone e Stati Uniti.... Ci sono dati che indicano che l'importanza che la Cina assegna al controllo del Mar Cinese Meridionale è in parte motivata dalla necessità di creare un'area di pattugliamento protetta in cui la sua flotta di SSBN - sottomarini lanciamissili balistici - possa operare in sicurezza». (Bowers, “Counterforce Dilemmas and the Risk of Nuclear War in East Asia,” 12).

[63] Diana Johnstone, “Doomsday Postponed?” in From MAD to Madness: Inside Pentagon Nuclear War Planning, ed. Paul Johnstone, Atlanta, Clarity, 2017, p. 277.

[64] NATO, Bucharest Summit Declaration, 03.04.2008, nato.int; Detsch, “Putin’s Fixation with an Old-School U.S. Missile Launcher.”

[65] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 640–45, 678; Anderson, “Weapon of Power, Matrix of Management,” p. 112.

[66] Octavio Bellomo, “Russian Tactical Nuclear Weapons Use and Deterrence Over Ukraine,” Finabel: European Army Interoperability Centre, 26.01.2023, finabel.org; Gregory Kulacki, “Would China Use Nuclear Weapons First in a War with the United States?,” The Diplomat, 27.04.2020.

[67] David Vine, The United States of War: A Global History of America’s Endless Conflicts from Columbus to the Islamic State, Berkeley, University of California Press, 2020, pp. 2, 279–97.

[68] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, pp. 652–54.

[69] Freedman e Michaels, The Evolution of Nuclear Strategy, p. 654.

[70] John Bellamy Foster, John Ross, and Deborah Veneziale, Washington’s New Cold War, New York, Monthly Review Press, 2022, pp. 81–83; Shannon Bugos, “Putin Orders Russian Nuclear Weapons on Higher Alert,” Arms Control Association, Marzo 2022.

[71] Guide to Nuclear Deterrence in the Age of Great-Power Competition, Bossier City, Louisiana, Louisiana Tech Research Institute, 2020, p. 37, atloa.org; Alan Kaptanoglu e Stewart Prager, “US Defense to its Workforce: Nuclear War Can Be Won,” Bulletin of the Atomic Scientists, 02.02.2022, thebulletin.org; Stewart Prager e Alan Kaptanoglu, “Rebuttal: Current Nuclear Weapons Policy Not Safe or Sane,” Bulletin of the Atomic Scientists, 24.05.2022.

[72] Questo paragrafo e i due successivi si rifanno a “Notes from the Editors,” Monthly Review 75, n.1, maggio 2023, c 2–63,scritte dall'autore.

[73] Zachary Keck, “Why the B-61-12 Bomb Is the Most Dangerous Nuclear Weapon in America’s Arsenal,” National Interest, 09.10.2018.

[74] Hans Kristensen, “The C-17A Has Been Cleared to Transport B61-12 Nuclear Bomb to Europe,” Federation of American Scientists, 09.01.2023; “B61-12: New US Nuclear Warheads Coming to Europe in December,” International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), 22.12.2022; Hans Kristensen, “Video Shows Earth-Penetrating Capability of B61-12 Nuclear Bomb,” Federation of American Scientists, 14.01.2016; “B61-12: New US Nuclear Warheads Coming to Europe in December,” ICAN, 22.12.2022.

[75] Hans Kristensen e Robert S. Norris, “The B61 Family of Nuclear Bombs,” Bulletin of the Atomic Scientists 70, n.3, 2014, pp. 82–83; Guy Faulconbridge, “Russia Says U.S. Lowering ‘Nuclear Threshold’ with Newer Bombs in Europe,” Reuters, 29.10.2022; Len Ackland e Bert Hubbard, “Obama Pledged to Reduce Nuclear Arsenal, Then Came This Weapon,” Reveal, 14.07.2015; “Poland Wants American Nuclear Warheads for its New F-35 Stealth Fighters: Will Nuclear Sharing Expand to Warsaw?,” Military Watch Magazine, 01.07.2023.

[76] Elbridge A. Colby, “America Must Prepare for a War Over Taiwan,” Foreign Affairs, 10.08.2022; Elbridge Colby, The Strategy of Denial, New Haven: Yale University Press, 2021; Elbridge A. Colby e Yashar Parsie, “Building a Strategy for Escalation and War Termination,” Marathon Initiative, Novembre 2022, p. 23; Manpret Sethi, “The Idea of Limited Nuclear War,” Indian Foreign Affairs Journal 14, n. 3, 2019, pp. 235–47. Se applicato alle armi nucleari, il termine strategia di negazione è un eufemismo per indicare la strategia di attacco preventivo. «Il primo colpo come strategia di attacco preventivo è una strategia di negazione». (Benjamin C. Jamison, “The Counterforce Continuum and Tailored Targeting: A New Look at United States Nuclear Targeting Methods and Modern Deterrence,” Wright Flyer Papers, Air Command and Staff College, Maxwell Air Force Base, Alabama, 2022, p. 6).

[77] David Logan, “The Dangerous Myths About China’s Nuclear Weapons,” War on the Rocks (Texas National Security Review), 18.09.2020.

[78] Luke Caggiano, “China Deploys New Submarine-Launched Ballistic Missiles,” Arms Control Today 53, maggio 2023.

[79] Jamison, “The Counterforce Continuum and Tailored Targeting,” p. 6, 13; leggi anche Benjamin C. Jamison, “Nuclear Targeting Methods and Modern Deterrence,” Æther: A Journal of Strategic Airpower and Spacepower 1, n. 2, 2022, pp. 43–56.

[80] Logan, “The Dangerous Myths About China’s Nuclear Weapons.”

[81] Kulacki, “Would China Use Nuclear Weapons in a War with the United States?”; Office of the Secretary of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, Washington, DC, U.S. Department of Defense, 2022, p. 98; Brad Marvel, “4 New Developments in China’s Nuclear Deterrent,” Asia Pacific Advanced Network, community.apan.org; Bowers, “Counterforce Dilemmas and the Risk of Nuclear War in East Asia,” pp. 6–23.

[82] Even Hellan Larsen, “Deliberate Nuclear First Use in an Era of Asymmetry: A Game Theoretical Approach,” Journal of Conflict Resolution 17, n. 16, 2023.

[83] Vedi Steven Starr, “Turning a Blind Eye Towards Armageddon—U.S. Leaders Reject Nuclear Winter Studies,” Public Interest Report (Federation of American Scientists) 69, n. 2, 2016–17, p. 24; Alan Robock, Luke Oman, e Georgiy L. Stenchikov, “Nuclear Winter Revisited With a Modern Climate Model and Current Nuclear Arsenals,” Journal of Geophysical Research: Atmospheres 112, n. D13, 2007, pp. 1–14; Joshua Coupe, Charles G. Bardeen, Alan Robock, e Owen B. Toon, “Nuclear Winter Responses to Nuclear War Between the United States and Russia in the Whole Atmosphere Community Climate Model Version 4 and the Goddard Institute for Space Studies ModelE,” Journal of Geophysical Research: Atmospheres 124, n. 15, 2019, pp. 8522–43; Alan Robock e Owen B. Toon, “Self-Assured Destruction: The Climate Impacts of Nuclear War,” Bulletin of the Atomic Scientists 68, n. 5, 2012, pp. 66–74; Steven Starr, “Nuclear War, Nuclear Winter, and Human Extinction,” Federation of American Scientists, 14.10.2015.

[84] Ellsberg, The Doomsday Machine, p. 339.

[85] Robert S. McNamara, “Apocalypse Soon,” Asia-Pacific Journal 3, n. 5, 19.05.2005, ristampato in Foreign Policy, maggio/giugno 2005, pp. 29–35, apjjf.org.

[86] Howard, “Blackett and the Origins of Nuclear Strategy,” p. 95.

[87] Jamison, “The Counterforce Continuum and Tailored Targeting,” pp. 2–13; Jamison, “Nuclear Targeting Methods and Modern Deterrence,” p. 47; Tannenwald, The Nuclear Taboo, p. 16.

[88] David Michael Smith, Endless Holocausts, New York, Monthly Review Press, 2023, pp. 208–9, 256–57.

[89] Jamison, “The Counterforce Continuum and Tailored Targeting,” p. 20.


John Bellamy Foster

Traduzione e revisione di Giovanni Fava e Claudio Della Volpe

Fonte: Monthly Review, vol. 75, n. 09 (01.02.2024)


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