Fonte: Monthly Review - 01.02.2024
C'è un paradosso al centro del corporate veganism [veganesimo imprenditoriale] nel Nord globale. Mentre i prodotti vegani vengono venduti ai consumatori, ecologicamente consapevoli, come alternative alla carne e ai latticini, i maggiori produttori mondiali di tali prodotti sono rapaci, ecologicamente distruttivi e sfruttano le popolazioni del Sud globale. Gli autori dell'articolo sostengono che una svolta verso il veganesimo socialista può far progredire gli obiettivi di demercificazione e democratizzazione del nostro sistema alimentare.
Veganesimo socialista
Esiste un paradosso negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi ricchi. Un numero crescente di persone si rende conto che l'attuale sistema alimentare è dannoso per l'ambiente, per cui tenta di cambiarlo modificando la sua dieta e sperando che ciò influenzi le strategie aziendali d’investimento. E’ incoraggiato a farlo dall’idea per cui il passaggio a diete a base vegetale rappresenti il “modo migliore” per ridurre il nostro impatto sull’ambiente.[1]
Il paradosso è che molte delle aziende che stanno espandendo il mercato degli alimenti a base vegetale hanno un impatto ambientale enorme, immensamente dannoso. L'espansione in questi mercati non fa presagire un allontanamento dalla produzione di massa di carne, latticini e altre forme di consumo dannose per l'ambiente. Piuttosto, rappresenta una strategia di espansione del mercato combinata, basata sui tentativi di greenwashing del marchio aziendale.
Tali strategie riflettono e rinforzano il dominio del mercato da parte di poche corporation. Ad esempio, negli Stati Uniti, meno di quattro corporation controllano più del 75% del mercato attraverso una vasta rete di supermercati.[2] Chiamiamo questa strategia corporate veganism.
Noi sosteniamo che il corporate veganism incrementi la sofferenza degli animali, lo sfruttamento umano e la distruzione ambientale all’interno e al di fuori del regime alimentare. Il corporate veganism promuove l'ideologia della sovranità del consumatore, dove la sua scelta è il fattore chiave che influenza la produzione delle aziende coinvolte.
Esiste, tuttavia, un modo alternativo di concepire e tentare di trasformare il sistema alimentare, che noi definiamo veganesimo socialista. Mentre la sovranità dei consumatori implica la "gestione del punto finale" (cambiare i modelli di consumo), il veganesimo socialista implica il tentativo di controllare il "punto di partenza" della produzione (decidere cosa deve essere prodotto e come) e il modo in cui i prodotti vengono distribuiti.[3]
In Half-Earth Socialism, Troy Vettese e Drew Pendergrass propongono un veganesimo universale che concepiscono come parte di un futuro utopico nel quale il socialismo sarà pienamente realizzato. Max Ajl e Rob Wallace sottopongono la tesi di Vettese e Pendergrass a una forte critica, evidenziando il loro pregiudizio neocoloniale e contrario alla piccola produzione contadina.[4] Tuttavia, né Vettese e Pendergrass, né Ajl e Wallace, fondano le loro visioni di sistemi alimentari alternativi su (a) le dinamiche contemporanee della povertà alimentare della classe operaia nei paesi ricchi, o (b) le centinaia di miliardi di dollari spesi (con molti altri in arrivo) per le cosiddette transizioni verdi da parte degli Stati Uniti e dell'Unione Europea.
Noi concepiamo il veganesimo socialista come un elemento in grado di spostare l'equilibrio del potere di classe dal capitale al lavoro, e con ciò cominciando a sanare la frattura metabolica tra la società umana (capitalista) e la natura. Sosteniamo inoltre che, dati i miliardi di dollari spesi per sovvenzionare le industrie dei combustibili fossili e/o diretti verso una transizione verde dominata dalle imprese capitalistiche, i movimenti socialisti debbano battersi affinché questi fondi siano indirizzati verso un'agenda politico-economica di transizione, verso una società ecosocialista.[5]
Mentre la produzione agricola globale [in gran parte destinata alle monoculture per l’allevamento degli animali N. d. T.] contribuisce per circa il 25% delle emissioni totali di gas serra, il settore della carne è responsabile da solo per circa il 14,5%.[6] Le popolazioni dei paesi ricchi sono di gran lunga le maggiori consumatrici di proteine animali. Nel 2009, ad esempio, i quindici paesi più ricchi avevano una domanda di proteine della carne superiore del 750% rispetto alle ventiquattro nazioni più povere.
Livelli così ineguali nel consumo di proteine animali non significano che le popolazioni dei paesi ricchi siano sane o ben nutrite. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi ricchi, ampi settori della classe operaia, le loro famiglie e in particolare i loro figli, trovano troppo costoso permettersi di mangiare abbastanza cibo salutare. Nel 2022, quasi un quarto dei bambini dell'Unione europea era a rischio di povertà o esclusione sociale, mentre un terzo dei bambini della scuola primaria era in sovrappeso o obeso.[7] Negli Stati Uniti, nel 2021, trentaquattro milioni di persone vivevano in famiglie a rischio alimentare e cinquantatré milioni di persone si sono rivolte a programmi di sostegno comunitari e banchi alimentari per poter mettere il cibo in tavola. Come dice Jane Dixon, le classi lavoratrici del Nord del mondo «possono anche essere dipinte come... dei sovra-consumatori, ma i loro corpi in sovrappeso sono il risultato di redditi insufficienti per consumare meno alimenti ipercalorici».[8]
È degno di nota il fatto che la recente vittoria di United Auto Workers costringa General Motors, Ford e Stellantis ad accettare che la produzione di batterie per veicoli elettrici avvenga in impianti sindacalizzati e relativamente ben pagati, piuttosto che in impianti non sindacalizzati e a bassa retribuzione. Ciò significa che il lavoro organizzato è capace di plasmare quella che attualmente è una transizione verde a favore del grande capitale in una transizione socialmente più giusta.[9] Per consolidarsi, questi movimenti dal basso dovranno proliferare e ottenere molto di più in termini di allocazione delle risorse statali nell'ambito di rapporti sociali in via di trasformazione. In questo spirito, consideriamo il veganesimo socialista come un potenziale contributo ai vari movimenti per una maggiore autonomia e uguaglianza dei lavoratori del settore agricolo e manifatturiero, attraverso la fine della povertà alimentare dei lavoratori salariati, e i nuovi rapporti sociali in ambito agricolo e oltre.
Ci concentreremo sulla trasformazione dei sistemi alimentari nei Paesi ricchi per tre motivi. In primo luogo, in virtù del loro consumo di proteine a base di carne di gran lunga maggiore, le abitudini di consumo di questi paesi hanno un impatto molto maggiore sulla crisi climatica rispetto a quelle dei paesi più poveri. In secondo luogo, è in questi paesi che si sta manifestando più rapidamente l'interesse e l'inizio di un passaggio dal consumo di carne al consumo di vegetali. In terzo luogo, molti paesi poveri hanno sistemi agrari radicalmente diversi rispetto ai paesi più ricchi. Per esempio, circa 1,3 miliardi di persone (per lo più nei paesi più poveri) dipendono dal bestiame per il loro sostentamento.[10] Per quanto riguarda la trasformazione dei sistemi alimentari nei paesi più poveri, chiediamo, come minimo, la cancellazione del debito e un risarcimento complessivo da parte dei paesi più ricchi, come parziale riconoscimento per i danni storici causati dal colonialismo e dal perdurare di relazioni internazionali disuguali e di sfruttamento.[11]
Infine, proporremo un matrimonio tra veganesimo etico e socialismo. Suggeriamo che i nuovi sistemi alimentari potrebbero essere costruiti sulla base di nuovi rapporti sociali, con una maggiore uguaglianza e sull'impiego di tecnologie nuove e tradizionali. In altre parole, proponiamo una nuova rete di rapporti e forze produttive per fornire contemporaneamente cibo buono per tutti e contribuire allo stesso tempo a ristabilire il nostro rapporto collettivo sostenibile con l'ambiente.
Per una connessione tra veganesimo e socialismo
Molte persone che si rivolgono al veganesimo possono acquistare alimenti a base vegetale prodotti dalle aziende, ma sono anche interessate al lato filosofico e spirituale del veganesimo, o a ciò che viene spesso definito veganesimo etico. La Vegan Society definisce il veganesimo come «una filosofia e un modo di vivere che cerca di escludere - per quanto possibile e praticabile - tutte le forme di sfruttamento e di crudeltà nei confronti degli animali per l'alimentazione, l'abbigliamento o per qualsiasi altro scopo; e, per estensione, promuove lo sviluppo e l'uso di alternative che non facciano uso di animali a beneficio degli animali, degli esseri umani e dell'ambiente. In termini dietetici denota la pratica di rinunciare a tutti i prodotti derivati totalmente o parzialmente da animali».[12] La precisazione "per quanto possibile", in questa definizione, esprime una cautela pragmatica contro visioni eccessivamente estese, come ad esempio quella di un veganesimo universale. Quest'ultimo, come nel caso di Half-Heart Socialism di Vettese e Pendergrass, sembra ignorare come la produzione di alimenti a basso contenuto di carne o vegetariani possa, in certe situazioni, essere in grado di sfamare un numero maggiore di persone rispetto alla produzione di alimenti vegani, in quanto i primi possono utilizzare terreni da pascolo inadatti alla produzione di colture. Inoltre, l'integrazione degli animali da allevamento nella produzione agroecologica è importante per mantenere e migliorare il suolo, aumentando la produttività agricola. Ciò è coerente con la possibilità di allevare gli animali in modo più compassionevole ed ecologico e con la riduzione del ruolo della carne nell’insieme della dieta occidentale.[13]
I primi vegani si rifacevano a precedenti nozioni religiose di pace e non violenza. L'antica nozione di ahimsa (che significa "non violenza") ha un ruolo importante in diverse religioni orientali, tra cui il giainismo, l'induismo, il buddismo e la religione vedica. I primi vegani combinavano l'opposizione allo sfruttamento e alla crudeltà nei confronti degli animali, con l'impegno per una società giusta ed equa tra gli esseri umani. Come ha scritto Eva Batt, «Il veganesimo è... un modo di vivere che evita lo sfruttamento dei nostri simili, della popolazione animale o del suolo su cui tutti noi facciamo affidamento per la nostra stessa esistenza».[14] Più recentemente, Jordi Casamitjana, autore di Ethical Vegan, ha sostenuto che:
«Diventare vegani per motivi intersezionali [scelta generale] è anche un approccio etico che combina l'ahimsa (in questo caso applicando la "non violenza" tanto agli esseri umani emarginati quanto agli animali) e la giustizia sociale (l'equa distribuzione della ricchezza, delle opportunità e dei privilegi all'interno di una società), in cui tutti gli animali non umani potrebbero essere considerati una parte più ampia della società dei terrestri. Pertanto, oltre alla religione, alla salute, ai diritti degli animali, e all'ambiente, la giustizia sociale è diventata un'altra porta d'accesso al veganesimo».[15]
La lotta per la giustizia sociale si svolge su molti fronti, tra cui il diritto a una quantità di cibo sufficiente, sano e appetibile per sostenere una vita dignitosa. Nel capitalismo contemporaneo, tuttavia, quello che dovrebbe essere un diritto relativamente basilare è fuori dalla portata di un numero significativo di lavoratori e delle loro famiglie.
Il veganesimo etico ha compiuto progressi significativi nell'illuminare i legami tra le abitudini alimentari dominanti, la distruzione dell'ambiente e la lotta per la giustizia sociale. La politica socialista e l'economia politica marxista spiegano perché e come questi elementi siano radicati nella produzione capitalista, nello sfruttamento e nella resistenza ad esso. Per i socialisti, la chiave per un cambiamento sociale realmente progressivo risiede nell'azione collettiva dei lavoratori, che può alterare l'equilibrio del potere di classe tra capitale e lavoro, a favore di quest'ultimo. L'enfasi dei socialisti sull'azione collettiva dei lavoratori può contribuire alla ricerca, da parte del veganesimo etico, di azioni che realizzino una società basata sul principio del "non nuocere".
Storicamente, l’equilibrio di classe si è volto a favore dei lavoratori quando è stato istituzionalizzato dagli Stati attraverso la parziale de-mercificazione della vita sociale. I moderni welfare state europei e il New Deal statunitense degli anni Trenta sono stati istituiti e realizzati dietro pressione di una intensa lotta dei lavoratori. Gli aspetti della società che sono stati de-mercificati vanno dall'istruzione dei bambini (e talvolta degli adulti), ai servizi sanitari, agli alloggi sovvenzionati e a vari tipi di sostegno alimentare. Un approccio socialista all’assistenza sociale comporta che tali servizi siano forniti all’interno di una crescente gamma di settori della vita sociale, come parte della trasformazione verso una società sempre più ugualitaria.
Come sostiene il sociologo danese Gøsta Esping-Andersen, il grado di de-mercificazione è «il grado in cui gli individui, o le famiglie, possono mantenere uno standard di vita socialmente accettabile, indipendentemente dalla partecipazione al mercato». Pertanto, è necessario identificare il potenziale di de-mercificazione capace di generare le condizioni per una trasformazione sociale su larga scala. Inoltre, egli sostiene che «Quando il lavoro si avvicina alla libera scelta piuttosto che alla necessità, la de-mercificazione può equivalere alla de-proletarizzazione».[16]
Esistono numerosi modi in cui la de-mercificazione del cibo potrebbe avvenire, tra cui la fornitura di pasti gratuiti nelle scuole, negli ospedali e nelle case di cura; mense sovvenzionate o gratuite sul posto di lavoro; ristoranti comunitari e negozi di alimentari sovvenzionati.[17] La stessa produzione alimentare potrebbe essere sempre più sottoposta al controllo democratico dei lavoratori, delle loro comunità e dei consumatori, il ché limiterebbe notevolmente il potere del capitale sul lavoro. Ma nulla di tutto ciò sarà possibile se il passaggio alla produzione alimentare a base vegetale sarà lasciato nelle mani di gigantesche aziende orientate al profitto.
Corporate veganism e disastro ambientale
Il veganesimo è promosso dalle grandi aziende alimentari e dai media mainstream come una via per una dieta più sana e un modo efficace per ridurre l'impatto ambientale dell'umanità. Un numero crescente di persone è cosciente dei modi in cui la produzione di carne e latticini contribuisca a danneggiare le condizioni ambientali - tra cui la deforestazione, i gas serra emessi dal bestiame, l'irrigazione insostenibile delle coltivazioni necessarie per sostenere l'allevamento industriale, e l'uso eccessivo di sostanze chimiche in agricoltura – e vuole porvi rimedio.
Tuttavia, il passaggio al mercato dei prodotti vegetali è parte di una duplice strategia di greenwashing e di continua espansione del mercato. Tali strategie riflettono e sono rese possibili dal dominio di gran parte del sistema alimentare ad opera di poche grandi corporation. L'adozione di linee di prodotti privi di carne, da parte di catene di fast food come Burger King e McDonald's, è guidata dalla ricerca dell'ottimizzazione dei profitti, piuttosto che da autentiche preoccupazioni ambientali o per il benessere degli animali. Queste strategie mirano ad attirare nuovi clienti che acquistano un mix di prodotti originali (a base vegetale) e prodotti più consolidati (a base di carne). Come ha osservato José Cil, amministratore delegato della società madre di Burger King, «Non stiamo vedendo i clienti scambiare il Whopper tradizionale con l'Impossible Whopper. Stiamo vedendo che attira nuovi clienti».[18] [Il Whopper tradizionale a base carne fu messo in commercio nel 1957, lmpossible Whopper è invece plant-based (ma non vegano) N.d.T.].
L'"Hamburger McPlant" di McDonald's viene proposto come un «passo verso un mondo più green».[19] Tuttavia, l'azienda continua a essere uno dei maggiori acquirenti di carne bovina al mondo e dunque un anello chiave del complesso globale cereali-allevamento. Come osserva Michael Briscoe, queste strategie aziendali rappresentano un «paradosso del menu senza carne», dove «le catene di fast-food che offrono più opzioni alimentari a base vegetale potrebbero comportare la conseguenza controintuitiva di aumentare il consumo complessivo di carne».[20] Questo paradosso si estende oltre i fast-food, a gran parte dell'industria a base vegetale.
Un altro esempio è dato dal latte di mandorla,che è ampiamente pubblicizzato come un'alternativa ecologica al latte vaccino. In Nord America, si prevede che il mercato del latte di mandorla subirà un incremento delle vendite che lo porterà da circa 2,5 miliardi di dollari a oltre 4,8 miliardi tra il 2023 e il 2029.[21] Tuttavia, la produzione di mandorle contribuisce direttamente a un immenso danno ambientale attraverso l'uccisione di massa delle popolazioni di api. I mandorleti della valle centrale della California producono circa l'80% delle mandorle del mondo, occupando oltre 1,3 milioni di acri. La produzione agroalimentare di mandorle dipende da considerevoli applicazioni chimiche (pesticidi, erbicidi e fungicidi), che sono aumentate da ventinove milioni a trentaquattro milioni di tonnellate tra il 2013 e il 2017. Gli apicoltori commerciali degli Stati Uniti riferiscono di aver perso un gran numero di api, fino a un terzo, a causa dell'esposizione a tali sostanze chimiche. Ad esempio, solo durante i mesi invernali del 2018-19, circa cinquanta miliardi di api sono scomparse.[22]
Tre casi
Come illustrato di seguito, la strategia di combinare il greenwashing aziendale con l'espansione del mercato è molto diffusa. Le multinazionali hanno acquistato imprese impegnate nella produzione di alimenti a base vegetale. Mentre usano questi investimenti per sbandierare le loro credenziali ecologiche, continuano la loro espansione di mercato attraverso attività distruttive per l'ambiente (per un riepilogo, si veda la Tabella 1).
Tabella 1. Corporate veganism e disastro ambientale
Vivera
Vivera, un produttore di carne vegana, è presente nel Regno Unito con Tesco, Sainsbury’s, Asda, e Morrisons. Il sito web di Vivera suggerisce che i consumatori dovrebbero acquistare i prodotti vegani per "il benessere del pianeta". Promuovendo i loro prodotti affermano che «ci sentiremo orgogliosi di cambiare positivamente il mondo morso dopo morso».[23] Vivera è di proprietà di JBS, il più grande produttore di carne del mondo.[24] Ogni giorno, le sue attività a livello mondiale uccidono 8,7 milioni di uccelli, 92.600 maiali e 42.700 bovini.[25] L'azienda possiede quarantacinque marchi negli Stati Uniti (per lo più orientati alla produzione di carne).[26] L’acquisizione di Vivera nel 2021, non significa un allontanamento dalla carne. Poco dopo aver acquisito l'azienda di alimenti a base vegetale, ha annunciato l'intenzione di investire 130 milioni di dollari in due dei suoi impianti di lavorazione delle carni bovine negli Stati Uniti, per aumentare la capacità di macellazione di circa 300.000 capi ogni anno.[27]
La produzione di carne bovina è la causa principale della deforestazione della foresta amazzonica.[28] Dal 2019, Global Witness ha monitorato la deforestazione nell'Amazzonia brasiliana e identifica JBS come uno dei principali responsabili.[29] L'azienda tenta di sviare l'attenzione dalle sue responsabilità per il disastro ambientale cercando delle scuse. JBS (e altre aziende brasiliane produttrici di carne bovina) sostiene che i cosiddetti fornitori indiretti rappresentano il problema principale quando entra in gioco la deforestazione nelle loro catene di approvvigionamento. I fornitori indiretti vendono il bestiame ad altri allevamenti, che riforniscono i macelli. La JBS, così come altre aziende, sostiene di non poter monitorare tali fornitori.[30]
Tuttavia, un accertamento nello Stato del Pará ha rilevato che uno su sei degli allevamenti che riforniscono direttamente la JBS è impegnato nella deforestazione illegale per fare spazio al pascolo del bestiame.[31] Un'indagine di Réporter Brasil, del Bureau of Investigative Journalism e del Guardian rivela che JBS ha contatti diretti con almeno un fornitore indiretto. Le fotografie hanno rivelato un camionista di JBS che spostava il bestiame dalla Fazenda Estrela do Aripuanã, il cui proprietario, Ronaldo Venceslau Rodrigues da Cunha, è stato multato nel 2012 con 340.000 sterline per deforestazione illegale.[32]
Il coinvolgimento di JBS nella deforestazione illegale è stato sostenuto da funzionari governativi brasiliani corrotti. Ad esempio, Onyx Lorenzoni, un deputato che ha lavorato per l'ex presidente Jair Bolsonaro, ha ricevuto fondi illegali per la campagna elettorale da J&F, la holding di JBS.[33] Questa è solo una goccia nell'oceano rispetto al piano di corruzione da 148 milioni di dollari, da parte di J&F nei confronti di numerosi funzionari governativi brasiliani, attivo dal 2005 al 2014. J&F si è dichiarata colpevole di questo progetto su larga scala, che ha garantito finanziamenti da banche statali come il Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social e la Fundação Petrobras de Seguridade Social. Utilizzando conti bancari e proprietà immobiliari con sede negli Stati Uniti per corrompere funzionari governativi brasiliani, J&F ha apportato benefici alla propria azienda, tra cui JBS.[34] L'ex amministratore delegato di JBS, Wesley Batista, è stato arrestato a causa dello scandalo emerso da queste pratiche di corruzione.
Nonostante Vivera produca carne di origine vegetale per consentire diete più sostenibili, le sue attività fanno parte di una più ampia strategia di espansione del mercato da parte di uno dei pilastri globali del capitale basato sulla produzione di carne. Non sorprende che queste informazioni non siano disponibili al consumatore nei supermercati.
The Vegetarian Butcher
The Vegetarian Butcher produce carni vegetariane e a base vegetale vendute nei supermercati e in locali popolari come Subway e Starbucks. Il marchio è di proprietà di Unilever, ed è stato acquisito nel 2018 nell'ambito del suo ingresso nel settore dell'alimentazione vegana. Nitin Paranjpe, un dirigente di Unilever, ha dichiarato che The Vegetarian Butcher si inserisce bene nel portafoglio attuale di brands che hanno «un impatto sociale positivo».[35]
Tali affermazioni contrastano con il reale impatto ambientale di Unilever. Nel 2022, fu considerato un dei dieci principali inquinatori mondiali di plastica.[36] Nel 2017, nel tentativo di ridurre le critiche sull'uso della plastica, Unilever ha lanciato un programma di raccolta dei rifiuti in Indonesia, perché le bustine di plastica (piccole confezioni di plastica usa e getta contenenti microporzioni di prodotti di consumo quotidiano molto commercializzati nel Sud del mondo) dei suoi brands inquinavano le acque indonesiane. Dopo soli due anni, però, i rifiuti non raccolti hanno iniziato ad accumularsi fuori dai luoghi di raccolta, perché il programma era stato interrotto bruscamente da Unilever senza avvertire i cittadini.[37]
Nel 2020, l'ex amministratore delegato di Unilever, Alan Jope, si è espresso pubblicamente per l'eliminazione graduale delle bustine di plastica. Contemporaneamente, però, Unilever ha fatto pressioni contro le proposte di divieto dell’uso delle bustine di plastica in India, Filippine e Sri Lanka. Lo Sri Lanka è stato l'unico Paese a imporre un divieto sulle bustine sotto i venti millilitri.[38] Unilever ha trovato una scappatoia riconfezionando le bustine da sei millilitri, scrivendo su di esse che non possono essere vendute singolarmente, ma che devono essere vendute in una confezione da quattro unità per un totale di ventiquattro millilitri. Invece di vietarle, Unilever si è concentrata sulla riduzione e sul riciclaggio delle bustine di plastica, ma con un ridotto impatto ambientale positivo.[39]
Un metodo per promuovere l'immagine di un'azienda responsabile e impegnata nel riciclo dei rifiuti è l'installazione di distributori automatici di ricarica per prodotti come shampoo e liquido per lavastoviglie. Nel 2019, Unilever ha lanciato pubblicamente l’installazione di tre distributori automatici di ricarica nel centro di Manila, nelle Filippine, come parte della sua #ReuseRevolution; entro il 2022, tutte le unità erano state rimosse, due delle quali solo dopo un mese dal lancio.[40]
Inoltre, nell'agosto 2021 la Camera dei Rappresentanti delle Filippine ha approvato una legge per eliminare gradualmente diversi articoli in plastica monouso. Una volta che la legge è passata al Senato, le delibere sono state gestite dalla senatrice Cynthia Villar, presidente del Comitato per l'ambiente e le risorse naturali. Unilever ha già avuto un rapporto aziendale con la Villar, collaborando con la sua associazione di beneficenza e ospitandola come oratrice principale a un evento Unilever nel 2017.[41]
Nel 2021, Unilever ha incoraggiato il governo nel concentrarsi sulla raccolta delle bustine di plastica invece di imporne un divieto. Nel 2022, Villar ha annunciato al Senato la legge sulla responsabilità estesa del produttore, che prevede che i marchi contribuiscano finanziariamente alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti di plastica, con l'aiuto dello Stato attraverso agevolazioni fiscali.[42]
Alpro
Alpro produce prodotti lattiero-caseari vegani ed è di proprietà di Danone.[43] Danone ha acquistato Alpro nel 2017 con l'obiettivo di «capitalizzare le tendenze ad un'alimentazione sana».[44] Sul suo sito web, Danone afferma di essere il numero uno a livello mondiale sia nei prodotti lattiero-caseari che in quelli vegani.[45] Sul sito web di Alpro si legge: «Fare la propria parte con un semplice morso».[46]
Sebbene Danone si stia espandendo nel mercato dei prodotti a base vegetale, ciò non significa che si stia ritirando dalle sue linee principali di prodotti lattiero-caseari. Come si legge in una newsletter del settore alimentare, «l'azienda... sta cercando di promuovere in modo trasversale le sue bevande a base vegetale e quelle tradizionali a base di latticini presso le famiglie in cui gli individui si dedicano a entrambe le categorie».[47]
Secondo alcuni calcoli, il latte vaccino crea tre volte più emissioni di gas serra, utilizza una quantità di suolo dieci volte maggiore e due volte più acqua dolce rispetto alle alternative a base vegetale.[48] Alpro utilizza statistiche simili per promuovere i propri prodotti online, affermando di utilizzare meno carbonio e terra rispetto ai produttori di latte vaccino.[49] Tutto ciò è ironico. Consumando i prodotti Alpro, i suoi clienti stanno inavvertitamente sostenendo la strategia di espansione del mercato di Danone.
Danone è uno dei dieci maggiori inquinatori di plastica al mondo, insieme a Unilever.[50] Tre ONG francesi (Client Earth, Surfrider Foundation Europe e Zero Waste France) stanno facendo causa a Danone per il suo silenzio sull'inquinamento da plastica nel suo programmadi vigilanza, richiesto dalla legge francese sul "Dovere di vigilanza". Nel 2021 Danone ha utilizzato più di 750.000 tonnellate di imballaggi in plastica.[51]
Questa non è l'unica causa ambientale che Danone ha dovuto affrontare. Nell'ottobre del 2022, la società Evian, di proprietà della Danone, è stata citata in giudizio dalla querelante Stephanie Dorris, presso la Corte distrettuale meridionale U. S. di New York.[52] Questa azione legale collettiva è stata intentata sostenendo che le etichette delle bottiglie d'acqua Evian forniscono informazioni errate ai consumatori in merito allo stato di "carbon neutral" [bilancio a zero emissioni di carbonio] del prodotto.[53] Le bottiglie sono etichettate come neutrali rispetto alle emissioni di anidride carbonica" e sono certificate come tali dal Carbon Trust, ma la causa sostiene che i consumatori sono indotti a credere che "carbon neutral” sia sinonimo di "carbon free” [privo di anidride carbonica]. Mentre la produzione dei prodotti Evian emette comunque anidride carbonica, l'azienda acquista crediti di carbonio per "compensare" le emissioni. Questa informazione non è facilmente disponibile per il consumatore.[54] La causa mette in dubbio l'efficacia dei crediti di carbonio di Evian e della successiva operazione di compensazione, anche perché la società di cui Evian si serve per la compensazione, Livelihood Carbon Funds, è co-fondata da Danone.[55]
In Messico si sono verificate controversie tra le aziende produttrici di bottiglie d'acqua Danone e le comunità locali. Nel 2021, gli abitanti del luogo hanno protestato occupando un impianto di imbottigliamento della Bonafont (anch'essa di proprietà della Danone), che estraeva 1,4 milioni di litri d'acqua al giorno dai torrenti vulcanici. Questo li ha costretti a consumare acqua in bottiglia piuttosto che utilizzare le risorse naturali, mentre Danone ha pagato solo 110 $ all'anno alle autorità locali per l'estrazione dell'acqua.[56]
Questi casi dimostrano quanto poco ci si possa fidare di queste multinazionali per guidare la transizione verde e come le loro strategie di investimento mettano i profitti al di sopra di un'autentica sostenibilità ambientale. Tali strategie, inoltre, non hanno nulla da dire ai lavoratori che soffrono la povertà alimentare. Un approccio socialista al veganesimo può, secondo noi, contribuire contemporaneamente alla sostenibilità ambientale e alla giustizia sociale.
Per un veganesimo socialista
La demercificazione e la democratizzazione dei sistemi alimentari potrebbero essere parte di un processo più ampio di decrescita controllata. Miliardi di dollari vengono spesi per transizioni ecologiche progettate per avvantaggiare le corporation capitaliste. Parte della transizione verde socialista comporterebbe la necessità di costringere gli Stati a reindirizzare queste risorse verso investimenti a favore dei lavoratori. Attraverso una maggiore perequazione dei rapporti sociali (la riduzione e l'eventuale eliminazione dello sfruttamento capitalistico, la democrazia economica e una maggiore uguaglianza nella distribuzione della ricchezza sociale), una minore crescita economica potrebbe produrre una maggiore disponibilità di beni per la classe lavoratrice. Come sostiene John Bellamy Foster: «Si verificherebbe un'espansione in alcuni settori dell'economia, resa possibile dalla riduzione in altri. La spesa per i combustibili fossili, gli armamenti, i jet privati, i veicoli sportivi, le seconde case e la pubblicità dovrebbe essere tagliata per lasciare spazio alla crescita in settori come l'agricoltura rigenerativa, la produzione alimentare, gli alloggi dignitosi, l'energia pulita, l'assistenza sanitaria accessibile, l'istruzione universale, il welfare comunitario, i trasporti pubblici, la connettività digitale e altri settori legati alla produzione ecologica e ai bisogni sociali».[57]
In che modo questa decrescita controllata potrebbe funzionare per alleviare contemporaneamente la povertà alimentare della classe lavoratrice e contribuire a mitigare la distruzione ambientale e il collasso climatico? Condividiamo in parte l'impegno di Vettese e Pendergrass per una rinaturalizzazione del pianeta. Tuttavia, rifiutiamo la nozione di rinaturalizzazione come programma per spopolare parzialmente la Terra.[58] Piuttosto, lo consideriamo come parte di una più ampia trasformazione del sistema alimentare volta superare la frattura metabolica, ossia la separazione della popolazione lavoratrice dalla terra e la subordinazione dei lavoratori e della natura a quelle caratteristiche dell'accumulazione competitiva del capitale che in senso ecosociale sono distruttive.[59] In questo modo, la rinaturalizzazione può sostenere una serie di metodi agricoli, come l'agroforestazione. Può anche contribuire a superare la privatizzazione della terra, attraverso la fornitura di alloggi, istruzione e tempo libero, permettendo così ai lavoratori di accedere alla natura in modi vietati dalla proprietà privata capitalista.
Condividiamo anche la posizione di Ajl e Wallace a favore dell'agroecologia. Tuttavia, suggeriamo che le nuove tecnologie nella produzione alimentare - tra cui la robotica e la fermentazione di precisione - dovrebbero essere considerate come un elemento della politica alimentare socialista.[60]
La ricerca "Ten Years for Agroecology", un'iniziativa dell’Institute for Sustainable Development and International Relations, un gruppo di esperti francese, simula il modo in cui una futura Unione Europea potrebbe aumentare la produzione alimentare e ridurre le importazioni di cibo attraverso l'adozione di metodi agroecologici, al punto da essere in grado di nutrire la popolazione europea, che si prevede di circa 530 milioni di persone entro il 2050. Negli Stati Uniti, il Farming Systems Trial del Rodale Institute dimostra che i metodi agroecologici possono ridurre l'uso diretto di combustibili fossili nella produzione agricola, consentire all'agricoltura biologica di svolgere un ruolo nel sequestro del carbonio e mantenere alte le rese delle colture.[61]
I metodi agroecologici di coltivazione, come l'agroforestazione, sono sempre più riconosciuti dalle comunità agricole come valide alternative all'agricoltura ad alta intensità chimica. Tali metodi includono l'affidamento sulla biodiversità e su sistemi agricoli multifunzionali (diversi) e l'uso di conoscenze tradizionali (comprese le innovazioni e le tecnologie contadine) per regolare e riprodurre gli ecosistemi e fornire diverse fonti alimentari. I principi agroecologici includono la promozione, la crescita e la conservazione della fertilità del suolo; l'uso di controlli biologici per malattie, insetti e le erbe infestanti; la consociazione; la conservazione e la selezione delle sementi; i cicli di raccolta multipli su scala ridotta; l'integrazione di alpeggi e pascoli su piccola scala.[62]
Pur essendo illuminanti nelle loro considerazioni, Peter Rosset e Miguel Altieri descrivono le pratiche agroecologiche come forme di agricoltura essenzialmente a bassa tecnologia.[63] Ciò rischia di ignorare i potenziali benefici della produzione agricola ad alta tecnologia e di lasciarla nelle mani delle corporazioni capitaliste. Esiste tuttavia una serie di nuove tecnologie che, se impiegate nell'ambito di modificati rapporti sociali di produzione (demercificati e democratizzati), potrebbero incrementare la produzione alleggerendo il carico della produzione agricola.
L'informatizzazione e la robotizzazione possono potenzialmente aumentare la produttività agricola riducendo al contempo il carico di lavoro. Gli agrorobot sono in grado di identificare e distruggere ottocento tipi diversi di erbe infestanti per mezzo del laser, riducendo enormemente la necessità di fertilizzanti chimici. Presto potrebbero mappare il terreno, piantare semi, diserbare edeseguire i raccolti.[64]
L'automazione della produzione alimentare attraverso l'idroponica (coltivazione di piante fuori suolo) nelle fattorie verticali è un altro potenziale trasformazione vantaggiosa. Le fattorie verticali potrebbero sorgere in grattacieli urbani inutilizzati o di nuova costruzione, oppure essere costruite in aree rurali.[65] Tali tecniche hanno permesso di produrre verdure (lattuga ed erbe aromatiche) utilizzando fino al 90% di acqua in meno e producendo colture trenta volte di più per acro di terreno, rispetto a alcune forme di coltivazione a terra.[66] In altri casi, la coltura idroponica ha portato a un aumento, da quattro a cinque volte, della resa di pomodori e cetrioli rispetto alle colture a terra.[67] I progressi tecnologici, combinati con finanziamenti strategicamente orientati, potrebbero consentire di associare tali investimenti all'energia solare (attraverso i pannelli fotovoltaici installati nelle fattorie verticali e/o attraverso reti a energia solare).
Una soluzione potenzialmente in grado di cambiare il mondo è stata sviluppata da una piccola azienda, la Solar Foods, finanziata dall’European Space Agency’s business incubation program.[68] L'azienda produce un composto simile alla farina di grano chiamato Solein, composto dal 65-70% di proteine, dal 10-15% di fibre alimentari, dal 3-5% di nutrienti minerali e dal 5-8% di grassi. Viene prodotto utilizzando l'elettricità dei pannelli solari per elettrolizzare l'acqua (scindendo le molecole dell'acqua) in un bioreattore (simile a un serbatoio di fermentazione per la birra), rilasciando idrogeno. L'idrogeno viene poi combinato con anidride carbonica e altri nutrienti (fosforo, sodio e potassio) e microbi ricavati dal suolo. Si ritiene che la produzione di Solein richieda una quantità di terreno ventimila volte inferiore a quella necessaria per produrre la stessa quantità di proteine della soia. Può sostituire le proteine derivanti dagli alimenti trasformati, potrebbe sostituire il foraggio animale e potrebbe produrre sostituti dell'olio di palma.
Un'altra nuova tecnologia è la fermentazione di precisione, una forma di birrificazione. La produzione di birra, la produzione di pane e la fermentazione di alimenti come la salsa di soia e i crauti si basano sulla moltiplicazione dei microbi. La fermentazione di precisione è una forma raffinata di birrificazione/moltiplicazione di microbi per creare proteine e grassi identici a quelli della carne e dei prodotti caseari. Microrganismi come lieviti e batteri possono essere programmati geneticamente per creare ingredienti specifici (come il siero di latte). Altre materie prime dovranno essere coltivate: fibre di zucchero, semi di girasole e cereali. Queste possono essere fermentate, alimentate con idrogeno o metanolo, che può essere prodotto con energia rinnovabile più acqua, anidride carbonica e quantità minime di fertilizzanti. Le tecniche di fermentazione di precisione sono già utilizzate per produrre alimenti che hanno il sapore di formaggio, manzo, uova, latte e panna.[69]
Il potenziale della fermentazione di precisione per produrre grandi quantità di alimenti sani e a prezzi accessibili, riducendo al contempo i terreni destinati all'allevamento e alle coltivazioni, è enorme. Potrebbe produrre la stessa quantità di proteine che la soia produce negli Stati Uniti su una superficie 1.700 volte inferiore.[70]
La fermentazione di precisione ha già dato risultati enormemente positivi. All'inizio del XX secolo, l'insulina, utilizzata per il trattamento del diabete, veniva ricavata da pancreas di maiali e vacche. Per produrre un chilogrammo di insulina era necessario macellare circa cinquantamila animali. Alla fine degli anni '70, le aziende hanno scoperto il modo di produrre insulina attraverso la fermentazione di precisione, eliminando la necessità di macellare milioni di animali. Oggi, la fermentazione di precisione consente circa il 99% dell'insulina prodotta a livello mondiale.[71]
Tali innovazioni, riducendo la quantità di terre coltivate, potrebbero consentire una rinaturalizzazione su larga scala - espandendo i pozzi [depositi] di carbonio del mondo e ricostituendo la diversità delle specie vegetali e animali - attraverso il ripristino di praterie, zone umide, foreste e savane. Piuttosto che concepire questa rinaturalizzazione come equivalente a una esclusione dalla presenza umana (come in alcuni scenari), in questo modo si potrebbe contribuire a sanare la frattura metabolica (la separazione imposta dal capitalismo tra l'uomo e la natura attraverso la proprietà privata). Le aree rinaturalizzate potrebbero far parte di un più ampio commonwealth di proprietà pubblica. L'educazione ambientale (ad esempio, insegnando a bambini e adulti i cicli dei nutrienti e dell'acqua) e le attività ricreative potrebbero essere ampliate in modo significativo.
È vero che l'introduzione su larga scala della fermentazione di precisione, dell'idroponica, della produzione di Solein e della robotica agricola richiederebbe investimenti in bioreattori, materie prime, cemento, plastica ed energia. È anche vero, tuttavia, che le fonti di energia rinnovabile, come l'eolico, il solare e l'idroelettrico, potrebbero essere impiegate per facilitare tale produzione. Il progetto di una pianificata decrescita socialista potrebbe agevolare la crescita di questi settori, se sufficientemente bilanciata da una maggiore decrescita in settori industriali basati sui combustibili fossili.[72]
Al momento, queste tecnologie avanzate sono in mani private e a scopo di lucro. Ma non c'è motivo per cui le politiche progressiste non possano investire in esse (invece di sovvenzionare industrie dannose per l'ambiente) per facilitare una transizione socialmente giusta. Ad esempio, la rete Reboot Food sostiene la fermentazione di precisione open-source, sostenuta da sussidi e investimenti statali.[73]
Nell'ambito di un programma di demercificazione e democratizzazione, tali investimenti potrebbero anche contribuire a rilocalizzare aspetti della produzione alimentare. Come sostiene George Monbiot, "se la produzione viene distribuita... ogni città potrebbe avere un impianto microbico di birrificazione autonomo, che produce alimenti ricchi di proteine a basso costo e a misuradei mercati locali".(74)
Conclusioni
Il veganesimo promosso dalle corporation (e più in generale dal mercato) è una strategia di greenwashing progettata per migliorare l'immagine del marchio delle imprese ed espandere la quota di mercato e la redditività, pur contribuendo direttamente non solo alla distruzione dell'ambiente, ma anche allo sfruttamento e alla sofferenza degli animali. Lungi dall'integrare gli obiettivi del veganesimo etico di generare un mondo socialmente e naturalmente sostenibile, il corporate veganism lo compromette deliberatamente. Non si tratta solo del fatto che le aziende che producono alimenti a base di carne si stiano espandendo nel mercato vegetale come parte di una strategia di greenwashing: è anche vero che molti prodotti a base vegetale contribuiscono direttamente al disastro ambientale su larga scala e al danno agli animali. Fortunatamente, però, molte persone interessate al veganesimo sono anche sinceramente preoccupate per il destino dell'ambiente e desiderano una società più giusta.
Noi sosteniamo che il veganesimo etico e la politica socialista condividono significativi interessi comuni. Ci sono ragioni concrete per credere che i due movimenti possano unire le forze e lottare per un sistema alimentare socialmente giusto ed ecologicamente sano. La recente vittoria del sindacato United Auto Workers, che ha costretto le tre grandi aziende automobilistiche statunitensi ad accettare di produrre veicoli elettrici in stabilimenti sindacalizzati, evidenzia la potenzialità dei lavoratori nel dare inizio a un’influenza sulla direzione della transizione verde. Una transizione verde, veramente giusta dal punto di vista sociale ed ecologico, dovrà accelerare e andare oltre questa conquista, ma tutti i movimenti iniziano da qualche parte. Il nostro concetto di veganesimo socialista spera di contribuire a questo movimento di massa.
Il veganesimo socialista non impone il veganesimo universale per tutti. Suggerisce però come la produzione alimentare vegana possa, attraverso la demercificazione e la democratizzazione della vita sociale, contribuire a fornire cibo di buona qualità e a prezzi accessibili a tutti, a mitigare il collasso climatico e a contribuire a sanare la frattura metabolica. Il veganesimo socialista dovrebbe essere aperto all'uso delle nuove tecnologie. Se progettate per scopi socialmente giusti e utilizzate nell'ambito di rapporti sociali di produzione sempre più equi, esse possono aumentare la produzione, ridurre il carico di lavoro e contribuire ad aumentare il tempo libero, tutti elementi chiave del progetto socialista.
Note
[1] Olivia Petter, Veganism Is “Single Biggest Way” to Reduce Our Environmental Impact, Study Finds, “Independent”, 24 settembre 2020.
[2] Nina Lakhani, Aliya Uteuova,Alvin Chang, Revealed: The True Extent of America’s Food Monopolies and Who Pays the Price, “Guardian”14 luglio, 2021.
[3] David Whyte, Ecocide: Kill the Corporation Before It Kills Us, Manchester, Manchester University Press, 2020.
[4] Max Ajl, Rob Wallace, Red Vegans against Green Peasants, “New Socialist”, 16 ottobre 2021.
[5] Simon Black, Ian Perry,Nate Vernon, Fossil Fuel Subsidies Surged to Record $7 Trillion, “International Monetary Fund” (blog), 24 agosto2023.
[6] Oliver Lazarus, Sonali McDermid,Jennifer Jacquet, The Climate Responsibilities of Industrial Meat and Dairy Producers, “Climatic Change”, 165, 2021,pp. 1–21; David Tilman, Michael Clark, Global Diets Link Environmental Sustainability and Human Health, “Nature”, 515 , pp. 518–22, 2014
[7] Sam Jones, Children Should Get One Healthy School Meal a Day, Say EU Experts, “Guardian”, 13 ottobre 2023.
[8] Jane Dixon, From the Imperial to the Empty Calorie: How Nutrition Relations Underpin Food Regime Transitions, “Agriculture and Human Values”, 26,pp. 321–33, 326, 2009.
[9] UAW Wins Just Transition at General Motors, “United Autoworkers”, 6 ottobre 2023, uaw.org.
[10] Vétérinaires sans frontières, Avoiding Meat and Dairy: A One-Size-Fits-All Measure to Deal with Our Planet’s Environmental Problems or a Real Option for the 1.3 Billion People Depending on Livestock to Assure Their Livelihood and Food Security?, 12 giugno 2018, vsf-international.org.
[11] Max Ajl, A People’s Green New Deal: Obstacles and Prospects, “Agrarian South: Journal of Political Economy”, 10, n° 2, pp. 371–90, 2021.
[12] Definition of veganism, “Vegan Society”, vegansociety.com.
[13] Brian Napoletano, Half-Earth Socialism and the Path Beyond Capital, “Monthly Review”, 74, n°. 9 , febbraio 2022, pp. 41–57; Fred Magdoff, Chris Williams, Creating an Ecological Society: Toward a Revolutionary Transformation, New York, Monthly Review Press, 2017, pp. 255–57.
[14] Eva Batt, Why Veganism?, 1964,”Animal Rights: The Abolitionist Approach”, abolitionistapproach.com.
[15] Jordi Casamitjana, Ethical Vegan: A Personal and Political Journey to Change the World, Tewkesbury: September Publishing, p. 178, 2020
[16] Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, p. 37, 1990.
[17] Matt Bruenig, Chicago Is Considering Opening a Municipal Grocery Store, “Jacobin”, 28 ottobre 2023; Benjamin Selwyn, Community Restaurants: Decommodifying Food as Socialist Strategy,“Socialist Register”, 2021, eds. Leo Panitch, Greg Albo, Merlin Press, pp. 1–12, London, 2020
[18] Citato in Chas Newkey-Burden, More Fast-Food Chains Are Offering Plant-Based Food—but Should Vegans Be Celebrating?, “Guardian”, 7 gennaio 2020.L’original Whopper a base carnea fu messo in commercio nel 1957, lmpossible Whopper è invece plant-based (ma non vegano) (N.d.T.)
[19] Adrienne Matei, Laugh if You Want, but the ‘McPlant’ Burger Is a Step to a Greener World, “Guardian”, 18 novembre 2020.
[20] Michael D. Briscoe, The Meatless Menu Paradox?Environmental Theory and Plant-Based Fast-Food Options,“Society and Animals”, n.1, pp. 1–10, 2022; Anthony John Weis, The Ecological Hoofprint: The Global Burden of Industrial Livestock, Bloomsbury Publishing, London2013.
[21] North America Almond Milk Market Size, “Mordor Intelligence”, mordorintelligence.com.
[22] Annette McGivney, ‘Like Sending Bees to War’: The Deadly Truth behind Your Almond Milk Obsession, “Guardian”, 8 gennaio 2020.
[23] Vivera, Life Is Better When You Eat Less Meat, vivera.com.
[24] Vegan Food Brands Whose Owners Sell Meat or Dairy, “Ethical Consumer”, 22 marzo 2023, ethicalconsumer.org.
[25] Ben Lilliston, Behind the Curtain of the JBS Net Zero Pledge, “Institute for Agricultural and Trade Policy”, 21 ottobre 2021.
[26] Blankfeld, JBS: The Story Behind The World’s Biggest Meat Producer, “Forbes”, 21 aprile 2011; Daniella Genovese, JBS Meat Products: Where They’re Sold and Under What Name Brand, “FOX Business”, 2 giugno 2021.
[27] Lilliston, Behind the Curtain of the JBS Net Zero Pledge.
[28] Climate Change: Do I Need to Stop Eating Meat?, BBC News, 12 novembre 2021.
[29] Evie Calder, Veronica Oakeshott, Banking on Destruction: Tracking Deforestation in the Brazilian Amazon—and Exposing Its Backers,“Global Witness”, 24 aprile 2023, globalwitness.org.
[30] André Campos, Andrew Wasley, Alexandra Heal, Dom Phillips, Piero Locatelli, Revealed: New Evidence Links Brazil Meat Giant JBS to Amazon Deforestation, “Guardian”, 27 luglio 2020.
[31] Calder, Oakeshott, Banking on Destruction.
[32] Campos et al., New Evidence Links Brazilian Meat Giant JBS to Amazon Deforestation.
[33] Schipani, Bolsonaro’s Chief of Staff Faces Campaign Fund Investigation, “Financial Times”, 4 dicembre 2018.
[34] J&F Investimentos S.A. Pleads Guilty and Agrees to Pay over $256 Million to Resolve Criminal Foreign Bribery Case, Office of Public Affairs, U.S. Department of Justice, 14 ottobre 2020.
[35] Vegan Food Brands Whose Owners Sell Meat or Dairy, “Ethical Consumer”; Zoe Wood, Unilever Buys Meat-Free Food Company The Vegetarian Butcher, “Guardian”, 19 dicembre 2018.
[36] “Branded: Five Years of Holding Corporate Plastic Polluters Accountable”, Brand Audit, 2022, brandaudit.breakfreefromplastic.org
[37] Karen McVeigh, Gemma Holliani Cahya, Single Servings at Low Prices: How Unilever’s Sachets Became an Environmental Scourge, “Guardian”, 1 agosto 2022.
[38] Matt Oliver, Unilever Secretly Fought Ban on Plastic Sachets It Branded ‘Evil, “Telegraph”, 22 giugno 2022.
[39] Joe Brock, John Geddie, Unilever’s Plastic Playbook, “Reuters”, 22 giugno2022.
[40] Brock and Geddie, Unilever’s Plastic Playbook.
[41] Ivi.
[42] Ivi.
[43] Vegan Food Brands Whose Owners Sell Meat or Dairy, Ethical Consumer.
[44] D. Clerq, Danone to Switch Dairy Factory to Plant-Based Alpro as Diets Shift,“Reuters”, 17 novembre 2021.
[45] Danone Essential Dairy and Plant-Based: An Essential Part of Daily Life, Danone, danone.com.
[46] “Doing Your Bit with a Simple Bite”, Alpro, alpro.com.
[47] Christopher Doering, Danone’s ‘Big Runway’ for Growth Is Built on Brand Relevance, N. America CEO Says, “Food Dive”, 9 febbraio 2021.
[48] Hannah Ritchie, Dairy vs. Plant-Based Milk: What Are the Environmental Impacts?, Our World in Data, 19 gennaio 2022.
[49] “Doing Your Bit with a Simple Bite,” Alpro.
[50] “Branded: Five Years of Holding Plastic Polluters Accountable”.
[51] Danone to Face French Court over Plastic Megapollution, Client Earth, 9 gennaio 2023, clientearth.org.
[52] Jeff Gelski, Lawsuit Focuses on Evian’s Carbon-Neutral Claim, “Food Business News”, 2 ottobre 2022.
[53] David Worford, Evian Faces Lawsuit over Packaging’s Carbon Neutral Claims, “Environment and Energy Leader”, 25 ottobre 2022, environmentenergyleader.com.
[54] Gelski, Lawsuit Focuses on Evian’s Carbon-Neutral Claim; Worford, Evian Faces Lawsuit over Packaging’s Carbon Neutral Claims.
[55] Worford, Evian Faces Lawsuit over Packaging’s Carbon Neutral Claims.
[56] Tamara Pearson, Mexico: Indigenous Communities Take Over Water-Bottling Plant to Use as a Social Centre,“Green Left”, 9 agosto 2021, greenleft.org.au.
[57] John Bellamy Foster, Planned Degrowth: Ecosocialism and Sustainable Human Development, “Monthly Review 75”, n. 3, pp. 1–29, luglio-agosto 2023; trad. italiana: Decrescita pianificata: ecosocialismo e sviluppo umano sostenibile, "Antropocene.org", 28.07.2023.
[58] Per un'analisi critica vedi Dolly Jørgensen, Rethinking Rewilding,“Geoforum”, 65, pp. 482–88, 2015. Nel testo citato Vettese e Pendergrass, gli autori simulato, attraverso una adeguata pianificazione economica socialista volta a abolire criteri monetari di mercato e una alimentazione a base vegetale, che circa metà del pianeta debba essere del tutto rinaturalizzato per far fronte ai cambiamenti climatici [NdT].
[59] John Bellamy Foster, Brett Clark, Richard York, The Ecological Rift: Capitalism’s War on the Earth, Monthly Review Press, New York, 2011.
[60] Benjamin Selwyn, A Green New Deal for Agriculture: For, Within, or Against Capitalism?, “Journal of Peasant Studies”, 48, n. 4, pp. 778–806, 2021.
[61] Xavier Poux, Pierre-Marie Aubert, An Agroecological Europe in 2050: Multifunctional Agriculture for Healthy Eating: Findings from the Ten Years for Agroecology (TYFA) Modelling Exercise, Institute of Sustainable Development and International Relations,18, Paris: IDDR, 2018.
[62] Peter M. Rosset, Miguel A. Altieri, Agroecology: Science and Politics, Rugby, UK: Practical Action Publishing, 2017; Tony J. Weis, The Global Food Economy: The Battle for the Future of Farming, London: Zed Books, 2007; John Harris, ‘We’ll Have Space Bots with Lasers, Killing Plants’: The Rise of the Robot Farmer, “Guardian”, 20 ottobre 2018.
[63] Rosset , Altieri, Agroecology.
[64] Harris, The Rise of the Robot Farmer.
[65] Dickson Despommier, The Rise of Vertical Farms, “Scientific American” 301, n. 5, 200,pp. 80–87.
[66] Nathan Smith, America’s First Autonomous Robot Farm Replaces Humans With ‘Incredibly Intelligent’ Machines,“Guardian”, 8 ottobre 2018.
[67] Howard M. Resh, Hydroponic Food Production: A Definitive Guidebook for the Advanced Home Gardener and the Commercial Hydroponic Grower, Boca Raton: CRC Press, 2022.
[68] Solein: Food Out of Thin Air, Solar Foods, solarfoods.fi.
[69] Precision Fermentation, Reboot Food, rebootfood.org.
[70] George Monbiot, Embrace What May Be the Most Important Green Technology Ever: It Could Save Us All,“Guardian”, 24 novembre 2022.
[71] Precision Fermentation,Reboot Food.
[72] Riccardo Mastini, Giorgos Kallis, Jason Hickel, A Green New Deal without Growth?, “Ecological Economics”, 179: 106832, 2021.
[73] Reboot Food: A Manifesto, Reboot Food, 2023, rebootfood.org.
[74] Monbiot, Embrace What May Be the Most Important Green Technology Ever.
Benjamin Selwyn e Charis Davis
Traduzione e revisione di Giovanni Roberti e Giuseppe Sottile
Fonte: Monthly Review vol. 75, n. 09 (01.02.2024)
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