Fonte: Monthly Review - 01.05.2022
Com’è possibile che la minaccia di una guerra termonucleare globale incomba ancora una volta sul pianeta, tre decenni dopo la fine della Guerra Fredda e in un momento in cui si profila all'orizzonte il rischio irreversibile di un cambiamento climatico? Quali approcci devono essere adottati all’interno dei movimenti pacifisti e ambientalisti per contrastare queste minacce globali? La natura di questo grave pericolo e il modo in cui è riemerso nel nostro tempo è l'argomento dell'articolo di John Bellamy Foster, del maggio 2022, che qui pubblichiamo.
Nel 1980, Edward P. Thompson, il grande storico e teorico marxista inglese, autore di The Making of the English Working Class e leader del movimento europeo per il disarmo nucleare, scrisse il saggio innovativo "Notes on Exterminism, the Last Stage of Civilization".[1] Sebbene da allora il mondo abbia subito una serie di cambiamenti significativi, il saggio di Thompson rimane un utile punto di partenza per affrontare le contraddizioni centrali dei nostri tempi, caratterizzati dalla crisi ecologica planetaria, dalla pandemia di COVID-19, dalla Nuova Guerra Fredda e dall’attuale "impero del caos", tutti derivanti da caratteristiche profondamente radicate nella contemporanea economia politica capitalistica.[2]
Per Thompson, il termine sterminismo non si riferiva all’estinzione della vita in sé, poiché una parte della vita sarebbe rimasta anche a fronte di uno scambio termonucleare globale, ma si riferiva piuttosto alla tendenza allo «sterminio della nostra civiltà [contemporanea]», intesa nella sua accezione più universale. Tuttavia, lo sterminismo mirava all’annientamento di massa e veniva definito come composto da quelle «caratteristiche della società – espresse, in gradi diversi, nella sua economia, nella sua politica e nella sua ideologia – che la spingono in una direzione il cui risultato deve essere lo sterminio di moltitudini».[3] “Notes on Exterminism” è stato scritto otto anni prima della famosa testimonianza sul riscaldamento globale, da parte del climatologo James Hansen, al Congresso degli Stati Uniti nel 1988, e della formazione, nello stesso anno, dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite. Pertanto, la trattazione dello sterminio da parte di Thompson si concentrava direttamente sulla guerra nucleare e non affrontava direttamente l’altra tendenza sterminista emergente della società contemporanea: la crisi ecologica planetaria. Tuttavia, la sua prospettiva era profondamente socio-ecologica. La tendenza allo sterminismo nella società moderna è stata quindi vista come antitetica agli «imperativi della sopravvivenza ecologica umana», che richiede una lotta mondiale per un mondo socialmente egualitario ed ecologicamente sostenibile.[4]
Con il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda nel 1991, la minaccia nucleare che incombeva sul mondo post-Seconda Guerra Mondiale è sembrata attenuarsi. Di conseguenza, molte riflessioni successive alla tesi sullo sterminismo di Thompson la consideravano principalmente in un contesto di crisi ecologica planetaria, essa stessa fonte dello «sterminio di moltitudini».[5] Ma nell’ultimo decennio, l’avvento della Nuova Guerra Fredda ha riportato la minaccia dell’olocausto nucleare al centro delle preoccupazioni mondiali. La guerra in Ucraina del 2022, le cui origini risalgono al colpo di stato di Maidan architettato dagli Stati Uniti nel 2014 e alla conseguente guerra civile ucraina combattuta tra Kiev e le repubbliche separatiste della regione ucraina del Donbass di lingua russa, si è ora evoluta in una guerra su vasta scala tra Mosca e Kiev. Il 27 febbraio 2022 tutto ciò ha assunto un significato inquietante a livello mondiale, con la Russia che tre giorni dopo l’inizio della sua offensiva militare in Ucraina metteva le sue forze nucleari in massima allerta come avvertimento contro un intervento diretto della NATO nella guerra, [sia esso] nucleare o non nucleare.[6] Il potenziale di una guerra termonucleare globale tra le principali potenze nucleari è oggi maggiore che in qualsiasi altro momento del mondo successivo alla Guerra Fredda.
È quindi necessario affrontare queste duplici tendenze sterministe: sia la crisi ecologica planetaria (incluso non solo il cambiamento climatico ma anche il superamento di altri limiti planetari chiave che definiscono la Terra come una casa sicura per l’umanità) sia la crescente minaccia di annientamento nucleare globale. Ma oggi, nell’affrontare le interconnessioni dialettiche tra queste due minacce esistenziali globali, l’accento deve essere posto sulla comprensione storica dell'attuale spinta verso lo sterminismo nucleare così come si è trasformato nei decenni del potere unipolare degli Stati Uniti, mentre l’attenzione del mondo era diretta altrove. Com’è possibile che la minaccia di una guerra termonucleare globale incomba ancora una volta sul pianeta, tre decenni dopo la fine della Guerra Fredda e in un momento in cui si profila all'orizzonte il rischio irreversibile di un cambiamento climatico? Quali approcci devono essere adottati all’interno dei movimenti pacifisti e ambientalisti per contrastare queste minacce esistenziali globali interconnesse? Per rispondere a queste domande, è importante affrontare questioni come la controversia sull’inverno nucleare, la dottrina della counterforce*, la ricerca della supremazia nucleare globale da parte degli Stati Uniti. Solo allora potremo percepire tutte le dimensioni delle minacce esistenziali globali imposte dal capitalismo catastrofico di oggi.
Inverno nucleare
Nel 1983, nel bel mezzo del programma di rafforzamento nucleare da parte dell’amministrazione Ronald Reagan, associato alla Strategic Defense Initiative (meglio nota come Star Wars) e alla minaccia crescente di un Armageddon nucleare, gruppi di scienziati atmosferici sia degli Stati Uniti che dell’Unione Sovietica produssero modelli, apparsi sulle riviste scientifiche, che prevedevano che una guerra nucleare avrebbe portato ad un "inverno nucleare". Si scoprì che uno scambio termonucleare globale avrebbe provocato mega incendi in un centinaio o più di città, riducendo enormemente la temperatura media della terra, spingendo fuliggine e fumo nell’atmosfera e bloccando la radiazione solare. Il clima sarebbe repentinamente alterato, in senso opposto al riscaldamento, determinando, nel giro di un mese, un raffreddamento rapido e globale che avrebbe fatto scendere le temperature globali (o almeno emisferiche) di diversi gradi o anche di decine di gradi Celsius, con conseguenze orribili per la vita sulla Terra. Quindi, anche se centinaia di milioni o forse un miliardo o più di persone rimarrebbero uccise per l’ effetto diretto di uno scambio nucleare globale, gli effetti indiretti sarebbero anche peggiori, annientando per fame la maggior parte della popolazione del pianeta, anche quelli non coinvolti dagli effetti diretti delle bombe nucleari. La tesi dell’inverno nucleare ebbe un potente effetto sulla corsa agli armamenti nucleari che si stava verificando e svolse un ruolo nell'indurre i governi statunitense e sovietico a ritirarsi dall'orlo del baratro.[7]
Il modello dell’inverno nucleare è stato visto dalle élite al potere negli Stati Uniti come un attacco diretto all’industria nucleare e al Pentagono, rivolto in particolare contro il progetto Star Wars. Ciò condusse ad una delle più grandi controversie scientifiche di tutti i tempi, anche se la controversia fu più politica che scientifica, dal momento che i risultati scientifici non sono mai stati seriamente messi in dubbio. Anche se si è affermato che i modelli dell’inverno nucleare elaborati dalla NASA fossero troppo semplici, e siano stati prodotti studi che indicavano effetti meno estremi di quelli originariamente immaginati – da “autunno nucleare” piuttosto che da inverno nucleare – la tesi dell’inverno nucleare è stata convalidata più e più volte dagli scienziati.[8]
Tuttavia, anche se la risposta iniziale del pubblico e dei leaders politici agli studi sull'inverno nucleare ha favorito la nascita di un movimento potente contro le armi nucleari, contribuendo al controllo delle armi nucleari e alla fine della Guerra Fredda, questo è stato subito contrastato dai potenti interessi economici, militari, politici che stanno dietro la macchina da guerra nucleare degli Stati Uniti. Così, i media controllati dalle aziende ed i politici hanno lanciato varie campagne volte a screditare la tesi dell’ inverno nucleare.[9] Nel 2000, la popolare rivista scientifica Discover arrivò ad inserire l'inverno nucleare fra i «venti più grandi errori negli ultimi 20 anni». Tuttavia il massimo che Discover potè rivendicare in questo senso, era che gli scienziati autori del più influente studio sull'inverno nucleare degli anni '80 avevano fatto un passo indietro nel 1990, sostenendo che la riduzione globale stimata della temperatura media, a seguito dello scambio nucleare, sarebbe stata un po'più piccola, con al massimo un calo di 36°F (20°C) della temperatura media nell'emisfero settentrionale. Tuttavia, il resto dello studio rimaneva apocalittico a livello planetario.[10]
In quello che è stato uno dei maggiori casi di negazionismo nella storia della scienza - che ha superato il negazionismo relativo al cambiamento climatico - le scoperte scientifiche sulla grande guerra nucleare sono state rifiutate sia nella sfera pubblica che in quella militare, sulla base dell’accusa che la stima originale fosse stata, in un certo modo "esagerata". L'accusa di esagerazione è stata poi utilizzata dai circoli dirigenti, per decenni fino ad oggi, per minimizzare i pieni effetti della guerra nucleare. Nel caso del capitalismo del Pentagono, tale negazione era chiaramente motivata dal fatto che, se gli effetti dell’inverno nucleare fossero stati così importanti, allora la pianificazione a combattere una guerra nucleare"vincente", o almeno una in cui la propria parte avrebbe "prevalso", sarebbe stata insensata. Una volta considerati gli effetti atmosferici, la devastazione globale non avrebbe potuto essere confinata ad un particolare teatro nucleare, ma entro alcuni anni dallo scambio termonucleare globale, gli effetti devastanti avrebbero distrutto tutta la popolazione della Terra (tranne una minuscola frazione), andando oltre quanto previsto dalla Mutual Assured Destruction [Distruzione reciproca assicurata], MAD.
In un certo senso, gli effetti devastanti della guerra nucleare erano sempre stati minimizzati dai progettisti nucleari. Come sottolinea Daniel Ellsberg in The Doomsday Machine, le «stime delle vittime» dalla guerra totale fornite dagli analisti strategici nucleari USA erano «fantasticamente sottostimate» fin dal principio, anche prima della scoperta dell'inverno nucleare», dal momento che essi avevano deliberatamente omesso gli effetti delle tempeste di fuoco provocate dalle esplosioni nucleari nelle città e il maggiore impatto sulla popolazione urbana, sulla base discutibile che il livello di devastazione fosse troppo difficile da stimare.[11] Come scrive Ellsberg:
Eppure negli anni Sessanta le tempeste di fuoco causate da armi termonucleari erano note per essere prevedibilmente la maggiore causa di morti in una guerra nucleare. Inoltre, cosa che nessuno ha voluto riconoscere ... [fino a quando i primi studi sull’inverno nucleare sono emersi circa ventuno anni dopo la crisi dei missili di Cuba] erano gli effetti indiretti del nostro primo colpo, quello programmato, a mettere in difficoltà gli altri due terzi dell’umanità. Questi effetti deriverebbero da un’altra conseguenza trascurata dei nostri attacchi alle città: il fumo. In effetti, ignorando il fuoco, i capi [di Stato Maggiore] e i loro uomini hanno ignorato che dove c’è fuoco c’è fumo. Ma quel che è pericoloso per la nostra sopravvivenza non è il fumo degli incendi ordinari, anche se molto grandi – che sono nella bassa atmosfera e sono presto eliminati dalla pioggia – ma il fumo spinto nella parte alta dell’atmosfera dalle tempeste di fuoco che le nostre armi nucleari certamente creerebbero nelle città prese di mira.
Le violente correnti ascensionali provenienti da queste molteplici tempeste di fuoco solleverebbero milioni di tonnellate di fumo e fuliggine nella stratosfera, che non verrebbero giù con la pioggia e circonderebbe rapidamente il globo, formando una coltre che bloccherebbe la maggior parte della luce solare attorno alla terra per un decennio o più. Ciò ridurrebbe la luce solare e produrrebbe temperature più basse in tutto il mondo a un punto tale da eliminare tutti i raccolti e far morire di fame – non tutti ma quasi tutti – gli esseri umani (e altri animali che, per il cibo, dipendono dalla vegetazione). La popolazione dell’emisfero meridionale – risparmiata da quasi tutti gli effetti diretti delle esplosioni nucleari, anche dal fallout – sarebbe quasi annientata, così come quella dell’Eurasia (che lo Stato Maggiore aveva già previsto, a causa degli effetti diretti), dell’Africa e del Nord America.[12]
Ancora peggiore del rifiuto iniziale della tesi dell’inverno nucleare, come ha scritto Ellsberg nel 2017, fu il fatto che, nei decenni successivi, i pianificatori nucleari degli Stati Uniti e della Russia «continuarono a includere 'opzioni' per far esplodere centinaia di bombe nucleari vicino alle città, che libererebbero abbastanza fuliggine e fumo nella stratosfera superiore da portare alla morte per fame [attraverso l’inverno nucleare], quasi tutti gli abitanti della terra, compresi, in fin dei conti, noi stessi.»[13]
Questo negazionismo incorporato nella Doomsday Machine [Macchina del giorno del giudizio] – o la spinta allo sterminismo radicata nel capitalismo del Pentagono – è tanto più significativo se si considera che non solo gli studi originali sull’inverno nucleare non sono mai stati confutati, ma che gli studi sull’inverno nucleare del ventunesimo secolo, basati su modelli informatici più sofisticati di quelli dei primi anni ’80, hanno continuato a dimostrare che l’inverno nucleare può essere provocato da livelli inferiori di scambio nucleare rispetto a quelli previsti dai modelli originali.[14] L’importanza di questi nuovi studi è simboleggiata dalla rivista Discover, che nel 2007 , solo sette anni dopo aver incluso l’inverno nucleare nella sua lista dei venti "più grandi errori scientifici" dei due decenni precedenti, pubblicò un articolo "The Return of Nuclear Winter", ripudiando sostanzialmente il suo pezzo precedente.[15]
Gli studi più recenti, motivati in parte dalla proliferazione nucleare, hanno dimostrato che un’ipotetica guerra nucleare tra India e Pakistan, combattuta con 100 bombe atomiche da 15 kilotoni (la stessa potenza di Hiroshima) potrebbe produrre vittime dirette paragonabili a tutte le morti della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, l’effetto a lungo termine sarebbe quello di una carestia globale. Le esplosioni atomiche scatenerebbero immediatamente tempeste di fuoco da tre a cinque miglia quadrate. Le città in fiamme rilascerebbero circa cinque milioni di tonnellate di fumo nella stratosfera, che circonderebbero la Terra entro due settimane, che non potrebbero essere rimosse dalle piogge e che potrebbero rimanere in sospensione per più di un decennio. Bloccando il passaggio della luce solare, si ridurrebbe la produzione alimentare a livello globale dal 20 al 40%. Lo strato di fumo stratosferico assorbirebbe la calda luce solare, portando il fumo a temperature vicine al punto di ebollizione dell'acqua, con conseguente riduzione dello strato di ozono dal 20 al 50% vicino alle/in prossimità delle aree popolate, generando aumenti di UVB [radiazioni ultraviolette di tipo B] senza precedenti nella storia dell'umanità, tanto che le persone dalla pelle chiara potrebbero procurarsi gravi scottature in circa sei minuti e i livelli di cancro della pelle andrebbero fuori scala. Nel frattempo, si stima che fino a 2 miliardi di persone morirebbero per la carestia.[16]
La nuova serie di studi sull’inverno nucleare, pubblicati su importanti riviste scientifiche sottoposte a peer-review, iniziata nel 2007 e continuata fino ad oggi, non si è però fermata qui. Gli studi hanno anche esaminato cosa accadrebbe se ci fosse uno scambio termonucleare globale che coinvolgesse le cinque principali potenze nucleari: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. Solo gli Stati Uniti e la Russia, che detengono la maggior parte dell’arsenale nucleare mondiale, possiedono migliaia di armi nucleari strategiche con una potenza esplosiva che va da sette a ottanta volte quella della bomba di Hiroshima (anche se alcune armi termonucleari sviluppate negli anni ’50 e ’60 erano mille volte più potenti della bomba atomica). Una singola arma nucleare strategica che colpisce una città scatenerebbe una tempesta di fuoco che coprirebbe un’area compresa tra 90 e 152 miglia quadrate. Gli scienziati hanno calcolato che gli incendi derivanti da uno scambio termonucleare globale su vasta scala spingerebbero nella stratosfera da 150 a 180 milioni di tonnellate di fuliggine e nerofumo, che vi rimarrebbero per venti o trent’anni e impedirebbero fino al 70% dell’energia solare di raggiungere il pianeta nell’emisfero settentrionale, e fino al 35% nell’emisfero meridionale. Il sole di mezzogiorno finirebbe per sembrare una luna piena a mezzanotte. Le temperature medie globali scenderebbero sotto lo zero ogni giorno per uno o due anni, o anche di più, nelle principali regioni agricole dell’emisfero settentrionale. Le temperature medie scenderebbero al di sotto di quelle sperimentate nell’ultima era glaciale. Le stagioni di crescita delle aree agricole scomparirebbero per più di un decennio, mentre le precipitazioni diminuirebbero fino al 90%. La maggior parte della popolazione umana morirebbe di fame.[17]
Nel suo libro del 1960, On Thermonuclear War, il fisico della RAND Corporation, Herman Kahn, presentò la nozione di "doomsday machine" che, in caso di una guerra nucleare, avrebbe ucciso tutti gli abitanti della Terra.[18] Kahn in realtà non sosteneva la costruzione di una tale macchina, né sosteneva che gli Stati Uniti o l’Unione Sovietica lo avevano fatto o stavano cercando di farlo. Ha semplicemente suggerito che un meccanismo che non garantisse la sopravvivenza dalla guerra nucleare sarebbe un'alternativa economica con cui ottenere una deterrenza completa e irrevocabile da tutte le parti e toglierebbe di mezzo la guerra nucleare. Contrariamente all’analisi di Kahn, come ha osservato Ellsberg, anch'egli ex stratega nucleare – in linea con gli scienziati Carl Sagan e Richard Turco che hanno contribuito a sviluppare il modello dell'inverno nucleare – gli attuali arsenali strategici nelle mani delle potenze nucleari dominanti costituiscono una vera e propria macchina del giorno del giudizio. Una volta messa in moto, tale macchina annienterebbe quasi certamente, direttamente o indirettamente, la maggior parte della popolazione del pianeta.[19]
La counterforce e la spinta degli Stati Uniti alla supremazia nucleare
A partire dagli anni '60, quando Mosca raggiunse la parità nucleare [nuclear parity] con Washington, fino al crollo dell'Unione Sovietica, la strategia nucleare dominante durante la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica si basava sul concetto di MAD. La parità nucleare si traduceva cioè nella reciproca distruzione di entrambe le parti, comportando la morte di centinaia di milioni di persone. Tuttavia, come mostrano gli studi sull’inverno nucleare, le conseguenze di una guerra nucleare totale andrebbero ben oltre, e avrebbero comportato la distruzione di quasi tutta la vita umana (così come la maggior parte delle altre specie) sull’intero pianeta. Tuttavia, ignorando gli avvertimenti sull’inverno nucleare, gli Stati Uniti, con molte più risorse rispetto all’Unione Sovietica, cercarono di superare la MAD in direzione della "supremazia nucleare" [nuclear primacy] americana, per ristabilire il livello di superiorità nucleare degli Stati Uniti dei primi anni della Guerra Fredda. Nuclear primacy, a differenza della nuclear parity, significa «eliminare la possibilità di una rappresaglia», e per questo viene anche chiamata «capacità di primo attacco».[20] In questo contesto, è significativo che la posizione ufficiale adottata da Washington, rispetto all'assetto difensivo, abbia costantemente previsto la possibilità che gli Stati Uniti effettuassero un primo attacco nucleare contro stati nucleari o non nucleari.
Oltre a introdurre il concetto di “macchina del giorno del giudizio”, Kahn, uno dei principali pianificatori strategici statunitensi, coniò anche i termini chiave di countervalue e counterforce*.[21] Countervalue corrisponde al bersaglio delle città, della popolazione civile e dell'economia del nemico, con l'obiettivo di annientarlo completamente, portando così alla MAD. La strategia di counterforce, invece, corrisponde a colpire le strutture nucleari nemiche per prevenire una rappresaglia.
Quando la strategia di counterforce fu originariamente introdotta dal segretario alla difesa statunitense Robert McNamara durante l’amministrazione di John F. Kennedy, fu intesa come una strategia "no cities"(niente città) che avrebbe attaccato le armi nucleari nemiche anziché le popolazioni civili, e da allora si è spesso invocata quest’ultima posizione, pur in maniera ingannevole, per giustificare tale strategia. McNamara, tuttavia, si rese conto, ben presto, dei difetti della strategia di counterforce, vale a dire che essa innescava una corsa agli armamenti nucleari finalizzata al raggiungimento (o alla negazione) della supremazia nucleare. Inoltre, l’idea che un attacco preventivo di counterforce non coinvolgesse attacchi alle città era errata fin dall’inizio, poiché gli obiettivi includevano centri di comando nucleari nelle città. Subito dopo, McNamara abbandonò quindi l’idea, a favore di una strategia nucleare basata sulla MAD, che riteneva l’unico vero approccio alla deterrenza nucleare.[22]
Questa strategia nucleare statunitense, per gran parte degli anni ‘60 e ‘70 era caratterizzata dall’accettazione di una parità nucleare approssimativa con l’Unione Sovietica e quindi della MAD. Ciò venne meno nell’ultimo anno dell’amministrazione di Jimmy Carter. Nel 1979, Washington forzò la NATO a permettere l’installazione in Europa di missili da crociera e missili Pershing II armati di testate nucleari, entrambe armi per l’attacco di counterforce che avevano di mira l’arsenale nucleare sovietico, una decisione che infiammò il movimento antinucleare europeo.[23] Nella successiva amministrazione statunitense, sotto Ronald Reagan, Washington adottò pienamente la strategia di counterforce.[24] L’amministrazione Reagan introdusse il programma "Star Wars", finalizzato allo sviluppo di un completo sistema antibalistico, in grado di difendere il territorio statunitense - successivamente abbandonato perché impraticabile - che portò ad altri sistemi antibalistici nelle amministrazioni successive.[25] Inoltre, gli Stati Uniti durante l’amministrazione Reagan promossero il missile MX (successivamente Peacekeeper), ritenuto un’arma di counterforce in grado di distruggere i missili sovietici prima del loro lancio. Tutte queste armi minacciavano la "decapitazione" delle forze sovietiche in un primo attacco e la possibilità, tramite sistemi antibalistici, di intercettare i pochi missili sovietici sopravvissuti.[26] Le armi di counterforce richiedevano una maggiore precisione, poiché non erano più concepite per distruggere città, come negli attacchi di “countervalue”, ma piuttosto per colpire con precisione silos missilistici rinforzati, missili mobili terrestri, sottomarini nucleari e centri di comando e controllo. Fu qui, con le armi di counterforce, che gli Stati Uniti ebbero un vantaggio tecnologico.
Fu questo grande accumulo di armi nucleari iniziato nel 1979, con il dispiegamento pianificato in Europa di sistemi di lancio di missili a testate nucleari, a far nascere le grandi proteste degli Anni '80 contro la guerra nucleare, in Europa e Nord America e la critica di Thompson dello sterminismo, oltre che alla ricerca scientifica sull’inverno nucleare. Tuttavia, oggi, più di quattro decenni dopo, nelle parole di Janne Nolan dell’Arms Control Association, «counterforce rimane il principio sacrosanto della strategia nucleare americana», finalizzata alla supremazia nucleare.[27]
Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e la fine della Guerra Fredda, Washington avviò immediatamente, a partire dalla “Defense Policy Guidance” del febbraio 1992 emanata dal sottosegretario alla difesa Paul Wolfowitz, il processo di traduzione della sua nuova posizione unilaterale in una visione di supremazia permanente degli Stati Uniti sull’intero globo.[28] Questo processo doveva essere attuato attraverso un’espansione geopolitica delle aree di dominio occidentale nelle regioni che, in precedenza, avevano fatto parte dell’Unione Sovietica o che si trovavano all’interno della sua sfera d’influenza, al fine di impedire la rinascita della Russia quale grande potenza. Allo stesso tempo, in un clima di disarmo nucleare e con il deterioramento delle forze nucleari russe sotto Boris Eltsin, gli Stati Uniti cercarono di "modernizzare" le loro armi nucleari, sostituendo le armi esistenti con armamenti strategici più avanzati dal punto di vista tecnologico, il cui obiettivo non era migliorare la deterrenza, ma ottenere la supremazia nucleare.[29]
Nei dibattiti dell'epoca sulla politica nucleare, la ricerca della supremazia nucleare da parte degli Stati Uniti nel mondo post - Guerra Fredda, che continuava ad incentivare armi di counterforce, era nota come strategia "massimalista", e fu contrastata da coloro che sostenevano una strategia "minimalista" basata sulla MAD. Alla fine, vinsero i massimalisti, e il Nuovo Ordine Mondiale fu definito sia dall’allargamento della NATO, che aveva l’Ucraina come perno geopolitico e strategico finale, sia dal perseguimento da parte degli Stati Uniti dell'obiettivo massimalista di un dominio nucleare assoluto e della capacità di primo attacco.[30]
Nel 2006, Keir A. Lieber e Daryl G. Press pubblicarono su Foreign Affairs, la rivista di punta del Council on Foreign Relations, un articolo fondamentale, "The Rise of U.S. Nuclear Primacy". Qui, Lieber e Press sostennero che gli Stati Uniti erano «sul punto di raggiungere la supremazia nucleare», o la capacità di primo attacco, e che questo era il loro obiettivo, almeno dalla fine della Guerra Fredda. E affermarono che, «il peso delle prove suggerisce che Washington sta, di fatto, cercando deliberatamente la supremazia nucleare».[31]
Ciò che apparentemente rese questa capacità di primo attacco alla portata di Washington fu il nuovo arsenale nucleare, associato alla modernizzazione nucleare, che, semmai, si accelerò dopo la Guerra Fredda. Armi come i missili da crociera a testata nucleare, i sottomarini nucleari in grado di lanciare missili vicino alla costa, e i bombardieri stealth B-52 a bassa quota che trasportano sia missili da crociera ad armamento nucleare che bombe a gravità nucleare, potevano penetrare più efficacemente le difese russe o cinesi. Missili balistici intercontinentali più precisi potevano eliminare completamente i silos di missili rinforzati. Una migliore sorveglianza avrebbe permesso il tracciamento e la distruzione di missili terrestri mobili e sottomarini nucleari. Nel frattempo, i missili Trident II D-5, più precisi, che vennero introdotti nei sottomarini nucleari statunitensi, trasportavano testate di maggiore potenza da utilizzare contro i silos. Tecnologie di telerilevamento più avanzate, in cui gli Stati Uniti ebbero un ruolo di primo piano, migliorarono notevolmente la loro capacità di rilevare missili mobili piazzati a terra e sottomarini nucleari. La capacità di colpire i satelliti di altre potenze nucleari avrebbe potuto indebolire o eliminare la loro capacità di lancio di missili nucleari.[32] La collocazione di armi strategiche in paesi recentemente entrati nella NATO e limitrofi o ai confini della Russia – le strutture di difesa missilistica balistica Aegis che gli Stati Uniti hanno installato in Polonia e Romania costituiscono anch’esse potenziali armi offensive in grado di lanciare missili da crociera Tomahawk armati di testate nucleari – aumenta la velocità con cui le armi nucleari potrebbero colpire Mosca e altri obiettivi russi, non permettendo al Cremlino di reagire.[33] Le strutture di difesa missilistica nucleare, utili soprattutto in caso di rappresaglia a un primo attacco degli Stati Uniti, potrebbero abbattere il numero limitato di missili sopravvissuti sull’altro fronte. (Tali "sistemi di difesa missilistica" sarebbero inefficaci di fronte a un primo attacco dell’altro fronte, poiché sopraffatti dal numero elevato di missili ed esche). Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno sviluppato un gran numero di armi aerospaziali non nucleari ad alta precisione da utilizzare in un attacco di counterforce indirizzato verso missili nemici o strutture di comando e controllo che, grazie alla precisione di mira basata sui satelliti, sono paragonabili alle armi nucleari nei loro effetti di counterforce.[34]
Nel 2006, Lieber e Press sostenevano che , «le probabilità che Pechino si doti di una deterrenza nucleare durevole nel corso del prossimo decennio sono scarse», mentre era dubbia la capacità di sopravvivenza della deterrenza russa. «Ciò che la nostra analisi suggerisce è rilevante: i leader russi non possono più contare su una durevole deterrenza nucleare». Mentre scrivevano che gli Stati Uniti « ... stanno...cercando la supremazia in ogni dimensione della tecnologia militare moderna, sia nel loro arsenale convenzionale che nelle loro forze nucleari», un processo noto come "dominio dell’escalation".[35]
La firma del Trattato New START, tra Stati Uniti e Russia nel 2010, pur limitando le armi nucleari, non impedì una corsa alla modernizzazione delle armi di counterforce per distruggere le armi del fronte opposto. Infatti, i limiti numerici resero più fattibile una strategia di counterforce, in cui gli Stati Uniti si trovavano in vantaggio, poiché una delle tre basi principali per la sopravvivenza di un arsenale nucleare di rappresaglia (insieme al rafforzamento dei siti missilistici terrestri e al loro occultamento) è il semplice numero e quindi la sovrabbondanza di tali armi.[36] Con la supremazia nucleare come obiettivo, gli Stati Uniti hanno iniziato a ritirarsi unilateralmente da alcuni dei principali trattati nucleari stabiliti durante la Guerra Fredda. Nel 2002, sotto l’amministrazione di George W. Bush, gli Stati Uniti – di nuovo unilateralmente – si ritirarono dall'Anti-Ballistic Missile Treaty [Trattato anti missili balistici]. Nel 2019, sotto l’amministrazione di Donald Trump, Washington si ritirò dall'Intermediate Nuclear Forces Treaty [Trattato sui missili nucleari a medio raggio], affermando che la Russia aveva violato il trattato. Nel 2020, sempre sotto Trump, gli Stati Uniti si ritirarono dall'Open Skies Treaty [Trattato Cieli Aperti], (che poneva limiti ai voli di ricognizione su altri paesi), seguiti dal ritiro della Russia l’anno successivo. Non c’è dubbio che il ritiro da questi trattati favorisse Washington nell’espansione delle proprie opzioni di counterforce, nella sua ricerca della supremazia nucleare.
Dato l’obiettivo statunitense di una supremazia nucleare globale, negli ultimi due decenni la Russia ha tentato di modernizzare i suoi sistemi di armamento nucleare, ma si è trovata in netto svantaggio rispetto agli Stati Uniti per quanto riguarda la capacità di counterforce. La sua strategia nucleare fondamentale è stata quindi determinata dai timori di un primo attacco statunitense che potesse eliminare efficacemente la sua deterrenza nucleare e la sua capacità di ritorsione. Pertanto ha cercato di ristabilire una deterrenza credibile. Come scrisse nel 2020 Cynthia Roberts del Saltzman Institute of War and Peace della Columbia University, in “Revelations About Russia’s Nuclear Deterrence Strategy”, i russi percepiscono gli ulteriori perfezionamenti delle forze strategiche statunitensi, sia convenzionali che nucleari, come parte di uno sforzo continuo per «stare alle costole della deterrenza nucleare russa» e negare a Mosca una valida opzione di secondo colpo, eliminando di fatto la sua deterrenza nucleare attraverso una “decapitazione”.[37] Mentre gli Stati Uniti hanno adottato una posizione di massima "difesa" nucleare, minacciando il «primo utilizzo nucleare e l’escalation graduale», mantenendo il dominio a ogni livello di escalation, l’approccio della Russia è stato quello di «guerra totale, una volta fallita la deterrenza», continuando a fare affidamento principalmente sulla MAD.[38]
Tuttavia, negli ultimi anni, Russia e Cina hanno fatto passi da gigante nella tecnologia e nei sistemi d’arma strategici. Per contrastare i tentativi di Washington di sviluppare la capacità di primo attacco, per neutralizzare le loro deterrenze nucleari, sia Mosca che Pechino hanno rivolto la loro attenzione a sistemi d’arma strategici asimmetrici, progettati per neutralizzare la superiorità statunitense nella difesa missilistica e nel puntamento ad alta precisione. I missili balistici intercontinentali sono vulnerabili perché, sebbene raggiungano velocità ipersoniche – solitamente definite come Mach 5, o cinque volte maggiore la velocità del suono – quando rientrano nell’atmosfera, seguono un arco che costituisce un percorso balistico prevedibile, come un proiettile. Non possono quindi usare la sorpresa; i loro bersagli sono prevedibili e possono teoricamente essere intercettati da missili antibalistici. I silos missilistici rinforzati che ospitano missili balistici intercontinentali sono anche bersagli distinti e oggi sono molto più vulnerabili data la precisione dei missili statunitensi a guida satellitare, nucleari e non nucleari. Di fronte a queste minacce di counterforce alle loro opzioni basiche di deterrenza, Russia e Cina hanno superato gli Stati Uniti nello sviluppo di missili ipersonici che possono manovrare aerodinamicamente per eludere le difese missilistiche e impedire all’avversario di conoscere l’obiettivo finale. La Russia ha sviluppato un missile ipersonico chiamato Kinzhal che pare raggiunga autonomamente la velocità Mach 10 o di più, e un’altra arma ipersonica, Avangard, che, spinta da un razzo, può raggiungere la velocità strabiliante di Mach 27. La Cina possiede un missile da crociera ipersonico "waverider" che raggiunge Mach 6. Attingendo dal folklore cinese, quest’ultimo viene definito "mazza dell’assassino", un’arma efficace contro un avversario molto meglio armato.[39] Nel frattempo, Russia e Cina hanno sviluppato armi antisatellite "counterspace" progettate per eliminare il vantaggio degli Stati Uniti in quanto ad armi nucleari e non nucleari ad alta precisione.[40]
Sebbene Washington abbia cercato la cosiddetta supremazia nucleare, questa è rimasta poco oltre la sua portata, data la capacità tecnologica delle altre principali potenze nucleari. Inoltre, una corsa agli armamenti nucleari alimentata da una strategia di counterforce è fondamentalmente irrazionale, giacché minaccia un conflitto termonucleare globale con conseguenze molto più grandi di quelle previste dallo scenario MAD, con centinaia di milioni di morti su entrambi i fronti. Inverno nucleare significa che, in un confronto nucleare globale, l’intero pianeta si troverebbe avvolto dal fumo e dalla fuliggine che circolerebbero nella stratosfera, uccidendo quasi tutta l’umanità.
Di fronte a questa realtà, la posizione nucleare degli Stati Uniti, basata sulla convinzione di prevalere in una guerra nucleare totale, è particolarmente pericolosa, poiché nega il ruolo degli incendi nelle città e quindi gli effetti del fumo che si innalza nella parte alta dell’atmosfera e oscura la maggior parte dei raggi del sole. La ricerca della supremazia nucleare, quindi, conduce from Mad to madness**.[41] Come scrive Ellsberg, «La speranza», coltivata dai pianificatori strategici statunitensi – che solo nel loro negazionismo e tentativo di raggiungere la supremazia nucleare, potrebbero immaginare una tale possibilità – di «evitare con successo l’annientamento reciproco con un attacco decapitante, è sempre stata infondata, come qualsiasi altra. La conclusione più realistica potrebbe essere che un confronto nucleare tra Stati Uniti e Russia sia – ed è – praticamente certo di trasformarsi in una catastrofe totale, non solo per le due parti ma per il mondo intero», scatenando l’inverno nucleare e l’"omnicidio globale".[42]
La nuova Guerra Fredda e il teatro europeo
In “Notes on Exterminism” e più in generale nelle sue prese di posizione come leader del disarmo nucleare europeo degli anni ’80, Thompson sosteneva che l’accumulo di armi nucleari allora in corso in Europa, era un prodotto dell’industria militare e di imperativi tecnologici che agiscono da soli. Ciò faceva parte di una strategia che aveva lo scopo di unire i movimenti pacifisti dell’Ovest e dell’Est contro i rispettivi establishments, basata sulla premessa che l’accumulo di armi nucleari fosse un prodotto uguale in entrambe le parti. Però, in questo caso, egli smentiva le sue stesse argomentazioni, che evidenziavano l’accumulo aggressivo di armi nucleari di counterforce da parte statunitense e il posizionamento di armi strategiche in Europa contro l’Unione Sovietica. Nell’articolo “Nuclear Chicken”, presente del numero di settembre 1982 della Monthly Review, Harry Magdoff e Paul M. Sweezy contestavano questa argomentazione di Thompson, evidenziando non solo le espansioni strategiche della NATO guidate dagli Stati Uniti, ma anche il fatto che l’ordine imperiale degli Stati Uniti dipendeva fortemente da minacce credibili di primi attacchi nucleari diretti ad altri paesi, sia nucleari che non nucleari.[43]
In un’introduzione del 1981 all’edizione americana di Protest and Survive, curata da Thompson e Dan Cohen, Ellsberg elencò una lunga serie di casi documentati in cui gli Stati Uniti, a partire dal 1949, usarono la minaccia di First strike nucleare [primo colpo nucleare] per fare pressione su altri paesi affinché desistessero, e per raggiungere i propri fini imperialisti.[44] Oggi, l’elenco di casi documentati è salito a venticinque.[45] In questo senso, l’uso della guerra nucleare come minaccia è parte integrante della strategia statunitense. Lo sviluppo della supremazia nucleare attraverso le armi di counterforce prospettò la possibilità che tali minacce potessero ancora una volta essere dirette in modo credibile anche contro le principali potenze nucleari come Russia e Cina. Magdoff e Sweezy definirono l’intero approccio un gioco del “nuclear chicken" [pollo nucleare]***, in cui gli Stati Uniti erano il giocatore più aggressivo.
Il "nuclear chicken" non terminò con la fine della Guerra Fredda. La politica della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, influenzata da figure chiave come Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Carter e uno dei principali architetti dell’espansione della NATO post-Guerra Fredda, ha continuato a cercare l’egemonia geopolitica definitiva degli Stati Uniti sull’Eurasia, definendola la "grande scacchiera"****. Lo scacco matto, secondo Brzezinski, sarebbe stato l’ingresso dell’Ucraina nella NATO come alleanza strategico-nucleare (anche se Brzezinski ha accuratamente escluso l’aspetto nucleare nella presentazione della sua strategia geopolitica), decretando la fine della Russia come grande potenza e portando, forse, alla sua disgregazione in vari stati.[46] Questo avrebbe sancito la supremazia degli Stati Uniti sull’intero pianeta. Il tentativo di trasformare il potere unipolare degli Stati Uniti dopo la Guerra Fredda in un impero globale permanente richiedeva l’espansione della NATO verso est, iniziata nel 1997 durante l’amministrazione Bill Clinton, annettendo gradualmente all’Alleanza Atlantica tutti i paesi compresi tra l’Europa occidentale e l’Ucraina, con quest'ultima come obiettivo finale e come pugnale nel cuore della Russia.[47] In questo caso si è verificata una sorta di unificazione tra la strategia di espansione della NATO, diretta dagli Stati Uniti, e la spinta di Washington verso la supremazia nucleare, che procedevano di pari passo.
Il fatto che la Russia sia stata costretta a considerare la questione della propria sicurezza nazionale, di fronte al tentativo della NATO di espandersi militarmente in Ucraina, non avrebbe dovuto sorprendere nessuno. Un decennio dopo, [nel 2007] l’espansione della NATO, che già comprendeva undici nazioni che precedentemente facevano parte del Patto di Varsavia o dell’Unione Sovietica - e solo un anno dopo che la quasi supremazia nucleare degli Stati Uniti era stata evidenziata da Foreign Affairs - il presidente russo Vladimir Putin ha sorpreso il mondo dichiarando, con inequivocabili parole, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco che "il mondo unipolare non solo era inaccettabile ma impossibile nel mondo di oggi”.[48] Ciononostante, nel 2008 la NATO, coerentemente con la sua strategia a lungo termine di estendersi verso quello che Brzezinski definva il “perno geopolitico” dell’Eurasia, indebolendo così fatalmente la Russia, dichiarò apertamente al vertice di Bucarest che intendeva portare l’Ucraina nel quadro dell’alleanza strategico-militare (nucleare).
Nel 2014, il colpo di stato di Maidan in Ucraina, architettato da Washington, ha deposto il presidente democraticamente eletto dell’Ucraina e imposto, al suo posto, un leader scelto dalla Casa Bianca, mettendo l’Ucraina nelle mani di forze ultranazionaliste di destra. La risposta della Russia - dopo un referendum popolare che diede alla popolazione della Crimea, prevalentemente russofona e che si considerava indipendente e non parte dell’Ucraina, la scelta se rimanere in Ucraina o unirsi alla Russia - è stata quella di incorporare la Crimea nel suo territorio. Il colpo di stato (o “rivoluzione colorata”) ha portato alla violenta repressione da parte di Kiev delle popolazioni russofone della regione ucraina del Donbass, sfociando nella guerra civile ucraina tra Kiev (sostenuta da Washington) e le repubbliche separatiste russofone del Donbass, di Donetsk e Lugansk (supportate da Mosca). La guerra civile ucraina, che inizialmente ha provocato più di 14.000 morti, è continuata a rilento negli otto anni successivi, nonostante la firma degli accordi di pace di Minsk nel 2014, che avrebbero dovuto porre fine al conflitto e dare autonomia alle repubbliche del Donbass all’interno dell’Ucraina. Nel febbraio 2022, Kiev ha ammassato 130.000 soldati ai confini del Donbass, nell’Ucraina orientale, aprendo il fuoco su Donetsk e Luhansk.[49]
Con l’aggravarsi della crisi ucraina, Putin ha insistito su una serie di “linee rosse” per la Russia, riferite ai suoi bisogni essenziali di sicurezza, consistenti in: (1) adesione al precedente accordo di Minsk (elaborato da Russia, Ucraina, Francia e Germania, e sostenuto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) che garantiva l'autonomia e la sicurezza di Donetsk e Luhansk, (2) fine della militarizzazione dell'Ucraina da parte della NATO e (3) accordo secondo cui l'Ucraina sarebbe rimasta fuori dalla NATO.[50] Tutte queste linee rosse continuarono ad essere superate, con la NATO, sollecitata dagli Stati Uniti, che forniva maggiori aiuti militari a Kiev nella sua guerra contro le repubbliche del Donbass, in quello che la Russia ha interpretato come un tentativo de facto di incorporare l’Ucraina nella NATO.
Il 24 febbraio 2022, la Russia è intervenuta nella guerra civile ucraina a fianco del Donbass, attaccando le forze militari del governo di Kiev. Il 27 febbraio, per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, Mosca ha messo in stato di massima allerta le sue forze nucleari, ponendo il mondo di fronte alla possibilità di un olocausto nucleare globale, questa volta tra grandi potenze capitaliste in competizione. Alcuni esponenti di Washington, come il senatore Joe Manchin III (democratico del West Virginia), hanno appoggiato l’idea dell’imposizione da parte degli Stati Uniti di una no-fly zone in Ucraina, che avrebbe comportato l’abbattimento di aerei russi, degenerando, con tutta probabilità, in una terza guerra mondiale.[51]
Lo sterminismo in due direzioni
Oggi è comune riconoscere che il cambiamento climatico rappresenta una “minaccia esistenziale globale” che mette in pericolo la sopravvivenza stessa dell’umanità. Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui la continua espansione del capitalismo, basato sull’uso di quantità sempre maggiori di combustibili fossili, indica la possibilità – anzi la probabilità, se il sistema di produzione non verrà modificato radicalmente nel giro di pochi decenni – del crollo della civiltà industriale, mettendo in discussione la sopravvivenza dell’umanità. Questo è il significato dello sterminismo ambientale nel nostro tempo. Secondo il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) delle Nazioni Unite, se si vuole che il mondo abbia una ragionevole speranza di mantenere gli aumenti della temperatura media globale al di sotto di 1,5°C, o addirittura di 2°C, rispetto ai livelli preindustriali, le emissioni nette di biossido di carbonio devono essere pari a zero entro il 2050. Non conseguire questo obiettivo significa procedere verso la devastazione della terra, come casa sicura per l’umanità e innumerevoli altre specie.
Il cambiamento climatico è parte di una più generale crisi ecologica planetaria, associata al superamento dei limiti planetari in generale, compresi quelli – al di là del cambiamento climatico stesso – legati all’estinzione delle specie, alla riduzione dell’ozono stratosferico, all’acidificazione degli oceani, all’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, alla perdita della copertura del suolo/foreste, alla diminuzione delle fonti di acqua dolce associata alla desertificazione, al carico di aerosol atmosferico e l’introduzione di nuove entità (nuovi prodotti chimici di sintesi e nuove forme genetiche).[52] A ciò si aggiunge l’emergere di nuove zoonosi, come nel caso della pandemia COVID-19, derivanti principalmente dalla trasformazione agroalimentare del rapporto umano con l’ambiente.[53]
Tuttavia, non vi è dubbio che il cambiamento climatico sia al centro dell’attuale crisi ecologica globale. Come l’inverno nucleare, il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per la civiltà e per la sopravvivenza della stessa specie umana. Nei suoi rapporti più recenti (2021-2022) sull’analisi fisica del cambiamento climatico e dei suoi impatti, l’IPCC ci dice che lo scenario più ottimistico, pur scongiurando un cambiamento climatico irreversibile, è ancora quello di una crescente catastrofe globale nei prossimi decenni e questo richiede un’azione immediata per proteggere le vite e le condizioni di vita di centinaia di milioni, e forse miliardi, di persone che saranno esposte a eventi meteorologici estremi che la civiltà globale non ha mai visto prima.[54] Per contrastare tutto ciò è necessaria la nascita del più grande movimento di lavoratori e di popoli che il mondo abbia mai visto, al fine di ripristinare le condizioni della propria esistenza, che sono state usurpate dal regime capitalistico, e di ristabilire un mondo ecologicamente sostenibile radicato nell’uguaglianza sostanziale.[55]
Ironia della sorte, l’ultimo rapporto dell’IPCC, che doveva attirare l’attenzione del mondo sulla natura catastrofica dell’attuale crisi climatica e sul rapido peggioramento delle prospettive per l’umanità in assenza di cambiamenti rivoluzionari, pubblicato il 28 febbraio 2022, quattro giorni dopo l’ingresso della Russia nella guerra civile ucraina, sfidando la NATO, con conseguente crescente preoccupazione per la possibilità di uno scambio termonucleare globale. A causa dell’improvviso riemergere di un omnicidio nucleare l’attenzione del mondo è stata distolta dalla considerazione di una minaccia esistenziale globale che metteva in pericolo l’intera umanità, vale a dire l’omnicidio da carbonio.
Tuttavia, anche se il mondo ha rivolto la sua attenzione alla possibilità di una guerra tra le principali potenze nucleari, la minaccia nucleare su scala planetaria, definita dalla scienza come inverno nucleare, è stata assente dal quadro prospettato. Il riscaldamento globale e l’inverno nucleare, pur manifestandosi in modi diversi, sono strettamente collegati in termini climatici, dimostrando che il mondo è sul punto di annientare la maggior parte dei suoi abitanti, in un verso o nell'altro: il riscaldamento globale nel corso di decenni porterà l’umanità a un punto di non ritorno, e l'inverno nucleare porterà la morte di centinaia di milioni di persone (a causa degli incendi nucleari seguiti dal raffreddamento globale che sterminerà per fame la maggior parte del resto della popolazione mondiale). Così, come le implicazioni distruttive del cambiamento climatico, che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità, sono in gran parte negate dai poteri costituiti, lo stesso vale per gli effetti planetari di una guerra nucleare, che secondo le ricerche scientifiche sull’inverno nucleare, annienterebbe di fatto la popolazione di tutti i continenti della Terra.[56]
Oggi ci troviamo di fronte alla scelta tra sterminismo e imperativo ecologico umano.[57] La causa delle due crisi esistenziali globali che minacciano la specie umana è il capitalismo, con la sua irrazionale ricerca di una accumulazione esponenzialmente crescente e di potere imperialistico in un ambiente globale limitato. L’unica risposta possibile a questa minaccia illimitata è un movimento rivoluzionario universale radicato sia nell’ecologia che nella pace, che cambi rotta rispetto all’attuale distruzione sistematica della terra e dei suoi abitanti e che offra come alternativa un mondo di uguaglianza sostanziale e sostenibilità ecologica, vale a dire il socialismo.
Note
* N.d.T. I due termini counterforce e countervalue usati nell’originale inglese non hanno un corrispondente diretto in italiano, in quanto sia l’uno che l’altro hanno un senso letterale molto diverso da quello che si vorrebbe dare, dunque si è deciso di tradurli con espressioni più ampie, considerandoli dei termini gergali. Counterforce: strategia di attacco preventivo – rappresaglia limitata; Countervalue: rappresaglia strategica.
** N.d.T. Gioco di parole intraducibile: dalla MAD alla follia
*** N.d.T. Il gioco del pollo è una configurazione della teoria dei giochi, la scommessa che chi non cede vince, qui citata per rappresentare la deterrenza nucleare.
**** N.d.T. "La grande scacchiera" è il titolo di una delle opere principali di Zbigniew Brzezinski: The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, Basic Book, New York, 1997; edizione italiana La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici, Milano, Longanesi, 1998.
[1] Edward P. Thompson, Notes on Exterminism, the Last Stage of Civilization, New Left Review 121, 1980, pp. 3–31. Le citazioni a questo saggio, nel presente articolo, sono tratte dalla versione, leggermente rivista, di Edward P. Thompson, Beyond the Cold War, New York, Pantheon, 1982, pp. 41–79. Vedi anche Edward Thompson et al., Exterminism and the Cold War, Londra, Verso, 1982; E. P. Thompson e Dan Smith (a cura di), Protest and Survive New York, Monthly Review Press, 1981; N.d.T. il testo è qui pubblicato integralmente in lingua inglese: Parte 1 - Parte 2.
[2] Thompson, Beyond the Cold War, p. 55; Samir Amin, Empire of Chaos, New York, Monthly Review Press, 1992.
[3] Thompson, Beyond the Cold War, p. 64, 73.
[4] Thompson, Beyond the Cold War, pp. 75–76.
[5] Rudolf Bahro, Avoiding Social and Ecological Disaster, Bath, Gateway Books, 1994, pp. 19–20; John Bellamy Foster, Ecological Revolution, New York, Monthly Review Press, 2009, pp. 27–28; Ian Angus, Facing the Anthropocene, New York: Monthly Review Press, 2016, pp. 178–81.
[6] Per una breve discussione degli eventi che hanno portato all’attuale guerra in Ucraina, vedi, Redazione, Note della redazione, Monthly Review 73, no. 11, aprile 2022.
[7] Stephen Schneider, Whatever Happened to Nuclear Winter?, Climatic Change n. 12, 1988, p. 215; Matthew R. Francis, When Carl Sagan Warned About Nuclear Winter, Smithsonian Magazine, 15.11.2017; Carl Sagan e Richard Turco, A Path Where No Man Thought: Nuclear Winter and the End of the Arms Race, New York, Random House, 1990, pp. 19–44.
[8] Malcolm W. Browne, Nuclear Winter Theorists Pull Back, New York Times, 23.01.1990.
[9] Steven Starr, Turning a Blind Eye Towards Armageddon — U.S. Leaders Reject Nuclear Winter Studies, Public Interest Report, Federation of American Scientists, 69, n. 2, 2016–17, p. 24.
[10] Judith Newman, 20 of the Greatest Blunders in Science in the Last 20 Years,” Discover, 19.01.2000.
[11] Daniel Ellsberg, The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner, New York, Bloomsbury, 2017, p. 140. Il mancato inserimento della principale causa di morte dovuta alle tempeste di fuoco [firestorms] conseguenti all'uso di armi termonucleari contro le città, è profondamente radicata nella teoria del Pentagono. Pertanto, la Guida pratica sugli arsenali e sulla gestione delle armi nucleari, pubblicata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel 2008 ed ora declassificata, contiene più di venti pagine sugli effetti di un’esplosione di armi nucleari su una città, senza nessun riferimento alle tempeste di fuoco. Vedi U.S. Department of Defense, Nuclear Matters: A Practical Guide, Washington, Pentagon, 2008, pp. 135–58.
[12] Ellsberg, The Doomsday Machine, pp. 141–42.
[13] Ellsberg, The Doomsday Machine, p. 18, 142.
[14] Owen B. Toon, Allan Robock, e Richard P. Turco, Environmental Consequences of Nuclear War, Physics Today, 2008, pp. 37–42; Alan Robock e Owen Brian Toon, Local Nuclear War, Global Suffering, New York, Scientific American, 2009.
[15] Emily Saarman, The Return of Nuclear Winter, Discover, 02.05.2007.
[16] Starr, Turning a Blind Eye Toward Armageddon, pp. 4–5; Alan Robock, Luke Oman e Geeorgiy L. Stenchikov, Nuclear Winter Revisited with a Modern Climate Model and Current Nuclear Arsenals: Still Catastrophic Consequences, Journal of Geophysical Research 112, 2007, D13107, pp. 1–14.
[17] Starr, Turning a Blind Eye Toward Armageddon, pp. 5–6; Robock, Oman e Stenchikov, Nuclear Winter Revisited; Joshua Coupe, Charles G. Bardeen, Alan Robock e Owen B. Toon, Nuclear Winter Responses to Nuclear War Between the United States and Russia in the Whole Atmosphere Community Climate Model Version 4 and the Goddard Institute for Space Studies ModelE, Journal of Geophysical Research: Atmospheres, 2019, pp. 8522–43; Alan Robock e Owen B. Toon, Self-Assured Destruction: The Climate Impacts of Nuclear War, Bulletin of the Atomic Scientists, 68, n. 5, 2012, pp. 66–74; Steven Starr, Nuclear War, Nuclear Winter, and Human Extinction, Federation of American Scientists, 14.10.2015.
[18] Herman Kahn, On Thermonuclear War, New Brunswick, N.J., Transaction Publishers, 2007, pp. 145–51.
[19] Ellsberg, The Doomsday Machine, pp. 18–19; Sagan e Turco, A Path Where No Man Thought, pp. 213–19. Qui la macchina dell'apocalisse non deve essere confusa con la versione della macchina dell'apocalisse presente nel film Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick . Tuttavia, il film di Kubrick si ispira all'idea di Kahn e conserva un significato concreto nel contesto della realtà nucleare contemporanea. Vedi Ellsberg, The Doomsday Machine, pp. 18–19.
[20] Keir A. Lieber e Daryl G. Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, Foreign Affairs, 2006, p. 44.
[21] Sagan e Turco, A Path Where No Man Thought, p. 215.
[22] John T. Correll, The Ups and Downs of Counterforce, Air Force Magazine, 01.10.2005; Ellsberg, The Doomsday Machine, pp. 120–23, pp. 178-79.
[23] Harry Magdoff e Paul M. Sweezy, Nuclear Chicken, Monthly Review 34, n. 4, settembre 1981, p. 4; Richard J. Barnet, Why Trust the Soviets?, World Policy Journal 1, n. 3, 1984, pp. 461–62.
[24] Correll, The Ups and Downs of Counterforce.
[25] Steven Pifer, The Limits of U.S. Missile Defense, Brookings Institution, 30.03.2015.
[26] Cynthia Roberts, Revelations About Russia’s Nuclear Deterrence Policy, War on the Rocks, Texas National Security Review, 19.06.2020; Correll, The Ups and Downs of Counterforce.
[27] Janne Nolan, citato in Correll, The Ups and Downs of Counterforce.
[28] Excerpts from Pentagon’s Plan: Preventing the Re-emergence of a New Rival, New York Times, 08.03.1992.
[29] Lieber e Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, pp. 45–48.
[30] Richard A. Paulsen, The Role of U.S. Nuclear Weapons in the Post-Cold War Era, Maxwell Air Force Base, Alabama, Air University Press, 1994, p. 84; Michael J. Mazarr, Nuclear Weapons After the Cold War, Washington Quarterly 15, n. 3, 1992, p. 185, pp. 190–94; Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, New York, Basic Books, 1997, p. 46.
[31] Lieber e Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, p. 43, 50.
[32] Lieber e Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, p. 45.
[33] Jack Detsch, Putin’s Fixation with an Old-School U.S. Missile Launcher, Foreign Policy, 12.01.2022; Jacques Baud (intervista), The Policy of USA Has Always Been to Prevent Germany and Russia from Cooperating More Closely, Swiss Standpoint, 15.03.2022; Starr, Turning a Blind Eye Toward Armageddon. L'Estonia ha missili da crociera forniti da Israele: David Axe, Estonia’s Getting a Powerful Cruise Missile. Now It Needs to Find Targets, Forbes, 12.10.2021. La Russia è anche preoccupata per la possibile reintroduzione in Europa dei missili balistici intermedi Pershing II.
[34] Jaganath Sankaran, Russia’s Anti-Satellite Weapons: An Asymmetrical Response to U.S. Aerospace Superiority, Arms Control Association, marzo 2022.
[35] Lieber e Press, The Rise of U.S. Nuclear Primacy, pp. 48–49, 52–53; Karl A. Lieber e Daryl G. Press, The New Era of Counterforce: Technological Change and the Future of Nuclear Deterrence, International Security 41, n. 4, 2017. Un elemento chiave del deterrente nucleare di Pechino è la riduzione della segnatura acustica o del livello di rumore dei suoi sottomarini nucleari. Nel 2011, si credeva che alla Cina sarebbero occorsi decenni per ridurre la segnatura acustica dei suoi sottomarini allo scopo di sopravvivere a un primo attacco americano. Tuttavia, in meno di un decennio, la Cina ha compiuto progressi significativi verso questo obiettivo. Lieber e Press, The New Era of Counterforce, p. 47; Caleb Larson, Chinese Submarines Are Becoming Quieter, National Interest, 10.09.2020; Wu Riqiang, Survivability of China’s Sea-Based Nuclear Forces, Science and Global Security 19, n. 2, 2011, pp. 91–120.
[36] Lieber e Mann, The New Era of Counterforce, pp. 16–17.
[37] Roberts, Revelations About Russia’s Nuclear Deterrence Policy; Sankaran, Russia’s Anti-Satellite Weapons.
[38] Alexey Arbatove, The Hidden Side of the U.S.-Russian Strategic Confrontation, Arms Control Association, settembre 2016; Brad Roberts, The Case for Nuclear Weapons in the 21st Century, Stanford, Stanford University Press, 2015.
[39] Richard Stone, National Pride Is at Stake: Russia, China, United States Race to Build Hypersonic Weapons, Science, 08.01.2020, pp. 176–96; Dagobert L. Brito, Bruce Bueno de Mesquita, Michael D. Intriligator, The Case for Submarine Launched Non-Nuclear Ballistic Missiles, Baker Institute, gennaio 2002.
[40] Sankaran, Russia’s Anti-Satellite Weapons. Lo sviluppo di strategie e tecnologie di “contromisura” per eludere un attacco di counterforce alla deterrenza nucleare di una nazione è sostenuto da Russia e Cina, dato il vantaggio degli Stati Uniti nella counterforce. Vedi Lieber e Mann, The New Era of Counterforce, pp. 46–48.
[41] Vedi Diane Johnstone, Doomsday Postponed?, in Paul Johnston, From Mad to Madness: Inside Pentagon Nuclear Planning, Atlanta, GA, Clarity, 2017, pp. 272–86.
[42] Ellsberg, The Doomsday Machine, p. 307. Attualmente, nei circoli strategici statunitensi, si discute ancora una volta della capacità di primo attacco "low-casuality" [a basso numero di vittime] o "decapitation", da parte degli Stati Uniti, che sembrerebbe rendere meno probabili le tempeste di fuoco nucleari. Vedi Lieber e Man, The New Era of Counterforce, pp. 27–32.
[43] Magdoff e Sweezy, Nuclear Chicken, pp. 3–6.
[44] Daniel Ellsberg, Introduction: Call to Mutiny, in Thompson e Smith (a cura di), Protest and Survive, pp. i–xxviii. Fu ristampato come Call to Mutiny, Monthly Review 33, n. 4, settembre 1981, pp. 1–26.
[45] Ellsberg, The Doomsday Machine, pp. 319–22.
[46] Brzezinski, The Grand Chessboard, pp. 46, 92–96, 103.
[47] Redazione, Note della redazione.
[48] Diana Johnstone, Doomsday Postponed?, p. 277.
[49] Redazione, Note della redazione; Diane Johnstone, For Washington, War Never Ends, Consortium News 27, n. 76, 2022; John Mearsheimer, On Why the West Is Principally Responsible for the Ukrainian Crisis, Economist, 19.03.2022.
[50] Mark Episkopos, Putin Warns the West to Heed Russia’s Redlines in Donbass, National Interest, 21.12.2021; Russia Publishes ‘Red Line’ Demands of US and NATO Amid Heightened Tension Over Kremlin Threat to Ukraine, Marketwatch, 18.12.2021.
[51] U.S. Lawmakers Say They Are Largely Opposed to a No-Fly Zone Over Ukraine, New York Times, 06.03.2022.
[52] Will Steffen et al., Planetary Boundaries: Guiding Human Development on a Changing Planet, Science 347 n. 6223, 2015, pp. 736–46.
[53] Rob Wallace, Dead Epidemiologists: On the Origins of COVID-19, New York, Monthly Review Press, 2020.
[54] UN Intergovernmental Panel on Climate Change, Summary for Policymakers, Climate Change 2022: Impacts, Adaption and Vulnerability, Ginevra, IPCC, 2022. Vedi anche, Summary for Policymakers, Climate Change 2021.
[55] Questa conclusione è in effetti coerente con la terza parte del Sesto rapporto di valutazione dell'IPCC, sotto forma di rapporto di mitigazione che verrà pubblicato a marzo 2022, ma è stato fatto trapelare in anticipo dagli scienziati. Vedi, Summary for Policy Makers, parte III del Sesto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici del Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite.
[56] Ellsberg, The Doomsday Machine, p. 18. Il riscaldamento globale e l’inverno nucleare sono collegati sotto un altro aspetto. Se il riscaldamento globale aumentasse al punto da destabilizzare la civiltà globale - cosa che gli scienziati naturali prevedono che potrebbe accadere se le temperature medie globali aumentassero di 4°C - aumenterebbe anche la concorrenza tra gli stati capitalisti, innalzando così il rischio di una conflagrazione nucleare, e quindi [il rischio] di un inverno nucleare.
[57] Thompson, Beyond the Cold War, p. 76.
John Bellamy Foster
Traduzione e revisione a cura di Walter Dal Cin, Luciano Dal Mas, Claudio Della Volpe e Giovanni Fava
Fonte: Monthly Review vol. 74, n. 01 (01.05.2022)
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