Fonte: Aldo Sottofattori - 20.11.2020
Indice: Introduzione - Rischi reali - Le tesi - Conseguenze e conclusioni - Ed ecco la scommessa
Introduzione
La società moderna ha generato un'enorme quantità di lavoro rivolto a produrre oggetti e servizi inutili. Naturalmente, chi sostiene la società affluente, o società dei consumi, afferma che la produzione di qualsiasi bene o servizio rappresenta una possibilità per qualcuno di guadagnarsi il pane e di mandare a scuola il/la figliolo/a. Certo, ogni lavoro è utile per qualcuno. Ma ciò non significa che il prodotto del suo lavoro sia utile. È fin troppo facile esibire esempi: tra le merendine per i bambini e i cacciabombardieri per gli adulti ci stanno tutti i prodotti inessenziali che un "illustre" imprenditore ha quantificato nel 70% della produzione. Pur chiamandola inessenziale, l'ha esaltata! Già! secondo il Nostro la macchina del desiderio sociale deve funzionare a pieno regime. Nulla è più necessario del superfluo! Esso alimenta «reddito, felicità, progresso». Difficilmente si riflette sul fatto che lo sviluppo di beni sempre più raffinati, pur realizzando reddito per il cittadino-lavoratore e la soddisfazione per il cittadino-consumatore, comporta la retroazione su consumi collettivi di base determinando il loro scadimento. Se 500 mila europei muoiono ogni anno per problemi respiratori a causa dell’inquinamento atmosferico significa che alcune produzioni retroagiscono su un bene primario quale l'aria che respirano. Inutile aggiungere innumerevoli esempi. Inoltre, sarebbe necessario indagare il senso di vuoto e l'infelicità irrimediabile vissute da masse sempre più estese. Tuttavia non voglio dibattere questioni spinose troppo legate a visioni diverse dalla mia. Meglio spostare il discorso altrove.
Il covid19 ha offerto in anteprima il modello delle condizioni che si verificheranno in futuro. Lo ha fatto, in un primo momento, determinando la chiusura di quel complesso di produzioni che sono state chiamate "inessenziali"; poi, con la seconda ondata della pandemia, agendo sui servizi della ristorazione, del turismo, della cultura e in tutto ciò che non fosse stato strettamente necessario per la produzione manifatturiera. Il risultato? una crisi mai vista dopo la Seconda Guerra Mondiale!
Ora, qualcosa del genere accadrà in un futuro assai prossimo, ma non sarà un virus a decidere la cancellazione del surplus produttivo. Altre condizioni determineranno il crollo della produzione veramente inessenziale. Ciò potrà accadere secondo due modalità: a) come nuova governance internazionale a seguito della presa d'atto dell'insostenibilità di un sistema secolare o b) come crollo sistemico. La seconda possibilità è più probabile. La pertinace insistenza con la quale i sostenitori a oltranza di questa organizzazione sociale vorranno mantenere in vita due cadaveri, i cadaveri dell'economia liberista e della società liberale, determinerà il crollo definitivo della civiltà.
Rischi reali
Una sorprendente dimenticanza indotta dalla pandemia può essere identificata dalla revoca della questione ambientale dal panorama politico. Sembrerebbe un fatto comprensibile vista l'urgenza di salvaguardare il funzionamento delle strutture sanitarie o di sostenere attività economiche minate dalla circolazione del virus. Resta un fatto: lo si voglia o no la questione ambientale non la si cancella sospendendone il discorso. È il vero "convitato di pietra"! La maggioranza degli umani non vuole accettare l'idea, ma sta arrivando quella che Gunter Anders chiamò "apocalisse senza regno". Anders si riferiva alla guerra atomica tra superpotenze. Quella era una apocalisse possibile che fino ad oggi, fortunatamente, non s'è manifestata. Anche gli umani dominanti sono "perplessi" a impiegare armi definitive. Invece, l'apocalisse che sta arrivando a grandi passi è maledettamente più infida. Essa non si manifesta come esplosione istantanea che incenerisce il mondo. No, lo cuoce a fuoco lento. La nuova apocalisse è già iniziata, e accompagna silenziosamente la vita della comunità mondiale e di buona parte della vita non umana. Attende soltanto di scatenare in modo visibile la sua furia saldando insieme anelli di retroazione che tendiamo a pensare come separati. Tutto questo non si è ancora compreso. Non l'hanno compreso le compagnie che estraggono fossili, non l'hanno compreso i partiti politici, né gli economisti, né i sindacati, né i lavoratori, né i consumatori: tutti pretendono a gran voce il mantenimento di una cornucopia ormai rinsecchita come il suo scarno contenuto.
Gli umani non hanno compreso dinamiche inscritte in processi quasi-deterministici scolpiti sulle pagine metalliche del libro della storia futura. Soltanto uno sforzo sovrumano, pertanto poco umano, può consentire di deviare da un approdo estremamente probabile. Quale approdo? La caduta dell'Occidente, la regressione della civiltà, la fine della storia come è stata per secoli immaginata, l'ingresso in una distopia permanente, l'eterno conflitto.
La catena degli eventi è abbastanza definita. Per comprenderla dobbiamo fare riferimento ai caratteri di ciò che ormai viene universalmente chiamato "antropocene": 1) il riscaldamento climatico connesso all'impiego dei combustibili fossili, 2) la smisurata estrazione di risorse che schiude il problema della sostenibilità, 3) la trasformazione delle risorse estratte in cumuli immensi di rifiuti e nella diffusione dell'inquinamento in vasti territori. I punti (1), (2) e (3) determinano poi, come effetto diretto, 4) la distruzione della biodiversità il cui delicato equilibrio rappresenta la condizione per la permanenza della vita.
L'accelerazione esponenziale dei quattro fenomeni comporterà la distruzione di ampie zone dell'ecumene e la messa in movimento di milioni di persone che fuggiranno dalla miseria e dallo sconvolgimento delle loro terre. Si dirigeranno dove penseranno di trovare rifugio incontrando la reazione di altri popoli, anche loro ormai gravemente impoveriti, che li respingeranno decretando così la fine di ogni possibile solidarietà umana. Ideologie, etnicismi e nuove guerre di religione sorgeranno dal nuovo vaso di Pandora nel tentativo di trovare una soluzione semplice e impossibile per le nuove emergenze. Le élite mondiali, sopraffatte dalla complessità dei problemi e impegnate nel reperire le poche risorse rimaste nel vano tentativo di placare la rabbia dei rispettivi popoli, non riusciranno più a rilanciare le rispettive economie se non dando fondo alle ultime risorse non rinnovabili della natura. E in tal modo non faranno che peggiorare la situazione. Il rancore delle popolazioni, allettate per decenni con le promesse impossibili di un progresso infinito e smarrite per la caduta in condizioni inattese, alimenterà i nazionalismi che tanto ruolo hanno avuto nelle devastazioni del secolo scorso. Quella che si prefigura è la guerra di tutti contro tutti in un contesto in cui le passioni soverchieranno la ragione.
Non è il caso di insistere troppo sugli scenari da brividi che dovrebbero preoccupare e che invece vengono tendenzialmente ignorati. Ormai esiste una letteratura molto "materialista" che si dilunga su questi pericoli incombenti, e chi vuole ne ha accesso. Purtroppo la conoscenza umana è stata costruita in modo atomistico, frammentario, ogni questione è vista in modo indipendente. In tal modo si pensa che, bene o male, sia possibile trovare soluzioni definitive, o anche parziali, e uscire da ogni condizione di pericolo. Quel che manca è una visione di insieme che consenta di individuare gli effetti che un evento è in grado di generare sugli altri causando una reazione incontrollabile. Poche sono le voci veramente allarmate capaci di raccordare insieme gli effetti dell'azione umana sul Pianeta: gli studiosi di scienze "non-meccanicistiche", il Papa attuale, alcuni movimenti radicali. Tuttavia, sebbene preoccupati per i pericoli incombenti e capaci di vedere le interconnessioni tra questioni ambientali, economiche, politiche e sociali, non tutti offrono soluzioni e molti di essi si fermano agli ammonimenti chiedendo alla politica di prestare attenzione a ciò che ci attende e auspicando che vengano messe in campo soluzioni adeguate. Trovano orecchie disponibili?
Occorre dire che la politica, un tempo completamente sorda alle questioni dell'ambiente, ha oggi modificato il proprio atteggiamento. In seguito alle pressioni degli studiosi del clima e allertati dai fenomeni sempre più estremi connessi al riscaldamento climatico e rovinosi sul piano economico, gli Stati hanno promosso da qualche decennio conferenze internazionali che sono sempre rigorosamente fallite. L'accelerazione produttiva non si è fermata e la CO2 ha continuato ad aumentare a dispetto delle firme su protocolli pieni di fredde intenzioni. Ma poiché l'accelerazione produttiva comporta accelerazione dei fenomeni ambientali e atmosferici, è accelerata anche l'ansia di trovare qualche drastica soluzione. In questo modo sono nati i Green New Deal in Europa e negli Stati Uniti e vari programmi di politiche finalizzate a tentare di ridurre l'impatto dei fossili sulle economie del mondo.
Finalmente! tutto ok dunque? neanche per sogno! Dovremmo ricordarci che i caratteri dell'antropocene sono quattro. Di questi la produzione di CO2 è solo il primo. Inoltre, fatto ancor più grave, è assurdo il modo con cui si pensa di poter avere ragione sul riscaldamento climatico. Si dà per scontato che gli abbattimenti della CO2 possano scaturire grazie a soluzioni tecnologiche che creerebbero persino una spinta ulteriore verso lo sviluppo di nuovi lavori superqualificati capaci di occupare tutta la forza lavoro eccedente. Nel passato le cose si sono manifestate proprio in quel modo. Ma allora le risorse del Pianeta erano per larga parte intonse. Come se ciò non bastasse questa illusione se ne porta dietro un'altra: la credenza che la questione climatica e i suoi annessi possano risolversi:
senza una ricostruzione radicale delle istituzioni principali della comunità umana: lo Stato, le costituzioni, i rapporti di proprietà, la dottrina giuridica che li regola, la teoria economica e tant'altro.
Con questo scritto non intendo approfondire questioni ampiamente dibattute che nel prossimo futuro sono destinate a catturare la scena a ritmi serrati. Ma poiché quel dibattito rimane interno a logiche che potremmo classificare mainstream, sia che si sviluppino all'interno del mondo imprenditoriale o tecnologico o politico o (persino) ambientalista, proverò a portare in evidenza tesi che girano sommessamente e che stentano a porsi all'attenzione generale. Sono tesi antitetiche al quadro che viene proposto da ogni dove. Sono tesi antitetiche rispetto ai sogni che propongono città cablate con tecnologie avveniristiche; ai sogni dell'ambientalismo superficiale; a quelli di un ambientalismo più avvertito che guarda alla realtà in modo preoccupato, ma che conserva la speranza di salvare, come si dice, capra e cavoli. Ora possiamo passare alle tesi.
Le tesi
Tesi 1 – Nessuna energia alternativa, tranne l'energia nucleare, può supportare in modo significativo un'economia precedentemente basata sulle energie fossili
L'accelerazione con la quale la civiltà occidentale – e poi la globalizzazione – ha preso slancio è stata resa possibile unicamente dall'impiego dell'energia concentrata nei fossili carboniosi. L'attuale sostegno alla produzione è ancora garantito da ampie disponibilità di petrolio, gas, carbone. Se venisse a mancare questa disponibilità, l'umanità si troverebbe a disporre esclusivamente di energia solare reperibile in varie modalità, ma distribuite in forme troppo estensive. Pertanto, le energie alternative, oltre a causare indubbi problemi ambientali (se spinte oltre una certa soglia), incontrerebbero limiti oggettivi che ne restringerebbero la disponibilità.
Corollario: la società affluente è destinata a scomparire con la fine – o la drastica riduzione – dell'impiego delle energie fossili
***
Tesi 2 – I problemi della relazione umano-ambiente non sono causati dalla scarsità, ma dall'eccessiva disponibilità di energia
Ricordiamo i quattro fattori che danno luogo all'antropocene:
1. riscaldamento climatico
2. estrattivismo forsennato
3. diffusione di rifiuti
4. distruzione della biodiversità
Una ipotetica fonte energetica inesauribile priva di effetti del primo tipo nelle mani di una specie ancora impregnata di ideologia specista (la credenza della centralità umana nella vita del Pianeta) sarebbe semplicemente devastante per gli effetti accelerativi su (2), (3), (4). Essa consentirebbe alla nostra specie di espandere la propria presenza fino a colonizzare l'ultimo metro quadrato della Terra distruggendo le basi stesse della vita.
Corollario: L'energia nucleare, potrebbe risolvere gli effetti del riscaldamento climatico (1), ma, a prescindere dalle ben fondate obiezioni classiche, deve essere rifiutata anche per gli effetti conseguenti su (2) (3) (4)
***
Tesi 3 – In virtù della propria capacità tecnologica, l'essere umano è l'unica specie che determina ferite non rimediabili sulla pelle del Pianeta. Ogni sviluppo tecnologico determina accelerazioni entropiche, ovvero aumento rapido del disordine del processo fin qui fissato dall'evoluzione
La terza tesi spegne alcune speranze fondamentali che riposano nell'intimo dell'umano. In particolare la capacità ricostruttiva o ricostitutiva degli ambienti originari mediante soluzioni tecnologiche o geoingegneristiche. L'unica possibilità, qualora si desideri tentare di ripristinare una condizione perduta in una certa zona, consiste in un alleggerimento della pressione antropica, in un "ritrarsi" più o meno marcato. Maggiore sarà questa soluzione, più alte saranno – ma mai certe – le possibilità di recupero. Occorre mettere in guardia contro un'altra illusione. L'ecologia studia le interrelazioni tra tutti gli esseri viventi (biocenosi) e l'ambiente che li ospita (biotopo). La specie umana rompe questo equilibrio. È indubbio che anch'essa si trovi in regime di dipendenza rispetto alle altre specie, ma sin dall'inizio della sua comparsa gioca un ruolo di frattura dell'equilibrio preesistente e, poco alla volta, lo stravolge. Poniamoci una domanda. Si può parlare di "equilibrio ecologico" nell'ecumene (lo spazio terrestre colonizzato dagli umani) se la biomassa degli animali allevati rappresenta un peso 15 volte superiore rispetto alla biomassa di tutti gli animali selvatici? o se il peso attuale dei manufatti supera quello della biomassa di tutta la Terra? L'ecologia non può costituire la scienza di un ambiente in cui l'essere umano rappresenta una presenza significativa! Insomma, la pretesa umana di assumere "comportamenti ecologici" è assurda; la nostra specie può soltanto tentare di minimizzare il danno. Dietro l'idea di tutela ambientale o di comportamento ecologico da parte di politici e imprenditori – ormai tutto è diventato "ecologico" perché di moda – c'è l'occultamento di attività variamente impattanti e quasi sempre gravi.
Corollario: nessuna attività umana moderna svolge (o può svolgere) una funzione ecologica.
Conseguenze e conclusioni
Partiamo dall'ipotesi che le tre proposizioni illustrate siano fondate. In tal caso, quale strada dovrebbe essere percorsa per evitare il baratro? Occorre insistere su un fatto che si tende sempre a dimenticare: i problemi umani legati al rapporto con l'ambiente non possono essere ricondotti esclusivamente al cambiamento climatico, bensì all'insieme dei quattro fattori che sono stati ripetutamente citati.
Delle tre tesi, la seconda è quella da tenere maggiormente in considerazione: l'eccesso di disponibilità di energia si è rivelato catastrofico. La grande disponibilità di energia sta lentamente ma letteralmente cancellando risorse che l'evoluzione ha prodotto in milioni d'anni. Il potere strisciante dell'energia non è percepibile da una specie che indirizza la sua attenzione su altri interessi; il profitto, ad esempio, o l'esercizio del potere. Anche per questo motivo l'energia nucleare deve essere cassata. A sua volta, la prima tesi, per quanto ci obblighi a drastici ripensamenti riguardo la società dei consumi, deve essere accettata con serenità: le energie pulite ottenibili senza forzature assurde, insieme alla quantità di energia fossile compatibile con la protezione del clima, dell'ambiente e della biodiversità costituiscono la condizione limite da cui è possibile derivare, a ritroso, l'economia possibile.
La terza tesi, a sua volta, ci dice che le soluzioni tecnologiche non sono in grado di mantenere i consumi di massa attuali perché l'idea che ci permettano di produrre di più con meno risorse e meno energia è semplicemente una bugia. Ciò può essere dimostrato attingendo agli studi pionieristici di Nicholas Georgescu-Roegen e di coloro che li hanno raccolti e sviluppati. A questo bisogna aggiungere la considerazione definitiva secondo la quale il comportamento sociale dell'uomo – inevitabilmente tecnologico – non è, né può essere ecologico. Ciò significa che ogni produzione – anche in un sistema energetico a bassa intensità (vedi, ad es. il caso di Rapa Nui) – deve essere attentamente valutata nelle sue implicazioni impattanti prima di essere implementata per verificarne la compatibilità con le problematiche (2), (3), (4).
Se le tesi sono vere, le conseguenze sono ovvie. Occorre un brusco rallentamento della capacità umana di dissipare gli stock naturali (vero problema della specie); inoltre è anche necessario ridurre l'assorbimento dei flussi prodotti dalla natura. In altre parole, la società deve essere organizzata in modo da poter resistere a uno shock produttivo come non si è mai visto nella storia economica. Ovviamente è impossibile entrare nei dettagli, ma è chiaro che l'abbattimento delle attività umane nei paesi sviluppati deve essere verticale. Considera che miliardi di esseri umani vivono ancora in condizioni inaccettabili che necessitano di essere sanate, quindi il loro contesto non può sopportare alcuna diminuzione della produzione di beni indispensabili, semmai il contrario. Inoltre, è stato da tempo accertato che lo sviluppo è stato creato creando, a sua volta, il sottosviluppo; anche per questo un riequilibrio delle condizioni di vita tra i popoli è un dovere morale assoluto.
Insomma, al di là di ogni ragionamento capzioso e pedante, le risorse materiali alle quali la specie attinge devono diminuire drasticamente. Non è un capriccio dettato da filosofie pauperistiche per niente desiderabili, ma il giusto prezzo da pagare per avere imboccato strade sbagliate e pericolose. La specie umana ha commesso degli errori gravissimi verso se stessa (in particolare verso una parte di sé), verso l'ambiente biologico che le ha dato vita, verso i suoi compagni di viaggio su questo Pianeta, quelli che si ostina a chiamare "animali". Quando finirà questa difficile fase di transizione? Quando Homo sapiens sarà in grado di diminuire il suo numero, potrebbe iniziare a riprendere fiato e concedersi qualche possibilità in più (sempreché, nel frattempo, non dimentichi di creare una società giusta). In fondo, la legge è molto semplice: se le risorse materiali a cui una specie può accedere sono limitate, entro limiti ragionevoli la disponibilità pro capite aumenta con la diminuzione dei capi.
Come dovremmo procedere? Nessun individuo singolo può dare quelle ricette che soltanto la buona politica potrebbe definire. Tuttavia è certo che soltanto misure drastiche potrebbero immediatamente incominciare a dare grande respiro al nostro Pianeta e riaprire prospettive al destino umano. Ipotizziamo alcuni obiettivi ineludibili:
– Eliminare tutti gli allevamenti significherebbe a) smettere di colonizzare enormi spazi ancora ricchi di biodiversità, b) restituire alla biodiversità ampie superfici non ancora rovinate in modo irreversibile, c) ridurre drasticamente i deserti verdi delle monoculture, d) liberarsi delle zoonosi e quindi delle inevitabili pandemie future, e) guadagnare in salute collettiva grazie al consumo di cibi esclusivamente vegetali, f) recuperare il rapporto di empatia con le altre specie perduto da tempi immemorabili con effetti sorprendenti sulla salute mentale collettiva.
– Eliminare i voli aerei – perlomeno quelli destinati al turismo di massa – significherebbe offrire un'immediato innalzamento della qualità dell'aria.
– Eliminare i sistemi d'arma – tutti i sistemi d'arma – significherebbe liberare un'immensa quantità di materie prime da destinare altrove ed evitare di attingerne altre per il futuro; significherebbe un importante risparmio di energia di origine fossile; ma significherebbe anche impedire a psicopatici pericolosi di dare corso continuo a guerre e conflitti che comportano, in primis le sofferenze impartite a popolazioni inermi, e poi le distruzioni di manufatti e l'accelerazione dell'entropia.
– Ridurre l'impiego della mobilità privata – abbandonando i sogni di impossibili auto ecologiche (chi ne parla è in malafede) – significherebbe recuperare gran parte di materia ed energia per usi diversi.
– Di converso, sviluppare in modo corretto le economie nei paesi poveri determinerebbe quel freno demografico necessario per ricondurre la specie alla sua giusta dimensione (che comunque dovrebbe essere ricalcolata anche nei paesi "sviluppati").
Fatto questo, saremmo ancora all'inizio. Infatti occorrerebbe poi agire su tutto il resto per cancellare l'economia inutile che svolge un peso tutt'altro che trascurabile nelle ferite inferte al Pianeta. Inutile illudersi. L'effetto di tutti gli interventi sarebbe enorme rispetto alle perdite temporanee che le economie mondiali hanno subito a causa della pandemia, e, soprattutto, sarebbe stabile per un periodo inderminabile.
Inutile andare oltre su questioni che nessun individuo singolo può dettagliare. Conviene invece fermarsi a riflettere sul sapore di "utopia" che sembra accompagnare le proposte illustrate. L'assestamento delle società moderne su un livello di austerità oggi inimmaginabile sembra qualcosa di assurdo. Ne sono perfettamente cosciente. Ma ragioniamo. L'utopia è una visione immaginaria di qualcosa che sta fuori dalla realtà. Questo termine non dovrebbe essere impiegato nel contesto della nostra discussione perché improprio: se un auspicabile e possibile stato di cose è osteggiato da forze politiche preponderanti, non c'è alcun motivo per accusare il progetto di essere utopistico. Non c'è nessun motivo per pensare che non si possano eliminare i sistemi d'arma, o il turismo aereo di massa, o sostituire la mobilità privata con una pubblica. Quindi, a rigore, poiché il problema possiede una natura convenzionale, ovvero legata alle scelte di soggetti politici, parlare di utopia è fuorviante. Non è stato utopistico aspirare alla cancellazione della schiavitù o al suffragio universale. Tutto questo ci fa comprendere come ogni soluzione – tutte le proposte fatte sono materialmente realizzabili – possa incontrare ostacoli durissimi (basti pensare a come dovrebbe essere ripensato il lavoro umano in una condizione quale quella delineata, una questione enorme, veramente titanica), ma non impossibili. Naturalmente nulla di tutto questo si realizzerà senza nuove istituzioni. Occorrono istituzioni adeguate che possono scaturire soltanto da soggettività politiche capaci di inserirsi come cerniera tra un mondo in declino, quello che rifiuta le tre tesi, e un mondo nuovo, quello che le prende in considerazione. In assenza di queste soggettività politiche, immaginare l'idea che l'attività umana possa avere qualche possibilità di essere ricondotta su un piano di compatibilità con le leggi biologiche della vita significa cadere nell'illusione più cocente. Ma, ribadisco, l'"utopia" non c'entra nulla.
Ed ecco la scommessa
Francamente non penso che questa umanità sia in grado di diventare vegana, pacifista, austera nei consumi, nemica dell'intossicazione dei veleni chimici e psicologici che assorbe quotidianamente. Non credo che essa accetti di voler transitare verso la vita, considerando che è prona alla necropolitica e alle sue false promesse. So che parlare di "umanità" è rischioso. In effetti l'umanità si compone di sfruttatori e di sfruttati, ma rispetto ai canoni binari ottocenteschi (proletari vs sfruttatori) le cose sono cambiate mica poco. La stratificazione è aumentata, e nel contesto attuale, denso di pericoli e di rischi di regressione, ognuno si attacca a quello che ha e non vuole perderlo. È nella logica delle cose. Perciò, in assenza di una classe numericamente rilevante e con interessi ben definiti, uscire da uno stato di cose per entrare in un altro è un'avventura improbabile. Purtroppo ancora non esiste un soggetto politico capace di svolgere un'azione pedagogica di massa e liberare le menti da falsità e paure nella prospettiva di una grande trasformazione di civiltà. Ne consegue che il sistema (nella sua accezione più ampia), diventa un conglomerato di elementi certamente litigiosi, ma che si tengono stretti l'un l'altro confermando la volontà collettiva di spingersi verso l'abisso.
Dunque, la scommessa è questa:
scommetto che se le tre tesi non verranno poste alla base delle scelte future dei popoli, l'umanità si inserirà nel ramo discendente della parabola della sua storia e vivrà la discesa agli inferi.
Certo le scommesse si possono anche perdere. Comunque la pongo con spirito sereno. Infatti, se le tesi si mostreranno false, l'attenzione generale sarà rivolta sui fuochi d'artificio delle «magnifiche sorti e progressive» dell'"Uomo" e i vaneggiamenti di uno "sconosciuto catastrofista" saranno semplicemente dimenticati. Oltrettutto sarò estremamente felice di essere caduto in errore. Se invece le tesi si riveleranno pregnanti qualcuno dovrà spiegare come mai si sia imboccata la strada della perdizione e per servire quali interessi. Se la scienza cartesiana, il businness, e l'inettitudine della cattiva politica – tre ambiti fortemente integrati – porteranno alla realizzazione di qualcosa di molto lontano dalle loro eterne promesse e se, addirittura, si concretizzeranno i peggiori timori distopici, allora sarà concesso di riproporre la parafrasi di una famosa maledizione marxiana: i "grandi" responsabili delle future catastrofi saranno inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non potranno essere riscattati da nessuna discolpa, perché avranno avuto modo di fare scelte diverse e non l'avranno fatte. E poiché, nonostante il collasso della Storia, i loro nomi lasceranno delle tracce, sarà possile, per figli e nipoti, scoprire le loro "gesta" e pisciare sulle loro tombe.
Aldo Sottofattori 20.11.2020
> English text in PDF (click here)
Aggiungi commento