Fonte: Monthy Review - 01.12.2022 *
È una premessa fondamentale del marxismo quella per cui, quando cambiano le condizioni materiali, cambiano pure le nostre idee sul mondo in cui viviamo.
Ai nostri giorni assistiamo a una vasta trasformazione nel rapporto tra la società umana e il mondo fisico-naturale cui essa appartiene; il che è evidente nella comparsa di quella che nella storia geologica è oggi indicata come epoca antropocenica, durante la quale l’umanità è divenuta la principale forza nella trasformazione del Sistema-Terra. Una «frattura antropogenica» nei cicli biogeochimici terrestri – frattura che deriva dal sistema capitalistico – minaccia ora di distruggere la Terra in quanto casa sicura per l’umanità e per le innumerevoli specie che ci vivono, in un arco di tempo non di secoli, ma di decenni.[1] Tutto questo richiede per forza di cose una concezione più dialettica del rapporto tra l’umanità e quello che Karl Marx chiamava «metabolismo universale della natura».[2] Oggi il punto non è soltanto capire il mondo, ma cambiarlo prima che sia troppo tardi.
Dal momento che, fin dalla sua concezione alla metà del diciannovesimo secolo, il marxismo è stato la base primaria della critica alla società capitalistica, ci si aspetterebbe che fosse all'avanguardia nella critica ecologica al capitalismo. Ma se si può dire che i materialisti storici e i socialisti più in generale abbiano svolto un ruolo preminente e formativo nello sviluppo della critica ecologica – specialmente in seno alle scienze –, i contributi fondamentali dell’ecologia socialista, soprattutto in Gran Bretagna, hanno preso piede al di fuori delle principali tendenze che avrebbero definito il marxismo del ventesimo secolo nel suo insieme. A partire dagli anni Venti e Trenta, una profonda spaccatura è emersa in seno alla teoria marxiana, minacciando lo sviluppo di una visione ecologica coerente dentro la sinistra. Il dogmatismo con cui, da un lato della spaccatura, il pensiero ufficiale sovietico a metà degli anni Trenta si avvicinava alla questione della dialettica della natura e del materialismo dialettico più in generale, aveva la sua controparte nel rifiuto categorico, da parte del marxismo occidentale, della dialettica della natura e della sua concezione materialista. Parlare de “Il ritorno della dialettica della natura: la lotta per la libertà come necessità” significa perciò riferirsi al superamento – basato sul materialismo storico classico e il naturalismo dialettico che emerse in Gran Bretagna tra le due guerre – delle principali contraddizioni che minacciano lo sviluppo di una critica ecologica marxiana unificata.
I. Il marxismo post-lukacsiano e la critica alla dialettica della natura
Quasi un secolo fa, in seguito alla pubblicazione di Storia e coscienza di classe di György Lukács, si verificò una svolta fondamentale nel pensiero marxiano, che diede origine a quella che è oggi nota come tradizione filosofica marxista occidentale, ma che, con maggior precisione, si potrebbe indicare come «marxismo post-lukacsiano».[3] Lukács, mediante la dialettica hegeliana, sostenne che il proletariato era il soggetto-oggetto identico della storia, dando nuova coerenza filosofica al marxismo e ridefinendo al tempo stesso il pensiero dialettico in termini di totalità e mediazione.
Eppure, in quello che sarebbe divenuto un tratto tipico del marxismo occidentale, Lukács, in conformità con la tradizione neokantiana, rifiutò il concetto engelsiano di dialettica della natura, sulla presunta base del fatto che Engels aveva seguito la «via sbagliata» di Hegel nel guardare alla dialettica come pienamente operativa nella natura esterna.[4] Lukács utilizzò il principio di Vico secondo cui possiamo capire la storia (il regno transitivo) perché «l’abbiamo fatta»; si può dunque dire che la riflessività dialettica trovi impiego in tutte quelle situazioni. Viceversa, secondo la stessa logica, non possiamo capire dialetticamente la natura (il regno intransitivo) in quanto priva di soggetto.[5]
Al tempo stesso – andrebbe osservato – in Storia e coscienza di classe, Lukács non rifiutò categoricamente la dialettica della natura; piuttosto, proprio come Engels, aderì al concetto secondo cui esiste una «dialettica» della natura «meramente oggettiva», percepibile da un «osservatore distaccato».[6] Posizione che, dunque, si potrebbe considerare alla base della più alta dialettica storica soggetto-oggetto relativa alla pratica sociale umana. In questo modo Lukács, ponendosi in tal senso sulla scia di Engels, concepì una gerarchia della dialettica che si estendeva dalla dialettica meramente oggettiva fino alla dialettica del soggetto-oggetto identico della storia. Inoltre, nelle sue ultime opere, a partire dal manoscritto Codismo e dialettica, scritto a pochi anni di distanza da Storia e coscienza di classe, Lukács sarebbe divenuto uno strenuo difensore della dialettica tra natura e società radicata nella teoria marxiana del metabolismo sociale.[7]
Eppure, i marxisti post-lukacsiani consideravano il rifiuto categorico della dialettica della natura un principio cardine del marxismo occidentale e perfino del pensiero dello stesso Marx. Engels era in questo modo, separato da Marx. Come scrisse Jean-Paul Sartre: «Nel mondo storico e sociale […] vi è davvero una ragione dialettica; trasferendola nel “mondo naturale”, imprimendola a forza, Engels le toglie razionalità; non si tratta più di una dialettica che l’uomo fa facendosi, dalla quale vien fatto di rimbalzo, ma di una legge contingente di cui si può dire solo che è così e non altrimenti».[8] Tale critica andava a braccetto con l’ostilità verso il materialismo e il realismo scientifico, nel senso di un rifiuto della concezione materialista della natura e di un distanziamento dalle conquiste della scienza.[9] Una seria analisi ecologica risultava dunque assente nella tradizione filosofica marxista occidentale.
Nonostante nelle opere dei teorici della Scuola di Francoforte, Max Horkheimer e Theodor Adorno, trovasse spazio la famosa critica al «dominio della natura», questa non si spinse mai oltre la critica alla scienza illuministica – per poi aderire infine, in maniera pessimistica, alla sua inevitabile necessità.[10] La trattazione de "La rivolta della natura", di Herbert Marcuse in Controrivoluzione e rivolta, non andava oltre la nozione di dominio (e inquinamento) delle "qualità estetiche sensuali" della natura come mezzo per il dominio dell'umanità, e la necessità di una ribellione ambientale in risposta a ciò.[11] In effetti, non potrebbe sussistere un’analisi significativa della natura-società in cui, sia la concezione materialista della natura che la dialettica della natura siano negate, lasciando così la teoria marxista priva di un’analisi dialettica critico-realista su cui basare una critica ecologica. All’interno del discorso filosofico marxista occidentale, il rapporto degli esseri umani con la natura venne ridotto tutt’al più alla tecnologia, che fu poi soggetta a critiche in quanto feticcio positivistico della tecnica, slegata dalla più ampia questione del mondo naturale e del rapporto umano-sociale al suo interno.
Quel che mancava in un tale approccio unidimensionale era un qualsiasi concetto di natura in quanto potenza attiva. Come scrisse Roy Bhaskar, criticando tali tendenze nel marxismo occidentale: «I marxisti [intendendo con ciò i filosofi marxisti occidentali] hanno […] perlopiù considerato solo una parte del rapporto natura-società, ovvero la tecnologia, descrivendo il modo in cui gli esseri umani si sono appropriati della natura, ma ignorando di fatto le maniere (presumibilmente studiate in ecologia, biologia sociale e così via) in cui, per così dire, la natura si riappropria degli esseri umani».[12]
Eppure, in seno alle scienze naturali nelle isole britanniche, persistettero un potente indirizzo di dialettica ecologica e un materialismo critico non-meccanicistico, i quali evolvevano da una tradizione che attingeva tanto da Marx quanto da Charles Darwin e che divenne in seguito l’erede della prima ecologia sovietica rivoluzionaria degli anni Venti e dei primi anni Trenta. In seno alle scienze naturali, a sopravvivere in Occidente – specialmente in Gran Bretagna – fu questa «seconda fondazione» del pensiero marxista, che spaziava fino agli stessi Marx ed Engels e che svolse un ruolo formativo nello sviluppo di una critica ecologica, per poi rappresentare il racconto principe di The Return of Nature.[13]
II. Da Marx’s Ecology a The Return of Nature
The Return of Nature ha come area centrale di indagine la questione delle interconnessioni organiche tra socialismo ed ecologia che emersero nel secolo successivo alle morti di Darwin e Marx, avvenute rispettivamente nel 1882 e 1883, e si concentra in particolare sullo sviluppo che hanno avuto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. The Return of Nature segue un filo che avevo intessuto vent’anni prima nel libro Marx’s Ecology. È un lavoro noto soprattutto per la spiegazione della teoria marxiana della frattura metabolica; ma il reale proposito del libro era quello di spiegare come si fosse sviluppato il materialismo di Marx, risalendo al confronto con l’antica filosofia materialista epicurea contenuto nella sua tesi dottorale. La prospettiva ecologica di Marx, vi si sosteneva, si era sviluppata come controparte alla sua comprensione della concezione materialista della natura alla base della concezione materialista della storia.
Una visione pienamente materialista, come quella sviluppata da Marx, presenta tre aspetti: (1) un materialismo ontologico, che si concentra sulle basi fisiche di una realtà indipendente dal pensiero e dall’esistenza umani, e dalla quale emerse proprio la specie umana; (2) un materialismo epistemologico, meglio inteso come dialettico e critico-realista; (3) un materialismo pratico, che si concentra sulla prassi umana e il suo fondarsi sul lavoro. Poiché Marx ed Engels rifiutavano quello meccanico e metafisico, il loro materialismo era per necessità dialettico in tutti e tre gli aspetti: ontologia, epistemologia e pratica.[14] In Marx, il materialismo era intimamente connesso ad una mortalità («la morte immortale») che si applicava a tutto l’esistente e definiva il mondo materiale.[15] In questa prospettiva, derivata dall’antico materialismo greco, nulla viene dal nulla, e nulla di quanto viene distrutto è ridotto al nulla. Il mondo sociale umano, nella concezione di Marx, era, nel senso del materialismo epicureo, una forma emergente o un livello di organizzazione entro l’universo naturale-materiale. L’energia (materia e movimento), il cambiamento, la contingenza, l’emersione di nuovi raggruppamenti o forme organizzative caratterizzano tutti il mondo fisico-naturale, che si potrebbe spiegare in termini di sé stesso in quanto processo della storia naturale.[16] Fin dai suoi esordi, l’analisi di Marx era radicata nelle teorie evoluzioniste, di cui quella darwiniana della selezione naturale rappresentò il vertice assoluto nel diciannovesimo secolo.
Nella sua critica all’economia politica, Marx aggiunse alla propria visione materialista complessiva la triplice concezione ecologica: (1) del metabolismo universale della natura; (2) del metabolismo sociale (o rapporto specifico dell’uomo con la natura attraverso il lavoro e il processo di produzione); (3) della frattura metabolica (che rappresenta la distruzione ecologica successiva al momento in cui il metabolismo sociale entra in conflitto col metabolismo universale della natura).[17] Il processo di lavoro e produzione non era dunque soltanto la chiave del modo di produzione in una data forma storica di società, ma rappresentava anche il rapporto dell’uomo con la natura, e perciò i rapporti ecologico-sociali. La teoria marxiana della frattura metabolica, che si sviluppò inizialmente nel contesto della frattura nel ciclo dei nutrienti del suolo causata dalla spedizione di cibo e fibre tessili nei nuovi centri urbani – dove i nutrienti essenziali quali l’azoto, il fosforo e il potassio divennero sostanze inquinanti invece che tornare nel suolo – costituì al tempo il tentativo più avanzato di cogliere il rapporto uomo-natura. Ogni pensiero ecologico successivo, fino alla teoria dell’ecosistema e all’analisi del sistema-Terra, avrebbe attecchito in questo stesso approccio essenziale, concentrandosi sul metabolismo.
Ciononostante, l’argomentazione alla base di Marx’s Ecology lasciò il racconto del ruolo formativo svolto dai pensatori socialisti posteriori a Marx nell’emersione dell’ecologia largamente inespresso. Inoltre, rimaneva la questione controversa della dialettica della natura – legata in particolare ad Engels; tali questioni sarebbero state riprese in The Return of Nature. Nonostante Marx’s Ecology sia stato un chiaro tentativo di cogliere la visione materialista ed ecologica di Marx, il racconto contenuto in The Return of Nature era ben più complesso, non da ultimo perché dovette superare certe divisioni interne al marxismo stesso.
A questo punto, dobbiamo capire che il rifiuto simultaneo della concezione materialista della natura e della dialettica della natura in seno al marxismo occidentale fu un’eredità della tradizione neokantiana, che ebbe origine nella filosofia tedesca con l’opera del 1865 di Friedrich Lange Storia del materialismo. Lange tentò di utilizzare il concetto kantiano di noumeno – o cosa in sé inconoscibile – come base per la demolizione del materialismo, un punto di vista che fu sviluppato in modi più sofisticati dai neokantiani posteriori. Fu con l’ascesa del neokantismo che l’epistemologia arrivò ad occupare un posto di rilievo nella filosofia, spingendo da parte l’ontologia e soppiantando pure la logica dialettica legata a G. W. F. Hegel. Le idee materialiste e la scienza della natura erano considerate intrinsecamente positivistiche. Si diede di nuovo spazio alla religione e alla filosofia idealista, tramite il noumeno kantiano o cosa in sé.[18] E come osservarono Marx ed Engels, intimamente legate a ciò erano le prospettive agnostiche e dualistiche di scienziati britannici quali Thomas Huxley e John Tyndall.[19]
In opposizione al dualismo neokantiano di Lange, che rifiutava tanto il materialismo quanto la dialettica kantiana, Marx rispose deciso: «Lange è tanto ingenuo da dire che nella materia empirica io mi muovo con la più rara libertà. Egli non ha la minima idea che questo “libero movimento nella materia” non è assolutamente null’altro che una parafrasi per il metodo di trattare la materia, cioè il metodo dialettico».[20] Similmente, nel Capitale, Marx scrisse: «Nel suo fondamento, il mio metodo dialettico non solo è differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. […] per me […] l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini».[21]
Nel riferirsi al riflesso dell’«elemento materiale nel cervello degli uomini», Marx non aveva in mente un concetto semplicistico di rispecchiamento, quanto piuttosto una concezione dialettica di riflessione (e riflessività) e una ben precisa concezione di conoscenza, nella quale la ragione e l’attività oggettiva e soggettiva svolgono un ruolo centrale in una realtà storica in perenne cambiamento. Sebbene realista, la posizione di Marx era dunque una forma di «realismo critico dialettico». Come ha spiegato Bhaskar, il «metodo» dialettico di Marx, «per quanto naturalista ed empirico non è positivista ma, piuttosto, realista. […] La sua dialettica epistemologica [il suo realismo critico] lo lega a una dialettica ontologica specifica [materialista], come pure a una dialettica relazionale condizionale [storica]».[22]
Da una prospettiva storico-materialista classica, la dialettica della natura può essere considerata parte di una gerarchia dialettica. Di conseguenza, nei termini di quel che nel Capitale Marx chiamava «il suo fondamento», essa rappresenta il mondo materiale, caratterizzato da movimento, contingenza, cambiamento ed evoluzione: la dialettica in quanto processo materiale. È qui centrale il concetto per cui la natura (eccetto gli esseri umani), negli effetti contingenti ed emergenti dei suoi molteplici processi, può dirsi dotata di una sorta di attività, anche se tale attività è inconscia. A livello sociale, si può considerare la dialettica in termini di coscienza e pratica umana, il regno dell'identità soggetto-oggetto del regno storico-umano, che rappresenta la società umana in quanto forma emergente della natura. Nella sua forma alienata sotto il capitalismo, il regno umano-sociale appare spesso come indipendente dal mondo materiale della natura, o adirittura come completamente dominante sulla natura, benché questo sia un errore. Tra questi due regni astratti, quello della dialettica meramente oggettiva e di quella meramente soggettiva, si trova il potere di mediazione del lavoro e della produzione umani, la dialettica tra natura e società (quella che Lukács chiamerà «ontologia dell’essere sociale») che deriva dalla pratica, che è per Marx la chiave della dialettica materialista.[23]
Marx ci indica due vie essenziali per guardare alla mediazione tra natura e società attraverso la produzione (che per lui, nel suo senso più ampio, rappresenta per intero l’appropriazione umana della natura e, di conseguenza, ogni attività materiale). In una di queste due vie (evidentissimo nei suoi primi scritti, ma palese anche nelle opere più tarde come Glosse marginali al manuale di economia di Adolph Wagner, scritto nel 1879-80) il rapporto dell’uomo col metabolismo universale della natura è visto nei termini di un’interazione umana sensoriale con la natura, che nella filosofia classica tedesca era strettamente legata all’estetica, ma che Marx associò anche alla produzione. La seconda si trova nella sua teoria del lavoro e del processo di produzione, in qualità di metabolismo sociale tra esseri umani e natura, e rappresenta il rapportarsi attivo degli esseri umani alla terra. Per Marx possiamo conoscere il mondo, compreso, in misura ragguardevole, il regno intransitivo al di là del soggetto umano, poiché ne facciamo parte attraverso la nostra produzione e la nostra esistenza sensoriale e viviamo in un contesto condizionato dalle leggi della natura, anche se in una forma emergente nella quale, tramite specifici modi di produzione, le leggi storiche condizionano anche l’esistenza umana mediando tra natura e umanità.[24] Sulla scia di Marx, Engels aggiunse in seguito il ruolo della matematica e degli esperimenti scientifici come modi in cui l’umanità si connette dialetticamente al più ampio regno «meramente oggettivo», impiegando metodi di inferenza scientifica che inizialmente derivano dal rapporto materiale dell’uomo con la natura.[25]
In sostanza, mentre il neokantismo era radicato nella divisione categorica (non poteva essere oltrepassata) tra soggetto umano e mondo oggettivo naturale-tra fenomeno e noumeno-la dialettica materialista marxiana si fondava sull’esistenza corporea dell’uomo nel mondo fisico, in un contesto di emersione o di livelli integrati. In questo caso il dualismo tra umanità e natura non era un assunto fondamentale, ma era visto piuttosto come il risultato di una coscienza alienata radicatasi in un sistema alienato. Come avrebbe scritto Engels nella Dialettica della natura, possiamo conoscere la natura perché le «apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo».[26]
III. La dialettica della natura e la creazione dell’ecologia
The Return of Nature, che proseguiva da dove Marx’s Ecology si era fermato, portava un doppio fardello. La narrazione storica si premurava di spiegare i vari modi in cui una tradizione di analisi ecologica socialista si era originata in seno all’arte e alla scienza, dominando in tante maniere la critica ecologica alla società capitalistica contemporanea nel secolo che va dalla morte di Darwin e Marx fino all’ascesa del movimento ambientalista moderno. Ma ad un livello più teorico e profondo, The Return of Nature si occupava pure dei modi in cui la dialettica materialista della natura, spesso combinata con altre tradizioni quali il romanticismo radicale o la teoria evoluzionistica darwiniana, guidò lo sviluppo dell’ecologia moderna, che si basa sulle idee di pensatori socialisti. Si potrebbe allora ritenere che la concezione della dialettica della natura nelle sue varie forme – nonostante il rifiuto categorico da parte dei marxisti post-lukacsiani – svolga un ruolo cruciale in un processo di scoperta e critica ecologica.
Si potrebbe pensare che un’estetica dialettica, come pure una concezione dialettica del lavoro, siano alla base della comprensione da parte di William Morris dei rapporti tra natura e società. Concezioni dialettiche informarono pure il materialismo evoluzionistico ed ecologico di E. Ray Lankester. Ma il filo rosso della dialettica della natura si attiva appieno nella narrazione di The Return of Nature solo quando il lavoro di Engels è preso in considerazione. In molti modi, la famosa affermazione di Engels per cui «La natura è il banco di prova della dialettica» è la chiave di tutto, purché capiamo cosa Engels intendesse; in termini più contemporanei diremmo: «L’ecologia è il banco di prova della dialettica».[27]
Sebbene Engels sia stato pesantemente criticato da numerosi pensatori per aver adottato una rozza visione «riflessiva» della conoscenza, un'attenta analisi della sua opera mostra come tali affermazioni siano chiaramente false se riportate nel contesto delle sue reali argomentazioni.[28] Quando Engels parla di «riflessione», quasi sempre va nella direzione opposta, mostrando come ciò che percepiamo in quanto oggettivamente condizionato dal mondo materiale intorno a noi (del quale siamo parte) non è soltanto il risultato di condizioni a noi esterne, ma è anche il prodotto del nostro ruolo attivo nel cambiare il mondo circostante e della nostra comprensione di esso mediante la ragione autocosciente. Le regole di inferenza scientifica, la logica, la matematica, gli esperimenti scientifici, la costruzione di modelli, hanno tutti le proprie radici nei principii derivati dal lavoro e dalla produzione umani: ovvero, nel nostro rapporto metabolico col mondo in generale. Così come lo utilizzano Marx ed Engels, il concetto di «riflessione» – che implica sempre la riflessività, e che loro impiegano nel senso dialettico hegeliano – non ha nulla in sé di positivistico.[29]
Allo stesso modo, nell’attribuire un’attività e, di conseguenza, rapporti di tipo «meramente oggettivo» alla natura stessa, Engels ragiona in un modo che evidenzia i rapporti reciproci, la riflessività, il cambiamento, la contingenza, lo sviluppo, l’attrazione e repulsione (la contraddizione) e l’emersione (o livelli integrativi) in seno alla natura, basandosi sul complesso concetto hegeliano di «determinazioni riflessive» della «Dottrina dell’essenza» contenuta nella Logica.[30] L’obiettivo è cogliere i rapporti attivi, sistemici e non meccanicistici che costituiscono il mondo naturale, dai quali ha origine l’evoluzione (nel suo senso più ampio) ed emerge l’umanità stessa. Per Engels come per Marx, è la comprensione della nostra posizione in seno alla natura e del nostro metabolismo con il metabolismo universale della natura a fornirci gli indizi essenziali per cogliere quelle proprietà e principi fisici che si estendono al di là di noi. A tal proposito, Engels non esita nell’attribuire una sorta di attività alla natura, il mondo materiale stesso, inteso nei suoi termini più ampi come in movimento e come costituito dalla «trasformazione dell’energia».[31]
Le famose tre «leggi» engelsiane della dialettica della natura, oggi meglio intese come principi ontologici essenziali, manifestavano perfettamente questa visione. La prima legge, o legge della trasformazione della quantità in qualità e viceversa, è conosciuta nelle scienze naturali come «transizione di fase» (o come «effetto soglia»), e veniva spiegata proprio in tal modo dal matematico marxista Hyman Levy.[32] Si può pensare di riferirla al fenomeno generale dei livelli integrativi o all’insorgere di nuove forme organizzative e raggruppamenti nel mondo materiale; una prospettiva del tutto opposta agli approcci riduzionisti alla natura, e che conduce ad una gerarchia di leggi naturali: il prodotto di evoluzione, trasformazione e cambiamento. Una simile analisi risulta oggi essenziale per ogni scienza.
Il concetto di unità/identità degli opposti, o quello che Lukács, sulla scia di Hegel, chiamava «identità dell’identità e della non identità», che ha svolto un ruolo così importante nella dialettica marxiana, ambiva ad abbattere i concetti di fissità, dualismo, riduzionismo e meccanicismo, concentrandosi sulle contraddizioni e sui cicli di feedback che determinano il cambiamento trasformativo.[34]
Ciò rimanda al terzo principio ontologico, in cui l’emergenza può essere vista come il risultato di contraddizioni («lo sviluppo incompatibile di diversi elementi entro lo stesso rapporto») che derivano da cambiamenti storico-materiali e che conducono alla «negazione della negazione» – espressione comune a Hegel, Marx ed Engels. Nella versione marxiana, la frase rappresenta il modo in cui, nello sviluppo storico-materiale, il passato media tra il presente e il futuro, realizzando una dialettica della continuità e del cambiamento.[35] Lo stesso Engels faceva riferimento alla «forma spirale dello sviluppo», che si presenta quando i residui del passato e gli elementi attivi del presente si uniscono per generare ciò che Ernst Bloch avrebbe poi chiamato il «non-ancora», o una realtà del tutto nuova. Per Bhaskar, ciò assume la forma dell’«assenza dell’assenza», ovvero dell'azione trasformativa rivolta a ciò che si è ereditato dal passato per creare un’esistenza futura.[36]
In un certo senso, la negazione della negazione è una concezione storica ed evolutiva dell'emergenza. Sebbene nella prima "legge" di Engels l'insorgere di nuovi livelli di organizzazione fosse articolato in termini di trasformazione della quantità in qualità e viceversa, ora, seguendo il principio generativo dell'unità degli opposti (della contraddizione), assume un carattere evolutivo: è l’emergere di una nuova forma come risultato di un processo storico di reciproca azione e contraddizione. Questo è ciò che intendeva Bloch quando scrisse che «la differenza fondamentale tra la dialettica di Hegel e quelle di chi l’ha preceduto» è che «la sua non si ferma all’unità dei contrari o contraddizioni».[37] In termini marxiani, il passato non è mai solo il passato, ma una forza che media tra il presente (il momento della prassi) e il futuro.
In questo modo Engels, in linea con Marx, elaborò una dialettica della natura che era anche una dialettica dell'emergenza.[38] La sua analisi riconosceva l’unità e la complessità della natura, come pure la «mediazione alienata» tra natura e società rappresentata dalle irreversibili fratture nel metabolismo della natura prodotte dal capitalismo.[39] Da qui arrivò a formulare una potente condanna della conquista della natura – simile a quella operata ai danni di un popolo straniero – ad opera del capitalismo, conquista che minava le condizioni ecologiche. Quel che Engels indicava metaforicamente come «vendetta» della natura era evidente nella deforestazione, nella desertificazione, nelle estinzioni, nelle alluvioni, nella distruzione del suolo, nell’inquinamento e nella diffusione di malattie.[40] Nel diciannovesimo secolo, pochi altri pensatori (eccetto Marx e Justus von Liebig) colsero in maniera così potente e concisa la dialettica della distruzione ecologica sotto il capitalismo.
In contrasto con quanti sostennero (ma senza un valido motivo) che Engels cercasse di includere la dialettica della società umana nella dialettica della natura, la sua opera Dialettica della natura, benché incompleta, era strutturata in modo da passare dall’analisi della «dialettica meramente oggettiva» della natura mediante la scienza, ad un terreno antropologico ne «Il ruolo svolto dal lavoro nella transizione dalla scimmia all'uomo». Lì l’analisi si fondava sulla dialettica tra natura e società, evolvendo dal lavoro e dalla produzione umana e dal metabolismo sociale dell’uomo con la natura.[41] Ciò era conforme alla struttura adottata nell’Anti-Dühring, in cui l'argomentazione procedeva logicamente dalla filosofia naturale all’economia politica e al socialismo; l’economia politica e il modo di produzione erano considerati relativamente autonomi dalla dialettica della natura in quanto tale, poiché condizionati dalla dialettica della storia umana. Secondo Engels e Marx, i fattori che mediavano in effetti tra le due erano il lavoro e la produzione umana: ovvero, il metabolismo sociale. Qui si trova l'effettivo regno materiale degli esseri umani che costituisce la dialettica tra natura e società, o ciò che l’ultimo Lukács chiamerà «ontologia dell’essere sociale».
In effetti, tutto il pensiero critico-dialettico, che comprende sia la "meramente oggettiva dialettica della natura", sia quella che potrebbe essere definita il suo opposto polare, la "meramente soggettiva dialettica della società", inizia per Engels, come per Marx, con il metabolismo sociale umano attraverso il lavoro e la produzione, che costituisce il terreno oggettivo di tutta l'esistenza umana: la dialettica tra natura e società. L'autocoscienza umana richiedeva che il mondo oggettivo diventasse proprio, ma questo poteva essere raggiunto solo sulla base di principi ontologici che esprimessero la relazione specificamente umana con il metabolismo universale della natura.
Tutti i nostri concetti scientifici più importanti riguardo la natura extra-umana hanno avuto la propria origine storica nelle interazioni umane con la natura e nelle inferenze ricavate da esse. Per immaginare come funziona, possiamo rivolgerci agli antichi greci. Alla metà del quinto secolo a.C. Empedocle realizzò un esperimento che provava la natura corporea dell’aria immota e invisibile, dimostrandone la resistenza. La scoperta influenzò le idee dei greci sul volo. Così, nell'Agamennone di Eschilo, scritta poco dopo, in cui si dice che due aquile in volo (che rappresentano i due capi della casa di Atreo) «volteggiano […] muovendo i remi delle ali» come le navi sottostanti, quel che si presenta è ben più di una libera metafora: è piuttosto la diretta applicazione di un principio fisico (la natura corporea dell’aria) derivato dall’esperimento di Empedocle.[42] Per descrivere in poesia la resistenza che le ali di un uccello esperirebbero in volo, Eschilo attinge all’esperienza propria del lavoro umano, riferendosi ai remi delle navi e alla resistenza che le spinge in avanti con la forza dei remi. Se un tale esempio può sembrare bizzarro, e sebbene oggi disponiamo di spiegazioni del volo di un uccello infinitamente più sofisticate, ciò che conta è che, fin dai tempi antichi, i principi scientifici di base riguardanti la natura esterna, ebbero origine nelle inferenze sulle interazioni umane (in primo luogo la produzione umana) con il mondo naturale; inferenze che, secondo la celebre frase di Epicuro, dovevano «aspettare conferma».[43] Benché il campo d’azione dei nostri esperimenti, strumenti e interazioni con l’universo si sia allargato, resta il fatto che i concetti di base coi i quali ci accostiamo ai fenomeni naturali extra-umani hanno origine anzitutto nella nostra esperienza materiale di interazione con la natura.
Engels sviluppò la propria analisi della dialettica della natura soprattutto nell’Anti-Dühring, che lesse a Marx sotto forma di bozza (e al quale Marx contribuì con un capitolo e le note sugli atomisti greci), e nell’incompiuta Dialettica della natura.[44] Era ovviamente provvisoria, un’opera in fieri, incompleta. Gli scienziati socialisti britannici che sarebbero stati influenzati dalla dialettica materialista di Engels la consideravano una grande opera di ricerca scientifica, interlocutoria e inconclusa; un’opera che superava di gran lunga, come osservò J. D. Bernal, i lavori di filosofia della scienza del tempo di Engels, rappresentati da Herbert Spencer e William Whewell in Inghilterra e da Lange in Germania.[45]
Per molti tra i più eminenti pensatori socialisti britannici del primo Novecento – personalità svariate, quali Lankester, Arthur G. Tansley, Benjamin Farrington, George Thomson, Bernal, Joseph Needham, Lancelot Hogben e Cristopher Caudwell – un punto di riferimento essenziale era il materialismo epicureo, che si pensava offrisse non solo una profonda «concezione materiale della natura», ma anche, tramite la deviazione (clinamen, scarto), il concetto di contingenza, intesa come allontanamento da una visione del mondo puramente meccanica. Il concetto di deviazione epicurea fu evidenziato da Marx nella sua tesi di dottorato, consultabile dagli anni Venti.[46] Gli scienziati socialisti britannici la interpretarono come connessa ad una visione dialettica del mondo e alla dialettica della natura di Engels. Come sottolineò Needham, Epicuro concepiva la natura come originata da sé, pur deviando da ogni rigido determinismo.[47]
Il risultato di questa Wissenschaft storico-materialista (termine spesso tradotto con “scienza”, ma che indica anche la conoscenza più in generale, quando usata per approcciare in modo sistematico un qualsiasi argomento) fu una grande rinascita del naturalismo dialettico.[48] Tale rinascita includeva, per indicare solo alcuni dei suoi tanti esiti pionieristici:
(1) La tesi di Lankester, secondo cui tutte le maggiori epidemie umane ed animali ai nostri tempi sono il risultato della produzione umana e del capitalismo in particolare;[49]
(2) La teoria di Haldane (in parallelo con quella del biologo sovietico A. I. Oparin) sulle origini materiali della vita–una scoperta legata alla comprensione di come la vita abbia creato l’atmosfera terrestre, e connessa all’analisi della biosfera ad opera del biochimico russo Vernadskij;[50]
(3) Il ruolo di Haldane nella sintesi evoluzionistica neodarwiniana e la sua integrazione con la dialettica della natura basata sugli scritti di Engels;[51]
(4) L’implementazione da parte di Bernal della dialettica della natura e della negazione della negazione, nei termini di una teoria del ruolo dei residui nel determinare l’emersione di nuove forme di organizzazione organica/inorganica;[52]
(5) La teoria di Needham dei livelli integrativi o dell’emergenza, che abbraccia sia la storia naturale che quella sociale;[53]
(6) L’introduzione da parte di Tansley del concetto di ecosistema, nell’elaborare il quale fu influenzato dalla precedente analisi ecologica di Lankester e dalla teoria dei sistemi dialettici del matematico marxista Levy;[54]
(7) La distruttiva confutazione scientifica, da parte di Hogben e Haldane, delle basi genetiche della razza;[55]
(8) La prima analisi scientifica di Haldane, basata sulle ricerche del padre, relativa all’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera;[56]
(9) Il ruolo centrale di Bernal nella critica ai rapporti sociali della scienza;[57]
(10) Il tentativo di Caudwell di esplorare le interconnessioni nella dialettica dell’arte e della scienza;[58]
(11) Le ricerche pionieristiche di Farrington e Thomson sul materialismo epicureo e sul suo rapporto con lo sviluppo del pensiero marxista;
(12) La critica di Bernal allo sviluppo delle armi nucleari e la trattazione di come esso abbia minacciato di porre fine alla vita nella sua forma attuale.[59]
E a livello collettivo, tale rinascita si manifestò come critica dettagliata alla degradazione e alla distruzione ecologica, integrata nel lavoro di tutti questi pensatori.
Non solo le conquiste scientifiche e culturali associate a queste eminenti personalità della dialettica materialista nell'ambito della scienza e dell'arte furono di grande importanza nel loro tempo (benché poi cancellate dalla Guerra Fredda); tali conquiste si legarono pure, in modo abbastanza diretto, alle battaglie che a partire dagli anni Cinquanta, con l’avvento dell’Antropocene, si combatterono attorno alla sostenibilità ambientale e all’ascesa del movimento ambientalista. Tali esiti ispirarono il lavoro di scienziati di sinistra quali Barry Commoner, Rachel Carson e, più tardi, figure del calibro di Stephen Jay Gould, Richard Levins, Richard Lewontin, Steven Rose, Hilary Rose e Helena Sheehan, e studiosi ancora più recenti come Howard Waitzkin, Nancy Krieger e Rob Wallace. La realtà è che esiste una potente tradizione di analisi storico-materialista all'interno delle scienze naturali e in relazione ad esse, che spesso non rientra nell'ambito del marxismo occidentale.[60]
Il problema è ben illustrato da un paio di affermazioni di Perry Anderson, uno dei principali teorici culturali e storici marxisti britannici dagli anni Sessanta ad oggi. Nel 1968, scrivendo nella New Left Review, Anderson parlò della «falsa scienza […] e delle fantasie di Bernal».[61] L’innegabile fatto che Bernal, famoso per le sue importanti scoperte, marxista, e considerato uno dei grandi luminari del tempo – anche se a volte deviava in una sorta di positivismo sovietico – fosse uno dei più rilevanti scienziati britannici tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, non è lì tenuto in conto. Più eloquentemente, nel 1983 Anderson si sentì costretto a dichiarare che «i problemi di interazione della specie umana con l’ambiente terrestre [erano] sostanzialmente assenti nel marxismo classico», escludendo così i contributi di Marx ed Engels al riguardo, e suggerendo che l’intera tradizione degli studi sulla dialettica della natura (e su natura e società) da parte dei teorici marxisti non rientrasse nella sfera del materialismo storico propriamente detto.[62] Simili posizioni furono adottate da una schiera di altri pensatori, quali George Lichtheim, Leszek Kołakowski, Shlomo Avineri, David McLellan e Terrell Carver, che tentarono tutti di separare Engels da Marx e la dialettica della natura dal marxismo.[63]
Nella misura in cui questa tendenza del marxismo post-lukacsiano possedeva una base comune, tale base aveva a che fare con i postulati ereditati dal neokantismo e profondamente incorporati nelle tradizioni filosofiche dominanti, che rifiutavano il realismo (critico o no), e con esso ogni possibilità di una dialettica della natura. Come mai, allora, è stata una dialettica della natura ad aver dischiuso con tale potenza i segreti dell’universo? La ragione è che natura e società non sono realtà distinte ma esistenze co-evolventi, dove la società dipende asimmetricamente dal più ampio mondo naturale di cui fa parte. La nostra conoscenza della natura, di noi stessi e del nostro posto nel mondo deriva da questo fatto, che è stimolato in parte proprio dall’alienazione della natura e dalla risultante autocoscienza generata dal sistema capitalistico. Come scrive Needham:
«Marx ed Engels furono abbastanza arditi da affermare che esso [il processo dialettico] ha effettivamente luogo nella natura in evoluzione, e che il fatto indiscutibile che abbia luogo nel nostro pensiero riguardo la natura, è dovuto al fatto che noi e il nostro pensiero siamo parte della natura. Non possiamo che considerare la natura se non come una serie di livelli di organizzazione, una serie di sintesi dialettiche. Dalla più piccola particella all’atomo, dall’atomo alla molecola, dalla molecola all’aggregato colloidale, dall’aggregato alla cellula vivente, dalla cellula all’organo, dall’organo al corpo, dal corpo animale al raggruppamento sociale, la serie dei livelli di organizzazione è completa. Per costruire il nostro mondo, sono stati necessari soltanto l’energia (che oggi chiamiamo materia e movimento) e i livelli di organizzazione (o sintesi dialettiche consolidate)».[64]
Per Caudwell, «il mondo esterno non impone al pensiero la dialettica, e il pensiero non la impone al mondo esterno. Il rapporto tra soggetto e oggetto, ego e Universo è, di per sé, dialettico. L’uomo, quando tenta di pensare in maniera metafisica, si contraddice, e al tempo stesso continua a vivere ed esperire dialetticamente la realtà».[65]
Il marxista francese Roger Garaudy lo espresse in termini più apertamente epistemologici:
«Dire che esiste una dialettica della natura equivale a dire che la struttura e il movimento della realtà sono tali per cui solo un pensiero dialettico può rendere intelligibili i fenomeni e permetterci di trattarli.
Non è che un’inferenza: ma un’inferenza fondata sulla totalità della pratica umana. Un’inferenza costantemente rivedibile in funzione dei progressi di tale pratica […]
Allo stadio attuale delle scienze, la rappresentazione del reale risultante dall’insieme delle conoscenze verificate, è quella di un tutto organico in un processo costante non solo di sviluppo, ma anche di auto-creazione. È questa struttura che noi chiamiamo “dialettica”»[66]
Nella Critica del giudizio Kant sosteneva che, quando ci si occupa del mondo intransitivo della natura al di là delle nostre percezioni, quel mondo è necessario concepirlo teleologicamente per poterne parlare.[67] La scienza, tuttavia, è progredita ben oltre questo stadio; e se talvolta presenta ancora la natura in termini teleologici, è comunque più probabile che ricorra a termini meccanici, sistemici (teoria dei sistemi) o dialettici.[68] Questi ultimi colgono più appieno il metabolismo universale della natura, abbracciandone i diversi livelli integrativi – inclusi l’organico e l’inorganico, l’umano e l’extra-umano – legati ai risultati della prassi umana.
IV. La dialettica dell’Antropocene
Perché questi temi sono oggi così importanti? E perché si assiste a un ritorno della dialettica della natura? Questo ha a che vedere con le nostre condizioni materiali, sempre più dominate dall’emergenza planetaria e dalla comparsa dell’Antropocene, iniziato nel 1945 con la prima detonazione nucleare (seguita dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki), che rappresentò una svolta fondamentale nel rapporto dell’uomo con la terra. Il risultato è che, nel ventunesimo secolo, la dialettica della natura è sotto molti aspetti una dialettica dell’Antropocene. L’Antropocene, successivo all’Olocene (protrattosi per 11.700 anni), è descritto dalla scienza, benché non ancora ufficialmente, come una nuova epoca nella storia geologica. Nell’Antropocene, l’umanità è divenuta il vettore primario al cambiamento nel Sistema Terra. La dialettica di natura e società si è quindi evoluta al punto che la produzione umana sta generando una «frattura antropogenica» nei cicli biogeochimici del pianeta, avendo come effetti il superamento di vari limiti costitutivi del pianeta e l’oltrepassamento delle soglie critiche nel sistema-Terra, che definiscono un clima vivibile per l’umanità.
Il cambiamento climatico è una di queste soglie o limite planetario. In sostanza, l’aumento quantitativo dell’anidride carbonica nell’atmosfera ha avuto come effetto un cambiamento qualitativo nel clima, sufficiente a minacciare l’esistenza umana, e pure quella di moltissime altre forme di vita sulla Terra. Altri limiti planetari, già scavalcati o sul punto di esserlo, sono rappresentati dall’acidificazione degli oceani, la perdita di diversità biologica (ed estinzione di specie viventi), l’alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo, la scomparsa dei sottoboschi (foreste incluse), la scomparsa di fonti d’acqua dolce (inclusa la desertificazione) e l’inquinamento chimico e radioattivo dell’ambiente.[69]
Le cause di tali cambiamenti non sono soltanto antropogeniche (cause peraltro impossibili da rimuovere finché la civiltà industriale continuerà ad esistere), ma sono dovute più in concreto all’espansione mondiale del capitalismo in quanto sistema di accumulazione, orientato alla propria crescita interna ad infinitum e che incarna, in questo senso, la relazione più distruttiva che si possa concepire con la terra. Tutto questo fu colto dalla teoria marxiana della frattura metabolica, ora elevata al rango di frattura antropogenica nel Sistema Terra.[70]
Benché disponiamo di un nome ampiamente accettato per designare la nuova epoca geologica, caratterizzata dall’attuale ruolo dell’economia umana in quanto forza geologica principale al livello del sistema-Terra, non abbiamo ancora un nome per la nuova età geologica, inserita nell’Antropocene e all’origine dell’attuale crisi antropocenica. Ufficialmente, in termini di età geologiche, ci troviamo ancora nell’età megalaiana, che si protrae da 4.200 anni e risale ad un periodo di cambiamento climatico che si pensava avesse annientato alcune tra le prime civiltà (anche se questo è attualmente oggetto di controversia fra gli scienziati). Ma come dobbiamo concepire la nuova età geologica associata al debutto dell’epoca antropocenica?
In quanto sociologi ambientali professionisti, io e Brett Clark, mio collega della «Monthly Review», abbiamo proposto il nome Capitaliniano (chiamato anche Capitaliano dal geologo Carles Soriano) per indicare la prima età geologica dell’Antropocene, dato che è il sistema capitalistico mondiale ad aver prodotto l’attuale emergenza planetaria.[71] L’unica soluzione – per meglio dire, l’unica maniera per impedire all’attuale modo di produzione di causare un’estinzione antropocenica (o del periodo quaternario) – per la società umana è quella di superare il capitalismo e il Capitaliniano in direzione di una futura età geologica più sostenibile in seno all’Antropocene; età che, a partire dalle parole comunità, comune e comunale, abbiamo denominato Comuniano.
Perciò, quella che è chiamata dialettica pratico-relazionale o dialettica della storia, si confronta ora con la dialettica tra natura e società espressa dalla teoria marxiana della frattura metabolica. A questo tema è stato dato un più ampio campo operativo, cosa davvero evidente solo ai nostri tempi, nei quali il metabolismo del pianeta intero, ovvero la dialettica della natura, è interessato da una frattura antropogenica all’interno del Sistema Terra, e in modi che minacciano la nostra stessa esistenza richiamando alla memoria la «vendetta» della natura di Engels o le «vendette della natura» di Lankester.[72]
È importante capire che la crisi del Sistema Terra, nel Capitaliniano, è legata ad una lunga storia di espropriazione e sfruttamento, che assieme costituiscono le fondamenta del rapporto del capitalismo con la terra e l’umanità. Espropriazione, in termini marxiani, significa appropriazione senza equivalente o reciprocità: ovvero, rapina. Marx parlò dunque di rapina della natura, ponendola all’origine della frattura metabolica.[73] Ma scrisse anche sull’espropriazione della terra ai danni del popolo; espropriazione che toglieva ai lavoratori i mezzi di produzione di base e, perciò, il controllo sulle proprie vite. L’epoca che Marx indicava criticamente come «cosiddetta accumulazione originaria» (cosiddetta, perché definita non tanto dall'accumulazione quanto dalla rapina) fu un’epoca di espropriazione.[74] L’espropriazione andò oltre il furto della terra, per arrivare al furto dei corpi umani stessi. La questione è legata a quella che io e Clark abbiamo definito «frattura corporea», che è caratterizzata dal genocidio, dalla schiavizzazione e dalla colonizzazione di larga parte della popolazione mondiale, ed è all’origine dello sfruttamento di classe.[75]
È questa logica più ampia dell'espropriazione delle terre e dei corpi, alla base del sistema di sfruttamento capitalistico, che ha dato origine alla storia del capitalismo razziale. Questo processo di espropriazione lo si può osservare anche nel furto del lavoro domestico ai danni delle donne (che a suo tempo portò Marx a criticare il fatto che le donne nel capitalismo sono schiave domestiche), e nella continua espropriazione agroindustriale della terra nei confronti dei lavoratori dediti all’agricoltura di sussistenza, soprattutto i contadini. Anche il tempo libero delle persone lontano dal lavoro, in tutto il mondo viene espropriato in vari modi nella società accumulativa accelerata del capitalismo digitale. Il capitalismo odierno è perciò coinvolto in una miriade di modalità nell’espropriazione ai danni della terra e della sua popolazione: un sistema di rapina talmente esteso che il rapporto dell’uomo con la terra – base essenziale dell’esistenza umana – corre ora il rischio di essere interrotto. L’alienazione della natura e l’alienazione del lavoro che caratterizzano il capitalismo conducono, alla fine, soltanto alla distruzione.
La nostra dialettica pratica richiede oggi una conoscenza della dialettica tra natura e società. La dialettica meramente oggettiva della natura, che esclude il soggetto umano, e la dialettica meramente soggettiva della società, che esclude l’esistenza fisico-naturale, non sono sufficienti. Siamo costretti ad una maggiore unità critica di pensiero e azione. La dialettica, come hanno spiegato Lewontin e Levins, si concentra su «completezza e compenetrazione, struttura del processo più che le cose, livelli integrati, storicità e contraddizione».[76]
Nell’antica Grecia, i filosofi ionici quali Eraclito, si concentrarono sui processi materiali in quanto dialettici. Secondo Eraclito, che descrisse così il semplice processo metabolico alla base della vita:
«Mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco
e del fuoco con tutte le cose,
allo stesso modo dell’oro con tutte le cose
e di tutte le cose con l'oro».[77]
In contrasto con gli ionici, gli eleatici, tra cui Parmenide (ripreso da Platone e, ben più tardi, da Plotino) concepirono una dialettica dell’idea, o della ragione. In Hegel possiamo vedere colui che accoppia i due ruscelli vitali, attingendo, per costruire la sua filosofia idealista, a tutta la filosofia moderna e all’Illuminismo, ma dando la precedenza alla dialettica dell'idea o ragione.[78] La dialettica materialista marxiana ritornò ai processi materiali poiché soggiacenti all'intera realtà, nella direzione di una dialettica oggettiva del cambiamento e dell'emergenza, del metabolismo tra natura e società, per poi sfociare in una dialettica della storia e della pratica umane.
Questa sintesi dialettica materialista – la dialettica tra natura e società – è ancora oggi molto importante. Come osservarono Marx ed Engels ne L’ideologia tedesca, viviamo in un tempo in cui l’umanità deve lottare in modi rivoluzionari non solo per l’avanzamento della libertà umana, ma anche per evitare la distruzione dovuta a quella che può essere chiamata «minaccia di morte del capitalismo», rivolta al mondo e alla vita in generale. Per Epicuro, scrisse Marx, «il mondo [la terra] è […] mio amico».[79] La dialettica materialista ci dice che il nostro scopo nel presente dev’essere quello di creare un mondo di sostenibilità ecologica ed eguaglianza sostanziale, un mondo che promuova uno sviluppo umano sostenibile. Ma questo, nel nostro tempo, comincia con la rivoluzione ecologica e sociale a cui siamo chiamati. Oggi, per la prima volta nella storia dell'umanità, la lotta per la libertà e la lotta per la necessità coincidono ovunque sul pianeta, creando una prospettiva di rovina o di rivoluzione: o la caduta negli abissi a cui ci ha portato il Capitaliniano, o la creazione di una nuova Età comuniana.[80]
Note
* Questo articolo riproduce la Deutscher Memorial Lecture del 2020, tenuta ogni anno dal destinatario del premio Isaac e Tamara Deutscher Memorial Prize, che nel 2020 è stato assegnato a John Bellamy Foster per The Return of Nature: Socialism and Ecology, «Monthly Review Press», 2020. La conferenza è stata pubblicata per la prima volta in Historical Materialism 30, n. 2, 2022, pp. 3-28. È stata rivista per la pubblicazione su Monthly Review, con il consenso di Historical Materialism e del suo editore, Brill.
[1] Clive Hamilton e Jacques Grinevald, Was the Anthropocene Anticipated?, «Anthropocene Review», 2, n. 1, 2015, pp. 59–72.
[2] Karl Marx e Friederich Engels, Collected Works, vol. 30, (New York: International Publishers, 1975–2004), 54–66.
[3] Georg Lukács, Storia e coscienza di classe, trad. G. Piana, Sugar, 1967; Roy Bhaskar, Reclaiming Reality, Routledge, 2011, p. 131.
[4] Lukács, Storia e coscienza di classe, op. cit., p. 24; Martin Jay, Marxism and Totality, University of California Press, 1984, pp. 115–18.
[5] Giambattista Vico, Scienza nuova, Laterza, 1931, 493; John Bellamy Foster, The Return of Nature, Monthly Review Press, 2020, p. 17.
[6] Lukács, Storia e coscienza di classe, op. cit., p. 207; Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 492.
[7] Georg Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, trad. M. Maurizi, Alegre, 2007, pp. 102–7; Georg Lukács, The Ontology of Social Being, vol. 3, trad. David Fernbach, The Merlin Press, 1980.
[8] Jean-Paul Sartre, Critica della ragione dialettica, vol. 1, Il Saggiatore, 1963.
[9] Sebastiano Timpanaro, Sul materialismo, Unicopli, 1997; Karl Jacoby, Western Marxism in A Dictionary of Marxist Thought, a cura di Tom Bottomore, Blackwell, 1983, pp. 523–26; Lucio Colletti, Il marxismo e Hegel, Laterza, 1969.
[10] Max Horkheimer e Theodor Adorno, Dialettica dell'Illuminismo, trad. L. Vinci, Einaudi, 1966, 224, 254; Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx, trad. G. Baratta e G. Bedeschi, Laterza, 1969, p. 156; Max Horkheimer, Eclisse della ragione, trad. E. Vaccari Spagnol, Einaudi, 2000, pp. 123–27.
[11] Herbert Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, trad. S. Giacomoni, Mondadori, 1973, pp. 59–78.
[12] Bhaskar, Reclaiming Reality, Routledge, 2011, p. 132.
[13] Foster, The Return of Nature, op. cit., p. 7.
[14] Bhaskar, Reclaiming Reality, op. cit., p. 115.
[15] Lucrezio, De rerum natura, trad. F. Giancotti, Garzanti, 1994, Libro III: 869, p. 177.
[16] Anthony Arthur Long, Evolution vs. Intelligent Design in Classical Antiquity, Townsend Center for the Humanities, 2006, disponibile sul sito berkeley.edu; Anthony Arthur Long, From Epicurus to Epictetus, Oxford University Press, 2006; John Bellamy Foster, Brett Clark e Richard York, Critique of Intelligent Design, Monthly Review Press, 2008, pp. 155–77.
[17] John Bellamy Foster, Marx and the Rift in the Universal Metabolism of Nature, «Monthly Review» 65, n. 7, December 2013, pp. 1–19.
[18] Sul neokantismo e le sue conseguenze per la filosofia dialettica e materialista, vedi Evald Vassilievich Ilyenkov, Dialectical Logic, trad. H. Campbell Creighton, Aakar Books, 2008, pp. 289–319; Frederick C. Beiser, After Hegel, Princeton University Press, 2014; Foster, The Return of Nature, op. cit., 264–69. Per dirla con Lukács, che ha iniziato come neokantiano, "secondo la teoria di Kant il mondo che ci è dato è solo apparenza, con dietro una cosa in sé, trascendentale e inconoscibile.” (Georg Lukács, Conversations with Lukács, a cura di Theo Pinkus, The Merlin Press, 1974, p. 76).
[19] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 45, pp. 50, 462.
[20] Karl Marx, Letters to Kugelmann, International Publishers, 1934, p. 112. Marx replicava alla seconda edizione, di Friedrich Albert Lange, sulla questione operaia (1870).
[21] Karl Marx, Il Capitale, vol. 1, trad. Ben Fowkes (London: Penguin, 1976), 102.
[22] Bhaskar, Reclaiming Reality, op. cit., 120. Kai Heron, scrivendo da una prospettiva lacano-hegeliana, ha recentemente affermato che l'ecologia marxiana, basata sulla teoria della frattura metabolica di Marx, non è in grado di «rendere conto dell'emergere contingente di noi stessi» come «soggetti, dalla natura». Tuttavia, è proprio questo l'obiettivo della teoria dell'emergenza contingente, sviluppata dal materialismo storico classico e portata avanti dall'odierno realismo critico dialettico (compresa l'ecologia marxiana). Chiamare ciò «materialismo contemplativo», non coglie il punto: oggi si tratta della formazione di un soggetto ecologico rivoluzionario, concepito nei termini del «modello trasformativo dell'attività sociale», visto come espressione contemporanea del materialismo storico. Kai Heron, Dialectical Materialisms, Metabolic Rifts and the Climate Crisis, «Science and Society» 85, n. 4, 2021, pp. 501–26; Roy Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom, Verso, 1993, pp. 2, 152–73.
[23] Georg Lukács, The Ontology of Social Being, vol. 2, trad. David Fernbach, The Merlin Press, 1978, pp. 6–7, 103. Scrivendo sull'«indagine sulla natura in Marx» e sul concetto di metabolismo di Marx, Alfred Schmidt ha osservato: «Solo in questo modo», cioè attraverso la mediazione dell'attività umana, «possiamo parlare di una 'dialettica della natura'». L'intenzione di Schmidt era quella di ridurre la nozione di «dialettica della natura meramente oggettiva», cui fa riferimento Lukács in Storia e coscienza di classe, alla dialettica di natura e società. (Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx, trad. G. Baratta e G. Bedeschi, Laterza, 1969).
[24] Vedi John Bellamy Foster, The Dialectics of Nature and Marxist Ecology, in Dialectics for the New Century, a cura di Bertell Ollman e Tony Smith, Palgrave Macmillan, 2008, pp. 50–82; Andrew Feenberg, Lukács, Marx, and the Sources of Critical Theory, Rowman and Littlefield, 1981; John Bellamy Foster and Paul Burkett, Marx and the Earth, Haymarket, 2016, pp. 50–66.
[25] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, pp. 13–14, 503; Lukács, Storia e coscienza di classe, xix. op. cit.
[26] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 461.
[27] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 23; Foster, The Return of Nature, op. cit., p.254.
[28] Leszek Kołakowski, Main Currents in Marxism, trad. Paul Stephen Falla, W. W. Norton, 2005, pp. 324–25; Shlomo Avineri, The Social and Political Thought of Karl Marx, Cambridge University Press, 1968, p. 67, 86; Norman Levine, Dialogue with the Dialectic, George Allen and Unwin, 1984, pp. 10–12.
[29] Sul complesso e dialettico concetto di «riflessione» di Hegel (e sulla sua relazione con la riflessività e la rifrazione), si veda Michael Inwood, A Hegel Dictionary, Blackwell, 1992, pp. 247-50. Per la distinzione tra concezione meccanicistica e marxiana della riflessione, si veda Roger Garaudy, Marxism in the Twentieth Century, trad. René Hague, Charles Scribner's Sons, 1970, pp. 53-54. Lukács avrebbe collegato le origini della riflessione dialettica, in senso marxiano, direttamente alla prassi e alla produzione (il metabolismo con la natura), affermando che: «Il più rudimentale tipo di lavoro, come l'estrazione di pietre da parte dell'uomo primitivo, implica una corretta riflessione della realtà di cui si occupa. Infatti, nessuna attività propositiva può essere svolta in assenza di un'immagine, per quanto grossolana, della realtà pratica coinvolta». (Lukács, Storia e coscienza di classe, xxv.) Questa visione, complessa e dialettica, del concetto di "riflessione" ha radici che risalgono a Immanuel Kant, che scrisse dell'«Anfibolia dei concetti della riflessione». Vedi Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, 1959, pp. 191–208.
[30] Vedi Marx e Engels, Collected Works, vol. 25, pp. 43, 493–94; G. W. F. Hegel, Scienza della logica, trad. A. Moni, Laterza, 1968; Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 244–51; George Lukács, The Young Hegel, trad. Rodney Livingstone, The MIT Press, 1975, p. 280; Georg Lukács, The Ontology of Social Being, vol. 1, trad. David Fernbach, The Merlin Press, 1978, pp. 74–82.
[31] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 13.
[32] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, pp. 110–32, 356–61; Craig Dilworth, Principles, Laws, Theories, and the Metaphysics of Science, «Synthese» 101, n. 2, 1994, pp. 223–47.
[33] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, pp. 115–19, 356–61; Hyman Levy, The Universe of Science, Watts and Co., 1932, pp. 30–32, 117, 227–28.
[34] Lukács, Conversations with Lukács, op. cit., pp. 73–75.
[35] Bertel Ollman, The Dance of the Dialectic, University of Illinois Press, 2003, p. 17; Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 120–32; Karl Marx, Capital, vol. 1, 929. La nozione di negazione della negazione nasce dai tentativi di Hegel di spiegare le negazioni determinate che esprimono continuità e cambiamento. Vedi G. W. F. Hegel, La fenomenologia dello spirito, Einaudi, 2008.
[36] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 313; J. D. Bernal, Dialectical Materialism, in Aspects of Dialectical Materialism, a cura di Hyman Levy, Watts and Co., 1934, pp. 103–4; Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom, op. cit., pp. 150–52, 377–78; Ernst Bloch, Il principio speranza, vol. 1, trad. E. De Angelis, Garzanti, 1994, pp. 9–18; Jay, Marxism and Totality, op. cit., pp. 183–86. Un resoconto della dialettica come forma di sviluppo a spirale è stata sviluppata da William Morris e E. Belfort Bax, probabilmente in collaborazione con Engels nel The Manifesto of the Socialist League. Vedi William Morris e E. Belfort Bax, The Manifesto of the Socialist League, Socialist League Office, 1885, p. 11. La caratterizzazione della dialettica come una spirale appare anche in E. Belfort Bax, The Religion of Socialism, Books for Libraries, 1972, pp. 2–5.
[37] Bloch, Il principio speranza, vol. 1, op. cit..
[38] Kaan Kangal, Engels’s Emergentist Dialectics, «Monthly Review» 72, n. 6, November 2020, pp. 18–27; John Bellamy Foster, Engels’s Dialectics of Nature in the Anthropocene, «Monthly Review» 72, n. 6, November 2020, pp. 1–17.
[39] Karl Marx, Early Writings, trad. Rodney Livingstone e Gregor Benton, Penguin, 1974, pp. 260–61.
[40] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, pp. 459–64; Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 177–215, 273–87.
[41] Per una critica di Engels a questo proposito, vedi Levine, Dialogue with the Dialectic, op. cit., pp. 8–12. Per la risposta, vedi John L. Stanley, Mainlining Marx, Transaction, 2002.
[42] Benjamin Farrington, Head and Hand in Ancient Greece, Watts and Co., 1947, pp. 11–15; Eschilo, Orestea, Rizzoli, 1995.
[43] Epicuro, The Epicurus Reader, trad. Brad Inwood e Lloyd P. Gerson, Hackett, 1994, p. 42. Epicuro era noto per il suo metodo di inferenza scientifica e per la sua epistemologia. Alcuni frammenti dei suoi scritti si sono conservati sotto forma di lettere o raccolte di massime. Tuttavia, tutti i suoi 300 libri sono andati perduti, ad eccezione di alcune parti del suo On Nature, che sono state recuperate dai papiri di Ercolano. Tuttavia, abbiamo un breve riassunto di Diogene Laerzio del suo Canone, che fu la prima opera epistemologica distinta della tradizione greca antica. La trattazione epicurea più intatta del metodo di inferenza scientifica (recuperata dai papiri di Ercolano) è l'opera di Filodemo su metodo e segni. Vedi Epicuro, The Epicurus Reader, 41–42; Gisela Striker, Epistemology, in The Oxford Handbook of Epicurus and Epicureanism, a cura di Philip Mitsis, Oxford University Press, 2020, pp. 43–58; Philodemus, Philodemus: On Methods of Inference, a cura di Philip Howard De Lacey e Estelle Allen De Lacey, American Philosophical Association, 1941.
[44] Foster, The Return of Nature, op. cit., p. 253.
[45] D. Bernal, World Without War, Prometheus, 1936, pp. 1–2.
[46] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 1, pp. 34–107, 403–514. Come ha sottolineato lo studioso epicureo Cyril Bailey, Marx è stato il primo studioso in epoca moderna a riconoscere il significato della svolta di Epicuro. Cyril Bailey, Karl Marx on Greek Atomism, «Classical Quarterly» 22, n. 3–4, 1928, pp. 205–6. Per la stesura della sua tesi (e dei suoi sette Quaderni epicurei) Marx attinse a un'ampia serie di frammenti, che non erano stati raccolti in precedenza, compreso un frammento recuperato dai papiri carbonizzati della biblioteca di Ercolano. Michael Heinrich, Karl Marx and the Birth of Modern Society, Monthly Review Press, 2019, p. 296. Sull'influenza di Epicuro sui marxisti britannici degli anni '30 e '40, si veda Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 369-70. Benjamin Farrington, in particolare, ebbe un ruolo importante nell'introdurre gli scienziati marxiani britannici a Epicuro, non solo attraverso le sue opere, ma anche facilitando la lettura della tesi di dottorato di Marx da parte di pensatori di questa tradizione. Vedi Lancelot Hogben, Lancelot Hogben, Scientific Humanist, The Merlin Press, 1998, p. 105; Benjamin Farrington, Science and Politics in the Ancient World, George Allen and Unwin, 1939; Benjamin Farrington, The Faith of Epicurus, Weidenfeld and Nicolson, 1967; George Thomson, The First Philosophers, Lawrence and Wishart, 1955, pp. 311–14.
[47] Joseph Needham, Time: The Refreshing River, George Allen and Unwin, 1948, pp. 55, 124, 191.
[48] Vedi Joseph Fracchia, Dialectical Itineraries, «History and Theory» 38, no. 2, 1991, pp. 169–97.
[49] Ray E. Lankester, The Kingdom of Man, Henry Holt, 1911, pp. 159–91; John Bellamy Foster, Brett Clark, and Hannah Holleman, Capital and the Ecology of Disease, «Monthly Review» 73, no. 2, June 2021, pp. 1–23.
[50] B. S. Haldane, The Science of Life, Pemberton, 1968, pp. 6–11; J. D. Bernal, The Origin of Life, World Publishing, 1967, pp. 24–35; Richard Levins e Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Harvard University Press, 1985, p. 277; Vladimir I. Vernadsky, The Biosphere, trad. David B. Langmuir, Springer Verlag, 1998.
[51] B. S. Haldane, The Marxist Philosophy and the Sciences, Random House, 1939; Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 383–98.
[52] D. Bernal, Dialectical Materialism, op. cit., pp. 103–4; Henri Lefebvre, Metaphilosophy, trad. David Fernbach, Verso, 2016, pp. 301–2.
[53] Needham, Time: The Refreshing River, op. cit., pp. 233–72.
[54] G. Tansley, The Use and Abuse of Vegetational Concepts and Terms, «Ecology» 16, n. 3, 1935, pp. 284–307; Levy, The Universe of Science.
[55] Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 337–39.
[56] B. S. Haldane, Carbon Dioxide Content of Atmospheric Air, «Nature» 137, 1936, p. 575; Foster, The Return of Nature, op. cit., p. 397, pp. 612–13.
[57] D. Bernal, The Social Function of Science, Macmillan, 1939.
[58] Christopher Caudwell, Studies and Further Studies in a Dying Culture, «Monthly Review Press», 1971; Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 417–56.
[59] Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 489–96; Bernal, World Without War; Bernal, The Origin of Life, xvi, pp. 176–82.
[60] Foster, The Return of Nature, op. cit., pp. 502–26; Foster, Clark e Holleman, Capital and the Ecology of Disease, op. cit.; Helena Sheehan, Marxism and the Philosophy of Science, «Humanities Press», 1985.
[61] Perry Anderson, Components of the National Culture, «New Left Review I», n. 50,1968, pp. 3–57. Confronta Eric Hobsbawm, Fractured Times, «Little, Brown», 2013, pp. 169–83.
[62] Perry Anderson, In the Tracks of Historical Materialism, Verso, 1983, p. 83.
[63] Marxism After Marx, di McLellan, riflette la tendenza non solo a condannare, ma anche a escludere dal canone marxista coloro che erano considerati al di fuori della ristretta tradizione marxista occidentale. Così, dei marxisti britannici, fino agli anni Trenta, presi in considerazione in The Return of Nature, tra cui Morris, Hogben, Haldane, Bernal, Levy, Needham, Farrington, Thomson e Caudwell, solo l'ultimo è menzionato nel capitolo sul "marxismo britannico" dell'opera di McLellan, che si limita a due frasi. Ci viene detto che "Christopher Caudwell è stato l'unico marxista britannico veramente originale prima della guerra", e questo solo per il suo trattamento della "letteratura", non per la sua teoria dell'arte in generale o per la sua analisi della scienza. Vedi David McLellan, Marxism After Marx , «Houghton Mifflin», 1979, p. 30.
[64] Needham, Time: The Refreshing River, op. cit., pp. 14–15.
[65] Caudwell, Studies and Further Studies in a Dying Culture, op. cit., p. 227.
[66] Garaudy, Marxism in the Twentieth Century, op. cit., p. 61.
[67] Immanuel Kant, Critica del Giudizio, op. cit..
[68] Spesso, la teoria dei sistemi si sovrappone alla dialettica. Vedi Richard Lewontin e Richard Levins, Biology Under the Influence, «Monthly Review Press», 2007, pp. 101–24.
[69] Johan Rockstrom et al., A Safe Operating Space for Humanity, «Nature» 461, 2009, pp. 472–75; Will Steffen et al., Planetary Boundaries, «Science» 347, n. 6223, 2015, pp. 736–46; Richard E. Leakey e Roger Lewin, The Sixth Extinction, «Anchor», 1996.
[70] Hamilton e Grinevald, Was the Anthropocene Anticipated?, op. cit., 67.
[71] John Bellamy Foster e Brett Clark, The Capitalinian: The First Geological Age of the Anthropocene, «Monthly Review» 73, n. 4, settembre 2021, pp. 1-16 [trad. Il Capitaliniano: la prima età geologica dell’Antropocene, «Antropocene.org», 2022; Carles Soriano, On the Anthropocene Formalization and the Proposal by the Anthropocene Working Group, «Geologica Acta» 18, n. 6, 2020, pp. 1–10.
[72] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 25, p. 461; Lankester, The Kingdom of Man, op. cit., pp. 159–91.
[73] Marx, Il capitale, vol. 1, op. cit., pp. 637–38.
[74] Marx, Il capitale, vol. 1, op. cit., p. 871; John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature, Monthly Review Press, 2020, pp. 43–61. Marx preferiva il concetto di "espropriazione originaria" rispetto a quello di "accumulazione originaria", poiché si trattava di espropriazione e non di accumulazione. Vedi Karl Marx, Value, Price, and Profit, in Karl Marx, Wage-Labour and Capital/Value, Price and Profit, International Publishers, 1935, p. 38.
[75] Foster e Clark, The Robbery of Nature, op. cit., pp. 78–103.
[76] Lewontin e Levins, Biology Under the Influence, op. cit., p. 103.
[77] Eraclito, I presocratici. Testimonianze e frammenti, fr. 90 [22], trad. G. Giannantoni, Laterza, 1981, p. 215.
[78] Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom, op. cit., pp. 115–16; Thomson, The First Philosophers, op. cit., pp. 271–95.
[79] Marx e Engels, Collected Works, op. cit., vol. 5, p. 141. Vedi anche, Walter Baier, Eric Canepa, Haris Golemis, Capitalism’s Deadly Threat, «The Merlin Press», 2021.
[80] La vera "Età dell'oro" dell'antropologia storica non può essere concepita senza l'altrettanto vera "Età dell'oro" di una nuova cosmologia umanista. (Bloch, Il principio speranza, op. cit., p. 138).
John Bellamy Foster
Traduzione di Marco Bianco
Fonte: Monthly Review vol.74 n. 7 (01.12.2022)
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