Fonte: Climate&Capitalism 12.12.2021

"Il capitale contro i beni comuni" è una serie di articoli sul primo capitalismo e l'agricoltura in Inghilterra.
Questa quarta parte delinea alcune esperienze-chiave della prima grande ondata di commoners* che furono separati dalla terra in Inghilterra nel 1500 e 1600. Privati ​​della terra e dei diritti comuni, gli inglesi poveri furono costretti al lavoro salariato.

La prima parte ha discusso il ruolo centrale della proprietà condivisa e dei diritti comuni alle risorse nell'agricoltura pre-capitalista. Nel 1400 quel sistema cominciò a mostrare le prime crepe, iniziando la transizione dal feudalesimo al capitalismo.
La seconda parte ha discusso i processi conosciuti come "enclosures". Alla fine del 1400, i proprietari terrieri cominciarono a sfrattare i piccoli fittavoli per aumentare i profitti, spesso creando grandi allevamenti di pecore.
La terza parte ha discusso dei riformatori protestanti del XVI secolo che si opposero alla crescente spinta verso la privatizzazione della terra.



Gli espropriati: le origini della classe operaia

 

 

 

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?

 Bertolt Brecht, Domande di un lettore operaio (1-3)*

 

Molto del dibattito accademico sull'origine del capitalismo è stato in realtà sull'origine dei capitalisti. In origine furono aristocratici, signori, mercanti o agricoltori arricchiti? Molta meno attenzione è stata prestata alla penetrante domanda di Brecht: chi svolgeva il lavoro vero e proprio?

La risposta è semplice e di assoluta importanza storica. Il capitalismo dipende dalla disponibilità di un gran numero di non capitalisti, persone che sono, come diceva Marx, «libere nel duplice senso». Libere di lavorare per altri perché non legate legalmente a un padrone di casa o a un padrone, e libere di morire di fame se non vendevano la loro forza-lavoro, dal momento che non possedevano terra o altri mezzi di produzione. «[La seconda condizione essenziale, affinché il possessore del denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, è che] il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente». [1]

Questo articolo delinea alcune esperienze-chiave della prima grande ondata di commoners * che furono separati dalla terra in Inghilterra nel 1500 e 1600.

Alcuni commoners passarono direttamente dal guidare un aratro al lavoro salariato a tempo pieno, ma molti, forse la maggior parte, cercarono di evitare la proletarizzazione. Christopher Hill ha dimostrato che «l'accettazione del sistema del lavoro salariato come un modo naturale di vivere e lavorare non è avvenuta facilmente, era l'ultima opportunità concessa a coloro che avevano perso la loro terra, ma molti la consideravano poco migliore della schiavitù». [2] Non solo i salari erano bassi e le condizioni di lavoro pessime, ma l'idea stessa di essere soggetti a un capo e di lavorare sotto la disciplina del salario era universalmente detestata. «I lavoratori salariati erano considerati di rango inferiore a coloro che possedevano il più piccolo appezzamento di terra da coltivare da soli», quindi «gli uomini combattevano disperatamente per evitare l'abisso del lavoro salariato. … L'apoteosi della libertà si riduceva alla logorante fatica di coloro che erano diventati ingranaggi della macchina di qualcun altro». [3]

L'ordine sociale che gli apologeti del capitale difendono come inevitabile ed eterno è «il prodotto di molti rivolgimenti economici, del tramonto di tutta una serie di formazioni più antiche della produzione sociale». [4] L'accettazione del sistema salariale come un modo naturale di vivere e lavorare non è avvenuta facilmente.


I diseredati

Alcune persone lavoravano per un salario già nella società feudale, ma è stato solo quando il feudalesimo si è disintegrato che è iniziata, sul lungo periodo, la crescita di una classe di lavoratori salariati, sviluppatasi, direttamente e indirettamente, in seguito all’eliminazione dei beni comuni.

Come abbiamo visto nella prima parte, c'era una significativa differenziazione economica nei villaggi inglesi molto prima dell'ascesa del capitalismo. Nel 1400, nella maggior parte delle comunità c'era una chiara divisione tra coloro le cui fattorie erano abbastanza grandi da sostenere le loro famiglie e produrre un surplus per il mercato, e i piccoli proprietari terrieri e contadini che dovevano lavorare a tempo pieno o parzialmente per i loro vicini più benestanti o il proprietario.

Tra i due gruppi c'era una categoria sorprendentemente ampia nota come servants in husbandry: giovani che vivevano presso famiglie di contadini al fine di imparare, fino a quando non riuscivano a risparmiare abbastanza per affittare la terra e sposarsi. Vivevano e mangiavano con la famiglia del contadino, spesso avevano il diritto di tenere qualche pecora o altri animali, e di solito ricevevano una piccola paga annuale in contanti. «Tra un terzo e la metà del lavoro impiegato nell'agricoltura agli inizi dell’età moderna era fornito da servants in husbandry, e la maggior parte dei giovani agli inizi dell’età moderna nell'Inghilterra rurale erano servants in husbandry». All’incirca fino al 1800, approssimativamente il 60 % degli uomini e delle donne di età compresa tra i 15 ei 24 anni viveva come servants in husbandry. [5]

In termini di classe, i servants in husbandry erano una categoria transitoria e temporanea, simile agli apprendisti o agli studenti universitari di oggi. «I servi non si consideravano né erano considerati nella prima società moderna come parte di una classe operaia, come giovani proletari». [6] Lo sottolineo dal momento che molti autori hanno interpretato la stima relativa al fatto che nel tardo XVII secolo più della metà della popolazione fosse composta da servi come se questi fossero lavoratori salariati. In realtà, la maggior parte dei servi potrebbe essere descritta come apprendisti contadini. Alla fine del 1600 esisteva uno strato consistente di persone che doveva vendere la propria forza-lavoro, ma erano ancora una minoranza della popolazione.

Nel 1400 e agli inizi del 1500, la maggior parte delle recinzioni comportava lo sgombero fisico di molti affittuari, spesso interi villaggi. Dopo il 1550 circa, era molto comune per i proprietari negoziare con i loro affittuari più grandi al fine di creare fattorie più estese tramite la spartizione dei beni comuni e delle terre non sfruttate. «Divenne tipico per gli affittuari più ricchi ricevere un risarcimento per la perdita dei diritti comuni, mentre i poveri senza terra, i cui diritti comuni era spesso molto più difficile rivendicare per legge, guadagnavano poco o nulla in cambio». [7]

Per i piccoli proprietari terrieri e i contadini la perdita dei diritti comuni fu una catastrofe. Il latte e il formaggio di due mucche potevano generare tanto reddito quanto il lavoro agricolo a tempo pieno, e il loro letame era combustibile per l’abitazione o fertilizzante per l’orto. Niente di tutto ciò era più possibile senza l'accesso al pascolo. Jane Humphries ha dimostrato che, prima delle enclosures, nelle famiglie in cui gli uomini lavoravano come braccianti, le donne e i bambini lavoravano sulle terre comuni, occupandosi degli animali, tagliando l'erba e raccogliendo legna come combustibile e come materiale edile, raccogliendo bacche, noci e altri cibi e il grano avanzato dopo il raccolto. «Poiché donne e bambini erano i principali utilizzatori dei diritti comuni, la perdita di questi ultimi ha portato a cambiamenti nella posizione economica delle donne all'interno della famiglia e più in generale a una maggiore dipendenza di intere famiglie dai salari e dai salariati». [8]

Contemporaneamente, l'Inghilterra stava vivendo un piccolo boom: tra il 1520 e il 1640, la popolazione più che raddoppiò, da circa 2,4 milioni a oltre 5 milioni di abitanti. Erano ancora circa un milione di persone in meno rispetto al 1300, prima della peste nera, ma il sistema che un tempo dava da mangiare a sei milioni di persone ora non esisteva più. La crescita della popolazione, l'aumento degli affitti e la tendenza al formarsi di fattorie molto più grandi rendevano impossibile per i poveri vivere in campagna. Si stima che la percentuale di lavoratori agricoli che non avevano più di un’abitazione e un orto sia passata dall'11% nel 1560 al 40% dopo il 1620. [9]


Lavoro forzato

La trasformazione dei contadini espropriati, nell’Inghilterra dei Tudor e degli Stuart, in lavoratori salariati affidabili richiedeva non solo una causa economica ma anche una costrizione da parte dello stato. «In tutto questo periodo la costrizione al lavoro è rimasta sullo sfondo del mercato del lavoro. La legislazione Tudor prevedeva il lavoro obbligatorio per i disoccupati e rendeva la disoccupazione un reato punibile con una speciale brutalità». [10]

La più completa di queste leggi fu lo Statute of Artificers del 1563. Tra le sue disposizioni, esso prevedeva che:

  • Uomini e donne disoccupati tra i dodici e i sessant’anni potevano essere costretti a lavorare in qualsiasi fattoria agricola che li assumesse.
  • Gli stipendi e le ore per tutti i tipi di lavoro erano fissati dai giudici locali, che provenivano dalla classe dei datori di lavoro. Chiunque offrisse o accettasse salari più alti veniva imprigionato.
  • Nessuno poteva lasciare un lavoro senza il permesso scritto del datore di lavoro; un lavoratore disoccupato che non avesse una giustificazione poteva essere imprigionato e frustato.

Il pionieristico storico dell'economia Thorold Rogers descrisse lo Statuto del 1563 come «lo strumento più potente mai concepito per degradare e impoverire il lavoratore inglese». [11] R.H. Tawney paragonava le sue disposizioni alla servitù della gleba: «il salariato … difficilmente può aver trovato molta differenza tra le restrizioni imposte ai suoi spostamenti dai giudici di pace e quelle impostegli dalle autorità feudali, salvo che queste ultime, essendo limitate all'area di un solo villaggio, erano state più facili da eludere». [12]

Ma indipendentemente da ciò che diceva la legge, spesso c'erano più lavoratori che lavoro retribuito, quindi molti andavano in giro in cerca di lavoro. Tali "uomini senza padrone" spaventavano i governanti del paese anche più dei disoccupati che restavano a casa. Le autorità Tudor non riconoscevano nulla di simile alla disoccupazione strutturale: le persone abili al lavoro ma senza terra o padroni erano considerate ovviamente dei fannulloni pigri che avevano scelto di non lavorare, costituendo una minaccia per la pace sociale. Come la maggior parte dei governi di allora e di oggi, attaccavano i sintomi non le cause, approvando una legge dopo l’altra per costringere «girovaghi, vagabondi, mendicanti e ladri» a tornare alle loro parrocchie di origine e al lavoro.

Una legge particolarmente feroce, emanata nel 1547, ordinò che ogni vagabondo che rifiutasse di accettare qualsiasi lavoro offerto fosse marchiato con un ferro rovente e letteralmente ridotto in schiavitù per due anni. Il suo padrone era autorizzato a nutrirlo con pane e acqua, a mettergli anelli di ferro intorno al collo e alle gambe e «far lavorare il detto schiavo picchiandolo, incatenandolo o dandogli un incarico o in un lavoro per quanto vile sia mai». [13] I figli dei vagabondi potevano essere sottratti ai loro genitori e affidati a chiunque li volesse fino all'età di venti anni (le ragazze) e ventiquattro (i ragazzi).

Altre leggi sul vagabondaggio prescrivevano la fustigazione per le strade fino al sangue e la morte per i recidivi. Nel 1576, a ogni contea fu ordinato di costruire case di correzione e incarcerare chiunque si fosse rifiutato di lavorare a qualunque salario e condizione fossero stati offerti.

Come scrisse Marx nel Capitale, «Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla sua terra, e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di marchio a fuoco, di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema del lavoro salariato». [14]


Migrazione ed emigrazione

Gran parte dell'Inghilterra era ancora non recintata e scarsamente popolata, quindi piuttosto che vivere come braccianti senza terra, molte famiglie viaggiavano alla ricerca di terreni agricoli disponibili.

«Questa popolazione in eccesso si è spostata dalle aree più sovraffollate alle regioni coperte da paludi e acquitrini, steppe e foreste; da brughiera e montagne, dove c'erano ancora vasti terreni comuni, sui quali un contadino con poca o nessuna terra poteva guadagnarsi da vivere grazie ai diritti comuni, per cui poteva pascolare alcuni animali sul bene comune e procurarsi legna da ardere e materiali da costruzione; dove c'erano ancora terre abbandonate non occupate, su cui i poveri potevano adattarsi a vivere in piccole capanne e ritagliarsi piccole fattorie; e dove c'erano impieghi industriali con i quali un contadino o un piccolo agricoltore poteva integrare il suo reddito. Con questa migrazione e grazie a tali risorse dei diritti comuni, delle terre abbandonate e dell'industria, il piccolo contadino sopravvisse e i contadini poveri o senza terra furono salvati dal degradarsi in lavoratori salariati o indigenti». [15]


Ma il maggior numero di migranti lasciò definitivamente l'Inghilterra, principalmente per il Nord America o i Caraibi. L'emigrazione netta nel secolo prima del 1640 raggiunse quasi le seicentomila unità, e altre quattrocentomila persone partirono entro la fine del secolo – numeri straordinariamente grandi da un paese la cui popolazione a metà del 1600 era di appena cinque milioni di abitanti. Inoltre, queste sono cifre nette: ce ne furono altri ancora, ma il loro numero fu parzialmente compensato dagli immigrati dalla Scozia, dal Galles, dall'Irlanda e dall'Europa continentale. [16]

La maggior parte degli emigranti erano giovani, e circa la metà pagava la pericolosa traversata oceanica accettando di essere servi a contratto per quattro o più anni. Era un prezzo alto, ma centinaia di migliaia di contadini senza terra erano disposti a pagarlo. (Per alcuni non era nemmeno una scelta: i tribunali inglesi condannavano spesso vagabondi e altri criminali alla servitù a contratto all'estero).


Lavoro nella metropoli

Per molti diseredati, la creazione di nuove fattorie in Inghilterra o all'estero non era possibile e, forse, desiderabile. L'alternativa era un lavoro retribuito, e si trovava più facilmente – speravano – a Londra.

«Mentre la popolazione dell'Inghilterra è meno che raddoppiata da 3,0 milioni a 5,1 milioni di abitanti, tra il 1550 e il 1700, a Londra è quadruplicata da 120.000 a 490.000» – diventando così la patria di quasi il 10% della popolazione nazionale. [17] Londra normalmente aveva un alto tasso di mortalità e ripetute epidemie di peste uccisero decine di migliaia di persone, quindi la crescita si sarebbe verificata solo se circa diecimila persone si fossero trasferite lì ogni anno. Le condizioni di vita erano terribili, ma i salari erano più alti che altrove e centinaia di migliaia di lavoratori senza terra la vedevano come la loro migliore speranza.

Molte delle storie sullo sviluppo delle città sottolineano il loro ruolo di fulcro del commercio mondiale e dell'impero. Come commenta Brian Dietz, «gli storici in generale esitano ad associare Londra alla produzione. Un'immagine industriale in qualche modo sembra inappropriata». [18]

Ciò è comprensibile se "Londra" significa solo la capitale fortificata e le parrocchie immediatamente circostanti, dove vivevano e lavoravano ricchi mercanti e dove le corporazioni formate in epoca medievale controllavano ancora la maggior parte dell'attività economica, ma Londra era più di questo. La maggior parte dei migranti viveva nei sobborghi orientali, che crebbero di un sorprendente 1400 % tra il 1560 e il 1680. In quei sobborghi, e a sud del Tamigi, c'erano così tante attività industriali che lo storico A. L. Beier descrive la metropoli come un «motore di produzione». C'erano «mulini ad acqua per i cereali sui fiumi Lea e Tamigi; moli e banchine per la riparazione e l'equipaggiamento delle navi tra Shadwell e Limehouse; così come vi si effettuavano la produzione della calce, la produzione di birra, la fabbricazione delle campane, la produzione di mattoni e piastrelle, la lavorazione del legno e dei metalli». [19]

Nella metropoli nel suo insieme, l'industria era più importante del commercio. Sono sopravvissuti pochi documenti delle dimensioni e dell'organizzazione delle industrie, ma dai documenti funerari risulta che nel 1600 circa il 40 % delle persone nella metropoli lavorava principalmente nella produzione, in particolare nell'abbigliamento, nell'edilizia, nella lavorazione dei metalli e della pelle. Un altro 36% principalmente nella vendita al dettaglio. [20]

Nonostante la crescita dell'industria, pochi lavoratori a Londra o altrove trovavano posti di lavoro sicuri o a lungo termine. La maggior parte dei lavoratori salariati non aveva mai un lavoro stabile o guadagnava un reddito sicuro.

«Non c'era da aspettarsi continuità nell'occupazione se non tra una minoranza di dipendenti eccezionalmente qualificati e stimati. La maggior parte dei lavoratori era assunta per la durata di un lavoro particolare, o nel caso dei marinai per una "corsa" o un viaggio, mentre la manodopera generica veniva solitamente assunta su base giornaliera. La maggior parte della popolazione attiva, sia maschile che femminile, costituiva quindi un ampio bacino di manodopera parzialmente occupata, a cui si ricorreva selettivamente quando si presentava la necessità. … Per alcuni, i periodi di lavoro abbastanza regolare erano punteggiati da lunghi periodi di ozio. Per altri, i giorni di lavoro erano sparsi a intermittenza nel corso dell'anno. … [21]

Londra era di gran lunga il più grande centro manifatturiero in Inghilterra, ma i lavoratori migranti svolsero un ruolo chiave nella crescita industriale anche nelle città più piccole. Tra le altre, Coventry (7.000 abitanti) attirava filatori, tessitori e rifinitori di tessuti, e Birmingham (5.000 abitanti) era un importante centro per la produzione di coltelli e di chiodi. [22]


Lavorare in mare

Molti contadini che vivevano vicino alle coste integravano la loro dieta e il loro reddito con la pesca occasionale. Per alcuni lavoratori senza terra, questa diventò un'occupazione a tempo pieno.

Negli articoli precedenti ho trattato della rivoluzione nel settore della pesca – «lo sviluppo e la crescita della pesca intensiva nel Mare del Nord e nell'Oceano Atlantico nordoccidentale nei secoli XV e XVI». Migliaia di lavoratori si recavano in zone di pesca lontane, dove lavoravano per sei o più mesi all'anno, catturando, trasformando e conservando aringhe e merluzzi. La sola pesca a Terranova utilizzava più navi e richiedeva più lavoratori della più famosa flotta del tesoro spagnola che trasportava argento dal Centro e Sud America. Le bank-ships * in mare aperto e le postazioni da pesca a terra erano fabbriche, molto prima della rivoluzione industriale, e gli uomini che vi lavoravano furono tra i primi proletari dell'epoca capitalistica.

Nel 1600, navi e pescatori inglesi divennero una forza dominante nella pesca del Nord Atlantico. «Il successo della pesca nel Mare del Nord e in Terranova dipendeva da mercanti che avevano capitali da investire in navi e altri mezzi di produzione, pescatori che dovevano vendere la loro forza-lavoro per vivere e un sistema di produzione basato su una divisione pianificata del lavoro. [23]

La crescita della pesca a lunga distanza ha prefigurato e ha contribuito alla crescita di una classe operaia marittima più ampia. Le principali storie economiche dell'Inghilterra del XVI e XVII secolo di solito discutono delle compagnie mercantili che hanno finanziato e organizzato il commercio con la Russia, la Scandinavia, l'Impero ottomano, l'India e l'Africa, ma poche hanno molto da dire sui marinai il cui lavoro ha reso possibili i loro viaggi commerciali.

Fortunatamente, gli storici Marcus Rediker e Peter Linebaugh hanno rimediato a questa negligenza. In Between the Devil and the Deep Blue Sea e The Many-Headed Hydra, documentano la crescita di una classe operaia sulle navi mercantili e militari – un ambiente in cui un gran numero di lavoratori cooperava a compiti complessi e sincronizzati, sotto una disciplina servile e gerarchica in cui la volontà umana era subordinata alle attrezzature meccaniche, il tutto per un salario. Il lavoro, la cooperazione e la disciplina della nave ne fecero un prototipo della fabbrica. [24]

Il capitale che i mercanti investirono nel commercio a lunga distanza «mise necessariamente in movimento enormi quantità di libero lavoro salariato. A metà del XVI secolo, tra i 3.000 e i 5.000 inglesi solcavano le onde. Ma nel 1750, dopo due secoli di intenso sviluppo, il loro numero era salito a oltre 60.000. La navigazione mercantile mobilitò enormi masse di uomini per il lavoro a bordo. Questi lavoratori entrarono in nuovi rapporti sia con il capitale — come una delle prime generazioni di lavoratori salariati liberi — sia tra loro — come classe. … Queste mani cooperanti non possedevano gli strumenti o i materiali di produzione, e di conseguenza vendevano le loro abilità e i loro muscoli in un mercato internazionale per un salario. Erano una parte assolutamente indispensabile dell'ascesa e della crescita del capitalismo del Nord Atlanticostrong> [25]

 

Il balzo elisabettiano

Nonostante la migrazione e l'emigrazione, la popolazione rurale inglese crebbe notevolmente nel XV e XVI secolo. La crescita fu accompagnata da una ristrutturazione: l'inizio di una transizione economica a lungo termine, dall'agricoltura all'industria rurale.

La popolazione rurale interamente dedita all'agricoltura scese dal 76 % nel 1520 al 70 % nel 1600, e al 60,5% nel 1670. La “popolazione rurale non agricola”, categoria che comprende gli abitanti dei piccoli centri e quelli dei villaggi industriali, passò dal 18,5 % nel 1520 al 22 % nel 1600, e al 26 % nel 1670». [26]

Le vecchie industrie rurali prosperarono e ne emersero di nuove come risultato di quello che lo storico marxista Andreas Malm chiama l’Elizabethan leap: la spettacolare crescita nella produzione di carbone sia per uso industriale che domestico, in sostituzione della legna e del carbone. «Gli anni intorno al 1560 segnarono l'inizio di una vera e propria febbre del carbone, tutti i principali giacimenti subirono presto un ampio sviluppo; nel secolo e mezzo successivo, la produzione nazionale aumentò probabilmente di oltre dieci volte». [27] C'erano notevoli miniere di carbone nel Galles meridionale e in Scozia, ma le più grandi miniere di carbone erano finanziate da gruppi di mercanti e proprietari terrieri nel nord-est dell'Inghilterra. Le spedizioni lungo la costa orientale, da Newcastle al mercato in rapida crescita di Londra, passarono da cinquantamila tonnellate all'anno nel 1580 a trecentomila tonnellate nel 1640.

«Una grande forza-lavoro specializzata con un'elaborata divisione del lavoro fu impiegata nella perforazione, nell’ingabbiatura col legname e nel drenaggio di pozzi, nello scavo, nel trascinamento, nella raccolta e nello smistamento del carbone e nel suo trasporto alle stazioni lungo il fiume, dove veniva immagazzinato pronto per la spedizione a valle su barche a chiglia per rifornire le flotte addette al trasporto alla foce del Tyne and Wear. …

«La crescita complessiva dell'industria fece sì che nel 1650 il carbone fosse la principale fonte di combustibile della Gran Bretagna, non solo per il riscaldamento domestico, ma anche per le fucine, le forge, i forni per la calce, le saline, le fabbriche di birra, gli stabilimenti di sapone, gli zuccherifici, i tini di tintura, i forni per la produzione di mattoni e numerosi altri processi industriali che consumavano forse un terzo della produzione totale». [28]


Nel 1640, l'industria carbonifera inglese produceva da tre a quattro volte più carbone di tutto il resto d'Europa e impiegava più lavoratori di tutti gli altri tipi di miniere inglesi messi insieme. [29] Da dodicimila a quindicimila minatori lavoravano direttamente nell'estrazione del carbone, e più ancora lavoravano nel trasporto e nella distribuzione: «quanti producevano il carbone erano notevolmente meno numerosi rispetto ai carrettieri e agli addetti ai carri, agli uomini delle chiglie*, ai marinai, ai fuochisti, agli spalatori e ai carbonai che lo maneggiavano nel suo cammino dalla miniera al focolare». [30]


Filatrici e tessitori

La crescita dell'estrazione del carbone e delle industrie che lo consumavano fu impressionante, ma la lana era di gran lunga la materia prima più importante e la produzione di vestiti era la maggiore attività non agricola. [31] Fino alla fine del 1400 la maggior parte della lana grezza veniva prodotta per l'esportazione, principalmente verso i produttori di tessuti delle Fiandre, ma verso la metà del 1500 quasi tutta veniva filata e tessuta in Inghilterra. Nel 1700 la produzione tessile inglese era aumentata di oltre il 500 % e la stoffa rappresentava almeno l'80 % delle esportazioni del paese.

Per secoli la stoffa era stata realizzata da singoli artigiani per uso familiare e per la vendita nei mercati locali, ma nel 1500 la produzione passò sotto il controllo di fabbricanti di stoffe che consegnavano grandi quantità di lana ai filatori, quindi raccoglievano il filo e lo consegnavano ai tessitori, specificando che tipo di filo e stoffa dovevano essere realizzati, e che infine spedivano il prodotto ai mercanti londinesi che controllavano il commercio con l'Europa.

La produzione di tessuti comportava molteplici attività, tra cui la tosatura, lo smistamento e la pulizia della lana grezza, la separazione e l'organizzazione delle fibre mediante pettinatura o cardatura, tintura, filatura e tessitura. La filatura, svolta quasi esclusivamente da donne, era la più dispendiosa in termini di tempo e impiegava la maggior parte dei lavoratori.

L'importanza delle donne nella filatura è illustrata dal fatto che nel 1500 la parola zitella venne a significare una donna nubile e conocchia (il bastone che sosteneva la lana o il lino durante la filatura) si riferiva al lato femminile di una linea familiare.

Ricostruendo il fenomeno a ritroso, considerando il quantitativo di stoffa prodotta per l'esportazione e per uso domestico, lo storico Craig Muldew stima che alla filatura si dedicassero almeno 225.000 donne nel 1590, 342.000 nel 1640 e 496.000 nel 1700. Queste stime presumono che tale attività fosse svolta soltanto da donne sposate, che dovevano dedicarsi anche agli altri impegni domestici. Alcuni lavori sarebbero stati eseguiti da donne nubili; anche così il numero effettivo di filatrici impegnate era probabilmente inferiore, ma tuttavia «la filatura era di gran lunga la principale occupazione industriale nell’Inghilterra moderna». [32]

In parole povere, erano necessarie dieci filatrici impegnate a tempo pieno per produrre abbastanza filo per rifornire un tessitore e un assistente impegnati a tempo pieno. I tessitori erano quasi tutti uomini: alcuni erano impiegati in laboratori con pochi altri tessitori, ma la maggior parte lavorava nelle proprie case. All'inizio del 1600, non era insolito che un singolo capitalista impiegasse centinaia di lavoratori a domicilio e che alcuni produttori ne impiegassero fino a mille, tutti pagati a cottimo. Per i capitalisti, il subappalto era un mezzo efficace per mobilitare molti lavoratori in una complessa divisione del lavoro, pur mantenendo un controllo effettivo e riducendo al minimo gli investimenti di capitale. I contadini erano una forza-lavoro meravigliosamente flessibile, facilmente scartata quando il mercato si contraeva, come spesso accadeva.

Alcuni filatori e tessitori erano contadini a cui le cose andavano bene che integravano il proprio reddito con lavoro salariato part-time, ma un numero crescente riceveva la maggior parte del proprio reddito sotto forma di salario e lo integrava con i prodotti di piccoli appezzamenti di terra e dei beni comuni. Come fa notare lo storico marxista Brian Manning, nel XVII secolo un numero crescente di persone non aveva terra: erano «molto poveri nel migliore dei casi, ma, durante le periodiche depressioni del commercio e quando c’era disoccupazione di massa, si avvicinavano alla fame». [33] Stava sviluppandosi una divisione di classe, tra i contadini e un proletariato rurale.

«Il divario critico stava nella terra di confine in cui i piccoli proprietari o 'agricoltori' con poca terra e diritti comuni, ma in parte dipendenti dai salari guadagnati nell'agricoltura o nell'industria, si mescolavano con i contadini senza terra interamente dipendenti dal salario. Sullo sfondo della rivoluzione cresceva il numero di questi ultimi». [34]


Nella produzione artigianale tradizionale, l'artigiano acquistava lana o lino da un contadino, decideva cosa fare e vendeva il prodotto finito in un mercato o a un mercante ambulante. Nel sistema di subappalto, un capitalista forniva la materia prima, stabiliva il tipo, la quantità e la qualità del prodotto da produrre, possedeva il prodotto dall'inizio alla fine e imponeva un pagamento. I produttori non erano più artigiani indipendenti impegnati nella piccola produzione di merci, erano impiegati in un sistema di manifattura capitalistica.


Una nuova classe

Come scrisse Marx, una nuova classe di lavoratori salariati nacque in Inghilterra quando «grandi masse di uomini [venivano] staccate improvvisamente e con la forza dai loro mezzi di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come proletariato eslege». [35]

Con quelle parole, e nella sua ricostruzione della «cosiddetta accumulazione originaria»,* Marx stava descrivendo il lungo arco dello sviluppo capitalistico, non un cambiamento avvenuto dall'oggi al domani. Questo fu improvviso per chi perse la propria terra, ma la trasformazione sociale richiese secoli. All'inizio del 1700, duecento anni dopo che Thomas More aveva condannato le recinzioni e lo spopolamento in Utopia, circa un terzo dei terreni agricoli inglesi era ancora non recintato e la maggior parte delle persone viveva e lavorava ancora nella terra. Ci volle un'altra grande ondata di assalti ai beni comuni e ai commoners, dopo il 1750, per completare la transizione al capitalismo industriale.

Il secolo che precedette la Rivoluzione inglese fu un'epoca di transizione, un'epoca in cui, per parafrasare Gramsci, il vecchio ordine stava morendo mentre il nuovo ordine faticava a nascere. Una parte importante di quella transizione, come ho cercato di mostrare in questo articolo, fu costituita dall'allontanamento dalla terra di numerosissime persone che beneficiavano di beni comuni e la conseguente nascita di una nuova classe di lavoratori salariati. Nessuna delle industrie qui descritte avrebbe potuto sopravvivere un giorno senza di loro.

Nel tempo, e con molte deviazioni e rovesci, i diseredati divennero proletari.

Guardando indietro, quella transizione sembra inevitabile, ma all’epoca non sembrò tale ai beneficiari di terre e diritti comuni. Essi resistettero furiosamente alle privatizzazioni che li costringevano a lasciare la terra e ad accettare un lavoro salariato. Fu vasta l'opposizione di massa alla distruzione dei beni comuni e alcuni sostennero eloquentemente un'alternativa sia al feudalesimo che al capitalismo basata sui beni comuni.

(continua)


Note

* Bertolt Brecht, Poesie 1933-1956, trad. it. di M. Carpitella, C. Cases, E. Castellani, R. Fertonani, R. Leiser e F. Fortini, Torino, Einaudi, 1977. [N.d.T.]

[1] Karl Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Libro primo, Roma, 1989 (Ristampa anastatica della V ed. dell’ottobre 1964), p. 201. [Angus cita non il passo dall’inizio; per ragioni formali e di chiarezza qui è stato pertanto necessario riportare il periodo per intero, aggiungendo tra parentesi quadre la parte iniziale mancante. [N.d.T.]

* commoners erano contadini che, nel Regno Unito, avevano diritti, assieme ad altri, su una common land, cioè «un terreno di proprietà collettiva di un certo numero di persone, o di una sola persona, ma su cui altre persone hanno alcuni diritti tradizionali, tali da consentire il pascolo del loro bestiame, la raccolta della legna da ardere o il taglio della torba da utilizzare come combustibile» (Wikipedia) [N.d.T.]

[2] Christopher Hill, Liberty Against the Law: Some Seventeenth-Century Controversies, Verso, 2020, p. 66.

[3] Christopher Hill, Change and Continuity in Seventeenth Century England, Weidenfeld and Nicolson, 1974, pp. 221, 237.

[4] Karl Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Libro primo, op. cit., p. 202.

[5] Ann Kussmaul, Servants in Husbandry in Early Modern England, Cambridge University Press, 1981, pp. 3, 4. [N.d.T. Abbiamo preferito non tradurre l’espressione servants in husbandry dato che il significato è illustrato dall’autore ed anche perché qualsiasi traduzione l’avrebbe penalizzata non rendendone pienamente il significato].

[6] Ann Kussmaul, Servants in Husbandry, op. cit., p. 9.

[7] Andy Wood, Riot, Rebellion and Popular Politics in Early Modern England, Palgrave, 2002, p. 83.

[8] Jane Humphries, Enclosures, Common Rights, and Women: The Proletarianization of Families in the Late Eighteenth and Early Nineteenth Centuries, «The Journal of Economic History», marzo 1990, p. 21. La ricerca di Humphries si è concentrata sul 1700, ma le sue osservazioni si applicano con uguale forza agli anni precedenti.

[9] Jeremy Boulton, The 'Meaner Sort': Laboring People and the Poor, in A Social History of England, 1500-1750, Keith Wrightson (a cura di), Cambridge University Press, 2017, pp. 310-30.

[10] Maurice Dobb, Studies in the Development of Capitalism, Revised ed., International Publishers, 1963, p. 233.

[11] Thorold Rogers, A History of Agriculture and Prices in England, vol. 5, Clarendon Press, 1887, p. 628.

[12] R.H. Tawney, The Agrarian Problem in the Sixteenth Century, Lector House, 2021 [1912], 33.

[13] Cit. in C.S.L. Davies, Slavery and Protector Somerset; The Vagrancy Act of 1547. «Economic History Review» 19, n. 3 (1966), p. 534.

[14] Karl Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Libro primo, op. cit., p. 800.

[15] Brian Manning, The English People and the English Revolution, Bookmarks, 1991, pp. 187-8.

[16] Nessuno sa esattamente quante persone siano immigrate ed emigrate, perché nessuno ha registrato il fenomeno. Queste cifre provengono dallo studio più autorevole: E.A. Wrigley and R.S. Schofield, The Population History of England 1541-1871: A Reconstruction, Edward Arnold, 1981, pp. 219-228.

[17] Roger Finlay and Beatrice Shearer, Population Growth and Suburban Expansion, in London 1500-1700: The Making of the Metropolis, A.L. Beier and Roger Finlay (a cura di), Longman, 1986, p. 38. Altre stime del numero degli abitanti di Londra nel 1700 arrivano fino a 575.000.

[18] Brian Dietz, Overseas Trade and Metropolitan Growth, in London 1500-1700: The Making of the Metropolis, op. cit., p. 129.

[19] A.L. Beier, Engine of Manufacture: The Trades of London, in London 1500-1700: The Making of the Metropolis, op. cit., p. 163.

[20] A.L. Beier, Engine of Manufacture: The Trades of London, in London 1500-1700: The Making of the Metropolis, op. cit., p. 148.

[21] Keith Wrightson, Earthly Necessities: Economic Lives in Early Modern Britain, Yale University Press, 2000, p. 313.

[22] Brian Manning, Aristocrats, Plebeians and Revolution in England 1640-1660, Pluto Press, 1996, p. 62.

[23] Ian Angus, Intensive Fishing and the Birth of Capitalism, Part One, Part Two, Part Three, Part Four, Climate & Capitalism, febbraio-aprile 2021. [* N.d.T.: bank-ships non ha un equivalente italiano, pertanto abbiamo preferito lasciarlo in originale: come chiaramente si capisce, si trattava di navi che lavoravano e, diremmo oggi, inscatolavano, al largo il pesce pescato].

[24] Peter Linebaugh and Marcus Rediker, The Many-Headed Hydra: Sailors, Slaves, Commoners, and the Hidden History of the Revolutionary Atlantic, Beacon Press, 2013, p. 150.

[25] Marcus Rediker, Between the Devil and the Deep Blue Sea: Merchant Seamen, Pirates and the Anglo-American Maritime World, 1700-1750, Cambridge University Press, 1987, p. 290.

[26] Keith Wrightson, op. cit., p. 172.

[27] Andreas Malm, Fossil Capital: The Rise of Steam Power and the Roots of Global Warming, Verso, 2016, p. 48.

[28] Keith Wrightson, op. cit., pp. 170-71. Uno staithe era un molo costruito appositamente per il trasbordo del carbone.

[29] J.U. Nef, The Progress of Technology and the Growth of Large-Scale Industry in Great Britain, 1540-1640, «Economic History Review» 5, n. 1, October 1934, p. 14.

[30] John Hatcher, The History of the British Coal Industry, vol. 1, Clarendon Press, 1993, p. 350. [*Qui i termini carters e waggonmen e i successivi keelmen e seamen sembrerebbero tra loro sinonimi, in realtà corrispondevano a funzioni diverse: i carters erano veri e propri carrettieri, mentre i waggonmen erano individui addetti ai carri i quali, a piedi e anche servendosi del fieno, inducevano i cavalli da traino ad avanzare, probabilmente dall’interno della miniera fino al luogo dove il carbone veniva ammassato; lo stesso vale per keelmen e seamen, essendo i primi dei marinai addetti alle “chiglie”, imbarcazioni fluviali a basso pescaggio che trasportavano il carbone fino alla foce dei due fiumi in questione, il Tyne e il Wear, dove veniva caricato dalle navi, mentre i secondi, i seamen, marinai di queste ultime. Infatti, come si legge alla voce keelmen di Wikipedia, «A causa della poca profondità di entrambi i fiumi, era difficile per le navi di qualsiasi pescaggio significativo risalire il fiume e caricare carbone dal punto in cui il carbone raggiungeva la riva del fiume. Da qui la necessità di chiglie a basso pescaggio per trasportare il carbone alle navi in ​​attesa». [N.d.T.]

[31] Peter J. Bowden, The Wool Trade in Tudor and Stuart England, Routledge, 2010 [1962], xv; B.E. Supple, Commercial Crisis and Change in England 1600-1642, Cambridge University Press, 1959, p. 6.

[32] Craig Muldew, ‘Th’ancient Distaff’ and ‘Whirling Spindle’, «Economic History Review» 65, n. 2, 2012, pp. 518, 523.

[33] Brian Manning, Aristocrats, Plebeians and Revolution in England 1640-1660, op. cit., p. 62.

[34] Brian Manning, 1649: The Crisis of the English Revolution, Bookmarks, 1992, pp. 71-2.

[35] Karl Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Libro primo, op. cit., p. 780. [*ivi, p. 778 N.d.T.]

Ian Angus

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Climate&Capitalism 12.12.2021


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