Fonte: Ecor.Network - 10.06.2021

Nella prima parte, gli autori hanno descritto come l’agricoltura industriale compromette la capacità rigenerativa degli insiemi biologici da cui dipendono la maggior parte delle attività antropocentriche e la produzione alimentare. In questa, vengono esaminati gli allevamenti industriali di bestiame e pollame, dove la nascita, lo sviluppo e l'allevamento sono orientati a servire la massimizzazione della produzione e le proiezioni finanziarie.



Bestiame e pollame: Economizzare il valore di scambio

Il sociologo Ryan Gunderson suggerisce che la “produzione di bestiame industriale” offre solo una descrizione della proteina moderna.[1]
Riscaldamento globale. Bilanci di carbonio e azoto sbilanciati. Corsi d’acqua inquinati. Nutrizione in peggioramento. Nuove malattie infettive. Obesità patologica e diabete. Fusione di aziende agricole e espropriazione di terreni. Abbandono rurale. Suicidi di agricoltori e relativa epidemia da oppiacei.
Le fratture metaboliche che attraversano questi ambiti ecosociali sono solo i sintomi più patologici di tale produzione.[2]
Il capitalismo, sostiene Gunderson, è la spiegazione.

Il sociologo ambientale John Bellamy Foster descrive uno dei primi sforzi per tracciare queste connessioni all'interno di quelli che sarebbero diventati gli studi agrari critici.[3] Karl Marx ha dato origine alla nozione di variazioni nel regime alimentare, ha esposto i punti di rottura nella produzione agricola guidata dal capitale, ha esaminato i bilanci nutrizionali per tipo di occupazione, ha tracciato gli effetti della mercificazione (e della struttura di classe) sulle alterazioni - spesso velenose - del cibo e ha notato gli impatti dell’allevamento intensivo sulla proletarizzazione degli agricoltori, sul peggioramento del benessere degli animali, sull'espulsione delle popolazioni rurali e sulla riduzione del cibo disponibile localmente per il sottoproletariato urbano.[4]

Nelle loro migliaia di ettari di monocoltura del bestiame, lagune di letame, corsi d’acqua non potabili, quarantene da focolai e ruralità commercializzate, molti paesaggi regionali in tutto il mondo oggi hanno riprodotto (e eclissato) la mappa di Marx in modo allarmante.[5]
In uno degli esempi più spettacolari, la Guangxi Yangxiang Co. Ltd, una società privata cinese, sta aggiungendo alle sue due attività di allevamento di scrofe su sette piani un “hotel per maiali” di tredici piani in cui allevare mille capi per ogni piano.[6]

Altri paesi sono impegnati egualmente in tale produzione, anche se secondo le proprie traiettorie storico-ambientali. Sebbene abbiano solo le dimensioni dello stato americano del Maryland, con tre volte la sua popolazione, i Paesi Bassi hanno effettivamente interiorizzato le logiche della loro età imperiale, ospitando ora un settore del bestiame che genera 9,3 miliardi di euro all’anno, con una produzione che rivaleggia, e per alcune specie supera, mercati europei di gran lunga più ampi in termini assoluti con gravi danni ambientali ed epidemiologici.[7]

Intere contee negli Stati Uniti sono dedicate alla produzione di animali per l’alimentazione industriali, con l’esclusione delle popolazioni umane che storicamente gestivano i paesaggi rurali.[8] Di conseguenza, lo stato dell’Iowa, un centro per la produzione di bestiame e pollame, è un epicentro per i rifiuti di azoto, fosforo e solidi totali.[9] I suoi bacini idrografici North Raccoon, Floyd e Little Sioux, in cui vivono 350.000 persone in totale, ospitano l’equivalente di rifiuti di Tokyo, New York e Città del Messico messi insieme.[10]

Il danno è andato oltre la riduzione a metà dei fiumi puliti dell’Iowa, inquinando i pozzi d’acqua privati con nitrati e batteri coliformi fecali e producendo le emissioni più alte a livello nazionale in particolato fine di nitrato di ammonio, solfato di ammonio e solfuro di idrogeno.[11] Le aziende agricole dell’Iowa, a  fronte di tali costi generali prodotti da loro stesse, stanno ora cercando di espandere le loro operazioni su larga scala nelle vicine contee del Minnesota e del Wisconsin attualmente caratterizzate da una produzione condotta da piccoli proprietari.[12]

L’effetto dell’agricoltura industriale si fa sentire al di là di queste ecologie di produzione e dei loro impatti sociospaziali.
Solo un sottoinsieme di specie domestiche neolitiche in grado di lasciare un segno sull’allevamento umano si dimostrò disponibile ad essere ulteriormente piegato ai modi di produzione capitalistici diretti al valore di scambio e al plusvalore.[13] Queste varietà decrescenti sono riuscite a concretizzare - e ad aggiungersi come lavoro metabolico non umano - la crescita rapida, omogenea e a basso prezzo che tale sistema ha determinato in una molteplicità di località colonizzate.[14]

Solo poche varietà hanno espresso una morfogenetica abbastanza flessibile e criteri di reazione abbastanza prevedibili da essere modellate in termini di sviluppo per il volume e l’uniformità dei mercati just-in-time di mezzo mondo.[15] Cioè, sono stati imposti enormi cambiamenti su come vengono allevati gli animali per l’alimentazione (e addirittura su cosa sono). Il bestiame e il pollame industriali rappresentano sempre di più l’economia capitalista.
La genetica, l’allevamento, il parto, la finitura, l’alimentazione, l’alloggio, la gestione dei rifiuti, il trasporto, l’uccisione, la lavorazione, l’imballaggio e la spedizione sono stati organizzati in primo luogo intorno ai tassi di profitto.[16]

Attraverso un moderno mercato dei futures di origini ottocentesche, il bestiame e il pollame sono ora finanziarizzati “vivi”.[17] Gli animali vengono contrattualizzati come bene intercambiabile  mesi prima della loro nascita effettiva. Questi accordi vanno oltre la loro mera identità di materie prime nella piazza di scambio. Le specie sono trattate come classi di beni soggette alle volatilità dei prezzi, preferite in quanto oggettivamente più  reali delle dinamiche ecologiche o epidemiologiche al cui interno alla fine nasceranno gli animali veri. Di conseguenza, l’allevamento, la nascita e lo sviluppo sono orientati a servire in primo luogo queste proiezioni finanziarie.

La quasi la totalità dell’allevamento avicolo mondiale in volume è concentrata nelle mani di poche multinazionali, spinte da un’ondata di fusioni non tanto per la ricerca di efficienze quanto per la lenta crescita del mercato e i per bassi rendimenti.[18] Gli allevatori primari, quelli che progettano le prime tre generazioni di linee di polli da carne che i moltiplicatori commerciali riproducono e commercializzano, sono passati da undici aziende nel 1989 a quattro nel 2006: EW Group, Groupe Grimaud, Hendrix Genetics e Cobb-Vantress.[19] Le dieci aziende produttrici di linee di galline ovaiole nel 1989 si sono accorpate fino a due nel 2006.
Il settore dei suini è rimasto a lungo indietro rispetto ai suoi concorrenti del pollame, ma negli anni ‘90 è entrato a pieno regime nella Rivoluzione del bestiame. Il mercato dei suini è cresciuto vertiginosamente in primo luogo nelle compagnie multinazionali di allevamento, organizzate attorno a incroci terminali che massimizzano la produzione per animale.[20] Ne è seguita la serie consueta di fusioni, che ha lasciato alcune compagnie al comando, anche se le cooperative di agricoltori e le società di allevamento nazionali rimangono attori importanti: PIC, Smithfield Premium Genetics, Hypor (una sussidiaria di Hendrix Genetics), Newsham (Groupe Grimaud), DanBred e Topigs.[21]
Il valore dei prodotti forniti da questi allevatori primari è biologicamente “bloccato”, offrendo alle società moltiplicatrici solo i maschi delle linee maschili e le femmine della linea femminile.[22]

Il bestiame e il pollame determinati dall’eterosi, che mostrano il vigore ibrido (*) che ai loro genitori manca, sono trattati come segreti commerciali e devono essere continuamente acquistati. Attraverso questo modello industriale a cascata, un piccolo gruppo di polli maschi provenienti da un’unica origine può generare milioni di progenie di polli da carne.

Le fasi ricorrenti di concentrazione del mercato hanno anche contribuito a ridurre le dimensioni e il numero delle popolazioni riproduttive.[23] Il settore stesso ha riconosciuto i pericoli che il declino del patrimonio genetico impone alla disponibilità di cibo, al controllo epidemiologico e alla resilienza dei sistemi.[24]
Ma i ricercatori finanziati dalle aziende hanno rivendicato i propri doveri fiduciari, mettendo ancora una volta al primo posto la finanza, proteggendo l’industria dalla responsabilità di mantenere queste risorse genetiche come bene pubblico.[25] Questi ricercatori sostengono che devono essere i governi a sostenere il costo della conservazione del germoplasma animale.[26]

Il bestiame e il pollame industriali sono allevati per una rapida crescita. Le tiroidi del pollame sono selezionate per non riconoscere quando lo stomaco del pulcino è pieno.[27] Di conseguenza, i polli da carne raggiungono pesi target molto più elevati - un aumento del 400% dal 1957 - in sole sei settimane.[28]
La carne cresce così velocemente che il pollame soffre di morbilità muscoloscheletrica e psicopatologie, tra cui discondroplasia tibiale e beccaggio da stress, associate alla crescita di così tanta carne su così tante migliaia di uccelli raggruppati insieme.[29]

La dieta offre un mezzo attraverso il quale l’agribusiness tenta di costringere l’economia del bestiame non integrata alle proprie condizioni. I ruminanti industriali evoluti per mangiare erba sono tipicamente alimentati con diete a basso prezzo, ad alto contenuto di cereali e a basso contenuto dei foraggi grossolani (che distruggono i microbi del rumine), producendo acidosi ruminale, un disturbo metabolico che ucciderebbe gli animali, se non fosse per la loro prossima macellazione.[30]
Per tornare al tema dell’uso del suolo, con cui abbiamo iniziato, la dieta da stalla spiega in parte il collasso quasi totale dei pascoli coltivati negli Stati Uniti a favore del grano da monocoltura.[31]

Nessun regime alimentare è escluso dalla tabella dietetica. Dagli anni ’80  il bestiame è stato nutrito con altro bestiame, contribuendo a causare focolai zoonotici di encefalopatia spongiforme bovina neurodegenerativa (BSE) nei ruminanti e variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob negli esseri umani.[32] Nonostante la lezione impartita da un tale esito e l’identificazione di ulteriori forme di BSE, vi è una crescente pressione strutturale per allentare i divieti che ne derivano in Europa sulle farine di carne e ossa interspecie e persino intrasprecie.[33]

Le spinte verso la crescita e la riproduzione vanno oltre la dieta e la garanzia della disponibilità costante di mangime. In combinazione con la genetica, l’illuminazione contro-stagionale induce la deposizione delle uova fuori stagione, manipolando le galline ovaiole fuori dall’economia naturale di una fotoperiodicità basata sul sole e producendo continuamente più di 320 uova nel corso di una durata della vita di sole 72 settimane.[34]

Una vera e propria farmacopea sostituisce ciò che non riescono a fare i controlli genetici e ambientali. Ad esempio, la ractopamina cloridrato, vietata in 160 paesi, è un beta-agonista somministrato fino all’80% di maiali, bovini e tacchini statunitensi.[35]
Il farmaco, originariamente sviluppato da Eli Lilly come trattamento per l’asma, imita gli ormoni dello stress e rilassa i muscoli delle vie aeree. Nel bestiame, aggiunge più muscoli con meno mangime. Sono stati documentati sul campo centinaia di migliaia di eventi avversi associati alla ractopamina, tra cui iperattività, tremore, arti rotti, rigidità, incapacità di camminare, stress e sensibilità da calore e morte.[36]

(2. Continua)



Glossario
:

* Eterosi o vigore dell'ibrido: indica il miglioramento delle caratteristiche di un ibrido, ottenuto dall’incrocio di due linee pure, rispetto ai suoi genitori. Ad esempio l'aumento di dimensioni, la grande fertilità,  la particolare resistenza alle malattie, ecc.


 
Note:

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Rob Wallace, Alex Liebman, David Weisberger, Tammi Jonas, Luke Bergmann, Richard Kock e Rodrick Wallace

Traduzione di Ecor.Network

Fonte: Dead Epidemiologists: On the Origins of COVID-19 - Monthly Review Press 2020


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