Fonte: Climate&Capitalism - 20.01.2024

Mentre i miliardari si incontrano nel lusso, Oxfam pubblica una sconcertante condanna dell'incapacità del capitale di soddisfare i bisogni dell'umanità.

L'annuale raduno della ricca élite globale, chiamato World Economic Forum (WEF), è di nuovo in corso nella lussuosa località sciistica di Davos, in Svizzera. Migliaia di persone parteciperanno all'evento e molti dei “grandi e bravi” leader politici e delle corporations sono arrivati sui loro jet privati con enormi entourage. Tra i relatori figurano il premier cinese Li Qiang, il capo dell'UE Ursula von de Leyen, l'ucraino Zelensky e molti leader aziendali di primo piano.

Il WEF si propone di discutere le sfide che l'umanità dovrà affrontare dal 2024 in poi. Queste sfide, tuttavia, sono viste principalmente dal punto di vista del capitale globale e tutte le soluzioni politiche proposte sono guidate dall'obiettivo di sostenere l'ordine capitalistico mondiale.

Lo rivela il Global Risks Report annuale del WEF, che effettua un sondaggio tra i partecipanti a Davos. Il rapporto

«esplora alcuni dei rischi più gravi che potremmo affrontare nel prossimo decennio, in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici, incertezza economica, riscaldamento del pianeta e conflitti. Mentre la cooperazione è sotto pressione, alle economie e alle società indebolite potrebbe bastare uno shock minimo per superare il punto critico della resilienza».


Per quanto riguarda l'economia mondiale, il rapporto rivela preoccupazioni. Nella top ten dei “rischi”, per gli intervistati nel 2024 figurano la crisi del costo della vita e la stagnazione economica. Il rapporto del WEF afferma che:

«Anche se per ora sembra prevalere un “atterraggio più morbido”, le prospettive a breve termine rimangono molto incerte. Si profilano molteplici fonti di continue pressioni nei prossimi due anni, dovute alle condizioni di El Niño, alla potenziale escalation di conflitti in corso, ai prezzi dal lato dell'offerta. E se i tassi di interesse rimarranno relativamente alti nel tempo, le piccole e medie imprese, e i paesi fortemente indebitati, saranno particolarmente esposti al pericolo del debito».


Il rapporto definisce questa situazione “incerta”, ma ciò che è certo è che il cosiddetto “atterraggio morbido”, cioè un'espansione economica costante senza crolli, è limitato all'economia statunitense e non alle altre principali economie capitalistiche avanzate.

Anche le prospettive dell'economia statunitense non sono affatto rosee, nonostante i discorsi ottimistici di molte fonti americane. «Una recessione nel prossimo anno sembra meno probabile di quanto sembrasse all'inizio del 2023, dal momento che i tassi d'interesse sono in calo, i prezzi del gas sono diminuiti rispetto all'anno scorso e i redditi crescono più rapidamente dell'inflazione», ha dichiarato Bill Adams, economista capo della Comerica Bank. Ma ha ammesso che mediamente, gli economisti «si aspettano che l'economia statunitense cresca solo dell'1% nel 2024, circa la metà del suo normale tasso di lungo periodo, e che abbia un significativo rallentamento rispetto al 2,6% stimato per il 2023». Quindi, nella migliore delle ipotesi, nessuna recessione nel 2024, ma una stagnazione virtuale. «Non si tratta tanto di una recessione quanto di un arresto della crescita», ha dichiarato Rajeev Dhawan, economista della Georgia State University.

Nel resto delle economie del G7 le cose sembrano peggiori. L'economia tedesca è scesa dello 0,3% nel 2023 e potrebbe crollare ulteriormente quest'anno, con l'industria manifatturiera che si è contratta a un tasso del 6-7% su base annua. Sia l'economia francese che quella britannica sono diventate negative nell'ultimo trimestre del 2023. Lo stesso vale per il Canada e il Giappone, mentre l'Italia è in stagnazione. E ci sono diverse altre economie capitalistiche avanzate già in recessione: Paesi Bassi, Svezia, Austria e Norvegia. Nelle cosiddette economie emergenti, molte hanno subito un notevole rallentamento rispetto all'esplosione della ripresa del 2022, dopo la fine del crollo pandemico del 2020.

I tassi d'inflazione sono in calo rispetto ai picchi del 2022, poiché i blocchi dell'offerta e la debolezza dell'industria manifatturiera si stanno riprendendo un po', dopo che la pandemia aveva ridotto l'offerta e il commercio internazionale. I prezzi dei prodotti alimentari e dell'energia sono scesi bruscamente nel 2023. Ma il danno è stato fatto. In media, i prezzi, per la maggior parte delle persone nel mondo capitalistico avanzato, sono aumentati del 20% dalla fine della pandemia (e stanno ancora aumentando). La situazione è ancora peggiore in molti paesi poveri e in molte economie a medio reddito come l'Argentina (150%) e la Turchia (50%). Di conseguenza, dal 2019 i redditi reali delle famiglie medie sono diminuiti, registrando il più grande calo del tenore di vita degli ultimi decenni. Inoltre, l'inflazione potrebbe ricominciare a salire a causa dei recenti attacchi alla navigazione nel Mar Rosso e della distruzione di Gaza e dei suoi due milioni di abitanti da parte di Israele, che estende la crisi a tutto il Medio Oriente, ricco di fonti di energia.

La Banca Mondiale lo riassume nel suo ultimo rapporto. Non ci sarà una recessione negli Stati Uniti, ma “l'economia globale è sulla buona strada per il peggior quinquennio di crescita degli ultimi 30 anni”.
Alla base di questo rallentamento, la Banca Mondiale individua il rallentamento degli investimenti produttivi che creano posti di lavoro e redditi da parte delle principali economie.





I marxisti sosterrebbero che alla base del rallentamento degli investimenti c'è il basso livello di redditività del capitale globale (esclusa l'esigua minoranza di giganti del settore tecnologico ed energetico).


La Banca Mondiale prevede che nel 2024 la crescita del PIL dell'economia mondiale sarà di appena il 2,4%, in calo rispetto al 2,6% del 2023 (e questo dato include l'India, la Cina, l'Indonesia, ecc. che cresceranno del 5-6%). Si tratterebbe del terzo anno consecutivo in cui la crescita si rivelerà più debole rispetto ai 12 mesi precedenti. «Senza un'importante correzione di rotta, questo sarà considerato un decennio di opportunità sprecate», ha dichiarato Indermit Gill, capo economista e vicepresidente senior della Banca Mondiale.

La crescita del commercio globale nel 2024 dovrebbe essere solo la metà della media del decennio precedente la pandemia. Il commercio globale di beni ha subito una contrazione nel 2023, segnando il primo calo degli ultimi 20 anni al di fuori delle recessioni globali. La ripresa del commercio globale nel 2021-24 è prevista come la più debole, a seguito della recessione globale dell'ultimo mezzo secolo.

Le economie avanzate dovrebbero registrare una crescita di appena l'1,2%, in calo rispetto all'1,5% del 2023. Molte economie in via di sviluppo sono ostacolate da «oltre mezzo trilione di dollari di debito» e dalla riduzione dello «spazio fiscale» (cioè la capacità dei governi di spendere per esigenze sociali). L'insicurezza alimentare ha subito un'impennata nel 2022 ed è rimasta elevata nel 2023.

Il rapporto del WEF rileva il pericolo per il capitalismo di quella che chiama «polarizzazione della società», ovvero la crescente divisione tra ricchi e poveri causata dalla stagnazione economica che porta alla perdita di sostegno agli attuali gruppi capitalisti e alle loro istituzioni politiche.

Il rapporto non menziona l'entità della disuguaglianza sociale mondiale nel 2024. Ma ogni anno a Davos, Oxfam presenta il suo rapporto “alternativo” sullo stato della disuguaglianza mondiale. Si tratta di una sconcertante condanna del fallimento dell'ordine capitalista nel soddisfare i bisogni sociali della grande maggioranza dell'umanità. Nel suo rapporto di quest'anno, intitolato Survival of the Richest, Oxfam osserva che per la prima volta in venticinque anni, la ricchezza estrema e la povertà estrema sono aumentate contemporaneamente.

«Mentre la gente comune fa sacrifici quotidiani su beni essenziali come il cibo, i super-ricchi hanno superato anche i loro sogni più sfrenati. Questo decennio si preannuncia come il migliore per i miliardari, un boom dei ruggenti anni '20 per i più ricchi del mondo», ha dichiarato Gabriela Bucher, direttore esecutivo di Oxfam International.

Durante gli anni di pandemia e di crisi del costo della vita, a partire dal 2020 ben 26mila miliardi di dollari (63%) di tutta la nuova ricchezza sono stati acquisiti dall’1% più ricco, mentre 16mila miliardi di dollari (37%) sono andati al resto del mondo messo insieme. Un miliardario ha guadagnato circa 1,7 milioni di dollari per ogni dollaro di nuova ricchezza globale guadagnata da una persona che si trova nel 90% più povero.


Le fortune dei miliardari sono aumentate di 2,7 miliardi di dollari al giorno! Questo dato si aggiunge a un decennio di guadagni storici: il numero e la ricchezza dei miliardari sono raddoppiati negli ultimi dieci anni.

Allo stesso tempo, almeno 1,7 miliardi di lavoratori vivono in paesi in cui l'inflazione supera i salari e oltre 820 milioni di persone – circa una persona su dieci sulla Terra – soffrono la fame. Le donne e le ragazze spesso mangiano meno (e per ultime) e costituiscono quasi il 60% della popolazione mondiale che soffre la fame. Oxfam cita la Banca Mondiale: «Stiamo probabilmente assistendo al più grande aumento della disuguaglianza e della povertà globale dal secondo dopoguerra».

Interi paesi rischiano la bancarotta: i paesi più poveri spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti ai creditori ricchi, che per l'assistenza sanitaria. Tre quarti dei governi mondiali stanno pianificando tagli alla spesa del settore pubblico (anche per la sanità e l'istruzione) per 7.800 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.

Come al solito, il WEF nel suo rapporto non offre nessuna soluzione politica per invertire o anche solo frenare questo grottesco livello di disuguaglianza – nemmeno una tassa sulla ricchezza. Al contrario, il principale problema di rischio per gli intervistati dal WEF è il «clima estremo». Le conseguenze economiche del riscaldamento globale e del cambiamento climatico sono ciò che preoccupa i leader aziendali e governativi a Davos. Perché ciò significa: danni alle imprese e alle infrastrutture e dover far fronte a milioni di persone costrette a lasciare le proprie case e a migrare.

Tuttavia, come ha dimostrato il vertice COP28 sul clima, le aziende e i governi non riescono a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra necessari per evitare temperature estreme, inondazioni e siccità. Come si legge nel rapporto del WEF:

«Molte economie rimarranno perlopiù impreparate agli impatti “non lineari”: l'attivazione di un collegamento di diversi rischi socio-ambientali correlati può accelerare i cambiamenti climatici, attraverso il rilascio di emissioni di carbonio, e amplificare gli impatti correlati, minacciando le popolazioni vulnerabili al clima. Considerando l'entità degli impatti potenziali e i requisiti di investimento nelle infrastrutture, la capacità collettiva di adattamento potrebbe essere sopraffatta, lasciando alcune comunità e Paesi incapaci di assorbire gli effetti di un rapido cambiamento climatico, sia acuto che cronico ».


Il capitale non può farcela.


Secondo l'agenzia europea di osservazione della Terra, Copernicus, nel 2023 il mondo ha vissuto l'anno più caldo, con «record climatici che sono crollati come tessere di un domino», poiché la temperatura media globale ha superato di quasi 1,5°C i livelli preindustriali. Le temperature medie globali nel 2023 sono state più alte che in qualsiasi altro momento degli ultimi 100.000 anni.

In effetti, se l'élite di Davos guardasse sotto la neve del suo resort di lusso, scoprirebbe che la copertura nevosa complessiva della Svizzera è diminuita di quasi 8 punti percentuali se si confrontano le medie triennali a cavallo tra le stagioni 2002-03 e 2004-05, e le stagioni 2020-21 e 2022-23. Secondo uno studio pubblicato su «Nature» l'anno scorso, il numero di giorni di neve nelle Alpi è diminuito di più negli ultimi venti anni che nei seicento precedenti. Lo sci invernale a Davos è a rischio.

Gli scienziati hanno avvertito che gli eventi meteorologici estremi diventeranno più frequenti e intensi con il proseguire del riscaldamento globale e che è necessario intervenire urgentemente per ridurre le emissioni di gas serra di quasi il 45% entro il 2030, per limitare il riscaldamento entro 1,5°C. Ora è sulla buona strada per raggiungere quasi i 3°C. Ma i partecipanti al WEF non offrono alcuna soluzione a questo crescente disastro, se non ripetere l'appello della COP28 per «una transizione dai combustibili fossili» e un aumento delle energie rinnovabili e della cooperazione globale. Non si parla di rilevare le aziende produttrici di combustibili fossili o di avviare una pianificazione globale per aiutare i paesi poveri a far fronte ai loro disastri ambientali. Invece, le aziende produttrici di combustibili fossili sono presenti a Davos in forze per garantire il “business as usual”.

Ci sono state altre due questioni che hanno preoccupato i partecipanti al WEF: l'intelligenza artificiale e il pericolo che possa emergere una «diffusa disinformazione» da macchine ad Intelligenza Artificiale generativa non controllate; e il crescente numero di conflitti armati tra stati nel mondo.

Il capitale globale è preoccupato per i danni al commercio, agli investimenti derivanti dalle rivalità geopolitiche e dal disincanto sociale causata dalla “disinformazione” sulla disuguaglianza e sulla crescita economica. Al contrario i partecipanti sono meno preoccupati per la perdita di posti di lavoro a causa dell’Intelligenza Artificiale per certe fasce di lavoratori o per la terribile perdita di membra e vite umane a causa della guerra russo-ucraina o della distruzione israeliana di Gaza; o per i milioni di persone che muoiono di fame e sono sfollate a causa della guerra civile in Sudan; o per il bombardamento di città e persone nello Yemen. Ma ovviamente sono preoccupati se le tensioni su Taiwan dovessero degenerare in un conflitto militare diretto tra Cina e Stati Uniti, che minaccerebbe l’intero ordine mondiale.

Che cosa ha ricavato il Global Risks Report del WEF dal sondaggio condotto tra i partecipanti a Davos?

«Entrando nel 2024, evidenziamo una prospettiva prevalentemente negativa per il mondo nei prossimi due anni, che dovrebbe peggiorare nel prossimo decennio. … Le prospettive sono decisamente più negative su un orizzonte temporale di dieci anni, con quasi due terzi degli intervistati che si aspettano una prospettiva tempestosa o turbolenta».


Non va bene per il capitale, e ancor peggio per i lavoratori.


Michael Roberts

Traduzione di Alessandro Cocuzza

Fonte: Climate&Capitalism 20.01.2024



Nota del traduttore

Nel panorama dell'analisi economica marxiana Michael Roberts resta un importante punto di riferimento e, insieme ad Andrew Kliman e a Guglielmo Carchedi, l'economista che ha dato maggiore risalto alla teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto. 
Come rilevato giustamente da Paolo Giussani, la caduta tendenziale del saggio del profitto (Marx, III libro del Capitale) è fenomeno di lungo periodo cui non si può ricorrere per spiegare crisi congiunturali né esso determina in modo fatalistico sviluppi diversi a cui il capitalismo si è aperto periodicamente, come ad esempio quello della conversione alla finanza speculativa. Aspetto quest'ultimo non sufficientemente considerato dagli economisti marxisti (con l'eccezione di pochi, tra cui da ultimo lo stesso Roberts).
L'articolo di Roberts, che mette bene in risalto il rallentamento dell'economia a livello globale, il decennio difficile che si prospetta, l'aumento della disuguaglianza e della povertà globale, la drammatica situazione debitoria dei paesi in via di sviluppo, ha il non indifferente merito di richiamare l'attenzione sulla drammatica questione climatica, aspetto da sempre snobbato o non sempre considerato adeguatamente dagli economisti marxisti, e segnatamente sul fatto che il capitalismo non potrà mai farcela ad affrontarla, votato com'è, al di là delle dichiarazioni di intenti sbandierate durante le COP, alla logica del profitto. Due dati per tutti: i continui enormi investimenti nel fossile e il ridimensionamento da parte di diversi paesi degli impegni con la relativa tempistica dell'Accordo di Parigi, aspetti che il nostro sito ha documentato attraverso la traduzione di alcuni articoli.




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