Fonte: Climate&Capitalism - 26.09.2023

Questa è la risposta a un articolo di Jonathan Neale pubblicato sul sito Climate and Capitalism l'11 luglio dal titolo The ‘eco’ in ecosocialism must mean climate, or we are lost.*



Jonathan Neale è un veterano della campagna per il clima sia a livello britannico che internazionale, e ha pubblicato due libri sull’argomento. Il primo è Stop Global Warming – change the world, pubblicato nel 2008. Il secondo, pubblicato nel 2021, è Fight Fire – Green New Deals and Global Climate Jobs.

Conosco Jonathan da molto tempo. Siamo stati entrambi coinvolti nella Campaign Against Climate Change per molti anni, e nella Ecosocialist International Network (EIN) nei primi anni del secolo. Entrambi abbiamo contribuito a organizzare una conferenza, nel 2014, sull’ecosocialismo, indetta da Socialist Resistance e RS21 subito dopo l’uscita dal SWP.

Egli ha ragione riguardo alla portata della crisi che affrontiamo e al fatto che il cambiamento climatico è la minaccia generale che dobbiamo affrontare e deve essere fermato prima che subentrino feedback catastrofici e si verifichino danni irreparabili.

Dobbiamo stare attenti, tuttavia, a non contrapporre questo ad altri limiti planetari di cruciale importanza come la biodiversità, l’acidificazione degli oceani, l’esaurimento delle acque dolci e la distruzione delle foreste pluviali e delle zone umide. Tutti rappresentano di per sé minacce esistenziali per il futuro del pianeta e, in ogni caso, non si escludono a vicenda. Difendere le foreste pluviali, ad esempio, non solo elimina carbonio dall’atmosfera, ma difende la biodiversità e ci fornisce ossigeno per respirare.

La maggior parte degli attivisti ambientali vede il cambiamento climatico come la sfida più ampia e immediata per il pianeta, e lo tratta come tale. Giustamente vede la campagna in difesa di un limite planetario come complementare alla lotta per gli altri, compresa quella contro il cambiamento climatico. Ci sono altre due questioni specifiche sollevate nell’articolo che desidero affrontare. Il primo è la critica di Jonathan all'ecosocialismo – con la quale sono ampiamente d'accordo. L’altro è l’annuncio, nell’articolo, di non sostenere più l’idea della decrescita – con la quale difficilmente potrei essere più in disaccordo.

Ecosocialismo

L’ecosocialismo, sostiene Jonathan, soffre di politiche di nicchia e di propaganda astratta che dovranno cambiare se si vuole massimizzare il proprio contributo alla lotta per salvare il pianeta.

Pone la cosa in questi termini: «Molti partiti socialisti o marxisti hanno usato l'idea dell'ecosocialismo come una sorta di nicchia dell’attività del partito. Alla parte ecosocialista del partito viene affidato il compito di confrontarsi con i verdi e gli anarchici. In pratica, questo significa fare propaganda dichiarando che il nucleare non è la risposta, che il capitalismo è la causa della crisi ambientale, e che noi non siamo favorevoli alla crescita. In altre parole, un’argomentazione tokenista** e astratta, che non cerca di costruire un movimento di massa per salvare il mondo qui e ora.»

Questo è vero. C’è da tempo una tendenza nella sinistra radicale ad aggiungere semplicemente la lotta ambientale a un elenco esistente (molto lungo) di altre priorità e a chiamarlo ecosocialismo, con solo cambiamenti marginali nella pratica. Se l’ecosocialismo ha un significato, deve implicare una ristrutturazione fondamentale delle priorità, mettendo la lotta ambientale al centro di tutto ciò che facciamo. In effetti, è stato proprio questo che ha portato alla fine dell’EIN. Stabiliva standard di coinvolgimento e impegno nella lotta ambientale che la maggior parte delle organizzazioni coinvolte non erano in grado di soddisfare perché l’ambiente non era centrale né nella teoria né nella pratica delle proprie organizzazioni.


Decrescita

Jonathan ha fortemente sostenuto la decrescita nel libro Stop Global Warming – change the world del 2008. Infatti ha criticato il governo Blair per la sua dipendenza dalla crescita e per la «menzogna e ipocrisia» che ha mostrato nel tentativo di realizzarla. Allora descriveva la crescita economica come: «la contraddizione vivente tra la necessità umana di arrestare il cambiamento climatico e la necessità capitalistica della crescita economica» e aveva ragione.

Inoltre sottolineava che un tasso di crescita globale del 3,5% annuo (che era il tasso annuale di allora, appena al di sopra della media a lungo termine del 3%), che «significava un raddoppio della produzione globale in 20 anni e la quadruplicazione in 40 anni, significava (a sua volta) un aumento inesorabile dei manufatti, e quindi delle emissioni di gas serra».

È stato più ambiguo in Fight Fire – Green New Deals e Global Climate Jobs nel 2021 – anche se continuava a considerare la decrescita un concetto utile. Ora, nel 2023, in un momento in cui c’è un aumento di interesse per la decrescita, ci dice[invece] che è un sogno impossibile, che non potrebbe mai ottenere il sostegno popolare e, se introdotta, porterebbe a un catastrofico collasso sociale.

La mette in questi termini: «Se un governo decidesse di limitare la crescita ad uno stato stazionario, la nazione entrerebbe in recessione e ci resterebbe per sempre. L’occupazione ed i redditi diminuirebbero, e questo è lo scopo della decrescita. Ma diminuirebbero anche gli investimenti. L'economia nazionale non sarebbe in grado di competere con le altre economie nazionali sul mercato mondiale. Molto rapidamente, il mercato azionario e il mercato del lavoro entrerebbero in caduta libera. ».

Ironicamente, questo è esattamente ciò che Tony Blair gli avrebbe detto, se avesse risposto, nel 2008.


La decrescita «non fermerà il cambiamento climatico»

Jonathan sostiene (piuttosto stranamente) che la decrescita non fermerà il cambiamento climatico. Se si riduce il PIL globale del 50% nei prossimi vent’anni, dice, e non si smette di bruciare combustibili fossili, saremo tutti completamente perduti. Se il PIL mondiale crescesse del 50% nei prossimi vent’anni e smettessimo di bruciare completamente i combustibili fossili, avremmo fermato il cambiamento climatico.

Esiste, tuttavia, un chiaro legame tra PIL ed emissioni di gas serra che è emerso, in forma distorta, durante la pandemia. Secondo Statista, durante il lockdown il PIL è diminuito del 3,4% e le emissioni di gas serra ancora di più, addirittura del 4,6%. Questa non è la “decrescita” che i sostenitori della decrescita propongono perché, ovviamente, non era pianificata e non conteneva alcuna transizione socialmente giusta che è la caratteristica essenziale di una proposta di decrescita progressiva.

Non è un dibattito nuovo

Questo non è un dibattito nuovo, ovviamente – come riconosce Jonathan. Un importante studio sulla crescita fu avviato, nel 1970, da due scienziati ambientali americani, Donella e Dennis Meadows, e da un impressionante team di giovani scienziati del Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti. I risultati che ne derivarono furono pubblicati nel 1972 col titolo Limits to Growth Report.

La monumentale conclusione del Rapporto è stata che: «Se le attuali tendenze di crescita della popolazione mondiale, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione alimentare e dell’esaurimento delle risorse continueranno invariate», si affermava, «i limiti della crescita su questo pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che della capacità industriale».

Il Rapporto ha avuto un impatto enorme (e globale) su coloro che erano sensibili all’ambiente. Dodici milioni di copie furono vendute in tutto il mondo. Tradotto in trentasette lingue, rimane il testo sull’ambiente più venduto che sia mai stato pubblicato. Ed, insieme allo straordinario Primavera silenziosa di Rachel Carson uscito un decennio prima, ha avuto un ruolo importante nel fronteggiare l’industria chimica e nel fare da traino all’emergere del movimento ecologista e poi del Partito Verde negli anni ’70, producendo di fatto lo stesso movimento per la decrescita.

Non solo si trattava di un'analisi molto solida, ma anche straordinariamente accurata nella sua capacità di prevedere eventi catastrofici.

La sinistra socialista, tuttavia, con alcune importanti eccezioni, ha ignorato completamente il Rapporto ed è rimasta ancorata alla crescita e al produttivismo. Considerava il movimento ambientalista ed ecologista emergente degli anni Settanta come un diversivo, da parte della classe media, dalla vera lotta. Come risultato di questo dannoso errore, nessuna sezione della sinistra socialista, né radicale né socialdemocratica, fu in grado di sfidare la crescente presa che la crescita e il produttivismo riuscirono a stabilire sui sindacati e sul Partito Laburista, e che rimane in gran parte incontrastata ancora oggi.

La lotta per la decrescita oggi

Jonathan insiste sul fatto che nessuno può vincere le elezioni oggi in Gran Bretagna – o in qualsiasi altra parte del mondo – sulla base di un programma per la decrescita, e di conseguenza rimane un concetto astratto per il quale nessuno si batte nel mondo reale. Lo stesso si potrebbe dire dell’intero programma socialista, ovviamente, in termini di vittoria elettorale al livello di coscienza odierno, ma questa non è l’unica considerazione.

La questione fondamentale, oggi, non è se un’agenda per la decrescita possa vincere le elezioni, ma se la mobilitazione sul suo programma possa preparare il terreno, nel corso della lotta, perché venga assunta da un movimento di massa che si genera dalla crisi climatica e dalla rottura degli equilibri sociali.

L'idea della decrescita è tutt'altro che astratta. Combina una lotta per il cambiamento oggi, con un'alternativa strategica alla crescita e al produttivismo. Ad esempio, offre ai governi un mezzo per ridurre le dimensioni delle loro economie in modo progettuale, piuttosto che attraverso una serie di catastrofi. Un punto che viene sottolineato con forza da Giorgos Kallis e dagli altri coautori in Che cosa è la decrescita, pubblicato nel 2020 – a mio avviso il miglior libro disponibile su questo tema: in altre parole, quando si è in una buca si smette di scavare.

Non manca nemmeno di dettagli, come sostiene Jonathan. Che cosa è la decrescita, ad esempio, dedica più pagine all’attuazione dettagliata di un programma di decrescita a lungo termine che ai suoi principi generali. Sostiene che: «Dobbiamo produrre e consumare in modo diverso, e anche meno. Che dobbiamo condividere di più e distribuire in modo più equo mentre la torta si restringe e che, per farlo in modo da sostenere vite piacevoli e significative in società e ambienti resilienti, sono necessari valori e istituzioni che producano diversi tipi di persone e relazioni».

Esorta le persone a «lavorare, produrre e consumare meno, condividere di più, godere di più tempo libero e vivere con dignità e gioia». Sostiene che i pacchetti di misure politiche che riflettono ciò sono: Green New Deal senza crescita; un reddito di base universale e servizi di base universali; e una forte riduzione dell’orario di lavoro. La prima responsabilità di tali cambiamenti, ovviamente, deve ricadere sui paesi ricchi del Nord del mondo. In definitiva, però, devono adottare l’economia globale.

Che genere di movimento di massa

La conquista di un programma per la decrescita integrale non pone solo la questione di un movimento di massa, ma di un movimento di massa il più ampio possibile. Dovrebbe includere tutti coloro che sono disposti a lottare per salvare il pianeta su basi progressiste: i movimenti ambientalisti, i movimenti indigeni, i movimenti contadini e il movimento degli agricoltori, così come i sindacati e i partiti politici progressisti.

Dovrebbe prevedere – a mio avviso – che i grandi inquinatori siano costretti a pagare per la transizione verso le energie rinnovabili attraverso una pesante tassazione della produzione di combustibili fossili, in modo da facilitare una grande redistribuzione della ricchezza dai ricchi ai poveri e quindi una transizione socialmente giusta che possa ottenere un ampio sostegno popolare.

Senza una proposta progressista di questo tipo, qualsiasi movimento di massa creato in condizioni di disgregazione della società sarebbe seriamente vulnerabile al populismo di estrema destra e fascista.

Nel frattempo, all'interno di una prospettiva di decrescita si possono fare importanti passi avanti che possono essere sviluppati man mano che la lotta si sviluppa. È quello che definirei un approccio transitorio, anche se so che Jonathan si oppone a questo tipo di approccio, visto che lo ha detto chiaramente in una discussione a una conferenza sul materialismo storico di diversi anni fa. Questo approccio deve essere la pietra angolare dell'ecosocialismo e di una strategia ecosocialista volta a salvare il pianeta dalla distruzione ecologica e a creare una società post-capitalista, ecologicamente sostenibile, per il futuro.



Note

* Articolo da noi tradotto e pubblicato il 24.07.2023: Il progetto ecosocialista: il clima cambia tutto (N.d.R.)

** Il fenomeno del tokenismo, definito per la prima volta da Rosabeth Moss Kanter nel 1977, rappresenta la pratica attraverso la quale gruppi di maggioranza inseriscono, all'interno di un determinato contesto, una persona facente parte di una minoranza con il solo scopo di sembrare inclusivi agli occhi del pubblico. (N.d.R.)



Alan Thornett

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Climate&Capitalism 26.09.2023


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