The Cow with Ear Tag #1389, di Kathryn Gillespie,  University of Chicago Press, 2018.

Per descrivere concretamente il percorso che conduce da una mucca ad un bicchiere di latte, Kathryn Gillespie ha deciso di seguire i momenti del ciclo di vita di un singolo animale: la mucca con il marchio auricolare n. 1389. La pratica apparentemente benevola di allevare animali per la produzione di latte è solo un anello della catena che riguarda lo sfruttamento degli animali in tutto il settore agricolo. Kathryn Gillespie, attraverso questo libro, conduce i lettori nelle fattorie, nelle aste di vendita, nei macelli e negli impianti di trasformazione per mostrare come le mucche diventano cibo. Il risultato è uno sguardo empatico sulle mucche e sul nostro rapporto con loro, che rende reali sia le loro vite che le loro sofferenze. (Nota editoriale)

 



Recensione a The Cow With Ear Tag #1389


La violenza quotidiana della produzione lattiero-casearia

(della continuata sistematica “banalità del male” – N.d.T)




Elizabeth Tavella



Sadie se ne stava sdraiata nel campo, sdraiata sull'erba alta della prateria e si godeva il sole mattutino con Elsa e Howie. Inizia così il libro di Kathryn Gillespie, con una scena che si è abituati ad associare a una fattoria pittoresca e romanzata. La scena, invece, si svolge in realtà in un santuario, uno spazio in cui gli animali non vengono allevati e gli viene data la possibilità di invecchiare in pace. Nel primo capitolo leggiamo la storia del salvataggio di Sadie e del suo passato di sfruttamento, traumi e abusi, ancora chiaramente visibili sul suo corpo, dalla coda mozzata ai buchi nelle orecchie, uno dei segni tangibili del marchio di proprietà dell'industria agro-alimentare. La sua storia contrasta drasticamente con quella della mucca che dà il titolo al libro: #1389. Gillespie la incontrò a un'asta del mercato degli abbattitori, fisicamente prosciugata e visibilmente distrutta, dove morì come un numero, un'unità anonima della produzione capitalistica. Nessuno ha fatto un'offerta per comprarla. Nemmeno per cinque dollari. Leggiamo del momento in cui crolla a terra e diventa una cosiddetta "downer", una mucca non deambulante che non vale nemmeno la pena di essere venduta "alla libbra". La testimonianza potente e sentita di Gillespie su questo frammento della sua vita assicura che non sarà dimenticata, e questo ricordo diventa rappresentativo del destino di altre innumerevoli mucche che sono ancora intrappolate in un sistema di mercificazione totale.

Fin dalle prime pagine del libro, ci imbarchiamo in un viaggio attraverso gli Stati di Washington e della California e otteniamo preziose informazioni sulle fattorie, i cantieri d'asta, gli impianti di rendering*, il World Dairy Expo nel Wisconsin e altri spazi in cui la vita e il corpo delle mucche vengono sistematicamente sfruttati. L'obiettivo del libro è quello di esplorare il modo in cui operano queste industrie e di ricostruire l'impatto della mercificazione sui bovini – mucche, tori e vitelli – che lavorano per produrre prodotti lattiero-caseari per la vendita e il consumo umano. Come afferma l'autrice nel capitolo introduttivo, "contrariamente alla consapevolezza che molte persone hanno sulla produzione di carne come dannosa per l'animale, la percezione pubblica sostiene che la produzione di latticini non sia dannosa per l’animale. Volevo conoscere i dettagli sulla provenienza del latte, in quanto bene vendibile, come viene prodotto e con quale costo per la vita e il lavoro di altre specie". Per rispondere a queste domande, Gillespie applica un approccio multispecie all'etnografia, combinato con le teorie delle geografie animali, che dà luogo a una metodologia molto solida e che genera risposte concrete. Sfata infatti in modo convincente il mito dei paesaggi bucolici, con le immagini di mucche "felici" sui cartoni del latte, che da bambini ci viene fatto credere rappresenti la vita delle mucche da latte.

Com'è davvero la vita di una mucca da latte? Guardando all'industria lattiero-casearia attraverso un’ottica femminista, l'autrice porta in superficie la realtà inquietante della mercificazione dell'utero e della gestione e manipolazione intensiva dei corpi degli animali. Si tratta di un'industria che sfrutta e viola apertamente e violentemente la capacità riproduttiva femminile. Come esempio di questa logica di fondo, Gillespie spiega che appena una mucca è considerata non più riproduttiva, ossia mostra i primi segni di infertilità e quindi una diminuita produttività, viene mandata al macello. Come le dice un agricoltore in un'intervista, "Le mucche da latte finiscono da McDonald's", il che senza mezzi termini significa che il fast food non è altro che carne di madre "esausta", un termine tecnico che indica un declino del suo valore economico.


 
  Ruota di mungitura in una fattoria australiana. Foto: Green Left Weekly


Uno dei principali punti di forza del libro è il modo in cui esplicita i legami tra l'industria della "carne" e la produzione lattiero-casearia, che tendono ad essere trascurati, se non volutamente ignorati. Gillespie infatti non si concentra solo sulle mucche che vengono sfruttate per il loro latte, ma ricostruisce anche la vita dei tori che sono direttamente coinvolti nel funzionamento e nel mantenimento della produzione casearia, nonché sui vitelli che vengono separati dalle loro madri e macellati all'incirca tra i quattro e i sei mesi di età per la "carne di vitello". Gillespie va davvero in profondità nell'esporre ciò che comporta la ricerca di una sempre maggiore efficienza per l’accumulazione di capitale e informa il lettore su come i vitelli, se non vengono macellati poco dopo la loro nascita per la carne di vitello o allevati come manzi per la carne di manzo, vengono allevati in strutture separate per scopi di riproduzione, che comportano pratiche di estrazione del seme da usare nell'inseminazione artificiale. Il livello di controllo e di violenza fisica, sessuale e psicologica sui loro corpi è scioccante: "i tori vengono fatti eiaculare forzatamente due o tre giorni alla settimana e due o tre volte per ogni giorno di raccolta, utilizzando una vagina artificiale o un elettro-eiaculatore".


  Centro di inseminazione artificiale nel villaggio di Hohenzell, Alta Austria, 9 aprile 2013. Foto: Leonhard Foeger / Reuters


Uno schema simile di dominio e traumatizzazione governa anche la vita dei vitelli, come dimostrano le parole di un altro allevatore intervistato:

"Dobbiamo separarli per il bene della mucca e del vitello. Più a lungo si legano, più difficile è la separazione. È un po' triste. Anche quando separiamo i vitelli rapidamente, le mucche, il più delle volte, li cercano per un paio di settimane. Quindi sì, è meglio farla finita in fretta per evitare che si leghino troppo".

Gillespie spiega con dovizia di particolari le ragioni economiche che stanno alla base della pratica comune della separazione precoce e della segregazione dei vitelli nelle stalle, termine usato per descrivere le casse di plastica o di legno in cui vengono allevati in isolamento.


 Fattoria Fair Oaks, Indiana. Foto: John Terhune/ Journal & Courier, 21 luglio 2014


I passaggi del libro che hanno un tono più investigativo sono quelli in cui la politica di occultamento alla base dell'industria lattiero-casearia viene palesemente svelata: dalla demistificazione delle narrazioni dominanti alla denuncia della natura ingannevole delle strategie pubblicitarie. Nel descrivere una giornata di routine in un'azienda lattiero-casearia, Gillespie mostra come la violenza sottostante sia sistematicamente occultata a causa di "meccanismi strutturali (come la legge e il capitalismo), da norme sociali (come le storie, le pratiche culturali e le narrazionii dominanti) e da strutture di disuguaglianza (come l'eccezionalismo umano)". Come lettori, quindi, impariamo attraverso le sue osservazioni personali e le sue consapevoli spiegazioni a riconoscere questa violenza come violenza.

Uno dei luoghi in cui la logica capitalista della messa in vendita della vite è maggiormente visibile è quello delle aste, di cui Gillespie parla nel quarto capitolo.


 Asta presso J. Bradburne Price & Co. - Foto: sito web Mold and Llanrwst. Company


In uno spazio fortemente dominato dagli uomini, sotto gli occhi di una folla di persone che vede gli animali esposti esclusivamente come fonte di profitto, Gillespie descrive le condizioni in cui gli animali arrivano: dal dolore fisico allo stress evidente, e nota puntualmente come anche gli spazi siano costruiti per la loro funzionalità, attraverso la costruzione di recinti e scivoli che contengono e consentono di controllare i movimenti degli animali e attraverso l'uso abituale, ad esempio, di aste in alluminio e pungoli elettrici (sono presenti anche mappe sulla disposizione delle stanze, che facilitano la visualizzazione di questi spazi). Come l’autrice sottolinea ancora una volta, "la vendita di queste creature, vivaci ed emotive, per la produzione di cibo, dai profondi e stretti legami con le loro famiglie e le loro reti sociali - da allevare, mungere, uccidere e cucinare – comporta un livello quasi incomprensibile di violenza controllata".

Gillespie fa quindi un ulteriore passo avanti nella sua analisi dell'industria lattiero-casearia che include informazioni critiche e riflessioni su altre pratiche e attività industriali e sui modi in cui sono profondamente intrecciate con l'industria lattiero-casearia. Ad esempio, parla della macellazione delle mucche allevate per la produzione lattiero-casearia, per lo più fornendo informazioni sul processo e analizzando la disposizione spaziale dei macelli, discutendo poi del crescente uso di unità mobili di macellazione, generalmente presentato come un miglioramento nel benessere degli animali. Tuttavia, mentre faceva volontariato in un santuario, ha visto uno di questi camion avvicinarsi al terreno di una piccola fattoria adiacente e ha osservato da lontano l'uccisione di tre maiali, il che non ha fatto altro che rafforzare i difetti intrinseci delle cosiddette pratiche di macellazione "umane":

“Il primo maiale aveva sofferto il dolore di due ferite da arma da fuoco prima di morire, e gli altri due maiali avevano sofferto il terrore di vedere uno di loro ucciso, dolorosamente, prima di essere uccisi a loro volta. In quella che è considerata la migliore modalità di macellazione, abbiamo assistito all'uccisione pasticciata di uno di loro. Si trattava di macellai professionisti, e avevano fretta. Questo avrebbe dovuto essere un esempio di macellazione fatta in modo impeccabile".

Assistere a questa scena in prima persona e guardarla dal punto di vista degli animali solleva importanti e necessarie domande etiche, che spostano l'attenzione da "come gli esseri umani uccidono gli animali per il cibo a se dovrebbero allevarli e ucciderli per il cibo".

Si tratta di un'industria meno conosciuta che ogni anno gestisce e utilizza a livello globale miliardi di parti del corpo di animali considerate non commestibili per il consumo umano e che vengono trasformate in prodotti come fertilizzanti, cibo per animali, saponi, vernici e molti altri prodotti di uso quotidiano. Si spera che questa ricerca possa ispirare analisi più approfondite in futuro e consentire di indagare più in dettaglio queste operazioni legate all’allevamento e all'uccisione di animali.

Una sezione del libro particolarmente importante è quella dedicata all'organizzazione 4-H, un programma di educazione giovanile il cui scopo è formare nuove generazioni di allevatori. "Il 4-H è concepito per formare la persona sul come si debba relazionare eticamente con gli altri esseri umani e gli animali; ha lo scopo di instillare un'etica del lavoro, un'etica della cura e una consapevolezza degli altri." Ma cosa insegna esattamente questo programma ai bambini sulle mucche allevate per la produzione di latte? Che tipo di etica viene realmente inculcata?


  4-H, la componente giovanile dell'Iowa State University Extension. Mostra del bestiame da latte, 2012


Dalle analisi della Gillespie risulta subito chiaro che il programma insegna ai bambini a cancellare la loro reazione emotiva, a prendersi cura di un animale fino a quando non viene mandato al macello e a normalizzare l'intero processo traumatico. Questa sezione, costituita da una combinazione di interviste e dall'analisi approfondita del programma da parte dell'autrice, è un'ulteriore prova di quanto sia radicata nella nostra cultura e nella nostra società la rigida costruzione del divario uomo-animale. Dimostra inoltre che anche a livello educativo si compiono sforzi incredibili per inquadrare l'immagine pubblica dell'agricoltura animale in funzione degli interessi e delle preoccupazioni del capitalismo e per promuovere convenientemente "idee sbagliate su come e perché si produce il latte".

L’ampio e completo quadro informativo del libro è assolutamente innegabile, ciò che di per sé può avere un effetto potenzialmente trasformativo sui lettori. Ma c'è molto di più. Infatti, ciò che gli conferisce ulteriore forza è l'efficace stile di scrittura e l'approccio emotivo dell'autrice all'argomento: quando osserva, noi osserviamo, quando assiste a un abuso, noi vi assistiamo con lei, quando piange, noi piangiamo con lei. L'autrice, infatti, non solo crea uno spazio politico per il lutto degli animali immortalati attraverso frammenti della loro vita, ma discute anche criticamente la questione etica dell'essere osservatori e la difficoltà di guardare la crudeltà e la violenza senza potere, in nome della ricerca, intervenire. È evidente che l'autrice apprezza profondamente la reazione emotiva che comporta nel suo lavoro l'esposizione alla sofferenza degli animali. Il risultato di questa autenticità emotiva è una testimonianza estremamente toccante. È inevitabile quindi che anche il lettore provi un turbamento emotivo provocato dalle storie degli animali e dalle informazioni dettagliate sul funzionamento dell'industria lattiero-casearia.

Gillespie espone anche le difficoltà incontrate per ottenere l’approvazione della sua ricerca da parte dei comitati etici, che nelle sue parole riflette “il radicato antropocentrismo dell’università come istituzione produttrice di conoscenza”. L'autrice commenta l'assenza di protocolli specifici che regolamentino le modalità di allevamento degli animali prima della macellazione; l'assenza di infrastrutture preposte alla supervisione della ricerca sugli animali negli allevamenti che vadano oltre quelle utilizzate nella ricerca biomedica; i diversi dinieghi incontrati quando ha cercato di visitare le aziende lattiero-casearie, soprattutto quelle a carattere industriale, dove le è stato negato l'ingresso per motivi di biosicurezza, solo un altro tentativo di limitare la possibilità di documentarne le attività. Tutti questi ostacoli non solo confermano la volontaria mancanza di trasparenza e di protezione legale per gli animali d'allevamento, ma dimostrano anche l'incredibile perseveranza e dedizione dell'autrice nel rendere questo materiale disponibile a un vasto pubblico. Considera poi attentamente, anche se solo di sfuggita, l’impatto che l’industria lattiero-casearia ha sulle comunità umane emarginate, sull’ambiente e sui lavoratori agricoli che sono anch’essi direttamente coinvolti in questo sistema capitalistico di mercificazione e lavoro. L’autrice tocca anche importanti questioni e concetti interconnessi, come il consumismo, il razzismo ambientale, il ruolo delle mucche nel progetto coloniale degli Stati Uniti, dimostrando la sua capacità di costruire argomentazioni intersezionali convincenti.



  Popcorn e Oca, presso il rifugio per animali Odd Man Inn. Foto: pagina Facebook


Nel capitolo finale del libro, intitolato “On Knowing and Responding”, Gillespie discute i passi successivi da compiere una volta presa coscienza della realtà di come gli animali vivono e muoiono nell'industria lattiero-casearia. L'autrice inizia elencando i possibili modi di reagire e di impegnarsi: a livello personale include l'adozione di un'etica vegana come incarnazione di un diverso rapporto uomo-animale; a livello pubblico sottolinea l'importanza di attuare cambiamenti nella politica locale e federale e di cambiare il modo di intendere la salute e la prevenzione delle malattie. L'autrice affronta anche la necessità di smascherare la natura ingannevole delle narrazioni pubblicitarie e di ridefinire i processi sociali educativi. La sua più grande speranza è che "le storie delle persone più colpite dal sistema spingano a rispondere e ci aiutino a reimmaginare radicalmente le relazioni uomo-animale". Credo che l’insieme esaustivo di conoscenze contenute nel libro possa sicuramente facilitare un cambiamento in tale direzione. Il modo in cui Gillespie riconosce le forze strutturali del capitalismo, della tradizione e della gerarchia di specie, così come il modo in cui sfida lo status quo dei consumatori e dei produttori, hanno il potenziale per indurre un'inversione nel processo di estraneazione dai corpi animali. Ciò rappresenta sicuramente un primo passo fondamentale verso il riconoscimento degli altri animali come individui meritevoli di libertà e diritti. Tuttavia, per quanto l'autrice riconosca che è fondamentale sfidare l'attuale quadro giuridico degli animali come proprietà, non offre possibili soluzioni innovative che incoraggino concretamente il cambiamento a livello sistemico e promuovano un'azione strategicamente organizzata contro i sistemi di potere. Ciononostante, è innegabile che si tratti di un libro incredibilmente istruttivo che può essere illuminante per le persone dentro e fuori dell'accademia e che dovrebbe essere adottato in tutti i corsi di studio sugli animali. Avere a disposizione un libro che svela apertamente gli aspetti nascosti dell'industria lattiero-casearia è una risorsa inestimabile per tutti coloro che sono interessati a promuovere la causa della liberazione animale.


Nota
* Il rendering è un processo di lavorazione in cui gli animali morti vengono convertiti in prodotti utilizzabili: dall’alimentazione umana al biodiesel. I resti e gli scarti dei macelli sono le principali fonti di questo processo.


Elizabeth Tavella

Traduzione di Giuseppe Sottile

Fonte: Animal Liberation Currents 10.04.2019