Fonte: Effimera - 25.01.2022 -

Una recensione di Francesco Barbetta al libro di Ian Angus Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema TerraAsterios Editore.


Il libro di Ian Angus Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra rappresenta un contributo importante al dibattito sull’ecosocialismo nel nostro paese. La traduzione del volume da parte della casa editrice Asterios è una notizia estremamente positiva perché contribuisce a far conoscere nella nostra lingua il dibattito internazionale sul tema. Il punto di forza del testo è sicuramente la solidità dei dati scientifici usati per sostenere l’urgenza della lotta al cambiamento climatico.

Tutti questi dati, presentati sotto forma di grafici, tabelle e statistiche, si intrecciano alla questione dell’Antropocene e alla sua definizione. Il termine è stato coniato dagli scienziati Paul J. Crutzen ed Eugene F. Stoermer nel 2000. In realtà, Eugene F. Stoermer lo aveva già usato negli anni ’80 ma senza mai formalizzarlo, cosa che avvenne solo dopo che anche Crutzen vi arrivò per proprie strade e i due scrissero insieme un testo intitolato The Anthropocene.

Gli autori hanno esaminato la traiettoria dell’attività umana nel tempo, dalla comparsa degli esseri umani sulla Terra ai giorni nostri, e hanno definito due fasi principali che segnano il periodo dell’Antropocene, riprese da Angus nel libro. La prima fase corrisponde all’Età Industriale (1800-1945) ed è segnata dall’inizio dell’industrializzazione. Questo periodo dell’Antropocene terminò bruscamente intorno al 1945, quando iniziò il cambiamento più rapido e travolgente nel rapporto uomo-ambiente. La seconda fase è chiamata la Grande Accelerazione e coincide con l’accelerazione improvvisa dell’impatto umano sulla Terra dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Nel 2008 la Stratigraphic Commission della Geological Society di Londra sottopose alla Geological Society of America uno studio sull’Antropocene con lo scopo di verificare se l’attività umana avesse prodotto un segnale stratigrafico diverso dall’Olocene (l’era geologica più recente). Quindi occorreva capire se l’Antropocene si differenziasse dall’Olocene come quest’ultimo dal Pleistocene.

Dopo un fondamentale riconoscimento “di un cambiamento stratigrafico significativo (sia trascorso che imminente) per considerare l’Anthropocene una nuova epoca geologica da ufficializzare nel dibattito scientifico internazionale” [1] occorreva collocarne con esattezza l’inizio. La questione assunse immediatamente una connotazione politica poiché le lobby delle industrie fossili premettero per far coincidere il suo inizio con l’introduzione in vaste regioni del pianeta dell’agricoltura da parte dell’uomo. Si tratta del cosiddetto primo Antropocene. Tuttavia, dice Clive Hamilton, “l’Anthropocene non è definito dall’impatto crescente dell’uomo sull’ambiente, ma dalla sua attiva interferenza nei processi che regolano l’evoluzione geologica del pianeta”. [2]

La tesi in questione “piace ai conservatori, poiché minimizza i recenti cambiamenti del sistema terrestre.” [3]

Angus e gran parte degli studiosi dell’Antropocene sostengono, invece, che ha inizio nella seconda metà del XX secolo, quando l’uomo ha cambiato gli ecosistemi del mondo più velocemente e più profondamente che in qualsiasi altro periodo comparabile della storia umana. Questa definizione è sostenuta e rafforzata da un articolo pubblicato su Science nel 2016 dal titolo: “L’Anthropocene è funzionalmente e stratigraficamente distinto dall’Olocene”.

Viene dimostrato come siano ormai venute meno le condizioni proprie dell’Olocene. Ad esempio, l’aumento della concentrazione media della CO2 ha superato quella dell’Olocene nel 1850 e dal 1999 al 2010 è aumentata cento volte più velocemente rispetto all’aumento che ha posto fine all’ultima era glaciale. Si stima che “nel 2070 la Terra sarà più calda di quanto non lo sia stata negli ultimi centoventicinquemila anni, il che significa che sarà “più calda di quanto non lo sia stata per la maggior parte, se non per tutto il tempo in cui la nostra specie apparve duecentomila anni fa”. [4]

In considerazione di ciò, possiamo comprendere meglio le conseguenze dell’azione umana che si riverberano nel riscaldamento globale e nello squilibrio dell’ecosistema, e che contribuiscono in modo significativo a un drastico cambiamento, in cui è probabilmente impossibile per l’umanità stessa sopravvivere.

I limiti planetari (cambiamento climatico, integrità della biosfera, flussi biogeochimici di azoto e fosforo, buco dell’ozono, acidificazione degli oceani, uso di acqua dolce, uso del suolo, inquinamento globale da aerosol e contaminazione chimica) sono limiti della resilienza del pianeta: se superati, si perde la stabilità ambientale.

Il termine Antropocene ha aperto a sinistra una polemica aspra. Spesso viene preferito il termine Capitalocene per sottolineare che l’attuale crisi ecologica è prodotta “da un particolare tipo di società, non dalla nostra specie in generale” [5]. Angus risponde a queste obiezioni affermando che “non si riferisce a tutta l’umanità, ma ad un’epoca di cambiamenti globali che non ci sarebbero stati in assenza dell’attività umana.” [6] Tuttavia il termine resta problematico. Mettendo a fuoco solamente l’impatto dell’azione umana sul sistema Terra rischia di passare in secondo piano come il cambiamento climatico sia un prodotto dell’accumulazione capitalistica e quindi di questo specifico modo di produzione. E se vogliamo approfondire la questione, non possiamo mettere sullo stesso piano l’impatto di una nazione in via di sviluppo e a capitalismo avanzato sul cambiamento climatico o di un padrone, che può permettersi di viaggiare per il mondo con un jet personale, e un lavoratore precario che fatica ad arrivare alla fine del mese.

Nella seconda parte del libro Angus cerca di analizzare con le lenti del marxismo il concetto di Antropocene e per farlo utilizza le tesi di John Bellamy Foster sulla questione ecologica in Marx e in generale il marxismo della Monthly Review, senza particolari novità.

Foster cerca di affrontare i problemi ecologici dei nostri tempi combinando i classici del marxismo e l’ecologia radicale contemporanea su cui innestare un progetto politico ecosocialista. Nel suo Marx’s Ecology: Materialism and Nature (sfortunatamente non ancora tradotto in italiano), per costruire la sua teoria cerca nei testi marxiani possibili riferimenti ad una sensibilità ecologica in Marx. Il punto di partenza di Foster sono gli studi marxiani di Liebig sulle “cause del declino della produttività agricola in Inghilterra dimostrando che, nel loro stato naturale, i terreni forniscono alle piante i nutrienti essenziali per la loro crescita, che poi ricostituiscono grazie ai rifiuti animali e vegetali. L’agricoltura capitalistica ha rotto questo ciclo: privando i terreni di apporti di materia organica, li ha resi meno fertili. Per descrivere le interazioni e gli scambi biochimici tra piante, animali e terreni, Liebig usò il termine metabolismo (Stoffwechsel), che era allora un neologismo. Da allora, il concetto di metabolismo è diventato una “categoria fondamentale dell’approccio sistemico all’interazione tra organismi e il loro ambiente”. [7]

Dice Foster in Marx’s Ecology: Materialism and Nature: “Esso rende conto del complesso processo biochimico dello scambio metabolico, mediante il quale un organismo (o una cellula) attinge materia ed energia dal suo ambiente e la converte, tramite varie reazioni metaboliche, nei componenti di base della sua crescita. Il concetto di metabolismo si riferisce anche ai particolari processi di regolazione che controllano i complessi scambi tra gli organismi e il loro ambiente.” [8]

In questa analisi marxiana si situa il concetto di frattura metabolica ripreso da Foster a partire dal suo articolo Marx’s theory of Metabolic Rift. Si tratta, come abbiamo appena visto, di una “rottura” nel “ciclo dei nutrienti” e del rapporto uomo-natura preesistente. Questo ciclo si è interrotto quando i rifiuti organici umani, e le loro sostanze nutritive, che prima tornavano permanentemente ai suoli locali, iniziarono a essere trasportati e accumulati nelle fogne delle città.

Per Foster, la perdita di produttività del suolo a seguito dell’avvento dell’agricoltura capitalista è la principale “crisi ecologica” ai tempi di Marx. Per l’autore americano, costruire una teoria delle “crisi ecologiche” del capitalismo attorno al concetto di frattura metabolica è una prospettiva adeguata per analizzare quelle che lui definisce le “crisi ecologiche” attuali. Con questo concetto Foster mira anche ad estendere il materialismo storico (che presenta come basato sul primato dell’esistenza umana) al dominio della natura. Foster presenta questo “materialismo esteso” come un tentativo di sintetizzare materialismo storico ed ecologia radicale.

L’approccio di Foster cede in qualche modo alle posizioni neomalthusiane, quindi conservazioniste, riprendendo l’idea di esaurimento delle risorse e di “limiti naturali” all’accumulazione. L’idea di “frattura” fa riferimento a una retorica catastrofista poco compatibile con gli approcci emancipatori e rivoluzionari di Marx.

Nonostante questo riferimento teorico, Angus riesce ad attaccare efficacemente tutte quelle tesi neomalthusiane che vedono nell’incremento demografico la causa dei cambiamenti climatici. Angus dimostra con estrema facilità che i paesi maggiormente coinvolti nelle emissioni di gas serra sono quelli a capitalismo avanzato, non quelli popolosi in via di sviluppo e, nel caso di nazioni in ascesa come la Cina, va sempre ricordato che le fabbriche inquinanti presenti in questi paesi lavorano in funzione delle esportazioni di merci in Occidente.

La terza e ultima parte del libro sostiene una prospettiva ecosocialista che lega la rivoluzione ecologica e la rivoluzione socialista, non potendo esistere l’una senza l’altra. La società ecosocialista, secondo Angus, è democratica, contraddistinta dalla giustizia sociale, l’egualitarismo radicale e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione ma anche, cosa che consente di criticare il produttivismo del socialismo reale, dal contrasto delle pratiche dannose per l’ambiente.

Avviare il superamento del capitalismo è quanto mai necessario per contrastare il cambiamento climatico. L’urgenza è messa correttamente in luce affermando che “il pericoloso cambiamento climatico è già alle porte. Anche se oggi fermassimo tutte le emissioni, le cose peggiorerebbero lo stesso, perché il riscaldamento deriva dalla quantità totale di gas già accumulata nell’atmosfera, e ci vogliono anni affinché le emissioni di oggi abbiano il loro pieno effetto. Inoltre, i processi naturali che rimuovono l’eccesso di CO2 dall’atmosfera impiegano secoli, persino millenni, per svolgere il proprio lavoro. Sono pertanto inevitabili lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali, l’aumento del livello degli oceani e condizioni meteorologiche estreme.[9]

Quindi, la lotta anticapitalista è anche una lotta per la difesa di condizioni decenti in cui possa continuare a vivere il genere umano. La proposta politica di Angus contiene una sorta di programma minimo applicabile da una forza politica che abbia come base sociale tutte le vittime del capitalismo ecocida. Trovano spazio l’eliminazione dei combustibili fossili, il sostegno all’agricoltura biologica, il potenziamento del trasporto pubblico urbano, il contrasto dell’obsolescenza programmata, il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, l’eliminazione delle spese militari, il sostegno a massicci programmi di bonifica e cura del territorio e il rafforzamento della sanità e dell’istruzione pubblica.

Tuttavia, occorre spingersi oltre queste importanti riforme per poter affrontare la sfida del contrasto del cambiamento climatico: “Per evitare il riscaldamento globale e altri pericoli che minacciano l’umanità e la natura, interi settori dell’industria e dell’agricoltura devono essere soppressi, ridimensionati o ristrutturati e altri devono essere sviluppati, garantendo al contempo la piena occupazione per tutti. Una trasformazione così radicale è impossibile senza il controllo collettivo dei mezzi di produzione e la pianificazione democratica della produzione e dello scambio. Le decisioni democratiche devono sostituire il controllo da parte delle imprese, degli investitori e delle banche capitalistiche nell’orizzonte a lungo termine del bene comune della società e della natura.(…) Un simile processo non può iniziare senza una trasformazione rivoluzionaria delle strutture sociali e politiche fondata sul sostegno attivo, da parte della maggioranza della popolazione, di un programma ecosocialista. La lotta per la giustizia sociale da parte dei lavoratori, contadini senza terra, disoccupati … è inseparabile dalla lotta per la giustizia ambientale. Poiché il capitalismo si basa sullo sfruttamento sociale e produce inquinamento, esso è nemico allo stesso modo della natura e del lavoro.” [10]

Angus evidenzia l’incompatibilità tra capitalismo e lotta al cambiamento climatico, l’impossibilità di scindere lotta per la giustizia sociale e lotta per la giustizia ambientale e l’irrazionalità di questo modo di produzione.

Il modo di produzione capitalista non è in grado di ottimizzare l’uso delle proprie risorse. Per dimostrarlo trovo utile riprendere il concetto elaborato da István Mészáros di “tasso decrescente di utilizzo”. Si tratta di una risposta del capitale alla caduta tendenziale del saggio di profitto ed esprime un movimento che compie il capitale. Lo scopo di questo movimento è programmare tecnicamente l’obsolescenza delle merci. Vengo prodotte appositamente in modo che abbiano una vita utile ridotta, in modo da forzare un nuovo acquisto dello stesso prodotto nel più breve tempo possibile. La riduzione della vita utile permette di accelerare i tempi di rotazione del capitale, in quanto le persone sono costrette, in un arco di tempo più breve, ad acquistare un altro prodotto identico a quello prematuramente divenuto inutilizzabile. Un altro punto da evidenziare è la necessità di offrire alternative credibili ai lavoratori che perderanno il proprio impiego perché impiegati in produzioni inquinanti. Si tratta di una questione decisiva per non dividere su fronti opposti lavoratori e movimenti ambientalisti.

Come realizzare un programma ecosocialista?

Non siamo abbastanza forti da ottenere soluzioni efficaci ponendo fine al sistema capitalistico, oggi dobbiamo lavorare per costruire un contropotere che possa, ovunque possibile, favorire la crescita di un’economia politica ecologica. Potremmo al momento non essere in grado di realizzare soluzione durature, ma possiamo rendere i costi politici ed economici dell’inazione inaccettabili per i governi capitalisti e così facendo guadagnare tempo per la Terra e l’umanità. (…) Poiché il capitalismo prosegue nella sua implacabile espansione senza preoccuparsi dei danni che procura, assisteremo – già lo stiamo vedendo – ad una crescente resistenza. Molte lotte si concentreranno su questioni locali e molti dei leader e dei partecipanti si illuderanno su quanto può essere realizzato dentro il sistema. Ciò è inevitabile. L’errore peggiore che i socialisti possono fare in tali circostanze – e che molti purtroppo fanno – sarebbe quello di stare in disparte lamentandosi del fatto che una determinata campagna non è abbastanza radicale o che non è conferme ai preconcetti che si hanno su ciò che un movimento dovrebbe essere. (…) Lenin mise in guardia contro una lettura troppo ristretta della lotta di classe. Disse che i socialisti devono essere tribuni del popolo, rispondendo a “ogni manifestazione di arbitrio ed oppressione, ovunque essa si manifesti e qualunque sia la classe o la categoria sociale che ne soffre”. Al giorno d’oggi, i socialisti non possono essere tribuni del popolo senza essere al contempo tribuni dell’ambiente. Dobbiamo essere capaci di rispondere ad ogni manifestazione di distruzione capitalista dell’ambiente.” [11]

Mi sembra un invito a partecipare, senza settarismi, alle tante manifestazioni contro il cambiamento climatico che stanno prendendo forza e radicalità in questi anni e che va colto senza esitazioni.

Solo in questo modo possiamo proseguire nelle nostre elaborazioni teoriche sul rapporto tra marxismo e questione ecologica.

 

Note

 [1] Ian Angus, “Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra”, Asterios, 2020, pag.82

 [2] Ian Angus, op. cit., pag.85

 [3]  Ian Angus, op. cit., pag.86

 [4] Ian Angus, op. cit., pag.88

 [5] Ian Angus, op. cit., pag.270

 [6] Ian Angus, op. cit., pag.271

 [7] Ian Angus, op. cit., pag.152

 [8]Marx’s Ecology: Materialism and Nature”, Monthly Review, 2000, pag.160

 [9] Ian Angus, op. cit., pag.235

[10] Ian Angus, op. cit., pag.246

[11]  Ian Angus, op. cit., pag.252-253


Francesco Barbetta

Fonte: Effimera 25.01.2022