Fonte: Monthly Review - 01.05.2024

Per il settantacinquesimo anniversario di Monthly Review, John Bellamy Foster rivisita l'eredità di Albert Einstein e i suoi profondi legami con la rivista, compresa la sua paternità dell'articolo Why Socialism?, pubblicato nel primo numero (maggio 1949). Attraverso documenti storici e le parole del famoso fisico, Foster riscopre l'impegno di Einstein per il socialismo, sia a parole che nei fatti, e il suo legame con i fondatori di Monthly Review.



Un memorandum della primavera del 1949 contenuto nell'“Albert Einstein File” del FBI, che fa parte del Vault [archivio] dell'FBI di documenti rilasciati grazie al Freedom of Information Act, afferma:

Un agente sul campo ha comunicato che nell'aprile 1949 è stata distribuita una circolare nell'area di Nashua, New Hampshire, che annunciava il lancio di una nuova rivista intitolata “Monthly Review”, “una rivista socialista indipendente”. L’uscita del primo numero è datata come edizione del maggio 1949. Il primo numero conterrà articoli di Albert Einstein - “Perché il socialismo[?]”; Paul M. Sweezy - “Recenti sviluppi nel capitalismo americano”; Otto Nathan - “La transizione al socialismo in Polonia”; Leo Huberman - “Il socialismo e il lavoro americano”. [....] Re: Rapporto di New York, datato 3-15-51 Spionaggio-CH.[1]

Il resto del messaggio è oscurato. Un altro memorandum, che lo segue immediatamente nel fascicolo Einstein dell'FBI e che è redatto in maniera simile, riporta:

Avvisato l'Ufficio di New York che la “Monthly Review”, 66 Barrow Street, New York City, autoproclamatasi “una rivista socialista indipendente”, ha fatto la sua prima apparizione nel maggio del 1949. Il primo numero conteneva articoli di Albert Einstein e altri. Questo rapporto [investigativo] affermava inoltre che uno studio degli articoli contenuti, e un controllo dei redattori e dei collaboratori, rivelava che questa rivista era di ispirazione comunista e seguiva la linea approvata dal Partito Comunista [...]. Rapporto di New York, datato 1-30-50; Re: Sicurezza interna.[2]

Albert Einstein, il fisico teorico più famoso del mondo e lo scienziato più celebrato, era fuggito dalla Germania dopo l'ascesa di Adolf Hitler, emigrando negli Stati Uniti nel 1933, dove divenne cittadino nel 1940. Tuttavia, per l'FBI di J. Edgar Hoover, Einstein rimaneva una figura pericolosa e antiamericana, che minacciava la sicurezza interna degli Stati Uniti con la sua stessa presenza nel Paese. La sua pubblicazione nel 1949 di un articolo intitolato “Why Socialism?” per il nuovo periodico Monthly Review: An Independent Socialist Magazine fu quindi vista dall'FBI come una conferma diretta delle sue forti “simpatie comuniste”.

L'FBI aveva aperto il fascicolo su Einstein nel 1932, quando stava cercando di immigrare negli Stati Uniti, con un lungo rapporto della Woman Patriot Corporation (WPC), che nel suo estremo anticomunismo, sosteneva che Einstein non era ammissibile nel Paese. «Nemmeno Stalin stesso», accusava la WPC, «è affiliato a così tanti gruppi internazionali anarco-comunisti per promuovere... la rivoluzione mondiale e infine l'anarchia, come ALBERT EINSTEIN».[3] L'FBI continuò a raccogliere tutto ciò che poteva sui numerosi legami socialisti di Einstein per il resto della sua vita.[4]

Sebbene Einstein avesse inviato una lettera al Presidente Franklin D. Roosevelt il 2 agosto 1939 sulla possibilità di sviluppare una bomba atomica – lettera che è stata più volte considerata come una diretta premessa del Progetto Manhattan – l'esercito americano lo dichiarò un rischio per la sicurezza, e fu escluso dallo sviluppo, e persino dalla conoscenza, della realizzazione della bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale, compresa la decisione del Presidente Harry S. Truman di sganciarla su Hiroshima e Nagasaki.[5]

Alla fine degli anni Quaranta, era già iniziata la "Paura Rossa" associata al maccartismo, dal nome del senatore statunitense Joseph McCarthy. Nell'aprile del 1949, solo un mese prima della pubblicazione di "Perché il socialismo?" di Einstein su Monthly Review, la rivista Life (sorella del Time) inserì Einstein in un servizio fotografico di due pagine che ritraeva i cinquanta principali “Dupes and Fellow Travelers” [Ingannevoli compagni di viaggio N.d.T.] del comunismo nel Paese. Il servizio comprendeva anche personaggi celebri come il compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein, l'attore Charlie Chaplin, il poeta Langston Hughes, la drammaturga Lillian Hellman, il deputato americano Vito Marcantonio, il professore di studi americani F. O. Matthiessen, il drammaturgo Arthur Miller, il fisico atomico Philip Morrison, la scrittrice Dorothy Parker e il commentatore radiofonico J. Raymond Walsh. L'ex vicepresidente degli Stati Uniti Henry A. Wallace veniva descritto nella pagina precedente come un «compagno di viaggio di spicco».[6]

All’epoca, ad accrescere i timori e i sospetti dell'FBI, legati alla generale isteria anticomunista, fu senza dubbio il fatto che "Perché il socialismo?" di Einstein costituì una delle più stringenti e al tempo stesso potenti argomentazioni a favore del socialismo che fossero mai state scritte. Si tratta di un saggio che ha superato la prova del tempo e che oggi, a settantacinque anni di distanza, è molto più celebrato in tutto il mondo di quanto non lo fosse alla data della sua pubblicazione.


«In questo senso, sono un socialista»

Nel 1949 Einstein non era un nuovo iniziato al socialismo. Nel 1895, all'età di 16 anni, si era trasferito in Svizzera per studiare alla Scuola Politecnica Federale di Zurigo.[7] Per Einstein, il 1905 sarebbe stato l'”anno miracoloso”, durante il quale avrebbe conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università di Zurigo e pubblicato cinque lavori rivoluzionari di fisica teorica (tra cui la sua tesi di dottorato) che lo avrebbero reso famoso in tutto il mondo. Sarebbe stato venerato mondialmente come una personificazione del progresso e della creatività umana.

Ma la creatività di Einstein come scienziato e il suo universalismo non furono mai separati dal suo impegno per una società più egualitaria. Era un socialista convinto, legato a innumerevoli gruppi e cause radicali e un convinto oppositore di ogni forma di discriminazione. Dopo la sua apertura nel 1911, trascorse molto tempo al Grand Café Odeon di Zurigo, luogo di incontro per i radicali russi, tra cui Alexandra Kollontai e, più tardi, V. I. Lenin e Leon Trotsky, oltre a numerose figure culturali d'avanguardia. Fu senz’altro coinvolto nelle numerose e accese discussioni politico-culturali che vi si svolgevano. Il suo non era un socialismo timido. In alcune circostanze storiche riteneva che le rivoluzioni fossero necessarie. Il 19 novembre 1918, il giorno in cui il Kaiser Guglielmo II abdicò, com’è noto Einstein affisse sulla porta della sua aula: “LEZIONE ANNULLATA: RIVOLUZIONE"[8] Un anno dopo scrisse: «Sostengo un'economia pianificata... in questo senso sono un socialista».[9] Nel 1929 dichiarò: «Onoro Lenin come un uomo che si è completamente sacrificato e ha dedicato tutte le sue energie alla realizzazione della giustizia sociale. Non considero pratici i suoi metodi, ma una cosa è certa: gli uomini come lui sono i guardiani e restauratori della coscienza dell'umanità».[10] In un articolo del 1931, The World as I See It [Il mondo come io lo vedo], scrive: «Considero le distinzioni di classe ingiustificate e, in ultima istanza, basate sulla forza».[11]

Anche se in seguito prenderà le distanze dal carattere sovietico dell'organizzazione, Einstein, insieme a Bertrand Russell, Upton Sinclair e altri socialisti indipendenti, nel 1932 sottoscriverà la chiara presa di posizione dell'International Congress Against Imperialist Wars.[12] Nel 1945 dichiarerà: «Sono convinto [...] che in uno Stato ad economia socialista, le prospettive per l'individuo medio di raggiungere il massimo grado di libertà, compatibilmente con il benessere della comunità, siano migliori».[13]

Come spiegherà Otto Nathan, amico e collaboratore di Einstein, in Einstein on Peace del 1960:

Einstein era un socialista. Credeva nel socialismo perché, da convinto egualitario, si opponeva alla divisione in classi del capitalismo e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo che, secondo lui, questo sistema facilitava in modo più ingegnoso di qualsiasi altra organizzazione economica precedente. Era un socialista perché era certo che l'economia capitalista non fosse in grado di garantire adeguatamente il benessere di tutte le persone e che l'anarchia economica del capitalismo costituisse la fonte di molti mali della società contemporanea. Infine, era socialista perché era convinto che, con il socialismo, esistesse una maggiore possibilità di raggiungere il massimo grado di libertà compatibile con il benessere pubblico rispetto a qualsiasi altro sistema conosciuto dall'uomo.[14]


La Albert Einstein Foundation e l'ascesa del maccartismo nell’istruzione superiore


Nel 1933, Einstein entrò a far parte del neonato Institute for Advanced Study di Princeton. Qui trascorrerà molto tempo con Nathan, professore ospite del dipartimento di economia di Princeton e che, come lo stesso Einstein, era un rifugiato dalla Germania nazista. Nathan, economista socialista, aveva conseguito il dottorato in economia e diritto in Germania nel 1921 ed era stato consigliere economico del governo di Weimar. Negli Stati Uniti, nel 1930-31, aveva fatto parte del President Emergency Committee on Employment [Comitato di Emergenza per l'Occupazione] di Herbert Hoover. Nel 1933 si dimise dal suo incarico in Germania e fu assunto come visiting lecturer a Princeton nel 1933, dopodiché insegnò alla New York University dal 1935 al 1942, a Vassar dal 1942 al 1944 e alla Howard University dal 1946 al 1952. All'inizio degli anni '40 Nathan tenne una conferenza sull'economia marxista per il gruppo di studio marxista del Vassar College. Lavorò a stretto contatto con Einstein dal 1933 fino alla morte di quest'ultimo nel 1955, spesso come consulente finanziario. Einstein lo definì il suo «più intimo amico» e confidente. Nathan fu l'unico esecutore testamentario e co-amministratore fiduciario (insieme alla segretaria di Einstein, Helen Dukas) del patrimonio di Einstein. Durante la loro lunga collaborazione, Einstein fece di Nathan il suo rappresentante sulle questioni politiche ed educative, sottolineando il loro comune accordo su tutte le questioni.[15]

Per Einstein, un'educazione umana e progressista era direttamente collegata all'avanzamento della causa socialista. Nel 1946-47 avrebbe avuto un ruolo di primo piano, insieme a Nathan, nella fondazione della Brandeis University, originariamente concepita come un'istituzione di istruzione superiore laica di stampo ebraico che avrebbe dovuto incarnare anche una nuova e più ampia concezione di università libera. Qui sarebbero potute convergere le idee di Einstein sulla riforma dell'istruzione e su un radicale cambiamento sociale. La fondazione della Brandeis fu una risposta al "quota system" [sistema di quote] utilizzato dalle istituzioni statunitensi della Ivy League [università d'élite nord-occidentali N.d.T.], così come da quasi tutti gli altri college e università, che limitava il numero di studenti ebrei, insieme a quelli di altre minoranze.[16] La proposta originaria fu di intitolare questa nuova università a Einstein, ma egli rifiutò e dichiarò che avrebbe dovuto essere intitolata a «un grande ebreo che fosse anche un grande americano», il che portò a intitolare l'università all'ex giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Louis Brandeis.[17] Tuttavia, il sostegno di Einstein fu fondamentale per l’avviamento della nuova università. La principale fonte di finanziamento fu la Albert Einstein Foundation for Higher Learning, il cui consiglio di amministrazione comprendeva Nathan. Il presidente della Fondazione fu S. Ralph Lazrus, un ricco uomo d'affari con una visione politica progressista, legato alla catena di grandi magazzini Allied Stores e alla Benrus Watch Company. Il Consiglio di amministrazione della Brandeis era presieduto da George Alpert, un avvocato conservatore di Boston, presidente della Boston and Maine Railroad e figura di spicco della filantropia ebraica.[18]

Nel gennaio 1947, Paul M. Sweezy, uno dei più importanti economisti di sinistra del mondo, autore di La teoria dello sviluppo capitalistico (1942) – che si era appena dimesso dalla carica di professore di economia ad Harvard – presentò un rapporto di ottantasette pagine, intitolato A Plan for Brandeis University, che delineava una proposta di struttura per la nuova università.[19] Il piano di Sweezy era stato chiaramente commissionato dalla Albert Einstein Foundation, e cioè da Nathan in qualità di rappresentante di Einstein. Nathan, mentre insegnava alla New York University, si incontrava quasi quotidianamente con il suo buon amico, il giornalista socialista Leo Huberman. Di conseguenza, Nathan conobbe Sweezy, con il quale Huberman aveva una forte amicizia e uno stretto rapporto di lavoro.[20]

Il piano Brandeis di Sweezy mirava a creare un'università più aperta, accessibile e orientata al futuro, diversa da tutte quelle allora esistenti negli Stati Uniti. Si basava su «due premesse principali». In primo luogo, «il cuore e l'anima dell'università» sarebbero stati «i suoi docenti», che avrebbero diretto l'università stessa come autorità suprema. Tutti gli standard e gli incentivi avrebbero dovuto essere determinati dall'interno, piuttosto che dall'esterno. In secondo luogo, l'Università stessa sarebbe stata come «una comunità di studio e apprendimento». Sweezy indicò che tutti gli sforzi sarebbero dovuti convergere nella creazione di una piccola istituzione di prim'ordine, iniziando con una facoltà di cento persone e un corpo studentesco di circa cinquecento. Inizialmente, avrebbero avuto un ruolo di primo piano le scienze sociali e umanistiche, con la facoltà organizzata in scuole e non in dipartimenti. Sottolineò inoltre che si sarebbe data priorità «all'attrazione di persone non bianche [Negro] qualificate sia per i docenti che per il corpo studentesco» e che un certo numero di borse di studio offerte dall'Università sarebbe stato riservato «esclusivamente agli studenti non bianchi». Queste proposte erano tutte in linea con i punti di vista di Nathan e Einstein, con Nathan che presentò uno schema di cinque pagine della struttura della nuova università con il quale integrava il piano più ampio di Sweezy. Un lavoro critico fondamentale presente in A Plan for Brandeis University di Sweezy era The Higher Learning in America di Thorstein Veblen.[21]

Tuttavia, sarebbe presto sorto un conflitto tra la Albert Einstein Foundation for Higher Learning e il Consiglio di Amministrazione della Brandeis in merito ai piani accademici progressisti della Fondazione. Il conflitto sarebbe nato nel corso della selezione di un presidente per la nuova università. Alla ricerca di un potenziale presidente, e con il sostegno di Einstein, Nathan si recò a Londra per incontrare Harold Laski, senza dubbio incoraggiato da Huberman e Sweezy, che avevano entrambi studiato con Laski alla London School of Economics (LSE).[22] Laski, ex docente di Harvard, poi per molti anni professore alla LSE e membro dell'esecutivo del Partito Laburista britannico, era ampiamente riconosciuto come uno dei principali pensatori politico-economici del mondo. Nel 1939, Laski scrisse un articolo, “Why I Am a Marxist”, originariamente pubblicato negli Stati Uniti su The Nation e successivamente ristampato su Monthly Review alla sua morte nel 1950. Rispondendo alla Grande Depressione e all'ascesa del nazismo, dichiarò: «È giunto il momento di un attacco centrale alla struttura del capitalismo. Soltanto una socializzazione su larga scala può porre rimedio alla situazione. L'alternativa [alla socializzazione] in tutta la civiltà occidentale [...] è, a mio avviso, una rapida deriva verso il fascismo».[23]

Nathan e Einstein ritenevano che Laski, uno dei principali pensatori ebrei del mondo, impegnato nell'educazione laica e con forti valori socialisti, rappresentasse la scelta ideale per la presidenza della Brandeis, in grado di dare forma all'università più libera, più aperta e più progressista che avevano immaginato. Einstein, con il sostegno iniziale di Alpert e con quella che, secondo lui, era l'autorizzazione del Consiglio di Amministrazione e della Fondazione (anche se in seguito sarebbe stata messa in discussione), scrisse a Laski, invitandolo a prendere in considerazione la possibilità di assumere l'incarico di presidente della Brandeis.[24] Nella lettera del 15 aprile 1947, Einstein scriveva:

Caro signor Laski,

Come ha saputo dal mio amico Otto Nathan qualche mese fa, stiamo qui facendo uno sforzo molto serio per fondare una nuova università, che riteniamo sia diventata necessaria a causa del quota system apertamente o implicitamente utilizzato da quasi tutti i college e le università americane. Speriamo che la nuova istituzione renda più facile per i giovani uomini e donne di fede ebraica e di altre minoranze ottenere un'istruzione di prima classe. Allo stesso modo, speriamo di rendere possibile a quegli scienziati e studiosi, che nelle condizioni attuali soffrono di gravi discriminazioni, di trovare un luogo dove poter insegnare e lavorare. L'Università sarà in mani ebraiche, ma siamo determinati a trasformarla in un'istituzione animata da uno spirito libero e moderno, che enfatizzi soprattutto lo studio e la ricerca indipendenti e che non conosca discriminazioni a favore o contro nessuno in ragione del sesso, del colore, della fede, dell’origine nazionale o dell’opinione politica. Tutte le decisioni sulle politiche educative, sull'organizzazione dell'insegnamento e della ricerca saranno nelle mani del corpo docente.

Il Consiglio di Amministrazione mi ha delegato l'autorità di scegliere il primo presidente dell'Università. Costui avrà l'arduo compito di aiutarci a determinare le fondamenta dell'Università e di selezionare e organizzare il corpo docente iniziale da cui dipende tutto ciò. Siamo tutti convinti che tra tutti gli ebrei viventi Lei sia l'uomo che, accettando la grande sfida, avrebbe maggiori probabilità di successo. Non solo Lei conosce gli Stati Uniti e le sue istituzioni accademiche più intimamente di molti educatori americani, ma la Sua reputazione di studioso eccezionale è diffusa in tutto il Paese.

Le scrivo, quindi, per chiederle se sarebbe disposto a prendere in considerazione un simile invito.[25]

Laski rispose quasi immediatamente all'offerta di Einstein, scrivendo che, purtroppo, per motivi personali e familiari, oltre che per il suo impegno nella lotta per il socialismo in Gran Bretagna, non era in grado di lasciare Londra e quindi non poteva accettare l'incarico.[26] Tuttavia, nonostante la lettera di Laski che rifiutava l'incarico fosse già stata ricevuta, Alpert vedeva chiaramente nell'offerta a Laski una problema potenzialmente conflittuale e un modo per prendere il controllo della direzione dell'Università. L'obiettivo [di Alpert] era quello di emarginare Nathan e Lazrus, e quindi Einstein, indebolendo il ruolo della Albert Einstein Foundation nella scelta della direzione accademica dell'Università. Così, nonostante il suo iniziale sostegno dell'offerta a Laski, Alpert prese la strada opposta. Sostenne improvvisamente, sebbene l'accusa fosse dubbia e priva di prove evidenti, che Nathan e Lazrus (coinvolgendo indirettamente lo stesso Einstein) avevano oltrepassato la loro autorità nel proporre un'offerta simile a Laski. Alpert negò che il Consiglio di Amministrazione della Fondazione avesse autorizzato l'offerta in una riunione, che dichiarò essere stata priva del numero legale.[27] Più precisamente, insistette sul fatto che la scelta di Laski fosse inaccettabile perché rifletteva una politica radicale e “antiamericana”. La risposta di Einstein fu quella di difendere Nathan e Lazrus, chiarendo che avevano la sua piena fiducia e che avevano agito in linea con le sue idee. Sottolineò che era stato lui stesso a scrivere la lettera a Laski dopo aver ottenuto l'approvazione di Alpert, del Consiglio di Amministrazione e della Fondazione. Einstein interruppe quindi il suo legame con la Brandeis, assicurandosi che il nome della Albert Einstein Foundation for Higher Learning venisse cambiato in Brandeis Foundation e che sia Nathan che Lazrus si dimettessero dalle loro cariche.

Secondo Alpert, le cui osservazioni sull'incidente furono riportate dal New York Times il 23 giugno 1947, con il titolo “Left Bias Charged in University Row”, i collaboratori di Einstein si erano «arrogati il diritto di definire la politica accademica», mirando a dare all'Università «un orientamento politico radicale» e appoggiando «di nascosto» una «scelta assolutamente inaccettabile». Nelle parole di Alpert, «istituire un'Università sponsorizzata dagli ebrei e porre a capo di essa un uomo del tutto estraneo ai principi americani di democrazia, della stessa pasta dei comunisti, avrebbe fin dall'inizio condannato l'Università all'impotenza. Sulla questione dell'americanismo non posso scendere a compromessi». Altri giornali ripresero la vicenda, sostenendo che Laski fosse criticabile in quanto «socialista di fama internazionale».[28] Non era una semplice coincidenza che le accuse politiche di Alpert fossero del tutto in accordo con le opinioni del National Council for American Education, un'organizzazione ferventemente anticomunista fondata nel 1946 che lanciò il maccartismo nelle università. Con l'introduzione delle tattiche maccartiste, Alpert dichiarava che era inaccettabile che qualsiasi figura intellettuale associata a idee socialiste potesse dirigere un'università statunitense.[29]

Einstein rimase scioccato dalle tattiche da Paura Rossa utilizzate contro di lui e i suoi collaboratori, come si evince dalla bozza di risposta alle dichiarazioni pubbliche di Alpert. La sua risposta pubblica, tuttavia, fu contenuta e puntuale:

Le dichiarazioni alla stampa rilasciate da George Alpert e da un altro membro del Consiglio di Amministrazione della Brandeis University in occasione del ritiro mio e dei miei amici, il professor Otto Nathan e S. Ralph Lazrus, mi hanno convinto che non fosse mai troppo presto per interrompere un legame dal quale non ci si poteva aspettare nulla di buono dalla comunità. I miei colleghi ed io eravamo giunti con molta riluttanza alla conclusione che il tipo di istituzione accademica a cui eravamo interessati non poteva essere realizzata nelle circostanze attuali e con l'attuale leadership.[30]

Come scrisse William Zuckerman nella rivista ebraica The American Hebrew: «La dichiarazione del signor Alpert è [... quella] di un politico reazionario e di parte, che si addice a un membro del Comitato per le attività antiamericane, non a un presidente di un'università che porta il nome del defunto giudice Brandeis»[31]


La campagna di Wallace e la nascita della Monthly Review

Nel clima repressivo dell'epoca, il fallimento della creazione di un nuovo tipo di università - aperta e democratica, senza discriminazioni razziali nelle politiche di ammissione, con una visione più progressista, con un controllo assoluto sull'istituzione da parte della facoltà e con l'introduzione di valori socialisti di uguaglianza - ebbe un effetto profondo su Einstein. Nel 1948, nel bel mezzo dell'isteria anticomunista allora diretta contro tutti i movimenti di sinistra del Paese, incluse le organizzazioni dei lavoratori radicali, dei diritti civili e della sinistra accademica che avevano formato una coalizione durante il New Deal di Roosevelt, Einstein sostenne Wallace, il candidato del Partito Progressista alle elezioni presidenziali. Wallace godeva del sostegno delle forze radicali che avevano fornito gran parte dell'impulso al New Deal di Roosevelt. La sua campagna si oppose alla Guerra Fredda, sostenne il controllo internazionale delle armi nucleari e appoggiò i diritti civili e i diritti dei lavoratori. Una famosa foto scattata poco prima del lancio ufficiale del Partito Progressista mostra Einstein e Paul Robeson accanto a Wallace[32] Huberman e Sweezy scrissero il preambolo della piattaforma del Partito Progressista, che fu adottata alla Convenzione di Filadelfia nel luglio 1948. Sweezy avrebbe assunto l'incarico di presidente della campagna di Wallace nel New Hampshire.[33]

Pur raccogliendo oltre un milione di voti, Wallace perse nettamente le elezioni, in parte a causa della campagna di vessazione contro i simpatizzanti comunisti [red-baiting] condotta contro di lui dal candidato alla presidenza del Partito Democratico, l'allora presidente Truman.[34] In seguito alla disastrosa sconfitta di Wallace, Huberman, Sweezy, Nathan e, a quanto pare, anche Einstein, giunsero alla conclusione che una delle ragioni principali della disfatta elettorale di Wallace risiedesse nell'incapacità di articolare una visione positiva, che poteva provenire solo dal socialismo. Einstein riteneva che Wallace fosse «senza dubbio un liberale», ma non un socialista[35]

In queste circostanze, Huberman, Sweezy e Nathan si convinsero che negli Stati Uniti fosse necessario un periodico socialista indipendente che fornisse l’educazione e la visione politica necessarie, anche se ciò potesse rappresentare, nel contesto dei tempi, solo una mera «azione di sostegno, un'azione di retroguardia».[36] Di conseguenza, iniziarono a lavorare insieme per fondare quella che divenne la Monthly Review. Furono aiutati da Matthiessen, che negli anni '30 aveva lavorato con Sweezy alla formazione della Harvard Teacher's Union ed era anche un attivo sostenitore di Wallace. Matthiessen fornì alla rivista un importante contributo di 5.000 dollari in ciascuno dei primi tre anni di vita.[37] Nathan fu un membro silenzioso del gruppo editoriale fondatore della nuova rivista, non volendo apparire sulla testata a causa degli attacchi maccartisti già rivolti ai professori universitari. Scrisse per i primi due numeri di Monthly Review e fu strettamente coinvolto nella sua progettazione e nel suo sviluppo. Tuttavia, il suo ruolo si ridimensionò gradualmente nel primo anno di pubblicazione. Il suo contributo più duraturo alla Monthly Review fu quello di incoraggiare Einstein a scrivere per il primo numero[38]

Così, quando il numero inaugurale di Monthly Review fu pubblicato nel maggio 1949, Huberman e Sweezy vi figuravano come redattori, mentre i quattro autori degli articoli del numero (dopo i due editoriali) erano, nell'ordine: Einstein, Sweezy, Huberman e Nathan. Fu l'articolo di Einstein, nel primo numero della Monthly Review, ad assumere il compito principale di definire il significato del socialismo stesso e attirò l'attenzione dell'FBI sulla rivista.

Esisteva una lunga tradizione di importanti socialisti che pubblicavano articoli intitolati “Perché sono socialista”.[39] Nathan, con il sostegno di Huberman e Sweezy, suggerì ad Einstein di scrivere un saggio di questo tipo. Tuttavia Einstein, decise di adottare un formato completamente diverso, non basato sulle sue opinioni soggettive, ma su un'argomentazione oggettiva e chiara per la scelta di una via socialista. Con questo formato, dal tono molto peculiare, l'articolo di Einstein assunse un carattere scientifico.[40]

Einstein e le ragioni oggettive in favore del socialismo

Scritto con estrema brevità, “Perché il socialismo?” di Einstein era lungo poco più di sei pagine. Sebbene fosse un prodotto esclusivamente suo, mostrava l'influenza di due grandi pensatori socioeconomici: Veblen e Karl Marx. Come scrisse, con parole celebri, C. Wright Mills in un'introduzione a Teoria della classe agiata di Veblen, «Thorstein Veblen è il miglior critico dell'America che l'America abbia prodotto»[41] Negli anni Quaranta, Veblen era uno degli autori preferiti di Einstein. Nel 1944, Einstein scrisse: «Devo innumerevoli ore felici alla lettura delle opere di [Bertrand] Russell, cosa che non posso dire di nessun altro scrittore scientifico contemporaneo, ad eccezione di Thorstein Veblen».[42] Einstein vedeva in Marx un grande pensatore, che collocava al fianco di Baruch Spinoza quale esponente della libertà umana derivante dalla tradizione ebraica. Come dichiarò: «Nella tradizione del popolo ebraico c'è un amore per la giustizia e la ragione che deve continuare a lavorare per il bene di tutte le nazioni, ora e in futuro. Nei tempi moderni questa tradizione ha prodotto Spinoza e Karl Marx».[43]

La prima metà di “Perché il socialismo?” si rifaceva alla prospettiva di Veblen. Einstein iniziò il suo saggio con una domanda e una risposta: «È consigliabile per chi non sia un esperto di problemi economici e sociali esprimere delle opinioni sulla questione del socialismo? Per un complesso di ragioni credo di sì». Egli proseguì spiegando che « in nessuna parte del mondo abbiamo di fatto superato quella che Thorstein Veblen chiamò “la fase predatoria” dello sviluppo umano. [...] Dato che il vero scopo del socialismo è precisamente quello di superare e di procedere oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica, al suo stato attuale, può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro».[44] Ed era anche vero che il socialismo aveva come obiettivo «un fine etico-sociale» al quale la scienza, come normalmente intesa, poteva contribuire poco. Pertanto, gli esperti degli attuali assetti economici non erano «gli unici ad avere il diritto di esprimersi su questioni che riguardano l'organizzazione della società».[45]

La principale occupazione di Einstein in quel periodo era la lotta per la pace nel mondo di fronte alla minaccia esistenziale rappresentata dalle armi nucleari. La questione della pace era direttamente collegata al rapporto tra individuo e società. Il tipico individuo nel capitalismo contemporaneo era così alienato e sconvolto dalle terribili circostanze allora prevalenti, sia di origine economica che derivanti dalla minaccia della guerra, da mettere spesso in discussione il concetto stesso di umanità. Come scrisse Einstein, «Recentemente discutevo con una persona intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, secondo me, comprometterebbe seriamente l'esistenza dell'umanità, e facevo notare che solo un'organizzazione sopranazionale potrebbe offrire una forma di protezione da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con voce molta calma e fredda, mi disse: “Perché lei è così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?».[46]

Nient'altro, affermò Einstein, indicava così chiaramente la crisi sociale e morale contemporanea: «Sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto una domanda del genere con tanta leggerezza. È l'affermazione di un uomo che ha lottato invano per raggiungere un equilibrio interno e ha perduto, più o meno, la speranza di riuscirvi. È l'espressione di una solitudine e di un isolamento dolorosi di cui soffrono moltissimi in questi tempi. Quale ne è la causa? Esiste una via d'uscita?».[47] Il rifiuto stesso di affrontare la crisi esistenziale dell'umanità, giungendo a negare l'importanza della continuazione dell'esistenza umana, esasperava la disperazione e l'alienazione che allora, come oggi, dilagavano, rendendo necessaria la ricerca di una via d'uscita.

«L'uomo», osservava Einstein in “Perché il socialismo?”, «è allo stesso tempo un essere solitario e un essere sociale». Il carattere dell'essere umano è quindi il prodotto di spinte sia individuali che sociali, che riflettono forze interne ed esterne.[48] Ogni persona ha sia una «costituzione biologica» ereditata che una «costituzione culturale» che proviene dalla società, le quali insieme influenzano il suo sviluppo. Tuttavia, gli individui sono in grado di influenzare la propria vita in una certa misura grazie alla consapevolezza, alla comunicazione e alle azioni che ciascuno sceglie di intraprendere all'interno dei vincoli presentati dalla società, che è a sua volta soggetta a cambiamenti. «Il comportamento sociale degli esseri umani può essere molto diverso, a seconda degli schemi culturali predominanti e dei tipi di organizzazione che prevalgono nella società. È su questo fatto che coloro che lottano per migliorare il destino dell'uomo possono fondare le loro speranze: gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, a distruggersi l’un l’altro, ad opera delle proprie mani, alla mercè di un fato crudele».[49]

È questa forte convinzione che condusse Einstein, nel suo saggio, ad affrontare la struttura della società attuale. La dipendenza dell'individuo dalla società di oggi, scriveva, è tale che l'individuo «non sperimenta tale dipendenza come [...] un legame organico, come una forza protettrice, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o addirittura alla sua esistenza». Questo perché la struttura della società è tale da accentuare «gli impulsi egoistici» e allo stesso tempo da indebolire «gli impulsi sociali» presenti nella composizione dell'individuo, «che per natura sono più deboli», andando così contro il fatto insormontabile che «l'uomo può trovare un significato nella vita, breve e pericolosa com'è, soltanto dedicandosi alla società».[50]

Basandosi su Marx per gran parte della sua argomentazione, Einstein sottolineò che mentre esiste «un'enorme comunità di produttori» nell'odierna «società capitalista», la stragrande maggioranza di questi ultimi è privata «dei frutti del lavoro collettivo», dal momento che «l'intera capacità produttiva» è «per la maggior parte [...] la proprietà privata di singoli». In questo articolo, delineò «per ragioni di semplicità» (cioè ad un alto livello di astrazione), le caratteristiche principali di una società di classe capitalista. In tale sistema, «i ‘lavoratori’...[o] tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione» sono costretti a vendere la loro «forza-lavoro» ai «proprietari dei mezzi di produzione».[51] Il proprietario è quindi in grado di appropriarsi dell'intero surplus (valore) generato al di là di quello che viene pagato al lavoratore per soddisfare “le necessità di sopravvivenza” di quest'ultimo. «È importante comprendere», scrisse Einstein, «che anche in teoria il salario del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto».[52]

Le principali contraddizioni della società capitalista di classe, secondo Einstein, derivavano dalla sua diffusione della disuguaglianza. Invece di tendere a condizioni egualitarie, «il capitale privato tende a concentrarsi in poche mani» per mezzo del normale funzionamento del processo di accumulazione, per cui «la formazione di unità produttive più grandi» avviene «a spese di quelle più piccole». Questo processo genera «un'oligarchia del capitale privato» che è così potente da «non poter essere controllata efficacemente nemmeno da una società organizzata in maniera democratica». Ciò è tanto più vero in quanto i politici eletti e i partiti a cui appartengono sono «ampiamente finanziati o comunque influenzati da capitalisti privati» che si frappongono tra l'elettorato e la maggior parte della popolazione. «Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inesorabilmente, direttamente o indirettamente, le principali fonti di informazione (stampa, radio, istruzione)», che mediano tra coloro che governano la società e la popolazione nel suo complesso.[53]

Il capitalismo, spiegava Einstein, è un sistema in cui «la produzione è portata avanti per il profitto, non per l'uso», con il risultato che molti rimangono svantaggiati e trascurati. Il sistema è sostenuto da «un esercito di disoccupati», per cui il lavoratore teme costantemente di essere reinserito nell'esercito di riserva del lavoro. I nuovi sviluppi tecnologici tolgono spesso l’impiego al lavoratore, aumentando così ulteriormente l'esercito dei disoccupati e il potere relativo dei proprietari.[54] «Il movente del profitto», insieme alla concorrenza sfrenata, sono responsabili di gravi crisi economiche, di un «enorme spreco di lavoro» e delle «storture della coscienza sociale nei singoli individui». Quest'ultimo è «la tara peggiore del capitalismo», poiché permette di mettere la società contro la popolazione. «Tutto il nostro sistema educativo» coltiva questi valori alienati e quindi «soffre di questo male».[55]

«Sono convinto che vi è un solo mezzo per eliminare questi gravi mali», dichiarò Einstein, «cioè la creazione di un'economia socialista congiunta a un sistema educativo che sia orientato verso obiettivi sociali. In una tale economia, i mezzi di produzione sono di proprietà della società stessa e vengono utilizzati secondo uno schema pianificato» in linea con le esigenze sociali, oltre che individuali. «L'educazione dell'individuo, oltre a incoraggiare le sue innate capacità, si proporrebbe di sviluppare in lui un senso di responsabilità per i suoi simili anziché la glorificazione del potere e del successo, come avviene nella nostra società attuale».[56] Qui vediamo l'importanza che egli attribuisce, come espresso nella sua lettera a Laski, alla creazione di un'istituzione educativa libera da «discriminazioni a favore o contro chiunque, a causa del sesso, del colore della pelle, del credo, dell'origine nazionale o dell'opinione politica» - un'istituzione in cui «tutte le decisioni sulle politiche educative, sull'organizzazione dell'insegnamento e della ricerca saranno nelle mani della facoltà», e non di consigli di amministrazione colmi di magnati del business.

«Un'economia pianificata», ha insistito Einstein, «non rappresenta ancora il socialismo». Essa non comporta necessariamente la fine della «schiavitù dell'individuo». La realizzazione del socialismo richiedeva la soluzione di alcune questioni cruciali come l'estensione e non la limitazione della democrazia, la lotta alla burocrazia e la protezione dei diritti dell'individuo. Concludeva il suo articolo facendo riferimento alla Monthly Review, di cui sosteneva pienamente la fondazione: «Chiarire questi problemi del socialismo è di fondamentale importanza nella nostra epoca di transizione. Dal momento che, nelle attuali circostanze, una discussione libera e senza intralci è soggetta ad un potente tabù, ritengo la fondazione di questa rivista un importante servizio pubblico».[57]

Il “potente tabù” era il maccartismo che all'epoca dominava l'intero discorso della società statunitense. Einstein stesso ne aveva subito direttamente la violenza: rispetto ai suoi tentativi, accusati di antiamericanismo, di creare una nuova e più libera università a Brandeis; rispetto al suo ruolo nella campagna di Wallace, che lo portò a essere incolpato di essere un «imbroglione e un seguace del comunismo»; e rispetto agli attacchi in stile caccia alle streghe contro molti dei socialisti e dei radicali con cui era più strettamente legato. Sebbene la reputazione e lo status a livello mondiale di Einstein lo rendessero virtualmente intoccabile, questo non era vero per gli altri autori che scrissero per il primo numero di Monthly Review. Huberman, Sweezy e Nathan sarebbero stati convocati dall'inquisizione maccartista e minacciati di carcerazione per aver rifiutato di fare i nomi e di collaborare, appellandosi al Primo Emendamento, come notoriamente raccomandato da Einstein.[58]


"Perché il socialismo?" o "Perché il liberalismo?"


La potenza del nome di Einstein e la forza delle sue opinioni sono tali che ancora oggi, settantacinque anni dopo la pubblicazione di "Perché il socialismo?", si cerca di negare o sminuire il suo impegno per il socialismo e di sostenere che l'articolo era di scarsa importanza, non diceva ciò che sembrava dire, era contraddetto dalla stessa evoluzione intellettuale di Einstein, e non ha alcun significato reale per i nostri tempi. La maggior parte delle biografie di Einstein ignora la sua opinione politica, considerandola di scarsa importanza.[59] In realtà, ciò ha a che fare con il fatto scomodo che Einstein era un politico radicale, spesso visto come un tribuno della sinistra.

Tuttavia, negli ultimi anni, l'interesse per le opinioni politiche di Einstein è aumentato notevolmente in seguito alla pubblicazione nel 2002 di The Einstein File, di Fred Jerome, che ha registrato le persecuzioni dell'FBI nei confronti di Einstein per le sue opinioni politiche di sinistra. Nel 2007, David E. Rowe e Robert Schulmann, entrambi noti studiosi di Einstein, hanno pubblicato con Princeton University Press la raccolta Einstein on Politics. Il libro è stato subito riconosciuto come una risorsa inestimabile, che riunisce materiali provenienti da numerose fonti, alcune delle quali inedite. Rowe e Schulmann hanno fornito non solo un'introduzione generale, ma anche ampi commenti sui vari articoli inclusi nella loro raccolta.

La carenza più vistosa del libro di Rowe e Schulmann è l'esclusione delle numerose trattazioni di Einstein sul razzismo, oltre a quelle pubblicate sul giudaismo, sul sionismo, su Israele e la Palestina. «Solo dopo la [Seconda Guerra mondiale]», scrivono i due, Einstein iniziò «a parlare con maggiore insistenza del perdurante retaggio della schiavitù che si manifesta nel sentimento di superiorità dell'America bianca nei confronti dei neri». In questo caso si sentirono obbligati a qualificare questa affermazione, riconoscendo che già nel 1931-32 Einstein aveva scritto sul razzismo negli Stati Uniti, ma tralasciarono il fatto cruciale che l'articolo chiave a cui si fa riferimento era stato scritto per la rivista The Crisis, diretta nientemeno che da W. E. B. Du Bois.[60] Solo Robeson, e non Du Bois, compare nel resoconto di Rowe e Schulmann sull'attività politica di Einstein - e anche in questo caso, Robeson è menzionato solo in relazione alla famosa fotografia che lo ritrae insieme a Einstein e Wallace.[61]

Tuttavia, c'è un'altra e più sottile mancanza in Einstein on Politics, legata all'agenda politica del libro, che mira a trasformare Einstein da socialista a liberale. In questo caso, Rowe e Schulmann cercano di capovolgere la più famosa affermazione di Einstein sul socialismo, "Perché il socialismo?". Nonostante il titolo, sostengono Rowe e Schulmann, Einstein in realtà non era affatto a favore del socialismo, ma piuttosto di una sorta di liberalismo di sinistra. È implicita l'idea che "Perché il socialismo?" avrebbe dovuto intitolarsi "Perché il liberalismo?". In questo modo criticano aspramente Nathan, il più intimo amico e confidente di Einstein e l'esecutore fiduciario del suo patrimonio, per aver completamente frainteso Einstein descrivendolo come un socialista.[62] "Perché il socialismo?", siamo portati a credere, può sembrare un argomento a favore del socialismo, ma questo viene presto sfatato se «correttamente contestualizzato».[63]

Una parte di questa "corretta contestualizzazione", a quanto pare, deriva dall'osservazione che Einstein era spesso critico nei confronti dell'Unione Sovietica e aveva indicato in una lettera che alcune teorie bolsceviche erano «ridicole» - come se questo significasse di per sé il rifiuto totale del socialismo.[64] Inoltre, una "corretta contestualizzazione" di "Perché il socialismo?", sostengono in modo non plausibile i curatori di Einstein on Politics, include il riconoscimento che, nel criticare «l'oligarchia del capitale», l'intenzione di Einstein, secondo le loro parole, era  «non tanto di promuovere il socialismo come sistema economico, ma di sostenere un'economia pianificata come strumento significativo per raggiungere fini etico-sociali». In questo modo essi aggirano la concezione, chiaramente espressa dallo stesso Einstein, secondo cui l'economia pianificata era un necessario primo passo "socialista", anche se non sufficiente, nel complessivo processo di creazione di un socialismo completo.[65]

Poiché Einstein credeva nei diritti umani e nella democrazia, i curatori di Einstein on Politics presumono stranamente che non potesse essere un socialista. Così, ci viene detto che le sue argomentazioni in "Perché il socialismo?" contro «la disuguaglianza di reddito e lo sfruttamento delle persone economicamente vulnerabili», che egli attribuiva al sistema capitalistico, se "correttamente contestualizzate", potevano essere viste come rientranti «nel tradizionale obiettivo liberale dell'autorealizzazione dell'individuo», interessato ai diritti democratici, piuttosto che costituire, come Einstein stesso pensava, argomenti a favore del socialismo democratico.[66]

Passando alla questione degli intellettuali e della classe operaia, i difensori di una "corretta contestualizzazione" della politica di Einstein affermano che, in quanto intellettuale, egli non aveva un'esperienza diretta con le condizioni della classe operaia o con la classe operaia stessa, e quindi necessariamente «riponeva la sua fede negli appelli alla ragione da parte di un'intellighenzia liberale»- come se la fede negli appelli alla ragione da parte di un'intellighenzia socialista fosse semplicemente fuori portata per lui.[67] Sebbene Einstein non fosse direttamente collegato alla classe operaia, era circondato da socialisti, molti dei quali erano collegati alla classe operaia.

In un ulteriore tentativo di capovolgere la politica di Einstein, la schietta dichiarazione di Nathan, secondo cui Einstein era un socialista a causa del suo profondo impegno per l'egualitarismo, è soggetta a un feroce attacco da parte di Rowe e Schulmann. Essi sostengono che Nathan, nonostante la sua stretta amicizia con Einstein, abbia frainteso il vero carattere del grande uomo, che era in realtà incline a un "fervente elitarismo".[68]

Infine, viene sottilmente suggerito che una "corretta contestualizzazione" delle concezioni di Einstein in "Perché il socialismo?" lo vedrebbe come un ingenuo «filosofo morale», incapace di orientarsi nel mondo reale della politica, che lo porta a sostenere utopisticamente un futuro socialista, nascondendo al tempo stesso le sue innate tendenze liberali.[69]

In questo modo, non solo Einstein (insieme a Nathan) è sottoposto alla "corretta contestualizzazione" di Rowe e Schulmann, ma lo è anche la pubblicazione dell'articolo su Monthly Review. Rowe e Schulmann sostengono che Huberman e Sweezy (e Nathan dietro le quinte), i redattori di Monthly Review,  «cercarono di appropriarsi» di Einstein per i propri fini di sinistra pubblicando "Perché il socialismo?" «in pompa magna» nel maggio 1949. Eppure, lungi dall'essere «in pompa magna», l'unico commento su Einstein o sul suo articolo nel numero inaugurale di Monthly Review fu un'unica riga che identificava l'autore: «Albert Einstein è il fisico di fama mondiale».[70] Il suo articolo non fu messo in primo piano all'interno della rivista, poiché seguiva due importanti editoriali, né fu evidenziato in copertina. Piuttosto che appropriarsene «in pompa magna», i redattori di Monthly Review potrebbero essere ragionevolmente criticati per aver sottovalutato l'importanza del saggio di Einstein.

La sensazione che gli illustri curatori di Einstein on Politics vorrebbero senza dubbio trasmettere è che Einstein fosse tutt'altro che un partecipante volontario a tutto questo. Tale opinione, tuttavia, è smentita dai suoi stretti rapporti con Nathan; dai suoi legami indiretti con Sweezy nella pianificazione della Brandeis University; dai ruoli di primo piano che Huberman, Sweezy e Einstein giocarono tutti nella campagna di Wallace; e dal paragrafo finale del suo articolo che indica un forte sostegno alla nuova rivista.

Non contenti di queste accuse, Rowe e Schulmann continuano a dichiarare, quasi a voler gettare ombre sull'ulteriore «appropriazione» del suo saggio, che l'articolo di Einstein è stato ristampato dalla Monthly Review «ogni anno» nel corso della sua storia. Eppure, nei cinquantotto anni di pubblicazione della rivista mensile, all'epoca in cui Rose e Schulmann scrivevano, l'articolo di Einstein era stato ristampato solo otto volte, all'incirca una volta ogni sette anni.[71]


La costante lotta politica per il socialismo

La difesa del socialismo da parte di Einstein era in totale sintonia con le sue posizioni in materia di istruzione, razzismo, colonialismo e pace. La persecuzione per sospette simpatie comuniste in relazione ai suoi progetti per la Brandeis University, ai suoi impegni socialisti e alla sua lettera a Laski, è continuata fino a questo secolo.[72] Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la Brandeis University ha preferito minimizzare il conflitto politico, presentando Einstein come una figura magnanima, interessata alla costituzione dell'università e sottintendendo il proprio costante impegno per utilizzare al meglio il suo nome.[73]

Quasi sempre Einstein declinò educatamente le offerte di lauree ad honorem da parte delle università, non solo perché erano numerose, ma anche perché non si sentiva a suo agio con la natura dell'istruzione superiore negli Stati Uniti.[74] Ma quando nel maggio del 1953 gli fu offerta una laurea ad honorem da Abram L. Sachar, primo presidente della Brandeis, non inviò la sua solita risposta educata, ma spiegò con rabbia che «ciò che è accaduto nella fase di allestimento non è stato causato da un malinteso», ma è stato ingannevole e inconcepibile «e non può più essere rimediato». In una precedente risposta del luglio 1949 a una richiesta di Sachar, egli aveva fatto riferimento alla «inattendibilità e alla falsità di alcuni membri del Consiglio di Amministrazione», che lo aveva portato a interrompere tutti i legami con la Brandeis University.[75]

Eppure, mentre Einstein deplorava il modo in cui le università degli Stati Uniti, compresa la Brandeis, erano governate dal business e da interessi politici elitari, nel 1946 fu disposto ad accettare una laurea honoris causa dalla piccola Lincoln University della Pennsylvania, che, quando fu fondata nel 1854, fu la prima università storicamente afroamericana. Nel discorso pronunciato in quell'occasione, come riportato dal Baltimore Afro-American (in generale, la stampa tradizionale ignorò il discorso), Einstein disse: «Il mio viaggio presso questa istituzione è a nome di una causa utile. Negli Stati Uniti c'è una separazione tra le persone di colore e i bianchi. Questa separazione [segregazione] non è una malattia delle persone di colore. È una malattia dei bianchi. Non intendo tacere al riguardo». In un articolo, strettamente correlato, del gennaio 1946 su "The Negro Question", Einstein dichiarò: «La visione sociale degli americani... il loro senso dell'uguaglianza e della dignità umana è limitato agli uomini di pelle bianca. Più mi sento americano, più questa situazione mi addolora. Posso sottrarmi alla sua complicità solo dichiarandolo apertamente». In risposta all'ondata di linciaggi che si verificò quell'anno in tutta la nazione, si unì a Robeson come co-presidente dell'"American Crusade to End Lynching" (Crociata americana per porre fine ai linciaggi), nonostante l'FBI avesse definito l'organizzazione un fronte comunista.[76]

Nel 1951, il governo federale incriminò Du Bois, allora presidente del Peace Information Center con sede negli Stati Uniti, insieme ad altri quattro funzionari del Centro, per non essersi registrati come "agenti stranieri". Il Peace Information Center fu accusato di aver diffuso l'Appello del Consiglio Mondiale della Pace di Stoccolma del 1950, classificato dalle autorità statunitensi come agente dell'Unione Sovietica.[77] L'Appello di Stoccolma mirava a vietare le armi nucleari ed era stato firmato da diversi milioni di persone. Nel tribunale federale, Du Bois fu difeso dal focoso avvocato e deputato radicale Marcantonio.[78] Einstein aveva accettato di testimoniare a favore di Du Bois, ma Marcantonio, per ottenere il massimo effetto, trattenne questa informazione fino all'ultimo momento, mentre chiamava i testimoni della difesa. Come ha ricordato la moglie di Du Bois, Shirley Graham Du Bois, quel giorno in tribunale:

L'accusa si ritirò la mattina del 20 novembre.... Marcantonio... disse al giudice che doveva essere presentato un solo testimone della difesa, il dottor Du Bois. [Ma] Marcantonio aggiunse con disinvoltura al giudice: «Il dottor Albert Einstein si è proposto di comparire come testimone a favore del dottor Du Bois». Il giudice [Matthew F.] McGuire guardò Marcantonio a lungo e poi aggiornò la corte per il pranzo. Alla ripresa dell'udienza, il giudice McGuire... accolse la richiesta di assoluzione.[79]

Era chiaro che la pubblicità internazionale che sarebbe derivata dal far testimoniare Einstein in difesa di Du Bois era troppo per il giudice, che archiviò il caso per mancanza di prove, prima ancora che Einstein potesse salire sul banco dei testimoni.[80]

Einstein deplorava l'imperialismo statunitense. Come scrisse nel 1955 a Elisabetta di Baviera, regina madre del Belgio: «Non riesco a liberarmi dal pensiero che questa, l'ultima delle mie patrie, abbia inventato a suo uso e consumo un nuovo tipo di colonialismo, meno appariscente del colonialismo della vecchia Europa. Il dominio sugli altri Paesi si ottiene investendo il capitale americano all'estero, il che rende quei Paesi fortemente dipendenti dagli Stati Uniti. Chiunque si opponga a questa politica o alle sue implicazioni viene trattato come un nemico degli Stati Uniti». Egli era fermamente convinto che gli Stati Uniti fossero i principali responsabili della tragedia della guerra di Corea.[81]

Il noto impegno di Einstein nei confronti del Sionismo è spesso usato come un modo per negare o aggirare le sue opinioni radicali e socialiste. Un articolo del Time intitolato "Einstein's Complicated Relationship to Judaism" [La complicata relazione di Einstein con l'ebraismo], a firma di Samuel Graydon, pubblicato il 19 dicembre 2023, nel bel mezzo della continua guerra israeliana a Gaza, sosteneva che Einstein fosse un vero e proprio sionista e che «avesse superato le sue istintive obiezioni all'elemento nazionalista insito nel movimento, ovvero la creazione di uno Stato ebraico». Questo, tuttavia, è un mito creato quasi subito dopo la sua morte e progettato per nascondere la verità.[82] Piuttosto che esplorare a fondo la questione, che avrebbe sollevato domande difficili, l'articolo del Time devia rapidamente nei dettagli sull'immigrazione di Einstein negli Stati Uniti e sul suo presunto patriottismo americano, nonostante gli attacchi maccartisti contro di lui, collegando questo favoloso americanismo con il suo «impegno per la causa sionista», verso il quale, ci viene detto, «non vacillò nei suoi ultimi anni».[83] In realtà, Einstein si oppose costantemente alla creazione di uno "Stato ebraico" in Israele, sostenendo invece la necessità di uno Stato "binazionale" che comprendesse sia gli ebrei che i palestinesi, e per questo è stato definito un "sionista culturale" in contrapposizione a "sionista politico". Egli sosteneva che l'immigrazione ebraica dovesse essere limitata a ciò che era compatibile con l'integrazione pacifica di ebrei e palestinesi in una patria comune.[84]

Nell'articolo del Time mancava completamente qualsiasi riferimento alla lettera dell'8 dicembre 1948 al New York Times, firmata da Einstein, Hannah Arendt, Sidney Hook, Seymour Melman ed altri intellettuali ebrei, che metteva in guardia dall'ascesa in Israele del partito Herut ("Libertà") di Menachem Begin, il progenitore dell'odierno Likud di Benjamin Netanyahu. La lettera di Einstein e dei suoi cofirmatari descriveva il Partito della Libertà di Begin come «un partito politico molto simile per organizzazione, metodi, filosofia politica e attrattiva sociale ai partiti nazista e fascista».[85] La distruzione quasi totale di Gaza da parte delle Forze di Difesa Israeliane a seguito dell'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha portato, ad aprile 2024, a più di centomila vittime, tra cui più di trentamila morti - la maggior parte dei quali donne, bambini e altri non combattenti - e ad un numero molto superiore di persone che rischiano di morire di fame, ha riportato l'attenzione mondiale sull'avvertimento di Einstein in merito all'evoluzione dello Stato israeliano.[86]

Negli ultimi anni, la principale preoccupazione di Einstein era la minaccia dell'annientamento umano dovuta alle armi nucleari. Nel 1946 divenne presidente dell'Emergency Committee of Atomic Scientists (ECAS) [Comitato di Emergenza degli Scienziati Atomici]. Oltre a Einstein, tutti i membri del Comitato avevano lavorato allo sviluppo della bomba atomica. Molti erano stati insigniti del Premio Nobel. Tuttavia, l'FBI inserirà l'ECAS nell'elenco dei gruppi del fronte comunista, a causa dei suoi sforzi per sottrarre lo sviluppo atomico alle forze armate e porlo sotto il controllo internazionale, in un momento in cui gli Stati Uniti avevano ancora il monopolio sulle armi nucleari.[87]

Il 1° marzo 1954, gli Stati Uniti effettuarono un disastroso test di bomba all'idrogeno, denominato in codice "Castle Bravo", sull'atollo di Bikini, nelle Isole Marshall. Prevista come un'esplosione con una potenza di sei megatoni, si rivelò, a causa di un errore di calcolo degli scienziati coinvolti, la più grande esplosione nucleare mai condotta dagli Stati Uniti, pari a quindici megatoni, mille volte la potenza esplosiva della bomba sganciata su Hiroshima. Il fallout si estese per undicimila chilometri quadrati, ricadendo sulle popolazioni degli atolli abitati delle Isole Marshall e su un peschereccio giapponese a ottantadue miglia di distanza, al di fuori della zona di pericolo ufficiale. Quando il peschereccio, il Lucky Dragon, fece ritorno in Giappone, si scoprì che i pescatori erano affetti da malattie da radiazioni. La notizia raggiunse rapidamente Einstein e lo colpì profondamente. Sebbene l'amministrazione Eisenhower cercasse di nascondere la portata del disastro, gli scienziati iniziarono a porre domande e a fornire propri dati, costringendo l'amministrazione a rendere pubbliche molte delle informazioni in suo possesso. Il risultato fu un'enorme preoccupazione a livello mondiale per i pericoli del fallout nucleare derivante dai test nucleari in superficie e per la corsa agli armamenti nucleari in generale. Questo avrebbe portato alle enormi lotte di scienziati e cittadini negli anni successivi per l'approvazione del Nuclear Test Ban Treaty [Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari], firmato nel 1963, che segnò il primo grande successo del moderno movimento ambientalista, iniziato con le preoccupazioni per gli esperimenti nucleari in atmosfera.[88]

L'ultima dichiarazione firmata da Einstein nell'aprile del 1955, pochi giorni prima della sua morte, fu a sostegno di quello che è diventato noto come il "Manifesto Russell-Einstein", in cui si dichiarava che «autorevoli esperti sono unanimi nel dire che una guerra con bombe‐H potrebbe eventualmente porre fine alla razza umana. Si teme che, se molte bombe‐H fossero lanciate, potrebbe verificarsi uno sterminio universale [...] Esortiamo i governi del mondo a rendersi conto, e a dichiararlo pubblicamente, che il loro scopo non può essere ottenuto con una guerra mondiale, e li invitiamo di conseguenza a trovare i mezzi pacifici per la soluzione di tutti i loro motivi di contesa».[89] Come ha affermato Einstein in "Perché il socialismo?", il tentativo di trovare una "via d'uscita" dalla minaccia di estinzione umana porta in direzione del socialismo.

L'impegno di Einstein per il socialismo non si basava semplicemente sulla socializzazione dei mezzi di produzione e sulla creazione di un'economia pianificata. Piuttosto, egli riteneva che «il socialismo... richiede che il potere sia concentrato sotto l'effettivo controllo della cittadinanza, in modo che l'economia pianificata vada a beneficio dell'intera popolazione.... Solo la costante lotta politica e la vigilanza possono creare e mantenere tale condizione». Infatti, «stancarsi in questa lotta» per la democrazia e i diritti umani, che potevano essere raggiunti pienamente solo con il socialismo, «significherebbe la rovina della società».[90] Fino all'ultimo, Einstein si considerava, secondo le sue stesse parole, un «rivoluzionario politico... un Vesuvio che brucia il fuoco», che lotta per conto di un'umanità comune.[91]


Note

[1] Federal Bureau of Investigation, Albert Einstein, Parte 8 di 14 (originariamente numerata 6 di 9) (s.d.), p. 45, 1002, vault.fbi.gov; Fred Jerome, The Einstein File, St. Martin’s Press, New York, 2002, pp. 114–15.

[2] Federal Bureau of Investigation, Albert Einstein, Parte 8 di 14 (originariamente numerata 6 di 9) (s.d.), p. 46, 1003; Fred Jerome, The Einstein File, St. Martin’s Press, New York, 2002, pp. 114–15.

[3] FBI, Albert Einstein, Parte 1 di 14 (originariamente numerata 1 di 9) (s.d.), p. 14; Jerome, The Einstein File, p. 7.

[4] Il file dell'FBI su Einstein continuò a fare riferimento al suo articolo Perché il socialismo? fino agli anni Cinquanta, basandosi sulle informazioni fornite dall'organizzazione anticomunista American Business Consultants Incorporated e dalla sua newsletter, Counter Attack. FBI, Albert Einstein, Parte 9 di 14 (originariamente numerata 6 di 9) (s.d.), p. 82, 1149.

[5] Albert Einstein a Franklin D. Roosevelt, 02.08.1939 (lettera originariamente redatta da Leo Szilard in consultazione con Einstein e inviata a Roosevelt con la firma di Einstein), The Manhattan Project: An Interactive History, U.S. Department of Energy, osti.gov; Silvan S. Schweber, Einstein and Oppenheimer, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2008, pp. 42–46; David E. Rowe e Robert Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, David E. Rowe e Robert Schulmann.  (a cura di), Princeton University Press, Princeton, 2007, pp. 40–41. Come scrive Fred Jerome: «Einstein attribuì la colpa dei bombardamenti atomici sul Giappone alla politica estera anti-sovietica di Truman». Disse a un intervistatore del Sunday Express di Londra che se Franklin D. Roosvelt fosse vissuto durante la guerra, Hiroshima non sarebbe mai stata bombardata» (Jerome, The Einstein File, p. 56). L'opinione di Einstein sull'uso della bomba atomica sul Giappone come primo passo della guerra fredda era condivisa da molti altri scienziati dell'epoca, in particolare dal fisico nucleare britannico premio Nobel P. M. S. Blackett. Vedi P. M. S. Blackett, Fear, War, and the Bomb, McGraw Hill, New York, 1949, pp. 131–39.

[6] "Red Visitors Cause Rumpus/The Russians Get a Big Hand from U.S. Friends/Dupes and Fellow Travelers Dress Up Communist Fronts,” Life 26, n. 14, 04.04.1949, pp. 39–43; Jerome, The Einstein File, p. 107. Il fisico atomico Morrison scrisse regolarmente, in una rubrica dedicata alla scienza, su Monthly Review negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta. Il commentatore radiofonico Walsh era un ex istruttore di economia di Harvard e un amico di Sweezy che scrisse per la Monthly Review negli anni Cinquanta.

[7] John J. Simon, Albert Einstein, Radical, Monthly Review 57, n. 1, maggio 2005, 1–2; A Coffee House with History, ODEON Zurich, odeon.ch; Ronald W. Clark, Einstein: The Life and Times, Harry N. Abrams, New York, 1984, p. 22.

[8] Simon, Albert Einstein, Radical, p. 2.

[9] Einstein, citato da Rowe e Schulmann nell'introduzione a Einstein on Politics, p. 47.

[10] Einstein, citato da Lewis S. Feuer, Einstein and the Generations of Science, Basic Books, New York, 1974, p. 25; Albert Einstein, On the Fifth Anniversary of Lenin’s Death, 06.01.1929, in Einstein on Politics, p. 413. Scrivendo a Hedwig e a Max Born nel 1920, Einstein aveva affermato: «Devo confessarvi che i bolscevichi non mi sembrano cattivi, per quanto ridicole siano le loro teorie». Era rimasto particolarmente colpito da un lavoro di Karl Radek, del 1918, che considerava un'abile figura politica che sapeva «il fatto suo». Albert Einstein a Hedwig e a Max Born, 27.01.1920, in Einstein on Politics, p. 410. Radek morì poi nelle purghe staliniane.

[11] Albert Einstein, “The World as I See It” in Ideas and Opinions, Crown Publishing, New York, 1954, p. 8.

[12] Otto Nathan e Heinz Norden (a cura di), Einstein on Peace, Schoken Books, New York, 1960, p. 180; Rowe e Schulmann nel commento a Einstein on Politics, pp. 425–27; Albert Einstein a Victor Margueritte, 19.10.1932, in Einstein on Politics, pp. 427–28.

[13] Albert Einstein, “Is There Room for Individual Freedom in a Socialist State?” in Einstein on Politics, p. 437.

[14] Nathan e Norden, introduzione a Einstein on Peace, p. viii.

[15] Ronald D. Patkus, The Morris and Adele Bergreen Albert Einstein Collection at Vassar College, Vassar Encyclopedi , 2005, Archives and Special Collection Library, Vassar College, Poughkeepsie, New York; pubblicità, Vassar Miscellany News, no. 40; 24.03.1943; Otto Nathan Dead at 93, Jewish Telegraphic Agency, 03.02.1987; Otto Nathan, Résumé of Dr. Otto Nathan, ca. 1936, W. E. B. Du Bois Papers, MS 312, Serie 1A, Robert S. Cox Special Collections and University Archives, University of Massachusetts Amherst Libraries; Fred Jerome, Einstein on Israel and Zionism, St. Martin’s Press, New York, 2009, p. 262. In una lettera del 1953 di Einstein al presidente di Brandeis Abram L. Sachar, citata da Silvan S. Schweber, Einstein si riferisce al suo «amico più intimo», che nel contesto significava chiaramente Nathan. Stephen S. Schweber, Einstein and Oppenheimer, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2008, p. 132. Vedi anche Jerome, The Einstein File, p. 311.

[16] Renee Walsh, Early Documents of the Formation of Brandeis University, Robert D. Farber University Archive and Special Collections, Brandeis University Library, s.d.; Susan H. Greenberg, Intellectuals at the Gate, interview with Mark Oppenheimer, Inside Higher Education, 21.09.2022.

[17] Silvan S. Schweber, “Albert Einstein and the Founding of Brandeis University” in Revising the Foundations of Relativistic Physics, a cura di A. Ashtekar et al., Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 2003, p. 616.

[18] Schweber, Einstein and Oppenheimer, pp. 112, 117–18.

[19] Paul M. Sweezy, The Theory of Capitalist Development, Monthly Review Press, New York, 1942, 1972. Su Sweezy, vedi John Bellamy Foster, The Commitment of an Intellectual: Paul M. Sweezy (1910–2004), Monthly Review 56, n. 5, ottobre 2004, pp. 5–39.

[20] Paul M. Sweezy, intervista orale di Andrew Skotnes, 1986-1987, Columbia Center for Oral History, Columbia University Libraries, 5, pp. 143-44. Anche Harry Magdoff, che fin dall'inizio fu strettamente legato alla Monthly Review, conosceva bene Nathan, che gli faceva spesso visita (Fred Magdoff, comunicazione personale).

[21] Paul M. Sweezy, A Plan for Brandeis University, gennaio 1947, pp. 2–10, 18, 44, 87, Albert Einstein Archives (40-461), Hebrew University of Jerusalem, albert-einstein.huji.ac.il; Otto Nathan, An Outline of Policy for Brandeis University, 09.11.1946, Albert Einstein Archives (40-427), Hebrew University of Jerusalem; Schweber, Einstein and Oppenheimer, p. 345; Schweber, Albert Einstein and the Founding of Brandeis University, in Ashtekar et al. (a cura di), Revising the Foundations of Relativistic Physics, p. 623; Thorstein Veblen, The Higher Learning in America, Augustus M. Kelley, New York, 1965. La traccia in cinque pagine di Nathan era strettamente colllegata al progetto in ottantasette pagine di Sweezy.

[22] Schweber, Einstein and Oppenheimer, p. 119, 122; Leo Huberman e Paul M. Sweezy, “Harold J. Laski,” Monthly Review 2, n. 1, maggio 1950, pp. 5–6.

[23] Harold J. Laski, “Why I Am a Marxist,” Monthly Review 2, n. 3, luglio 1950, p. 81.

[24] Schweber, Einstein and Oppenheimer, 122–24.Nella sua lettera, Laski si riferiva a Nathan, che aveva conosciuto di recente, come a un «buon amico».

[25] Albert Einstein ad Harold J. Laski, 16.04.1947, Harold Joseph Laski Papers, Inventory N. 26.4, International Institute of Social History, Amsterdam. Riferendosi, nella sua lettera a Laski, al fatto che «non conosce discriminazioni per o contro nessuno a causa di sesso, colore, credo, origine nazionale o opinione politica», Einstein utilizzava quasi esattamente lo stesso linguaggio utilizzato da Nathan nel suo An Outline of Policy for Brandeis University, mentre anche il progetto di Sweezy era quasi identico nella sua formulazione. Vedi Nathan, An Outline of Policy for Brandeis University, p. 1; Sweezy, A Plan for Brandeis University, p. 3.

[26] Schweber, Einstein and Oppenheimer, p. 124.

[27] Schweber, Einstein and Oppenheimer, p. 123, 347.

[28] Left Bias Charged in University Row,” New York Times, 23.06.1947; Schweber, Einstein and Oppenheimer, pp. 125–32.

[29] Group Accuses 76 Faculty Members of Red Leanings, Harvard Crimson, 10.03.1949; Ben W. Heineman Jr., The University in the McCarthy Era, Harvard Crimson, 17.06.1965.

[30] Citazione di Einstein, in Schweber, Einstein and Oppenheimer, p. 129.

[31] Schweber, Einstein and Oppenheimer, pp. 128–30. Alpert e Sachar, il primo presidente di Brandeis, furono coinvolti in uno scontro di potere su chi dovesse controllare l'università e poco dopo la nomina di Sachar, Alpert fu allontanato dal consiglio di amministrazione. Schweber, Einstein and Oppenheimer, pp. 130–31.

[32] Foto di Henry Wallace, Albert Einstein, Frank Kingdon e Paul Robeson, Wikimedia Commons, commons.wikimedia.org.

[33] Karl M. Schmidt, Henry A Wallace: Quixotic Crusade, 1948, Syracuse University Press, Syracuse, New York, 1960, pp. 190–91. Harry Magdoff, che alla morte di Huberman sarebbe diventato codirettore di MR, scrisse, per la piattaforma del Partito Progressista, la sezione dedicata alle piccole imprese. Sweezy, in virtù del suo ruolo nella campagna elettorale di Wallace e anche a causa di una conferenza che aveva tenuto all'Università del New Hampshire, fu citato in giudizio dal procuratore generale del New Hampshire nel 1954 e fu accusato di oltraggio alla corte quando si rifiutò di fare i nomi dei membri del Partito Progressista, il Partito Comunista, o di consegnare i suoi appunti della conferenza. Egli basò la sua difesa (come Leo Huberman quando fu chiamato davanti alla commissione McCarthy) sul Primo Emendamento, seguendo una strategia avanzata da Einstein nel 1953. Il caso di Sweezy, Sweezy contro New Hampshire, fu infine deliberato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in una storica sentenza del 1957. John J. Simon, Sweezy v. New Hampshire, Monthly Review 51, n. 11, april 2000, pp. 35–37.

[34] Peter Kuznick, Undoing the New Deal: Truman’s Cold War Buries Wallace and the Left, The Real News Network, 07.12.2017.

[35] Albert Einstein a John Dudzic, 08.03.1948, in Einstein on Politics, p. 454. Einstein si lamentava dell'annacquamento del concetto di liberalismo, che storicamente aveva avuto un significato ben preciso nel discorso politico europeo, ma che era diventato tutto e niente con l'uso che Roosevelt ne fece come etichetta per il New Deal. Le perplessità di Einstein furono poi confermate dalle dichiarazioni di Wallace sul "capitalismo progressista" e sul "liberalismo" in due articoli pubblicati su Monthly Review nel 1950: Henry A. Wallace, “What Is Progressive Capitalism?,” Monthly Review 1, n. 12, aprile 1950, p. 390–94; Henry A. Wallace, “Needed: Cooperation Between the U.S. and the USSR in a Strong UN,” Monthly Review 2, n. 1, maggio 1950, pp. 7–10. Vedi anche I. F. Stone, “Problems of the Progressive Party,” Monthly Review 1, n. 12, aprile 1950, pp. 379–89.

[36] Sweezy, intervista orale di Skotnes, 5, pp. 143–44; “Interview with Paul M. Sweezy,” Monthly Review 51, n. 1, maggio 1999, p. 32; John J. Simon, “Paul Sweezy,” Guardian, 04.03.2004.

[37] Christopher Phelps, Introduction: A Socialist Magazine in the American Century, Monthly Review 51, n. 1, maggio 1999, pp. 2–3.

[38] Sweezy, intervista orale di Skotnes, 5, pp. 143–44; Simon, Albert Einstein, Radical, 8. Otto Nathan e Paul A. Baran, una figura centrale nella storia di MR, ebbero una disputa personale che influenzò anche i rapporti di Nathan con Huberman, con grande disappunto di quest'ultimo, e che portò ad un allontanamento di Nathan dalla rivista. Sweezy, Sweezy, intervista orale di Skotnes, 5, p. 144; Robert W. McChesney, The Monthly Review Story: 1949–1984, MR Online, 06.05.2007.

[39] Un esempio di ciò è: Scott Nearing, Why I Believe in Socialism, Monthly Review 1, n. 2, giugno 1949, pp. 44–50.

[40] Come ha notato John J. Simon, grazie a queste relazioni, Einstein è stato visto come «parte di una MR [Monthly Review] family», (Simon, Sweezy v. New Hampshire, p. 36).

[41] Wright Mills, introduzione a Thorstein Veblen, The Theory of the Leisure Class, Mentor, New York, 1953, p. vi.

[42] Albert Einstein, Remarks on Bertrand Russell’s Theory of Knowledge, in The Philosophy of Bertrand Russell, Paul A. Schilpp (a cura di), Library of Living Philosophers, Evanston, Illinois, 1944, p. 279. L'interesse di Einstein per Thorstein Veblen fu probabilmente suscitato dalla sua conoscenza del matematico Ostwald Veblen, suo collega all'Università di Princeton e nipote di Veblen. William T. Ganley, A Note on the Intellectual Connection Between Albert Einstein and Thorstein Veblen, Journal of Economic Issues 31, n. 1, marzo 1997, pp. 245–51.

[43] Albert Einstein, The Jewish Community, in Ideas and Opinions, p. 174. In un'altra affermazione ha fatto riferimento a Mosè, Spinoza e Marx. Vedi Einstein, Ideas and Opinions, p. 195.

[44] L'affermazione di Einstein secondo cui non esistevano società al di fuori della "fase predatoria" era un'ammissione del fatto che all'epoca, il socialismo completo non esisteva da nessuna parte. Albert Einstein, Why Socialism?, Monthly Review 1, n. 1, maggio 1949, pp. 9–10; trad. italiana Perché il socialismo?, in Albert Einstein, Pensieri degli anni difficili, Bollati Boringhieri editore, Torino, 1965, Edizione speciale per Periodici San Paolo, Milano, 2011, pp. 287-288.

[45] Einstein, Perché il socialismo?, pp. 288-289.

[46] Einstein, Perché il socialismo?, p. 289.

[47] Einstein, Perché il socialismo?, pp. 289-290. Oltre a Perché il socialismo?, in On Freedom del 1940, Einstein menzionò anche il punto di vista di «chi approva, come obiettivo, l'estirpazione della razza umana dalla terra». Si tratta di qualcosa, aggiungeva, «che non si può confutare... su basi razionali», poiché elimina le basi per una discussione razionale. Albert Einstein, On Freedom, in Ideas and Opinions, pp. 31–32.

[48] Einstein non ci dice cosa intende per pulsioni sociali, ma ci sono ampie ragioni per supporre che fosse incuriosito dall'argomentazione di Veblen inThe Instinct of Workmanship. Veblen sottolineava che quelli che venivano spesso chiamati "istinti" erano in realtà pulsioni "tropiche", derivanti da costituzioni puramente biologiche, che costituivano una parte della psicologia umana, ma che, dal punto di vista della psicologia sociale, erano in definitiva meno importanti delle pulsioni sociali, o "istinti" sociali. Veblen enfatizzò tre pulsioni sociali primarie, che costituivano gli elementi positivi dell'evoluzione culturale umana, e che chiamò "l'istinto del lavoro" (che sta per pulsioni produttive), "l'inclinazione parentale" (pulsioni riproduttive) e "la curiosità oziosa" (pulsioni legate alla ricerca della conoscenza e della scienza). A suo avviso, queste pulsioni sociali erano spesso "contaminate", in contrasto l'una con l'altra, dando luogo a forme contraddittorie e in ultima analisi insopportabili, come le fasi "predatorie" e "pecuniarie" della cultura, che contrapponevano gli individui alla società accentuando lo "sfruttamento", l'"emulazione" e l'egoismo. Thorstein Veblen, The Instinct of Workmanship, Augustus M. Kelley, New York, 1914, pp. 1–8, 42–44, 157, 175, 205; Thorstein Veblen, The Place of Science in Modern Civilization, Russell and Russell, New York, 1961, p. 395; C. E. Ayres, “Veblen’s Theory of Instincts Reconsidered,” in Thorstein Veblen: A Critical Reappraisal, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1958, pp. 28–29; Einstein, Perché il socialismo?, pp. 290.

[49] Einstein, Perché il socialismo?, p. 292.

[50] Einstein, Perché il socialismo?, p. 294.

[51] Per Marx la distinzione tra lavoro e forza lavoro, a cui Einstein fa riferimento, è uno degli elementi chiave della sua critica politico-economica. Vedi Karl Marx e Friedrich Engels, Lettere, in Marx Engels, Opere vol. 42, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni, 2020, pp. 352-353; Einstein, Perché il socialismo?, pp. 294.

[52] Einstein, Perché il socialismo?, p. 295. Vedi anche Albert Einstein, Thoughts on the World Economic Crisis, ca. 1930, in Einstein on Politics, p. 415.

[53] Vedi anche Einstein, Is There Room for Individual Freedom in a Socialist State? in Einstein on Politics, p. 437.

[54] L'esercito industriale di riserva, il ruolo delle rivoluzioni tecnologiche nel riprodurlo costantemente e la relativa concentrazione e centralizzazione del capitale - proposizioni su cui Einstein fa leva - sono tutti argomenti trattati da Marx nel capitolo 25 del primo volume del Capitale. Vedi Karl Marx, Il capitale, Libro primo, in Marx Engels, Opere vol. 30, Edizioni Lotta Comunista, Sesto San Giovanni, 2022, pp. 629-728.

[55] Einstein, Perché il socialismo?, pp. 296-297.

[56] Einstein, Perché il socialismo?, p. 297.

[57] Einstein, Perché il socialismo?, pp. 297-298.

[58] Tutti e tre i fondatori della Monthly Review, Sweezy, Huberman e Nathan, furono coinvolti nell'inquisizione maccartista degli anni Cinquanta. Oltre alla battaglia di Sweezy, che lo portò fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, Huberman fu chiamato davanti alla commissione del Senato dallo stesso McCarthy. A Nathan fu revocato il passaporto americano per due anni e mezzo. Fu anche citato in giudizio dalla Commissione per le attività antiamericane della Camera. Insieme ad altri, come Paul Robeson e Arthur Miller, fu accusato di oltraggio alla Corte per non aver collaborato. Tutti e tre (Huberman, Sweezy e Nathan) si sono basati sul Primo Emendamento, come aveva raccomandato Einstein, e si sono rifiutati di fare i nomi. Leo Huberman, A Challenge to the Book Burners, 14.09.1953, Monthly Review 5, n. 4, agosto 1953, pp. 158–73; Geoffrey Ryan, “Un-American Activities,” Index on Censorship 2, n. 3, settembre 1973, pp. 90–91; Jerome, The Einstein File, p. 249.

[59] Vedi la nota biografia di Ronald Clark, in cui la politica di Einstein, sionismo a parte, è poco visibile. Clark, Einstein: The Life and Times.

[60] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, p. 55; Fred Jerome e Rodger Taylor, Einstein on Race and Racism, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey, 2005, pp. 8–10, 135–36; Maria Popova, Albert Einstein’s Little-Known Correspondence with W. E. B. Du Bois About Equality and Radical Justice, The Marginalian, 06.01.2015.

[61] Rowe e Schulmann, commento editoriale a Einstein on Politics, p. 479.

[62] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, pp. 47–48, 50.

[63] Rowe e Schulmann, commento editoriale a Einstein on Politics, p. 408.

[64] Einstein, Is There Room for Individual Freedom in a Socialist State?, in Einstein on Politics, p. 437. Einstein ha sempre sostenuto che il socialismo completo, nel senso da lui inteso, non si trova in nessuno Stato esistente. Einstein a John Dudzic, 08.03.1948, in Einstein on Politics, p. 454.

[65] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, p. 48; Einstein, Is There Room for Individual Freedom in a Socialist State?, in Einstein on Politics.

[66] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, pp. 48–49.

[67] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, Le affermazioni secondo cui Einstein non avrebbe avuto contatti con la classe operaia sono facilmente smentite. Si veda la sua conferenza del 1930 alla Scuola operaia marxista di Berlino. Albert Einstein, Causality’: Lecture at the Marxist Workers School 1930 (Note personali di Karl Korsch), tradotte da Sascha Freyberg e Joost Kircz, Marxism and the Sciences 3, n. 1, inverno 2024, pp. 207–32.

[68] Rowe e Schulmann,introduzione a Einstein on Politics, p. 50, 407.

[69] Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, p. 51.

[70] Riconoscimento editoriale dell'autore, Einstein, Why Socialism?, p. 9; Rowe e Schulmann, introduzione a Einstein on Politics, p. 47.

[71] Rowe e Schulmann, commento editoriale a Einstein on Politics, p. 438.

[72] Un esempio di ciò si trova in Arthur H. Reis Jr., The Albert Einstein Involvement, Brandeis Review: Fiftieth Anniversary Edition, 1998, pp. 60–61.

[73] Vedi Walsh, Early Documents of the Formation of Brandeis University.

[74] Gran parte della visione generale di Einstein sugli Stati Uniti era senza dubbio simile a quella di Veblen nel suo The Higher Learning in America del 1918, con la sua forte critica ai “consigli di amministrazione” delle università. Veblen, The Higher Learning in America, pp. 59-84. Sweezy aveva senza dubbio incluso un riferimento all'opera di Veblen nel suo progetto Brandeis a sostegno delle proprie critiche a tali consigli di amministrazione. Vedi Sweezy, A Plan for Brandeis University, p. 18

[75] Reis, The Albert Einstein Involvement, p. 61. Einstein si era opposto fin dall'inizio alla nomina di Sachar a presidente di Brandeis, spinta all'epoca da Israel Goldstein, allora presidente sia della Albert Einstein Foundation che del Consiglio di Amministrazione. Nel corso della disputa, Goldstein si dimise da entrambe le cariche e fu sostituito da Lazrus come presidente della Fondazione e da Alpert come Presidente del Consiglio di Amministrazione.

[76] Jerome e Taylor, Einstein on Race and Racism, pp. 88–94, 139–42; Simon, Albert Einstein, Radical, pp. 6–7; Fred Jerome, The Einstein File, pp. 79–85.

[77] Jerome e Taylor, Einstein on Race and Racism, pp. 119–20.

[78] Su Marcantonio, vedi John J. Simon, Rebel in the House: The Life and Times of Vito Marcantonio, Monthly Review 57, n. 11, aprile 2006, pp. 24–46; Richard Sasuly, Vito Marcantonio: The People’s Politician, in American Radicals, Harvey Goldberg (a cura di). Monthly Review Press, New York, 1957, pp. 145–59.

[79] Shirley Graham Du Bois, citato da Jerome e Taylor, Einstein on Race and Racism, p. 121.

[80] Jerome e Taylor, Einstein on Race and Racism, pp. 119–21; Simon, Albert Einstein, Radical, pp. 10–11. Sulle opinioni di W. E. B. Du Bois sul capitalismo statunitense degli anni '50, vedi W. E. B. Du Bois, Negroes and the Crisis of Capitalism in the U.S., Monthly Review 4, n. 12, aprile 1953, pp. 478–85.

[81] Albert Einstein alla Regina Madre del Belgio, 02.01.1955, in Einstein on Peace, pp. 615–16; Albert Einstein a Eugene Rabinowitch, 05.01.1951, in Einstein on Peace, p. 553. Non c'è dubbio che Einstein conoscesse le principali analisi critiche sulla guerra di Corea. Monthly Review pubblicò valutazioni sulla guerra fin dall'inizio. The Hidden History of the Korean War, di I. F. Stone, fu pubblicato da Monthly Review Press nel 1952. L'anno successivo Einstein si abbonò alla pubblicazione F. Stone Weekly. Simon, Albert Einstein, Radical, p. 9.

[82] Fred Jerome, Einstein on Israel and Zionism, St. Martin’s Press, New York, 2009, pp. 225–32.

[83] Samuel Graydon, Einstein’s Complicated Relationship to Judaism, Time, 19.12.2023.

[84] Albert Einstein, Our Debt to Zionism, in Einstein on Politics, p. 301; Albert Einstein, “Testimony at a Hearing of the Anglo-American Committee of Inquiry, 11.01.1946,” in Einstein on Politics, pp. 344–45; Jerome, Einstein on Israel and Zionism, pp. 4, 29–30.

[85] Yorgos Mitralis, When Einstein Called ‘Fascists’ Those Who Rule Israel for the Last 44 Years, Committee for the Abolition of Illegitimate Debt, 31.10.2023; Isidore Abramowitz, Hannah Arendt, Abraham Brick, Jessurun Cardozo, Albert Einstein et al., Lettera al New York Times, December 04.12.1948, marxists.org.

[86] Israel-Gaza War in Maps and Charts: Live Tracker, Al Jazeera, accesso 05.04.2024.

[87] Jerome, The Einstein File, pp. 62–68; Dear Professor Einstein: The Emergency Committee of Atomic Scientists in Post-War America, Oregon State University archives, scarc.library.oregonstate.edu.

[88] John Bellamy Foster, The Return of Nature, Monthly Review Press, New York, 2020, pp. 502–3; Einstein on Peace, p. 590, 593, 605.

[89] Bertrand Russell, Albert Einstein, et al., Russell-Einstein Manifesto, in Einstein on Peace, pp. 632–35.

[90] Einstein, Is There Room for Individual Freedom in a Socialist State? in Einstein on Politics, p. 438; Einstein, Human Rights, 20.02.1954, in Einstein on Politics, p. 497.

[91] Steven Schultz, Newly Discovered Diary Chronicles Einstein’s Last Years, Princeton Weekly Bulletin 93, n. 25, 26.04.2004; Simon, Albert Einstein, Radical, p. 12.


John Bellamy Foster

Traduzione e revisione di Giovanni Fava, Walter Dal Cin e Luciano Dal Mas

Fonte: Monthly Review vol. 76, n. 01 (01.05.2024)


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