Fonte: Monthly Review - 01.11.2018

Ricordiamo Paul Burkett (1956 - 2024), pubblicando questo articolo scritto con John Bellamy Foster, apparso su «Monthly Review» il 1 novembre 2018, tradotto e pubblicato in Frattura metabolica e Antropocene. La distruzione capitalistica della natura (Smasher, 2023)*, la prima antologia di testi ecosocialisti comparsa nel nostro paese.

Ringraziamo l’Editrice Smasher per l’autorizzazione a pubblicare la traduzione.



I rapidi progressi dell'ecologia marxista negli ultimi due decenni hanno dato origine ad ampi dibattiti all'interno della sinistra, riflettendo, in un'epoca di crisi ecologica e sociale planetaria, concezioni teoriche e proposte pratiche tra loro concorrenti. Un ambito fondamentale in cui sono sorte controversie è quello relativo al tentativo da parte di un numero crescente di ambientalisti radicali di decostruire la teoria del valore-lavoro al fine di ricondurre tutto all'interno di un'unica logica mercantile, replicando in molteplici modi i tentativi degli ambientalisti liberali di promuovere la nozione di «capitale naturale» e di imputare prezzi di mercato ai «servizi ecosistemici».[1] Per i Verdi bisogna incolpare Karl Marx e una lunga tradizione di teorici marxisti per non aver incorporato direttamente nella teoria del valore il dispendio di lavoro fisico/energia da parte della natura extraumana.

In effetti, per un certo numero di ambientalisti di sinistra contemporanei, come Giorgos Kallis, Dinesh Wadiwel e Zehra Taşdemir Yaşın, non solo gli esseri umani, ma anche la natura, gli animali, l'energia producono valore economico sotto il capitalismo.[2] Per altri che adottano un approccio più tortuoso, come il teorico dell’ecologia-mondo Jason W. Moore, il ruolo distintivo del lavoro nella creazione di valore è formalmente riconosciuto, ma la «legge del valore in una società capitalistica» è definita come «legge della natura a buon mercato». Il contributo del lavoro alla produzione di valore è visto come epifenomenico, in gran parte determinato dalla più ampia appropriazione del «lavoro» o energia, nel senso della fisica, effettuato dalla rete della vita nel suo insieme.[3]

In questa «nuova legge del valore», come viene spiegato nel libro di Moore del 2015, Capitalism in the Web of Life, la base ultima della valorizzazione è l'appropriazione capitalistica del lavoro «non pagato» di attori sia organici che inorganici, concentrandosi in particolare sui «Four Cheaps» (“nature a buon mercato”: forza- lavoro, energia, cibo e materie prime), o – ciò a cui si riferirà due anni dopo, in A History of the World in Seven Cheap Things, scritto con Raj Patel – sui «Seven Cheaps» (aggiungendo natura, lavoro, denaro, vita e assistenza sociale, togliendo forza-lavoro e materie prime). Le quattro o sette nature a buon mercato, prese insieme, sostituiscono così la forza-lavoro come fondamento reale del valore. In questo approccio più "espansivo" al valore, la teoria del valore-lavoro è relegata a un'esistenza simile a un fantasma, una sostanza eterea, mentre la reale base della valorizzazione ora è l'intera rete della vita, che punta a una teoria del valore di ogni cosa. La vera questione non è, chiede Moore, «Il valore di ogni cosa?».[4]

A dire il vero, le critiche ambientaliste liberali alla teoria marxiana del valore risalgono agli inizi della teoria contemporanea dei Verdi. Tali critiche si basano sulla fusione sistematica di due distinti significati di valore: valore intrinseco (o il valore che attribuiamo alle cose in sé e alle nostre relazioni)* e valore di scambio della merce. Scrivendo nel 1973 in Small Is Beautiful, E.F. Schumacher sosteneva che nella società moderna esiste una tendenza a «trattare come senza valore tutto ciò che non abbiamo prodotto noi stessi. Persino il grande dottor Marx cadde in questo errore devastante quando formulò la cosiddetta "teoria del valore-lavoro"».[5]

Accuse di questo tipo commettono l'errore di confondere la critica di Marx circa il valore capitalistico della merce con la questione del valore intrinseco o con nozioni culturali e trans-storiche più ampie del valore. Cruciale qui è il riconoscimento che Marx era il più grande critico della forma capitalistica del valore. Come Moishe Postone ha giustamente osservato in Time, Labour, and Social Domination, Marx si preoccupava principalmente «dell'abolizione del valore come una forma sociale di ricchezza».[6] Il capitale di Marx ha quindi cercato di spiegare i rapporti di valore sotto il capitalismo come parte di un processo storico volto a trascenderli. Ha distinto tra ricchezza reale costituita da valori d'uso, che rappresentano quella che ha chiamato la «forma naturale» all'interno della produzione, e valore/valore di scambio, cioè la «forma di valore» tipica della produzione specificamente capitalistica.[7] Il socialismo ha come obiettivo specifico il superamento della ristretta forma di valore in modo da consentire il libero sviluppo dei bisogni, mentre regola razionalmente il metabolismo tra l'umanità e la natura.

Alla base delle errate critiche verdi a proposito della teoria marxiana del valore sta quindi l'incapacità di percepire l'analisi di Marx come una critica – molto diversa sotto questo aspetto dall'economia politica liberale i cui concetti sono elaborati per convalidare l'ordine esistente e sono quindi presentati come ideali trans-storici. Marx non ha cercato di difendere o convalidare i rapporti di valore capitalistici, tanto meno di universalizzarli estendendoli ad altri regni della realtà. Piuttosto, nella sua prospettiva, l'obiettivo rivoluzionario era abolire del tutto il sistema di valore delle merci e sostituirlo con un nuovo sistema di sviluppo sostenibile controllato dai produttori diretti.

Per Marx, l’angusta dinamica dell’accumulazione capitalistica basata sul profitto, attraverso la «rapina» della terra stessa, a scapito delle «necessità eterne della natura», ha generato una frattura metabolica nel rapporto tra la società umana e il più ampio mondo naturale di cui essa è una parte emergente.[8] Con le relative contraddizioni di classe del capitalismo, queste condizioni indicavano la necessità di espropriare gli espropriatori. Quindi, il grande vantaggio della critica ecologica marxiana rispetto alle critiche al capitalismo della convenzionale teoria verde è precisamente questa, che si concentra sulle basi storico-materialiste della distruzione ecologica contemporanea indicando i mezzi del loro superamento. Piuttosto che opporsi al capitalismo con una serie di valori o ideali trans-storici, egli si concentra su una critica dell’esistente modo di produzione, accumulazione e valorizzazione delle merci – una critica che si estende al modo inesorabile con cui il capitalismo sta minando le condizioni ambientali di esistenza e lo stesso Sistema Terra. Nella teoria di Marx, il valore (merce) non è tutto e si distingue dalla ricchezza reale (valori d'uso).[9]

Ma se queste tradizionali critiche verdi alla teoria marxiana trovano facile risposta, i recenti sviluppi all'interno del pensiero postumanista, che oggi stanno trasformando il carattere della teoria verde, sono andati molto oltre nel tentativo di demolire il materialismo storico classico. Ciò è avvenuto attraverso la promozione di due argomenti strettamente connessi: (1) decostruzione del lavoro sociale come base del valore, per sostituirlo con quella che è vista come una teoria del valore fisiologica o energetica più «inclusiva»; e (2) sussunzione dell'intera rete della vita, in tutti i suoi aspetti, sotto la legge del valore dell'economia di mercato mondiale. L'oggetto di tali analisi è la «destabilizzazione del valore come categoria “economica"», da cui dipende in ultima analisi la classica critica marxiana del capitalismo, incentrata sulla duplice alienazione di lavoro e natura.[10] Al contrario, una critica ecologica coerente del capitalismo richiede una comprensione della contraddizione dialettica tra la forma naturale e la forma di valore insita nell'economia di mercato.


Critiche ecologiche postumaniste e concetto del lavoro sociale in Marx

Sebbene l’analisi economica marxiana sia stata spesso criticata da teorici verdi per non aver sviluppato una teoria del valore fisiologica o energetica e per aver fatto risalire il valore esclusivamente al lavoro umano, non esiste una teoria economica – sia essa classica, neoclassica, sraffiana o la contemporanea economia ecologica – che veda la natura come direttamente produttrice di valore economico (o valore aggiunto) nell'economia capitalistica. Con piccole eccezioni, tutta l'economia dal periodo classico fino ad oggi ha percepito ciò che la natura stessa fornisce, indipendentemente dal lavoro e dai servizi umani, come un «dono gratuito» all'economia – un'idea che risale ai teorici classici, Adam Smith, Thomas Malthus, David Ricardo e Karl Marx, ed è sviluppata nell'economia neoclassica e marxista contemporanea. La natura, ovviamente, fornisce la base materiale della produzione e influisce sulla produttività, e le rendite vengono applicate a tutto, dal suolo ai combustibili fossili, e in questo modo entrano nella determinazione dei prezzi; tuttavia il valore della merce nel senso più generale è visto in tutte le scuole economiche come un prodotto specificamente umano, che riflette il funzionamento effettivo dell'economia capitalistica.

Per molti teorici ambientalisti, che confondono il valore intrinseco con il valore economico, escludere il lavoro animale o l'energia da una concezione del valore è semplicemente antropocentrico. Da una prospettiva marxista classica, tuttavia, la critica della produzione capitalistica di merci coglie non solo la logica interna del processo di accumulazione, ma anche i limiti e le contraddizioni del sistema, segnati dalle distinzioni tra la «forma naturale» (valore d'uso, lavoro concreto e ricchezza reale) e la «forma di valore» (valore di scambio, lavoro astratto e valore).[11] Sia le contraddizioni economiche che quelle ecologiche del capitalismo hanno la loro fonte nelle contraddizioni tra il processo di valorizzazione e le esistenti condizioni materiali inerenti alla produzione capitalistica di merci. Negare il carattere storicamente specifico del lavoro astratto come forma di lavoro sociale sotto il capitalismo significa negare il carattere estremo del processo di valorizzazione sotto il capitalismo e la piena portata dell'espropriazione della natura che esso comporta.

Tuttavia, assistiamo oggi a numerosi tentativi di concettualizzare il valore della merce come il prodotto non solo del lavoro umano, ma del lavoro animale in generale e, oltre a questo, dell'energia in generale. Wadiwel, criticando Marx, sostiene che il «lavoro animale» dovrebbe essere visto come analogo al lavoro umano per il ruolo che ricopre nell’economia e che vi è una «mancanza di analisi del ruolo specifico degli animali, non semplicemente come merci ma come produttori di valore (cioè lavoratori)». C'è quindi bisogno di una «teoria del valore-lavoro animale» per completare o addirittura sostituire la teoria del valore-lavoro. In quest'ottica, «il corpo e il suo metabolismo» sono «fonti di surplus» che possono essere esaminate analizzando il tempo di lavoro animale degli animali da fabbrica. Quindi, esiste una base fisiologica ed energetica comune per valutare la produzione che caratterizza sia gli esseri umani che gli animali.[12]

Kallis scrive in Do Bees Produce Value? che: «Il lavoro svolto dalla natura dovrebbe essere integrato nel nucleo della teoria [marxiana] della produzione di valore sotto il capitalismo, non relegato ai margini, con concetti come produttività o rendita». Come Moore, Kallis insiste sul fatto che il valore dovrebbe essere esteso al lavoro, nel senso dato dalla fisica, dove misura l'energia trasferita quando una forza viene applicata a un oggetto. «Non è ovvio», si chiede, «che il “tempo di lavoro socialmente necessario” per ottenere un barattolo di miele non sia determinato solo dal lavoro degli apicoltori, ma anche dal lavoro delle api?». In quest'ottica, «il valore non è prodotto solo dagli esseri umani ma anche dagli ecosistemi e dai combustibili fossili». Ne consegue che, «se le api e i combustibili fossili fanno una quantità straordinaria di lavoro, senza il quale ... il valore totale prodotto [sarebbe] parecchie volte inferiore», allora dovrebbe essere sviluppata una teoria del valore «che renda conto direttamente del lavoro che fanno». Un'estensione della teoria del valore-lavoro, suggerisce, potrebbe includere come «valore» qualsiasi cosa «sia prodotta da chiunque lavori (umano o non umano, pagato o non retribuito)».[13]

Yaşın, attingendo a Moore e a varie riflessioni presenti in Underdeveloping the Amazon di Stephen Bunker del 1985, critica la teoria della frattura metabolica di Marx come dualista per avere esternalizzato l'ecologia e non averla incorporata direttamente nella teoria del valore. Propone quindi una «teoria del valore-natura», che farebbe esattamente questo. E lo giustifica con una sorprendente lettura errata di Marx. Citando l'affermazione di Marx che «è una tautologia affermare che il lavoro sia l'unica fonte di valore di scambio, e quindi di ricchezza nella misura in cui esso consiste in valore di scambio», Yaşın conclude stranamente che Marx nega che «il lavoro sia l’unica fonte di valore, come spesso si presume».[14] Tuttavia, Marx sta semplicemente indicando una tautologia logica, niente di più. Non c'è dubbio che per Marx il lavoro astratto sia l'unica fonte di valore in un'economia capitalistica, cosa che ribadisce più e più volte. Al contrario, la ricchezza reale, distinta dal valore, è il prodotto sia della natura che del lavoro.[15]

Tuttavia, Yaşın offre come soluzione una teoria del valore-natura che «interiorizza la natura» nell’ecologia-mondo capitalistica, in linea con Moore.[16] Egli si basa sulle critiche di Bunker alla teoria del valore-lavoro e sull’idea che le risorse estratte creano valore indipendentemente dal lavoro (e dalla rendita).[17] Per Yaşın, ciò fornisce «una visione della natura come formatrice anch’essa di valore».[18] In questa concezione, la natura non è esterna al capitalismo in alcun senso. In questo modo, la cosiddetta separazione epistemologica tra capitalismo e natura incarnata nella teoria di Marx della frattura metabolica si dissolve.[19] Secondo Yaşın, «la teoria del valore-natura» è una prospettiva che incorpora «energia ecologica» nella concezione della creazione del valore economico. Come funziona effettivamente in termini economici non è spiegato.[20]

Nessuna di queste idee è nuova o espressa con chiarezza. Sebbene siano viste come critiche del XXI secolo a Marx, queste stesse prospettive furono di fatto da lui contestate ai suoi tempi, poiché sono, usando le parole di Jean-Paul Sartre, poco più che un «ammodernamento di ... idee [pre-marxiste] ... un cosiddetto "andare oltre" il marxismo» che è «solo un ritorno al pre-marxismo».[21] Un esempio sono le risposte di Marx (e Friedrich Engels) ai fisiocratici e a pensatori del loro tempo, come Karl Rössler e Sergei Podolinskij. I fisiocratici francesi, scrivendo nel quadro di una società prevalentemente agricola, vedevano la terra come l'unica fonte di ricchezza.[22] Tuttavia, sebbene dessero correttamente enfasi alla base materiale della produzione, non riuscivano a riconoscere le basi sociali della valorizzazione capitalistica nel lavoro, la cui analisi doveva caratterizzare l'economia politica britannica. Detto con Marx, la dottrina fisiocratica era fondata su una «confusione, o meglio l’equiparazione di valore e materia», cioè di valore d'uso (forma naturale) e valore di scambio (forma di valore).[23] Il modo di pensare fisiocratico rappresenta però un richiamo costante all'importanza della forma naturale della merce e alla contraddizione tra ricchezza reale (nei termini della portata materiale e naturale del valore d’uso) e valore.

Uno dei primi e più valenti seguaci russi di Marx fu l'economista Nikolai Sieber.[24] Agli inizi del 1870, Sieber iniziò a pubblicare una serie di articoli sulla rivista «Znanie».[25] Nel primo di questi, rispondeva a una recensione tedesca del Capitale di Marx di Rössler, che aveva retoricamente chiesto perché «il cibo nello stomaco di un operaio dovrebbe essere la fonte del plusvalore, mentre il cibo mangiato da un cavallo o da un bue non dovrebbe».[26] Sieber rispose che Il capitale di Marx si occupava della società umana e non degli animali domestici e quindi era diretto solo al plusvalore creato dagli esseri umani. Come Marx ha indicato nelle sue note:

La risposta, che Sieber non trova, è perché in un caso il cibo produce forza-lavoro umana (di persone), e nell'altro no. Il valore delle cose non è altro che il rapporto in cui le persone stanno [socialmente] l'una con l'altra, quello che  hanno come espressione della forza-lavoro umana spesa. Il signor Rössler pensa ovviamente: se un cavallo lavora  più a lungo del necessario per la produzione della sua forza-lavoro, allora crea valore proprio come un lavoratore che ha lavorato dodici ore invece di sei. Lo stesso si potrebbe dire di qualsiasi macchina.[27]

Qui Marx indica la base del valore nel lavoro sociale, aggiungendo che nella misurazione capitalistica del valore gli animali sono visti come macchine e il loro contributo alla produzione viene trattato esattamente allo stesso modo.

Se lo stesso Sieber non ha afferrato il punto essenziale all'inizio, lo ha fatto più tardi, forse in seguito a uno scambio di lettere con Marx. Nel 1877, Yu G. Zhukovskii, un seguace di Ricardo, criticò Marx per aver sostenuto che solo il lavoro umano creava plusvalore. Come spiegato da James D. White, Zhukovskii ha sostenuto che «tutto ciò che portava frutti, sia esso un albero, il bestiame o la terra, era in grado di fornire valore di scambio. Per Zhukovskii una delle principali fonti di valore era la Natura».[28] In risposta a Zhukovskii, Sieber disse che un buon ricardiano dovrebbe essere in grado di comprendere che il lavoro umano era l'unica fonte di valore, ciò che rifletteva la divisione del lavoro e la frammentazione della società. L'anno successivo, l'economista politico liberale Boris Chicherin presentò essenzialmente lo stesso argomento di Zhukovskii.[29] In questo caso, la risposta di Sieber è stata inequivocabile e recide il feticismo delle merci alla base della visione liberale classica:

Ma alle persone sembra che le cose si scambino l'una con l'altra, che le cose stesse abbiano un valore di scambio, ecc. e che il lavoro incarnato nella cosa data si rifletta nella cosa ricevuta. Qui sta tutta l'infondatezza delle confutazioni del signor Chicherin, e prima di lui di Zhukovskii, cosa che né l'uno né l'altro potevano capire, o volevano capire ... Marx presenta al lettore l'intera dottrina del valore e le sue forme non come un punto di vista, ma come il modo particolare in cui le persone in un dato stadio di sviluppo sociale comprendono necessariamente i loro rapporti reciproci basati sulla divisione sociale del lavoro. Infatti, ogni valore di scambio, ogni riflesso o espressione di esso, ecc. non rappresenta altro che un mito, mentre ciò che esiste è solo la divisione sociale del lavoro, che, in ragione dell'unità della natura umana, cerca l’unificazione e la trova nella forma strana e mostruosa delle merci e del denaro.[30]

Non c'è razionalità trans-storica nel processo di valorizzazione capitalistico, né ciò dovrebbe essere attribuito ad esso. Piuttosto, questo processo è basato su un'alienazione «strana e mostruosa» del lavoro, insieme con l'alienazione dalla natura e la sua esternalizzazione. Qui è importante capire che, nella teoria di Marx, il lavoro concreto, cioè il lavoro fisiologico – il lavoro direttamente coinvolto nella produzione/trasformazione delle proprietà materiali dei valori d'uso, il lavoro dei singoli esseri umani che fanno affidamento su cervello, sangue e muscoli – è in opposizione dialettica a quel lavoro astratto su cui si basa il processo di valorizzazione capitalistica.[31]

Il lavoro concreto è definito da Marx come «una condizione d’esistenza ... una necessità eterna della natura che ha la funzione di mediare il ricambio organico fra uomo e natura, cioè la vita degli uomini».[32] Il lavoro astratto, al contrario, è un costrutto sociale specificamente capitalistico in cui il lavoro è omogeneo e rimosso da tutti i suoi aspetti fisici concreti, compreso il metabolismo del lavoro umano stesso. Il valore è quindi una sorta di «lavoro… “reificato”» che riflette il livellamento sociale di un «lavoro umano astrattamente omogeneo».[33] Marx sostiene che è il lavoro astratto in questo senso, che riflette cioè un preciso rapporto sociale tra gli esseri umani, ad essere la base del valore, non il lavoro concreto e fisiologico. Per questo motivo, «nemmeno un atomo di materiale naturale passa nell'oggettività del valore delle merci stesse».[34] Come ha precisato Isaak Rubin nei suoi celebri Essays on Marx's Theory of Value: «il dispendio di energia fisiologica in quanto tale non è lavoro astratto e non crea valore».[35] Per Marx, quindi, il valore, in opposizione al valore d'uso, non è una qualità fisica universale insita nella produzione sociale. Piuttosto, è la cristallizzazione dei rapporti capitalistici di produzione e accumulazione. Fare riferimento a una fisiologica o energetica teoria del valore animale, significa perdere di vista il carattere specificamente reificato del valore nella società capitalistica, fonte della sua sempre più distorta «distruzione creativa» del mondo in generale.

Anche ai tempi di Marx, si tentò di trasformare la teoria del valore-lavoro in una teoria energetica generale del valore. Tuttavia, tali tentativi inevitabilmente fallirono nel comprendere la specifica base sociale del lavoro astratto e del valore sotto il capitalismo, vedendolo come un mero processo fisico. L’idea di una teoria energetica del valore fu posta da uno dei primi seguaci di Marx, Sergei Podolinskij, spesso considerato il principale precursore nel XIX secolo dell'economia ecologica contemporanea.[36] Podolinskij tentò di integrare la termodinamica nell'analisi economica, sollevando la questione della trasformazione della teoria del valore-lavoro in una teoria energetica del valore. Marx studiò da vicino il lavoro di Podolinskij, prendendo ampi appunti sul lavoro di quest'ultimo e commentandolo nelle lettere a Podolinskij che sono andate perdute. Tuttavia, fu Engels a fornire una valutazione dettagliata dell'analisi di Podolinskij in due lettere a Marx.[37] Engels elogia il tentativo da parte di Podolinskij di integrare la termodinamica nella teoria della produzione, ma critica Podolinskij per il suo calcolo approssimativo dei trasferimenti di energia dal lavoro agricolo, che escludeva fattori come l'energia contenuta nel fertilizzante e il carbone utilizzato nella produzione. Engels sottolinea anche l'incapacità di Podolinskij di comprendere l'enorme complessità del calcolo di tutti gli input quantitativi e qualitativi di energia che entrano sia nel metabolismo umano durante il processo lavorativo che nella riproduzione della forza-lavoro. Non c'è dubbio che Marx ed Engels avrebbero respinto con forza il tentativo di Podolinskij di concepire gli esseri umani come la «macchina termodinamica perfetta» di Sadi Carnot.[38]

Altrove Engels critica i tentativi di calcolare l'energia incorporata anche nei prodotti più semplici al fine di elaborare una teoria energetica del valore, sottolineando che tali calcoli erano praticamente impossibili data la natura di una produzione aggregata.[39] Oltre a questo, naturalmente, i sostenitori di una teoria energetica del valore non hanno compreso, come ha sottolineato Marx, che il valore esprime un rapporto sociale specifico della società capitalistica, radicato nella classe e nella divisione del lavoro, non una realtà fisica universale. Nicholas Georgescu-Roegen, il fondatore della moderna economia ecologica del XX secolo, si è schierato con Engels contro Podolinskij, insistendo sull'irrazionalità di una teoria energetica del valore, che non era in grado di comprendere la base sociale del valore in un'economia capitalistica.[40] Tutte le concezioni esistenti relative alla produzione di ricchezza economica, sebbene differenti tra loro, si concentrano necessariamente sulla sua base sociale. Per gli economisti ecologici critici, le contraddizioni della forma di valore capitalistica creano fratture ecologiche (oltre che economiche) che sono inerenti alla natura del sistema. In effetti, secondo Georgescu-Roegen è stato questo che ha portato alla distruzione ecologica da parte dell'ordine economico esistente e alla creazione di enormi problemi ambientali derivanti dalla sua concezione distorta della crescita.[41]

Un approccio idealistico che cercasse basi trans-storiche all’origine del valore, anche se fondate su proprietà fisiche, non riesce a comprendere i livelli integrativi e dialettici che costituiscono proprietà sociali emergenti. I rapporti economici non possono essere spiegati da una teoria energetica più di quanto non possano essere spiegati da «geni egoisti».[42] Entrambe sono forme di riduzionismo che trascurano la natura distintiva della realtà storica. I tentativi di generare una visione più armoniosa della realtà incorporando tutta la natura nel valutare il valore della ricchezza prodotta non riescono a tenere conto del fatto che l’attuale sistema di produzione non è armonioso, ma piuttosto alienato.

Una teoria espansiva del valore e il decentramento del valore-lavoro

Il tentativo più ambizioso di decostruire la teoria del valore-lavoro da una prospettiva postumanista, di Sinistra ed ecologica, è il lavoro di Moore, in particolare il suo Capitalism in the Web of Life. L’analisi di Moore ha influenzato Kallis, Wadiwel e Yaşın nelle loro critiche alla teoria marxiana del valore e nelle loro proposte di una più generale teoria del valore, fisiologica o energetica.[43]

Moore assume come base epistemologica centrale del suo lavoro l'eliminazione dei «dualismi cartesiani», che percepisce ovunque, anche nella distinzione tra società e natura.[44] L'obiettivo è un'analisi social-monistica – o quella che lui chiama una «visione monistica e relazionale» – in cui tutto nella rete della vita consiste in «assemblaggi di nature umana ed extraumana».[45] Lo scopo qui è di eliminare, alla maniera di Bruno Latour, tutte le distinzioni oggettive.[46] Questo modo di procedere è accompagnato dalla sovrapposizione di diversi significati dei concetti. Riconoscendo che ci sono due significati classici di valore, visto come valore intrinseco e valore economico (merce), Moore propone di fonderli insieme in un'unica analisi monistica. Opponendosi alla visione dei “marxisti” che “da Marx in poi hanno difeso … la legge del valore in quanto processo economico”, egli propone di unire in un unico quadro sia il valore economico che l’analisi più ampia di “quegli oggetti e relazioni che la civiltà capitalistica ritiene essere valorizzabili.”[47]

Questa fusione dell’analisi critica del valore di Marx con la nozione di valore come un ampio modello culturale normativo, caratteristico delle civiltà in generale, si realizza nell'analisi di Moore attraverso una metamorfosi della nozione storica di Marx della legge del valore in una categoria trans-storica. Marx e tutti i successivi economisti marxisti hanno visto la legge del valore come rappresentativa delle dinamiche del capitalismo, che realizza il suo equilibrio attraverso i valori di scambio e una distribuzione del reddito a partire dalla divisione in classi.[48] Come ha spiegato succintamente l'economista marxista statunitense Paul Baran, in Marx

La legge del valore [può essere vista] come un insieme di proposizioni che descrivono i tratti caratteristici dell'organizzazione economica e sociale di una particolare epoca della storia chiamata capitalismo. Questa organizzazione è caratterizzata dalla prevalenza del principio del quid pro quo nelle relazioni economiche (e non solo economiche) tra i membri della società; dalla produzione (e distribuzione) di beni e servizi come merci; dalla loro produzione e distribuzione da parte dei produttori indipendenti con l'ausilio di lavoratori subordinati per un mercato anonimo in vista del profitto.[49]


In contrasto con la nozione marxiana della legge del valore, come qui espressa, per Moore «tutte le civiltà hanno leggi del valore – priorità ampiamente modellate su ciò che è valorizzabile e ciò che non lo è».[50] Sebbene la «legge del valore» sia spesso impiegata nell'opera di Moore in modi che suggeriscono la sua affinità con la critica marxiana, nella sua teoria dell'ecologia-mondo essa si metamorfizza assumendo un carattere sovrastorico, di tale vaghezza che abbraccia non solo la storia di tutte le civiltà, ma anche il lavoro/energia dell'intero Sistema Terra nel corso di centinaia di milioni di anni, nella misura in cui influisce sulla produzione umana.

In questo contesto, Moore fonde sistematicamente il concetto di lavoro usato in fisica, dove viene identificato con il dispendio di energia, con il lavoro degli esseri umani all'interno della società. In questo modo, sviluppa un concetto universale di «lavoro non pagato», che comprende qualsiasi cosa, da un pezzo di carbone al lavoro domestico. Pertanto afferma che tanto il pezzo di carbone quanto una donna impegnata nella riproduzione sociale in famiglia svolgono il loro specifico lavoro gratuito.[51] Alla fine, gran parte del lavoro svolto nella società – precisa – non è retribuito. Questo, ovviamente, è la conseguenza logica – a prescindere dalla questione del lavoro di sussistenza e del lavoro domestico non retribuiti – di un impianto teorico secondo cui il lavoro svolto da una cascata, un albero e dalle maree oceaniche, anzi da quasi tutta quella che chiamiamo vita organica e inorganica nella misura in cui è collegata alla produzione, deve essere considerato «non pagato».[52] È l'appropriazione di tale esistenza materiale non pagata che Moore vede come la base principale del sistema capitalistico, la fonte del suo dinamismo, e che è riassunta dalla legge del valore. Questo concetto viene reso operativo attraverso la sua nozione di «natura a buon mercato» (Cheap Nature). Nella sua concezione originale dei «quattro fattori a buon mercato» (Four Cheaps), la forza-lavoro è vista come uno dei fattori «a buon mercato» accanto ad altri – in un'unica piatta ontologia che comprende anche cibo, energia e materie prime. Nella sua formulazione successiva dei «sette fattori a buon mercato» (Seven Cheaps), con Patel, la forza lavoro scompare del tutto per essere inclusa nella categoria più generale di «lavoro», che comprende tutti i flussi energetici e tutta l'energia potenziale generata da qualsiasi fonte, organica o inorganica. Insomma l'attività dell'universo.[53]

Allo stesso modo, nel nome della lotta al dualismo, Moore si sforza di fondere natura e società, sussumendo la prima nella seconda. Qualsiasi concetto di natura come un ambiente più ampio di cui gli esseri umani sono solo una parte, e che è quindi in parte esterno ad essi, viene declassato, così come la scienza naturale stessa. Al suo posto ci vengono date confuse concezioni latouriane di «insiemi di natura umana ed extraumana» e categorie assai ampie come rete della vita, ecologia-mondo, oikeios (una parola greca antica mutuata da Teofrasto, che significa il luogo o la posizione adatta a una pianta, adottata da Moore come un modo per evitare termini come natura ed ecologia), e Capitalocene.[54] Oltre a questo, il nostro fa un costante ricorso a gruppi di termini collegati con un trattino, come capitalismo-nella-natura/natura-nel-capitalismo.[55] L'obiettivo di tutto ciò è quello di sussumere la natura nella società capitalistica, o per lo meno di ridurre tutto a aggregati, reti e intrecci.[56] Tali visioni si basano, in modo latouriano, su una «ontologia piatta» di attori umani e non umani in cui tutto è visto come esistente su un unico piano, e costantemente mescolato e fuso – mere reti o reti senza chiare demarcazioni – al contrario di un realismo critico dialettico che enfatizza complessità, mediazione e livelli integrati, in un universo mutevole e in evoluzione.[57]

Proprio come non può esserci alcuna opposizione della società o del capitalismo alla natura – poiché si presume che questa sia una prospettiva dualistica – così non può esserci, in questa prospettiva, alcuna crisi ecologica distinta dalla crisi economica.[58] Il problema ecologico può essere visto solo attraverso la lente dell'accumulazione di capitale, non al di fuori di essa. Va visto in termini di criteri di mercato e non di effetti sugli ecosistemi e sul clima, tanto meno come lotta per uno sviluppo umano sostenibile. Il concetto di frattura metabolica di Marx, che evidenzia le contraddizioni tra capitalismo e natura, viene rifiutato in quanto proprio di un approccio «dualistico» (non dialettico).

Procedendo sulla base di tali discutibili principi logici e metodologici, l'ecologia-mondo di Moore assume come obiettivo principale quello di «una certa destabilizzazione del valore come “categoria economica”».[59] Ottiene questo risultato considerando il valore come il prodotto del lavoro nel senso dato a questo termine dalla fisica, cioè come energia. Nella sua nuova, allargata legge del valore, come spiega spesso, «il valore non funziona a meno che la maggior parte del lavoro non sia valutata».[60] Questa, tuttavia, è una ovvietà nella misura in cui «la maggior parte del lavoro» qui si riferisce al lavoro/energia dell'intero Sistema Terra e in sostanza dell'universo nel suo insieme: l'antica energia solare incorporata nei combustibili fossili, il lavoro di un fiume, la crescita degli ecosistemi, che devono essere tutti considerati lavoro «non pagato» o lavoro potenziale. Dato che il lavoro nei termini della fisica abbraccia l'intero regno fisico, è ovvio che ha un significato quantitativo maggiore del mero esercizio della forza-lavoro (in qualunque modo la si misuri). L’energia del lavoro è minuscola se comparata all’energia dei combustibili fossili. «Il carbone e il petrolio», ci dice Moore, «sono esempi drammatici di questo processo di appropriazione del lavoro gratuito», che costituisce il fondamento reale e nascosto della legge del valore.[61]

Ma cos'è esattamente ciò che non viene pagato in relazione al carbone e al petrolio? In economia, il «dono gratuito» dato dal carbone e dal petrolio è il risultato dell'antica luce solare, risalente a milioni di anni fa, che ha creato carbone, petrolio e gas naturale come fonti di energia a bassa entropia. È questo che conferisce ai combustibili fossili il loro valore d'uso. Alla base dell'edificio del valore, secondo Moore, c'è il «lavoro non retribuito accumulato», che si presenta «sotto forma di combustibili fossili prodotti attraverso i processi biogeologici della Terra» nel corso di centinaia di milioni di anni.[62]

Nell'economia politica marxiana, il prezzo di tali risorse è determinato dalle rendite di monopolio. Tali risorse, che rappresentano valori d'uso cruciali per la produzione, capaci di accrescere la produttività del lavoro, acquisiscono (ma non creano) valore attraverso rendite basate sulla scarsità che sono detrazioni dal plusvalore generato nell'economia.[63] Allo stesso tempo, l'estrazione, la raffinazione, la distribuzione, il trasporto e lo stoccaggio di queste risorse nell'economia di mercato comportano un valore aggiunto dall'impiego del lavoro umano. Tuttavia, niente di tutto questo è considerato nell'analisi di Moore. L'intera teoria della rendita è esclusa. La complessa distinzione di Marx tra valore d'uso naturale-materiale e valore di scambio/valore è sostituita da un'unica legge del valore. Il lavoro di un barile di petrolio o di una cascata o di una rapa o di una mucca è «non pagato», e viene poi presentato come la fonte ecologica nascosta del valore, soggiacente la forza-lavoro stessa.

«Per una valida ragione,» scrive Moore, «[Jason] Hribal chiede: “Gli animali fanno parte della classe operaia?"», dato tutto il lavoro non retribuito che svolgono. «Il [64] rapporto capitalistico», prosegue Moore, «trasforma il lavoro/energia di tutte le nature in ... valore». O, come si apprende in un altro punto, la legge del valore comporta «la trasformazione [del] lavoro della natura nel valore della borghesia».[65] Nell'aritmetica verde di Moore, il lavoro non retribuito sotto forma di processi biogeologici della terra più il lavoro di sussistenza non retribuito costituiscono la maggior parte di ciò che è alla base della legge del valore, mentre, a confronto, lo sfruttamento della forza-lavoro all'interno del processo diventa insignificante.

Sarebbe sbagliato, però, attribuire tutto ciò semplicemente all'ecologia postumanista. Piuttosto, il decentramento da parte di Moore della teoria marxiana del valore-lavoro e la sua idea che il lavoro della natura dovrebbe essere trattato come la fonte nascosta del valore deriva in gran parte da varie tendenze del pensiero ambientale liberale. Un riferimento fondamentale della sua analisi è la storica trattazione che Richard White fa del fiume Columbia in The Organic Machine. White sviluppa la sua storia in modo piuttosto ampio attorno a quelle che dice essere le «caratteristiche che gli esseri umani e il fiume Columbia condividono: energia e lavoro», sebbene, a differenza di Moore, White sottolinei che ci sono «enormi differenze tra il lavoro umano e il lavoro della natura». Tuttavia, White, in un'analogia che fa da guida alla sua analisi, scrive: «I fiumi funzionano come noi. Assorbono ed emettono energia, riorganizzano il mondo».[66]

Di maggiore importanza è la forte adesione di Moore alla nozione di servizi ecosistemici non pagati, sviluppata dagli economisti neoclassici liberali, in particolare Robert Costanza. Costanza è famoso per aver cercato di promuovere una teoria energetica del valore economico all'interno di una prospettiva economica neoclassica liberale, in sostanza, una teoria del costo di produzione radicata in ultima analisi nell'energia solare. Questo ha portato Paul Burkett, nel suo Marxism and Ecological Economics, a parlare di estremo «riduzionismo», oltre che di irrazionalità storica, dell'approccio di Costanza.[67] Il tentativo di Costanza di promuovere una nozione di natura come valore economico ha portato, negli anni '90, a una scissione nella rivista Ecological Economics, di cui era il capo redattore. I teorici più radicali, collegati al grande e pionieristico ecologo dei sistemi Howard Odum, sostenevano, in effetti, un approccio che distingueva tra valore d'uso/ricchezza reale e valore di scambio/valore, cioè tra forma naturale e forma di valore, lungo linee simili a Marx (utilizzando la nozione di emergia di Odum o energia incorporata come materiale naturale o categoria di valore d'uso contrapposta al valore economico). In seguito Odum cercò di trovare su tale argomento una sintesi tra la sua ecologia dei sistemi e la teoria marxiana, e sviluppò su questa base una teoria dello scambio ecologico ineguale.[68]

L'approccio ecologico radicale di Odum andava direttamente contro le tendenze liberali di Costanza (ex studente di Odum). Ciò ha portato a un crescente conflitto tra gli economisti ecologici radicali e gli scienziati naturali vicini a Odum, da un lato, e i teorici liberali e di orientamento neoclassico legati a Costanza, dall'altro. Alf Hornborg, antropologo culturale aperto alla teoria marxista, ha svolto in tale frangente un ruolo polemico determinante come critico dell'approccio di Odum all'interno della rivista, attaccando sia Odum che Marx e schierandosi con Costanza.[69] Alla fine, Odum e i suoi collaboratori radicali nel comitato editoriale furono praticamente banditi dalla rivista.[70]

Moore, che era un collega più giovane di Hornborg, in qualità di ricercatore presso l'Università di Lund in Svezia nel 2008-2010, ha successivamente fatto propri i concetti di servizi ecosistemici e di energia-valore di Costanza.[71] Il lavoro di Moore ha quindi assunto la forma di una versione marxificata dell'argomento principale dei servizi ecosistemici, associato alle stime di Costanza delle decine di trilioni di dollari che gli ecosistemi forniscono gratuitamente ogni anno all'economia mondiale, calcolati sulla base dell'attribuzione di valori di mercato ai processi naturali.[72] Piuttosto che affrontare le contraddizioni ecologiche del sistema capitalistico e il contrasto di fondo tra il valore d'uso dei materiali naturali e il valore di scambio, come hanno fatto gli economisti ecologici radicali e marxisti, Costanza e il suo team di economisti ecologici liberali hanno parlato della necessità di abbracciare la nozione di capitale naturale. Si riteneva che le soluzioni per ovviare alle contraddizioni ambientali richiedessero l'interiorizzazione della natura nell'economia di mercato. Il problema ecologico era così ridotto alla presunzione che tutto in natura, nella misura in cui poteva essere visto come un aiuto (diretto o indiretto) all'economia, avesse un valore e avesse bisogno di ricevere un prezzo – visione propria al concetto di capitale naturale.[73]

La principale novità concreta in Capitalism in the Web of Life e nelle altre opere di Moore è stata quella di cercare di ribaltare [in chiave “marxiana” N.d.C.] la prospettiva di Costanza, sostenendo che il capitalismo nel corso della sua storia si è fondato sul fatto di appropriarsi gratuitamente del lavoro extra-umano (come di buona parte del lavoro umano). Tuttavia, da una prospettiva marxista classica, sono fin troppo evidenti le gravi debolezze di un'analisi che rifiuta in gran parte la teoria del valore-lavoro – insieme alle distinzioni tra valore d'uso, valore di scambio e teoria della rendita – mentre cerca idealisticamente di espandere la nozione di produzione di valore a tutto il lavoro/energia della natura.


La forma naturale e la forma del valore

La sostanza del valore in un'economia capitalistica è, nella concezione di Marx, il lavoro astratto. La «forma del valore» (o valore di scambio) va quindi distinta dalla «forma naturale» (o valore d'uso). La forma naturale rappresenta la «forma di esistenza tangibile e sensibile», che coinvolge le proprietà materiali-naturali e tecniche che costituiscono la vera ricchezza. La forma di valore della merce è la sua «forma sociale», che indica il concetto generale di valore come cristallizzazione del lavoro astratto.[74] È l'opposizione tra la forma naturale e la forma di valore, inerente alla produzione capitalistica, che genera le contraddizioni economiche ed ecologiche tipiche dello sviluppo capitalistico. Per il fatto stesso che il capitalismo è un sistema di accumulazione, la forma di valore arriva a dominare completamente sulla forma naturale nella produzione di merci. «Come attività conforme allo scopo di adattare l’elemento naturale, in una forma o nell'altra,» scrive Marx, «il lavoro è condizione naturale dell'esistenza umana, è una condizione del ricambio organico [metabolismo] fra uomo e natura». Tuttavia, ogni merce ottiene il suo valore di scambio, la sua forma di valore, proprio «mediante l'alienazione del proprio valore d'uso», portando spesso alla distruzione del metabolismo tra gli esseri umani e la natura.[75] Da ciò in Marx deriva la concezione generale della frattura metabolica, o l’«incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale prescritto dalle leggi naturali della vita».[76]

La logica del capitalismo, con la sua legge del valore, è una logica formalmente razionale ma al tempo stesso sostanzialmente irrazionale, con aspetti irrazionali che via via assumono un'importanza sempre maggiore. In effetti, il capitalismo si basa sin dall’inizio (tramite la «cosiddetta accumulazione originaria») sull'esternalizzazione delle proprietà naturali. Tali proprietà organiche, sebbene siano incorporate nella produzione come valori d'uso e rappresentino la forma naturale della merce, sono rese estranee alla loro forma naturale, esclusa dalla forma di valore, fondata sul lavoro umano astratto.[77] Le proprietà naturali, comprese le proprietà umane-naturali, cioè l'esistenza corporea umana, vengono quindi considerate unilateralmente solo nella misura in cui facilitano la produzione di valore. Un ulteriore livello di esternalizzazione avviene attraverso l'imposizione di molti dei costi di produzione alla natura (inclusa l'esistenza corporea umana, che è al di fuori del circuito del valore) come esternalità, con effetti negativi non solo sull'ambiente ma anche sugli esseri umani. Il risultato è che il capitalismo promuove la distruzione creativa della vita stessa, estendendosi infine all'intero Sistema Terra.

I tentativi astorici, idealistici di concepire l'internalizzazione e integrazione dei costi sociali e ambientali nell’ambito del sistema di mercato, o di vedere la natura come la vera fonte del valore, finiscono solo per sminuire le contraddizioni sociali (comprese l’esistenza delle classi sociali e altre forme di oppressione) ed ecologiche del sistema capitalistico. L'obiettivo di questo sistema è l'accumulazione del capitale. Dare un prezzo a una foresta, in modo che il suo lavoro/energia non sia più «gratuito», cioè mercificarla – per trasformarla in tanti milioni di metri di legname abbattuto – non rende più probabile che si salvi la foresta della mancanza di un prezzo. Il vero problema non è la cosiddetta tragedia dei beni comuni, ma il sistema stesso di accumulazione del capitale. Gli uccelli canori stanno scomparendo perché i loro habitat vengono distrutti dall'espansione storica di questo sistema, non semplicemente perché siano considerati «privi di valore» dal punto di vista del mercato. Le balene vengono uccise per essere vendute direttamente come merce, ma vengono anche annientate come effetto collaterale dell'espansione del sistema attraverso la distruzione dei loro ecosistemi. Tutto ciò suggerisce che uno sviluppo umano sostenibile richiede non l'incorporazione della natura nel sistema del valore, ma la sua abolizione.

Qualsiasi tipo di analisi che cerchi di eliminare le profonde contraddizioni dialettiche tra la forma naturale e la forma di valore, tra l'economia capitalistica e il più ampio metabolismo socio-ecologico, al fine di immaginare un'integrazione più armoniosa, è intrinsecamente intrappolata in una visione ristretta e monistica, che non riesce a comprendere la complessa e interdipendente dialettica della natura e dell'umanità nel tentativo di ridurre tutti i livelli dell'esistenza ad un «unico metabolismo».[78] Una tale falsa armonia non può che essere, secondo Marx, «il prodotto superficiale e appiattito di una scarna e rigida riflessione che procede per antitesi», che cerca di ridisegnare i «confini» piuttosto che eliminare il sistema che, attraverso la sua esternalizzazione e alienazione, ha generato queste fratture nell'esistenza materiale.[79] Ciò che è richiesto oggi non è una radicale valorizzazione capitalistica della natura, ma una trasformazione ecologica e sociale rivoluzionaria – un nuovo regno della libertà come necessità, diretto alla regolazione razionale del metabolismo della natura e della società da parte dei produttori associati.[80] Hic Rhodus, hic salta![81]


Note

* Ivi, pp. 105-130.

[1] Jason W. Moore, The Value of Everything? Work, Capital, and Historical Nature in the Capitalist World-Ecology, «Review» 37, n. 3-4, 2014, pp. 245, 261, 280. Sul capitale naturale si veda Paul Hawken, Amory Lovins e L. Hunter Lovins, Natural Capitalism: Creating the Next Industrial Revolution, Boston, Little Brown, 1999. Per una critica vedere John Bellamy Foster, Ecology Against Capitalism, New York, Monthly Review Press, 2002, pp. 26-43. Sui servizi ecosistemici si vedano Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, Brooklyn, Verso, 2015, p. 64; Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., p. 261; Robert Costanza et al., The Value of the World’s Ecosystem Services and Natural Capital, «Nature» 387, 1997, pp. 253-60; Robert Costanza et al., Changes in the Global Value of Ecosystem Services, «Global Environmental Change» 26, 2014, pp. 152-58.

[2] Zehra Taşdemir Yaşın,
The Adventure of Capital with Nature: From the Metabolic Rift to the Value Theory of Nature, «Journal of Peasant Studies» 44, n. 2, 2017, pp. 377-401; Giorgos Kallis e Erik Swyngedouw, Do Bees Produce Value? A Conversation Between an Ecological Economist and a Marxist Geographer, «Capitalism Nature Socialism» 29, n. 3, 2018, pp. 36-50; Dinesh Wadiwel, Chicken Harvesting Machine: Animal Labor, Resistance, and the Time of Production, «South Atlantic Quarterly» 117, n. 3, 2018, pp. 527-49; e Dinesh Wadiwel, On the Labour of Animals, blog Progress in Political Economy, 28 agosto 2018, http://ppesydney.net. Per una discussione meno recente su tale argomento, si veda Stephen Bunker, Underdeveloping the Amazon: Extraction, Unequal Exchange, and the Failure of the Modern State, Champaign, Illinois, University of Illinois Press, 1985.

[3] Jason W. Moore,
The Value of Everything?, op. cit., pp. 250, 280. Per una critica delle opinioni di Moore a questo riguardo, si veda Jean Parker, Ecology and Value Theory, «International Socialism» 153, 2017.

[4] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, p. 70; Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., pp. 245, 267; Jason W. Moore, Value in the Web of Life, or, Why World History Matters to Geography, «Dialogues in Human Geography» 7, n. 3, 2017, pp. 327-28; Jason W. Moore e Raj Patel, A History of the World in Seven Cheap Things: A Guide to Capitalism, Nature, and the Future of the Planet, Oakland, University of California Press, 2017.

* [Qui ci si riferisce, appunto, al valore in sé degli elementi naturali, distinto o meno dalla nozione marxiana di valore d’uso. Si veda in proposito Marx and the Foreshortening of Intrinsic Value: The Kovel Thesis, in J. Bellamy Foster e P. Burkett, Marx and the Earth, Haymarket Books, 2017, pp. 34-49.] [N.d.C.]

[5] Ernst F. Schumacher, Small Is Beautiful: A Study of Economics as if People Mattered, London, Blond & Briggs, 1973, p. 15

[6] Moishe Postone, Time, Labour, and Social Domination: A Reinterpretation of Marx's Critical Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, p. 27.

[7] Karl Marx,
The Value-Form, «Capital & Class», n. 4, 1978, p. 134.


[8]
Karl Marx, Il capitale, Libro I, Roma, rist. anastatica della V edizione (1964), 1989, p. 75.

[9] Karl Marx, Critica al Programma di Gotha, Bolsena, 2008, p. 33.

[10] Jason W. Moore, The Capitalocene, Part II: Abstract Social Nature and the Limits to Capital, «Research Gate», giugno 2014, p. 29, http://researchgate.net

[11] Marx, The Value-Form, op. cit., p. 134; Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, III ed., V rist., Roma, 1984; Isaak Illich Rubin, Essays on Marx's Theory of Value, 1928, rist. Detroit, Black and Red, 1972, pp. 131-58.

[12] Dinesh Wadiwel, Chicken Harvesting Machine, op. cit.; e Dinesh Wadiwel, On the Labor of Animals, «Progress in Political Economy», 28 agosto 2018.

[13] Giorgos Kallis, in Kallis e Swyngedouw, Do Bees Produce Value? A Conversation Between an Ecological Economist and a Marxist Geographer, op. cit., pp. 36, 39, 44, 47, 49. Kallis è stato influenzato da Moore nello sviluppare la sua tesi secondo cui i combustibili fossili e l'energia in generale creano valore. Vedi Giorgos Kallis, Socialism Without Growth, «Capitalism Nature Socialism», 2017.

[14] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: From the Metabolic Rift to the Value Theory of Nature, op. cit., pp. 378, 394; Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit., pp. 18.

[15] Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit., pp. 17-18.

[16] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: …, op. cit., pp. 378, 389.

[17] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: …, op. cit., pp. 389-92; Stephen Bunker, Underdeveloping the Amazon: …, op. cit., pp. 20-47.

[18] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: …, op. cit., pp. 387, 392.

[19] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: …, op. cit., p. 378.

[20] Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature: …, op. cit., pp. 397-398.

[21] Jean-Paul Sartre,
Search for a Method, New York, Knopf, 1963, p. 7.

[22] Paul Burkett, Marxism and Ecological Economics: Toward a Red and Green Political Economy, Leiden, Brill, 2006, pp. 23-37.

[23] Karl Marx, Storia delle teorie economiche. La teoria del plusvalore da William Petty a Adam Smith, I, Torino, 1954, p. 65.

[24] La seguente parte su Sieber si basa su John Bellamy Foster and Paul Burkett, Marx and the Earth: An Anti-Critique, Leiden, Brill, 2016, pp. 107-10.

[25] Sull'economia marxista di Sieber e la sua critica alla teoria ricardiana si veda Nikolai Sieber, Marx’s Theory of Value and Money, 1871, rist. «Research in Political Economy» 19, 2001.

[26] Karl Rössler cit. in James D. White, Nikolai Sieber and Karl Marx, «Research in Political Economy» 19, 2001, pp. 5-6.

[27] Karl Marx, Iz chernovoi tetradi K. Marks, «Letopisi Marksizma» 4, 1927, p. 61, cit. in James D. White, Nikolai Sieber and Karl Marx, op. cit., p. 6.

[28] James D. White, Nikolai Sieber and Karl Marx, op. cit., pp. 6-7.

[29] Boris N. Chicherin, Liberty, Equality, and the Market, New Haven, Yale University Press, 1998, p. 325.

[30] Sieber citato in James D. White, Nikolai Sieber e Karl Marx, op. cit., p. 8.

[31] Isaak Illich Rubin, Essays on Marx’s Theory of Value, op. cit., pp. 131-58. La possibilità stessa del lavoro astratto richiede, naturalmente, che al lavoro fisiologico venga prima data un'espressione sociale di equalizzazione o di quid pro quo. Il lavoro astratto e il valore stesso, comunque, sono separati da qualsiasi elemento fisiologico. Come scrive Roman Rosdolsky in The Making of Marx’s “Capital”: «Il lavoro fisico non è ancora lavoro economico», Londra, Pluto, 1977, p. 513.

[32] Karl Marx, Il capitale, Libro I, op. cit., p. 75.

[33] Isaak Illich Rubin, Essays on Marx’s Theory of Value, op. cit., p. 153; Marx cita il «lavoro umano omogeneo» in Isaak Illich Rubin, Essays on Marx’s Theory of Value, op. cit., p. 148 (citazione dall'edizione tedesca originale del Capitale, vol. I).

[34] Karl Marx, Il capitale, Libro I, op. cit., p. 79.

[35] Isaak Illich Rubin, Essays on Marx’s Theory of Value, op. cit., 136-37.

[36] Per una discussione completa della relazione Marx-Podolinskij, su cui si basa la presente trattazione, si veda Foster e Burkett, Marx and the Earth, op. cit., pp. 89-136. [Si veda anche S. A. Podolinskij, Lavoro ed energia. L’atto di nascita dell’economia ecologica, a cura di Tiziano Bagarolo e Dante Lepore, PonSinMor, Gassino Torinese, 2011.] [N.d.C.]

[37] [Per quanto riguarda le due lettere di Engels a Marx, si veda A. Podolinskij, Lavoro ed energia. L’atto di nascita dell’economia ecologica, op. cit., pp. 282-284.] [N.d.C.]

[38] Sergei Podolinskij, Human Labour and the Unity of Force, appendice a Foster e Burkett, Marx and the Earth, op. cit., pp. 281-82; Foster e Burkett, Marx and the Earth, op. cit., pp. 110-17.

[39] Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, vol. XXV, Roma, 1974, pp. 586-88.

[40] Nicholas Georgescu-Roegen, The Entropy Law and the Economic Process in Retrospect, «Eastern Economic Journal» 12, n. 1, 1986, pp. 8-9; Nicholas Georgescu-Roegen, The Entropy Law and the Economic Process, Cambridge, Harvard University Press, 1971, p. 277; Joan Martinez-Alier, Some Issues in Agrarian and Ecological Economics, in Memory of Georgescu-Roegen, «Ecological Economics» 22, n. 3, 1997, p. 231; J. B. Foster e Paul Burkett, Marx and the Earth, op. cit., pp. 135-36.

[41] Nicholas Georgescu-Roegen, Energy and Economic Myths: Institutional and Analytical Economic Essays, Elmsford, NY, Pergamon, 1976, pp. 33-35.

[42] Richard Levins and Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Cambridge, Harvard University Press, 1987, p. 288; Stephen Jay Gould in A Glorious Accident: Understanding Our Place in the Cosmic Puzzle, Wim Kayzer (a cura di), New York, W. H. Freeman, 1997, p. 91; Roy Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom, Londra, Verso, 1993, pp. 49-56.

[43] Giorgos Kallis, Socialism Without Growth, op. cit.; Dinesh Wadiwel, Chicken Harvesting Machine, op. cit.; Dinesh Wadiwel, On the Labour of Animals, op. cit., p. 544; Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature, op. cit.

[44] Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I: On the Nature and Origins of Our Ecological Crisis, «Journal of Peasant Studies» 44, n. 3, 2017, p. 606; Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 1-7, 19-20, 37; Zehra Taşdemir Yaşın, The Adventure of Capital with Nature, op. cit., p. 389.

[45] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, pp. 80, 85-86. La nozione di natura umana ed extraumana «assemblate» su cui si basa Moore è una formulazione latouriana. Si veda Bruno Latour, Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network-Theory, Oxford, Oxford University Press, 2007, pp. 17, 134, 139.

[46] Sul carattere latouriano del pensiero di Moore si veda Andreas Malm, Progress of this Storm: Nature and Society in a Warming World, Brooklyn, Verso, 2018, pp. 177-96; John Bellamy Foster, «Marxism in the Anthropocene: Dialectical Racks on the Left», International Critical Thought 6, n. 3, 2016, pp. 393-421.

[47] Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., p. 280.

[48] Karl Marx, Il capitale, Libro III, Roma, 1989, p. 998-999; Paul M. Sweezy, The Theory of Capitalist Development: Principles of Marxian Political Economy, New York, Monthly Review Press, 1942, pp. 52-53.

[49] Paul A. Baran e Paul M. Sweezy, The Age of Monopoly Capital: Selected Correspondence of Paul A. Baran and Paul M. Sweezy, 1949-1964, New York, Monthly Review Press, 2017, p. 253.

[50] Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I, op. cit., p. 610; Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 51-58.

[51] Sebbene né i processi naturali né il lavoro domestico/di sussistenza (svolto principalmente da donne) contribuiscano direttamente alla creazione di valore nella contabilità capitalistica, i due non dovrebbero ovviamente essere confusi l'uno con l'altro. Per una critica incisiva che evita tali confusioni, si veda Marilyn Waring, Counting for Nothing: What Men Value and What Women Are Worth, Toronto, University of Toronto Press, 1999. Su Marx, la riproduzione sociale e l'espropriazione del lavoro domestico femminile, si veda John Bellamy Foster e Brett Clark, Women, Nature, and Capital in the Industrial Revolution, «Monthly Review» 69, n. 8, gennaio 2018, pp. 1-24.

[52] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 54, 71.

[53] Jason W. Moore e Raj Patel, A History of the World in Seven Cheap Things, op. cit., pp. 24-25.

[54] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 35-36, 85.

[55] Andreas Malm, The Progress of This Storm: Nature and Society in a Warming World, Londra e New York, Verso Books, 2018, p. 179.

[56] Si vedano, a tale riguardo, John Bellamy Foster e Brett Clark, Marx’s Ecology and the Left, «Monthly Review» 68, n. 2, giugno 2016; Andreas Malm, The Progress of this Storm: Nature and Society in a Warming World, op. cit., pp. 23-40.

[57] Graham Harman, Bruno Latour, Reassembling the Political, London, Pluto, 2014, pp. 14, 18, 81.

[58] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 2, 40-41.

[59] Jason W. Moore, The Capitalocene, Part II, op. cit., p. 29.

[60] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., p. 54.

[61] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., p. 71.

[62] Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., p. 261.

[63] Per una discussione sulla teoria marxiana della rendita e dell'ecologia, si veda Paul Burkett, Marx and Nature: A Red and Green Perspective, Chicago, Haymarket, 2014, pp. 94-103.

[64] Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., p. 262; Jason Hribal, “Animals Are Part of the Working Class”: A Challenge to Labor History, «Labor History» 44, n. 4, 2003.

[65] Jason W. Moore, The Rise of Cheap Nature in Anthropocene o Capitalocene? Nature, History, and the Crisis of Capitalism, Jason W. Moore (a cura di), Oakland, PM, 2016, p. 89; Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., p. 71.

[66] Richard White, The Organic Machine: The Remaking of the Columbia River, New York, Hill and Wang, 1995, pp. 3, 6, 108; Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., pp. 14-15.

[67] Stephen C. Farber, Robert Costanza e Matthew A. Wilson, Economic and Ecological Concepts for Valuing Ecosystem Services, «Ecological Economics» 41, n. 3, 2002, pp. 382-83; Robert Costanza, Embodied Energy and Economic Valuation, «Science» 210, n. 4475, 1980, pp. 1219-1224; Paul Burkett, Marxism and Ecological Economics, op. cit., pp. 18-19, 38, 93.

[68] John Bellamy Foster e Hannah Holleman, A Theory of Unequal Ecological Exchange: A Marx-Odum Dialectic, «Journal of Peasant Studies» 41, n. 2, 2014, pp. 223-27.

[69] Alf Hornborg, Towards an Ecological Theory of Unequal Exchange: Articulating World System Theory and Ecological Economics, «Ecological Economics» 25, n. 1, 1998, pp. 130-32; Alf Hornborg, The Power of the Machine: Global Inequalities of Economy, Technology, and Environment, Lanham, MD, AltaMira, 2001, pp. 40-43; Alf Hornborg, Global Ecology and Unequal Exchange: Fetishism in a Zero-Sum World, New York, Routledge, 2011, pp. 17, 104.

[70] Howard T. Odum, intervista di Cynthia Barnett, 2001, trascr. Howard T. Odum Center for Wetlands Publications, Gainesville, FL, http://ufdc.ufl.edu, pp. 37-39.

[71] Hornborg ha recentemente criticato Moore sia per il suo postumanesimo che per il suo residuo marxismo. Si veda Alf Hornborg, Dithering While the Planet Burns, «Reviews in Anthropology» 46, n. 1, luglio 2017, pp. 1-17.

[72] Sui frequenti riferimenti di Moore a Costanza si vedano, ad es., Jason W. Moore, The Value of Everything?, op. cit., p. 261; Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., p. 64; Jason W. Moore, The Rise of Cheap Nature, op. cit., p. 8; che includono riferimenti a Costanza et al., The Value of the World’s Ecosystem Services and Natural Capital, op. cit.; Robert Costanza et al., Sustainability or Collapse: What Can We Learn from Integrating the History of Humans and the Rest of Nature?, «Ambio» 36, n. 7, 2007, pp. 522-27; Costanza et al., Changes in the Global Value of Ecosystem Services, op. cit.

[73] Paul Hawken, Amory Lovins e L. Hunter Lovins, Natural Capitalism, op.cit.

[74] Karl Marx, The Value-Form, op. cit., p. 134; Karl Marx, Texts on Method, Hoboken, N.J., Blackwell, 1975, p. 212.

[75] Karl Marx, Per la critica dell’economia politica, op. cit., pp. 18, 27.

[76] Karl Marx, Il capitale, Libro III, op. cit., p. 926.

[77] Karl Marx, Il capitale, Libro I, op. cit., p. 777-826.

[78] Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life, op. cit., p. 86.

[79] Marx-Engels, Opere Complete, vol. XXIX, Grundrisse I, Bastiat e Carey, op. cit., p. 6.

[80] Karl Marx, Il capitale, Libro III, op. cit., p. 933-934; Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, vol. XXV, op. cit., pp. 108-110.

[81] Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, 1977, p. 52. [G.W.F. Hegel parafrasa la famosa frase di una favola di Esopo «Hic Rodhus, hic saltus» (it. «Qui è Rodi, qui il salto») in «Hier ist die Rose, hier tanze» (it. «Qui c’è la rosa, qui danza»; il passaggio da «saltus» della versione originale a «salta» invece è opera di Marx.] [N.d.C.].


John Bellamy Foster e Paul Burkett

Traduzione a cura di Alessandro Cocuzza e Giuseppe Sottile

Fonte: Monthly Review, vol. 70 , n. 6 (01.11.2018)


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