Fonte: The Socialist Standard - luglio 2023

La biodiversità è di vitale importanza per la società umana e la sopravvivenza dell'uomo – non solo la biodiversità della natura selvaggia, ma anche l'agrobiodiversità delle piante e degli animali domestici.

Bisogna stare sempre attenti al rischio rappresentato per questa biodiversità dall'erosione genetica e dalla perdita di specie. Questi fenomeni riducono il pool genetico – la variabilità naturale degli organismi – su cui gli allevatori fanno affidamento per selezionare il tipo di varietà che vogliono sviluppare. Questo riduce il loro margine di manovra. Ciò rende la produzione agricola sempre più vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico e alla comparsa di nuove malattie o parassiti.

Come osserva José Esquinas-Alcázar:

«La conservazione e l'uso sostenibile delle risorse genetiche va ben oltre l'evitare l'estinzione delle specie. L'obiettivo deve essere quello di conservare e utilizzare la massima diversità possibile all'interno di ogni specie. Le risorse genetiche vegetali possono essere conservate ex situ, ad esempio nelle banche genetiche (strutture che conservano campioni (accessioni) della diversità genetica delle colture, di solito sotto forma di semi e materiale vegetativo) o in situ, sia nelle aziende agricole con le varietà degli agricoltori che nelle riserve naturali o nelle aree protette con le piante selvatiche». (Protecting crop genetic diversity for food security: political, ethical and technical challenges, «Nature Reviews/Genetics», Vol. 6, dicembre 2005).

La conservazione in situ è minacciata dalla diffusione di un'agricoltura commerciale omogeneizzante, sia sotto forma di distruzione dell'habitat che ha un impatto sulle specie e sulle varietà autoctone, man mano che la quantità di terra coltivata si espande, sia attraverso la già citata marginalizzazione delle pratiche agricole tradizionali che mantengono la diversità. Ma che dire della conservazione ex situ nelle banche genetiche?

Si tratta di un metodo di conservazione relativamente economico, ma che presenta degli svantaggi:

«Il principale inconveniente, tuttavia, è che una risorsa genetica cessa di evolversi, poiché i processi naturali di selezione e adattamento vengono interrotti. Inoltre, solo una piccola parte della diversità genetica presente in una determinata popolazione è solitamente rappresentata nel campione raccolto. Questa si riduce ulteriormente ogni volta che la risorsa viene rigenerata, a causa della deriva genetica e delle pressioni selettive naturali in condizioni ambientali diverse. Inoltre, molte banche genetiche non rispettano standard adeguati di conservazione e rigenerazione, con conseguente scarsa vitalità dei semi».

Attualmente, al momento in cui scriviamo, non è consentito conservare semi geneticamente modificati nelle banche dei semi. Uno dei motivi è che le banche dei semi sono soggette alla legislazione contenuta nel Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (International Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture) che le obbliga ad accettare l'accesso multilaterale alle loro collezioni. Questo, in effetti, significa trattare tali collezioni come patrimonio comune dell'umanità. Tuttavia, ciò è chiaramente in contrasto con lo status delle sementi geneticamente modificate come invenzioni brevettate, considerate proprietà privata delle società che hanno intrapreso la ricerca iniziale. Si tratta di un'ulteriore illustrazione del modo in cui i rapporti di proprietà privata lavorano per ostacolare l'uso efficace (e la conservazione) delle risorse a nostra disposizione.

Nel loro articolo intitolato Seed banks: the last line of defence against a threatening global food crisis, Salome Gomez-Upegui e Rita Liu sottolineano che ci sono circa 1.700 banche dei semi in tutto il mondo «che ospitano collezioni di specie vegetali di valore inestimabile per la ricerca scientifica, l'istruzione, la conservazione delle specie e le culture indigene». Citano Stefan Schmitz, direttore esecutivo del Global Crop Diversity Trust, un'organizzazione dedicata alla conservazione della diversità delle colture per la sicurezza alimentare:

«A prima vista, i semi possono sembrare poco, ma al loro interno si trovano le fondamenta della nostra futura sicurezza alimentare e nutrizionale, e la possibilità di un mondo senza fame... Banche dei semi ben finanziate e ben mantenute sono fondamentali per ridurre l'impatto negativo della crisi climatica sulla nostra agricoltura a livello globale» (The Guardian, 15 aprile 2022).

Senza sminuire l'importanza delle banche dei semi per il futuro dell'agricoltura, è sicuramente esagerato affermare che la «possibilità di un mondo senza fame» dipenda da esse. Diciamo questo per ribadire che la fame è un problema economico e politico, e non deriva dalla mancanza di una qualche soluzione tecnica per coltivare più cibo.

Questa fissazione con le “soluzioni tecnologiche” (a scapito di quelle sociali) non riesce a cogliere che la tecnologia non si sviluppa nel vuoto, ma è plasmata da potenti forze economiche. Un esempio particolarmente perverso è la cosiddetta “tecnologia terminator” – lo sviluppo di semi (soprannominati “semi suicidi”) che sono specificamente progettati per «bloccare geneticamente la capacità di una pianta di germinare per una seconda volta» – obbligando così l'agricoltore ad acquistare una nuova fornitura di semi ogni stagione (www.globalissues.org/article/194/terminator-technology).

Non c'è alcuna ragione tecnica razionale per lo sviluppo di una simile tecnologia; essa sembra essere stata concepita al solo scopo di garantire un aumento dei profitti per il settore agroalimentare. Inoltre, mina la capacità degli agricoltori tradizionali di sviluppare una gamma di sementi locali adatte alle condizioni locali, come hanno fatto in passato in modo abituale.


Robin Cox

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org


Fonte: The Socialist Standard N. 1427 luglio 2023