Fonte: The Journal of Peasant Studies - 14.03.2014

Un'analisi del sistema-mondo della frattura ecologica generata dal capitalismo richiede come uno dei suoi elementi una teoria evoluta dell’ineguale scambio ecologico fra centro e periferia.

Dopo aver passato in rassegna la letteratura sullo scambio ineguale (sia economico che ecologico) da Ricardo e Marx fino ad oggi, si fornisce un nuovo approccio, basato sull'appropriazione critica dell'analisi dell'emergia (scritta con la m) dell'ecologo dei sistemi Howard Odum. Il contributo di Odum offre elementi chiave di una più ampia sintesi dialettica, resa possibile in parte dai suoi profondi studi della critica politico-economica del capitalismo di Marx e della teoria della frattura metabolica dello stesso Marx.


La ricerca di una teoria significativa dell'imperialismo ecologico è diventata per molti versi il Santo Graal della critica ecologica del sistema capitalistico mondiale. Da punti di vista diversi ma correlati, sociologi dei sistemi mondiali, teorici dello sviluppo, ecologi dei sistemi, economisti ecologici, sociologi ambientali e storici dell'ambiente hanno cercato tutti un approccio coerente a questo problema centrale, che è legato a questioni cruciali come la frattura metabolica, lo scambio ecologico ineguale, il debito ecologico, l'impronta ecologica, la maledizione delle risorse**, il carbonio incarnato e la giustizia ambientale globale.


Nell'ultimo decennio, in sociologia sono emersi due filoni di studio che affrontano l'imperialismo ecologico: 1. l'analisi della frattura metabolica e 2. gli studi sullo scambio ecologico ineguale (a volte chiamato «ecologicamente ineguale»).[1] Nel primo di questi, come affermano Schneider e McMichael (2010, p. 461), «il concetto “frattura metabolica” di Marx … nel contesto di una mobilitazione contadina internazionale che abbracciava la scienza dell'ecologia ... è diventato il punto focale dei tentativi di ripristinare forme di agricoltura sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale», trascendendo relazioni che sono ampiamente considerate il prodotto dell'imperialismo ecologico. Tra i lavori di questa tradizione si annoverano importanti contributi come quelli di Foster (1999, 2000), Moore (2000, 2011a), Burkett (2006), Clausen (2007), Wittman (2009), Foster et al. (2010), Schneider e McMichael (2010), Gunderson (2011), Dobrovolski (2012). Accanto a questa ricerca sulla frattura metabolica, è emersa una seconda letteratura correlata, costituita da una serie di studi empirico-storici pionieristici rivolti alle relazioni di scambio ecologico ineguali tra il centro e la periferia dell'economia mondiale capitalista, nel tentativo di misurare gli svantaggi ecologici che sono stati sistematicamente imposti alla periferia (ad es., Hornborg (2006, 2011), Jorgenson (2006), Jorgenson e Rice (2007), Lawrence (2009), Jorgenson e Clark (2009, 2012), Jorgenson et al. (2009), Clark e Foster (2009).


L'ovvia domanda che emerge da queste due letterature, prese insieme, è: in che misura lo scambio ecologico ineguale è all'origine della frattura metabolica globale, in cui l'“ambiente libero” della periferia viene sacrificato sull'altare degli dei del profitto e dell'accumulazione del centro? Il presente contributo cerca di aiutare a sviluppare una risposta a tale domanda, fornendo le basi per una teoria più completa dello scambio ecologico ineguale, poiché gran parte del problema attuale, a nostro avviso, risiede nella sotto-teorizzazione di questo concetto chiave.[2]


La possibilità di un approccio teorico ed empirico più completo alla questione dello scambio ineguale, crediamo, ci viene offerta da un confronto critico con il lavoro dell'ecologo dei sistemi Howard T. Odum. In una serie di studi condotti per lo più nell'arco di due decenni (1983-2002), Odum (1988, 1996, 2007, Odum e Arding 1991, Odum e Odum 2001) ha sviluppato una teoria illuminante di quello che ha definito «capitalismo imperiale», in cui l'energia incorporata (emergy) scambiata si è dimostrata in genere «di diverse centinaia % superiore» per dollaro per i paesi periferici esportatori di risorse primarie rispetto alle loro controparti centrali (Odum 2007, pp. 276-7).


Il nostro approccio all'analisi di Odum, lo sottolineiamo subito, non è acritico, ma piuttosto di “appropriazione critica”, simile alla risposta di Marx ai fisiocratici (Burkett 2006, p. 35). Il sofisticato approccio scientifico di Odum all'ecologia dei sistemi può essere visto come una sorta di riduzionismo fisico, se visto dal punto di vista dell'evoluzione naturale e della società storica. Ma come gran parte della teoria dei sistemi, può anche essere visto come un tentativo olistico di uscire dal grossolano riduzionismo che ha afflitto gran parte della scienza moderna (Levins 2008). La «scienza dei sistemi», al suo meglio, è «un'applicazione tecnica della filosofia olistica e materialista» (Golley 1993, p. 33).


La teoria di Odum sullo scambio ecologico ineguale, come si dirà, è in gran parte libera dal riduzionismo che affligge la sua teoria generale dei sistemi, poiché la prima si basa principalmente sulla misura in cui le nazioni o le regioni attingono al loro “ambiente libero” nella loro attività economica, e le disuguaglianze globali a cui ciò è associato. È quindi strettamente correlata all'analisi di Marx della frattura metabolica del capitalismo. Sebbene non esista una sola misura per lo scambio ecologico disuguale in tutte le sue molteplici dimensioni storiche e qualitative – come possiamo iniziare a quantificare la perdita di una singola specie? – l'approccio dell'emergia (scritto con una m) di Odum ha cercato di creare una metrica comune per l'energia utilizzata nella produzione e di esplorare le relazioni di scambio ecologico ineguale in questo senso. Odum ha così fornito una modalità di analisi e un indicatore empirico con cui misurare i vasti guadagni ecologici realizzati dagli stati del centro capitalista e le corrispondenti perdite inflitte alla periferia.


Sebbene a volte Odum (1983, p. 252) sembri sostenere una “teoria energetica del valore”, egli ha spiegato in numerose occasioni che l'analisi dell'emergia non era intesa come una teoria energetica del valore economico/monetario, ma piuttosto come un tentativo di misurare la ricchezza reale in termini di energia. L'obiettivo era quello di trovare una base materiale-ecologica per la critica dell'economia capitalistica e dell'economia ortodossa, neoclassica. Il successo di questa impresa è stato necessariamente limitato, poiché il mondo della natura e della produzione in generale è così complesso e variegato da sollevare problemi fondamentali di incommensurabilità per chiunque cerchi di ricondurlo a un'unica misura, come la contabilità energetica. Tuttavia, l'analisi di Odum ha messo in luce le contraddizioni ecologico-economiche del sistema capitalistico e ha messo in crisi le pretese scientifiche dell'economia neoclassica.


Ciò che rende particolarmente interessante, a nostro avviso, un approccio allo scambio ecologico ineguale che si ispiri criticamente all'analisi di Odum, a nostro avviso, è che rappresenta un'interfaccia cruciale tra la scienza ecologica e la teoria marxiana. Odum, insieme a David Scienceman, è stato impegnato per circa due decenni, dal 1983 in poi, in un dialogo continuo con la teoria marxiana che si è tradotto non solo in studi approfonditi dell'opera dello stesso Marx, ma anche di vari teorici marxisti dello scambio (economico) ineguale, come Becker (1977) e Amin (1976) (si veda Odum 1983, p. 265; Scienceman 1987, 1989, 1992; Odum e Scienceman 2005). Con l'avanzare dell'analisi di Odum, l'attenzione per l'opera di Marx è cresciuta invece di diminuire, con particolare riferimento alla logica dei rapporti di scambio ineguale. Il collegamento Marx-Odum, inoltre, è stato reso possibile dalla profonda preoccupazione di Marx stesso per il problema della frattura metabolica tra società umana e l'ambiente naturale, e quindi dal modo in cui il suo lavoro era inserito in una critica ecologica.


In questo contributo, cerchiamo quindi di indicare i fondamenti teorici generali di quella che provvisoriamente indichiamo come una dialettica Marx-Odum nel trattare lo scambio ecologico ineguale – legata a una critica più generale della frattura metabolica del capitalismo (Foster 1999, 2000, Burkett 2006, Foster et al. 2010, Schneider e McMichael 2010, Moore 2011a).[3] Per fare questo è necessario tracciare lo sviluppo teorico sia dello scambio economico ineguale che dello scambio ecologico ineguale dal XIX secolo ad oggi, e mostrare come l'analisi di Odum, pur emergendo dalla scienza fisica, rappresenti un serio tentativo di interfacciarsi con l'analisi marxiana e del sistema-mondo. In questo modo speriamo di contribuire allo sviluppo finale di una più ampia analisi del sistema mondo/sistema Terra.

 

La teoria dello scambio economico ineguale


Sebbene la nostra principale preoccupazione qui sia lo scambio ecologico ineguale piuttosto che lo scambio economico ineguale, il rapporto logico e storico tra i due è così intrecciato da richiedere una breve storia di quest'ultimo. La questione dello scambio economico ineguale, in particolare nelle transazioni internazionali, era un problema intrinseco all'economia politica classica.[4] La maggior parte di quanti principalmente contribuirono all'economia politica classica – Smith, Ricardo, J. S. Mill e Marx – scrisse ampiamente sul colonialismo e sulla questione del saccheggio durante l'epoca mercantilistica di quello che oggi è conosciuto come Terzo Mondo (Winch 1965). Per gli economisti politici liberali, come Smith ([1776] 1937), Ricardo ([1817] 1951) e Mill ([1829-30] 1877), la critica delle pratiche coloniali faceva parte di una difesa teorica generale del libero scambio.


La stessa teoria dello scambio ineguale sorse, ironia della sorte, dalla teoria ricardiana del commercio internazionale (Ricardo [1817] 1951, pp. 128-49). La famosa teoria di Ricardo sui vantaggi comparati nelle relazioni di scambio internazionale è stata originariamente illustrata utilizzando un modello a due settori di produzione, in due paesi: vino e stoffa in Portogallo e Inghilterra. Il Portogallo, nell'esempio di Ricardo, produceva sia vino che stoffa in modo più efficiente, cioè con un tempo di lavoro totale inferiore rispetto all'Inghilterra, e aveva quindi un vantaggio assoluto sull'Inghilterra nella produzione di entrambe le merci. Tuttavia, il Portogallo ha avuto un vantaggio comparato nella produzione di vino rispetto ai tessuti, poiché era più efficiente nella produzione del primo, mentre l'Inghilterra aveva un vantaggio comparato nella produzione di stoffa rispetto al vino. In queste circostanze, entrambi i paesi sarebbero stati migliori, dimostrava, se ciascuno di essi si fosse specializzato nel commercio di quel prodotto in cui era relativamente più efficiente: il vino nel caso del Portogallo, i tessuti in quello dell'Inghilterra. Il risultato sarebbe stato quello di fornire il massimo beneficio in termini di valori d'uso totali prodotti (panno e vino) per entrambi i paesi (si veda Hunt e Lautzenheiser 2011, pp. 119-20). Questa teoria, ripetuta in ogni manuale introduttivo di economia, costituisce ancora la base del commercio internazionale tradizionale.

 

Nel presentare la sua teoria dei vantaggi comparati e del commercio internazionale, Ricardo capovolse il suo abituale punto di vista economico, sviluppando un’argomentazione fondata non sul valore generato nella produzione e sulla formazione dei prezzi di produzione, ma piuttosto sulla domanda e sull’offerta. Basando la sua argomentazione sul presupposto, allora realistico, dell'immobilità internazionale del capitale e del lavoro, Ricardo vedeva il commercio in ambito internazionale come un fattore determinante per la produzione piuttosto che il contrario (Amin 1977a, p. 184). Questa inversione dell'argomentazione dell'economia classica distoglieva l'attenzione dal fatto, ben riconosciuto da Ricardo ([1817] 1951, pp. 135-6), Mill ([1829-30] 1877, p. 2) e Marx ([1861-63] 1979, pp. 107), che la realtà che sta alla base della teoria ricardiana del vantaggio comparato era quella dello scambio ineguale (collegato alla diversa produttività e intensità del lavoro in paesi diversi). Pertanto, lo stesso Ricardo ([1817] 1951, pp. 135-6) riconosceva come parte della sua teoria che il commercio avrebbe avuto come risultato che un paese avrebbe ricevuto meno lavoro in cambio di più lavoro, mentre l'altro paese avrebbe guadagnato più lavoro in cambio di meno, riflettendo la maggiore intensità e produttività del lavoro in un paese rispetto all'altro. «Tutto ciò che questa teoria [la teoria ricardiana dei vantaggi comparati nel commercio internazionale] ci permette di affermare», riassume Amin (1976, pp. 134-5), «è che essendo, in un determinato momento, la distribuzione dei livelli di produttività quella che è, è nell'interesse dei due paesi effettuare uno scambio, anche se è ineguale».


Per Marx – anche se non scrisse il volume previsto sull'economia mondiale e le crisi (cfr. Rosdolsky 1977, p. 12, Lebowitz 1992) e non sviluppò pienamente le sue idee sull'argomento – la realtà dello scambio economico ineguale era ovviamente di grande importanza. «E perfino secondo la teoria di Ricardo,» osservava Marx ([1861-63] 1979, pp. 107), «è possibile che tre giornate lavorative di un paese si scambino contro una giornata di un altro ... In questo caso il paese più ricco sfrutta quello più povero, perfino se quest'ultimo è avvantaggiato dallo scambio, come ha spiegato anche J. St. Mill nelle sue Some Unsettled Questions». Nel commercio internazionale, osserva Marx ([1863-1865] 1989, p. 289-290) nel Capitale, «il paese maggiormente favorito riceve un quantitativo di lavoro superiore a quello che offre in cambio», realizzando così un «sovrapprofitto», mentre, inversamente, il paese più povero «fornisce in natura una quantità di lavoro oggettivato superiore a quello che riceve». Allo stesso modo: «Due nazioni possono scambiare in base alla legge del profitto in modo da trarne entrambe un utile; una delle due viene però sempre abbindolata» (Marx [1857-58], vol. XXX, 1986, p. 467). «Una nazione può costantemente appropriarsi di una parte del pluslavoro dell'altra senza dar nulla in cambio» (Marx [1857-58], vol. XXX, 1986, p. 272). A questo si collegava il fatto che «il saggio del profitto è più elevato in questi paesi [periferici] a causa dell’insufficiente sviluppo della produzione, sia perché con l’impiego degli schiavi e dei coolies ecc. il lavoro viene sfruttato più intensamente» (Marx ([1863-1865] 1989, p. 289-290). Le importazioni più economiche potevano quindi aumentare il saggio di profitto nei paesi metropolitani riducendo i costi di sussistenza o del capitale costante. Era quindi possibile vedere «come un paese possa arricchirsi a spese di un altro» anche in condizioni di libero scambio, e tanto più in presenza di monopoli e relazioni coloniali (Marx [1848] 1973, p. 482; cfr. anche Dobb 1945, pp. 226-7, Rosdolsky 1977, pp. 307-2).


Se Marx ha gettato le basi dell'analisi dello scambio ineguale, si ritiene che l'articolazione di una teoria definita dello scambio ineguale sia emersa con il lavoro del marxista austriaco Otto Bauer, che sosteneva:

Il capitale di una regione più sviluppata ha una composizione organica più elevata, il che significa che in quest’area più avanzata una quantità maggiore di capitale costante corrisponde alla stessa dimensione del fondo salariale (capitale variabile) rispetto all'area arretrata. Ora Marx insegna che, a causa della tendenza alla perequazione del saggio di profitto, non è il lavoro di ciascuna delle due aree a produrre rispettivamente il plusvalore prelevato dai capitalisti di ciascuna area: la totalità del plusvalore prodotto dai lavoratori di entrambe learee sarà ripartita tra i capitalisti di queste due aree non in proporzione alla quantità di lavoro apportata inciascuna, ma in proporzione  alla quantità di capitale investito in ciascuna di esse. Poiché nell'area più sviluppata c'è più capitale per la stessa quantità di lavoro, quest'area si appropria di una quota maggiore del plusvalore rispetto a quella che corrisponderebbe alla quantità di lavoro che ha contribuito... Così, i capitalisti delle aree più sviluppate non solo sfruttano i propri lavoratori, ma si appropriano anche di una parte del plusvalore prodotto nelle aree meno sviluppate. Se consideriamo i prezzi delle merci, ogni area riceve in cambio quanto ha dato. Ma se guardiamo ai valori in gioco, vediamo che le cose scambiate non sono equivalenti. (Bauer [1924] 2000, p. 200; traduzione secondo Emmanuel 1972, p. 175)


L'argomentazione di Bauer si allontanava necessariamente dalla teoria ricardiana del commercio estero basata sull'immobilità internazionale del capitale, puntando sull'uguaglianza competitiva dei tassi di profitto tra regioni o paesi, che potrebbe verificarsi solo sulla base della mobilità del capitale. Questo approccio allo scambio ineguale associato agli effetti della diversa composizione organica del capitale è stato definito «scambio ineguale in senso lato» (Emmanuel 1972, p. 167, Carchedi 1991, pp. 222-5).


L'idea che lo scambio ineguale derivi da differenze nella composizione organica ha ricevuto un notevole sostegno tra gli economisti marxisti, con Henryk Grossman che ha seguito in particolare le linee principali dell'argomentazione di Bauer. Nel Commercio internazionale, Grossman ([1929] 1992, p. 170) sosteneva:

non si basa su uno scambio di equivalenti perché, come sul mercato nazionale, c'è una tendenza all'equiparazione del tasso di profitto. Le merci del paese capitalista avanzato con una composizione organica più elevata saranno quindi vendute a prezzi di produzione superiori al valore; quelle del paesearretrato a prezzi di produzione inferiori al valore.


Questa teoria dello scambio non equivalente ha avuto un ruolo significativo nei dibattiti sovietici sulle relazioni economiche tra paesi sviluppati e sottosviluppati (Preobrazhensky [1926] 1965, pp. 5, 227, 262).


Negli anni Settanta, una teoria diversa ma correlata dello scambio ineguale è apparsa nei lavori di Emmanuel (1972) e Amin (1976, 1977a) che consideravano lo scambio ineguale nella sua denominazione più appropriata non come derivante in primo luogo dalle differenze nella composizione organica tra i paesi, ma piuttosto dalle differenze nei livelli salariali e nei tassi di plusvalore – nei casi in cui le differenze di salario erano maggiori delle differenze di produttività. Per Emmanuel (1972, 167), questa concezione “più ristretta” dello scambio ineguale basato sui salari è stata vista come radicata nella mobilità internazionale del capitale e nell'equalizzazione internazionale dei profitti, insieme all'immobilità internazionale del lavoro. Il trasferimento di valore gratuito o “nascosto” dai paesi ad alto salario a quelli a basso salario è stato visto come un fenomeno che si verifica attraverso il meccanismo dei prezzi (Emmanuel 1972, xxxiii-iv, pp. 91, 160-1, 367, 381-3). L'analisi di Emmanuel prevedeva l'applicazione delle condizioni del libero scambio ed escludeva rigorosamente il monopolio come considerazione. «Per quanto riguarda le azioni dei monopoli, di cui gli autori marxisti parlano tanto, la questione è tanto lontana dal nostro argomento quanto qualsiasi altra forma di saccheggio diretto dei Paesi sottosviluppati da parte di quelli ricchi e forti» (Emmanuel 1972, p. 93).


Il rifiuto da parte di Emmanuel del monopolio e del saccheggio come fattori – dato che il suo obiettivo era quello di dimostrare l'esistenza di uno scambio ineguale anche in condizioni di libero scambio – ha reso la sua teoria meno rilevante dal punto di vista storico e ha portato a uno spostamento verso una teoria più realistica, anche se meno rigorosa dal punto di vista logico, di una teoria dello scambio ineguale. Questo si poteva già vedere nell'ampia tradizione della teoria della dipendenza e del sistema mondiale associata a Baran, Sweezy, Frank e Wallerstein (Brolin 2006, pp. 70-1). È in questo senso più ampio, storico, di scambio ineguale che pensatori marxisti di primo piano come Paul Baran, Paul Sweezy ed Ernesto “Che” Guevara si riferivano allo scambio ineguale nei primi anni Sessanta. Scrivendo nel 1964, Baran e Sweezy (1966, p. 15) spiegavano:

Le relazioni ineguali tra i Paesi sviluppati e quelli sottosviluppati si traducono nell'instaurazione di condizioni di scambio che favoriscono notevolmente i primi a scapito dei secondi. In questo modo viene trasferita ricchezza dai Paesi poveri a quelli ricchi.


Tuttavia, la loro analisi non si è fermata al mero commercio, ma ha sottolineato i molteplici modi in cui le multinazionali monopolistiche hanno creato un flusso netto di eccedenze dai Paesi sottosviluppati a quelli sviluppati. Il Che scriveva di «prezzi imposti ai paesi arretrati dalla legge del valore e dalle relazioni internazionali di scambio ineguale che ne derivano». Il «cosiddetto deterioramento delle ragioni di scambio» non era «altro che il risultato dello scambio ineguale tra i paesi produttori di materie prime e i paesi industriali, che dominano i mercati e impongono l'illusoria giustizia di un uguale scambio di valori». Il Che sosteneva che il «capitale monopolistico» dominava ormai il mondo, imponendo le sue forme più ampie di sfruttamento e di scambio ineguale (Guevara 1997, pp. 291, 302-3).


Per Wallerstein (2004a, p. 28) lo «scambio ineguale» si sviluppa da un sistema di quasi-monopolio che coinvolge Stati centrali «politicamente forti» e le loro società economicamente forti e non è facilmente distinguibile dal «saccheggio».[5] È in questo senso più ampio e storico – estendendo la precedente analisi di Emmanuel basata sul libero scambio per rendere conto di una realtà in cui il monopolio giocava un ruolo centrale – che lo scambio ineguale è diventato una parte generalmente accettata della teoria del sistema mondiale (si veda, ad esempio, Chase-Dunn 1998, p. 59).


La sintesi di queste diverse tradizioni è stata lasciata ad Amin (1976, 1977a, 2010), che ha sottolineato che il lavoro di Emmanuel traeva la sua importanza dall'attenzione alla disuguaglianza salariale globale e al problema del «valore internazionale». Considerando le condizioni storiche attuali in termini di un mondo di «monopoli sempre più generalizzati» (multinazionali monopolistiche), Amin (1977a, 2010, 2012) ha sottolineato la tendenza all'uguaglianza nella composizione organica del capitale (cioè nella produttività) in tutto il mondo, poiché la stessa tecnologia veniva impiegata sempre più spesso ovunque. Questa tendenza era tuttavia accompagnata da disuguaglianze salariali, tassi diseguali di plusvalore e profitti più elevati nella periferia rispetto al centro. Queste condizioni hanno portato a una teoria dello scambio ineguale come trasferimento globale di valore o «rendita imperiale» (Mandel 1975, pp. 343-76, Köhler 1999, 2003, Amin 2010, 2012). Le disuguaglianze commerciali erano accompagnate da numerose altre forme di estrazione di surplus dalla periferia, tutte però radicate in ultima analisi nei differenziali salariali tra il Nord e il Sud del mondo.


Gran parte dell'attuale rendita imperiale rimane mascherata dai tassi di cambio (come indicato dalla differenza tra i tassi di cambio a valore di mercato e a parità di potere d'acquisto) (cfr. Smith 2012). Tuttavia, è possibile dimostrare che lo scambio ineguale è ampiamente misurabile in ordine di grandezza (Amin 1980, 2012, Köhler 2003). Lo scambio economico ineguale/la rendita imperiale si basa in ultima analisi sul fatto che le differenze salariali tra centro e periferia sono maggiori delle produttività, consentendo alle economie del centro di catturare ampiamente il valore creato nella periferia (Amin 1977b, 6, Amin 2012, Smith 2012). Questo incarna caratteristica fondamentale di tutti gli scambi economici ineguali: lo scambio di maggior lavoro in cambio di minor lavoro.

 

La teoria dello scambio ecologico ineguale

 
Così come la teoria dello scambio economico ineguale postulava lo scambio di più lavoro in cambio di meno lavoro, la teoria dello scambio ecologico ineguale aveva come base lo scambio di più valore d'uso ecologico (o prodotto della natura) per un valore inferiore. Lo scambio ecologico ineguale è stato sollevato per la prima volta come una questione importante nel lavoro di Liebig e Marx. Dagli anni '40 agli anni '60 del XIX secolo, il grande chimico tedesco Justus von Liebig introdusse una critica all'agricoltura industriale praticata soprattutto in Inghilterra, definendola una condizione di "Raubbau" o "Raubsystem" (Brock 1997, pp. 177-8), cioè un sistema di rapina o di sovrasfruttamento della terra e dell'agricoltura per conto del nuovo capitalismo industriale che stava emergendo nelle città. Secondo Liebig, le sostanze nutritive elementari del suolo, azoto, fosforo e potassio, venivano rimosse dal terreno e inviate nelle città sotto forma di cibo e fibre, dove finivano per contribuire all'inquinamento invece di essere restituite al suolo. Il risultato era la sistematica sottrazione al suolo dei suoi nutrienti. L'agricoltura inglese, quindi, cercò di compensare questa situazione importando ossa dai cimiteri e dai campi di battaglia d'Europa e guano dal Perù. «La Gran Bretagna», scriveva Liebig,

priva tutti i paesi delle condizioni della loro fertilità. Ha rastrellato i campi di battaglia di Lipsia,Waterloo e della Crimea; ha consumato le ossa di molte generazioni  accumulate nelle catacombe della Sicilia; e ora ogni anno distrugge il cibo per una generazione futura di tre milioni e mezzo di persone. Come un vampiro pende sul petto dell'Europa, e persino del mondo, succhiandone la linfa vitale. (Liebig citato in Mårald 2002, p. 74)


Marx ([1863-1865] 1989, p. 926, [1867] 1989, pp. 75, 218, 551) sviluppò l'approccio di Liebig all’interno di una critica ecologica più sistematica del capitalismo, designando la rapina della terra come «una incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale», o frattura metabolica. Tali condizioni erano, per Marx ([1867] 1989, p. 218), la controparte materiale dell'organizzazione capitalistica del lavoro e della produzione, costituendo l'alienazione del «ricambio organico» fra l'umanità e la terra, cioè della «condizione naturale eterna» dell'esistenza umana.[6]


La frattura metabolica sotto il capitalismo era collegata a uno scambio ecologico ineguale. L'Inghilterra, come principale paese capitalista al centro di un sistema mondiale, affermava Marx, era «la metropoli del latifondismo e del capitalismo in tutto il mondo», attingendo alle risorse del globo, con le nazioni della periferia spesso ridotte a semplici fornitori di materie prime. «Una parte del globo» viene trasformata «in un campo di produzione prevalentemente agricolo [e di materie prime] per rifornire l'altra parte, che rimane un campo preminentemente industriale». Così un'intera nazione, come l'Irlanda, poteva essere trasformata in «pura e semplice terra da pascolo che fornisce carne e lana ai prezzi più bassi possibili for the english market». In effetti, l'Irlanda fu ridotta con i mezzi dell'imperialismo a «mero distretto agricolo dell'Inghilterra, che si dà il caso sia diviso da un ampio tratto d'acqua dal paese per il quale fornisce mais, lana, bestiame e reclute industriali e militari». Il conseguente «uso improprio» di «certe porzioni del globo» nella periferia del sistema è così determinato dagli imperativi dell’accumulazione del centro (Marx ed Engels 1975, pp. 720, Marx [1867] 1989, pp. 579-80, 860, [1863-1865] 1989, pp. 753, 949, Clark e Foster 2012, p. 70). Marx ([1867] 1989, p. 766, nota 186) ha illustrato l'assoluta rapina che comporta l'appropriazione delle ricchezze naturali di un paese da parte di un altro, affermando: «L'Inghilterra ha esportato indirettamente il suolo irlandese da un secolo e mezzo senza concedere ai suoi coltivatori fossero anche soltanto i mezzi per reintegrare le parti costituenti del suolo».[7] Come Liebig, Marx sottolineava il fatto che l'Inghilterra fosse costretta a importare guano in quantità massicce dal Perù (in un sistema mondiale di sfruttamento che prevedeva anche l'importazione di manodopera cinese per scavare il guano) per compensare la perdita di sostanze nutritive nei campi inglesi (Clark e Foster 2012).


Marx vedeva la produzione come un flusso di valori d'uso materiali e di valori di scambio o, semplicemente, di valori. Egli usò il termine «ricambio organico» (Stoffwechsel) per riferirsi allo scambio materiale (lo scambio di materia-energia) che accompagna sempre lo scambio monetario di valore (Marx [1879-80] 1974, p. 209). Tale scambio materiale era associato alla produzione di valori d'uso, che rappresentano le condizioni materiali della produzione in generale, in contrapposizione al valore di scambio (valore). Un «valore d'uso» sociale è letteralmente per Marx ([1867] 1989, p. 215) un «materiale naturale appropriato a bisogni umani mediante cambiamento di forma». È questo duplice aspetto della sua analisi – materiale-fisico e legato al valore – che ha permesso a Marx di percepire le contraddizioni tra valore d'uso e valore di scambio e tra processo di accumulazione e condizioni naturali-materiali (Marx [1879-80] 1974, pp. 208-10). Nella teoria marxiana, ciò è stato inteso come un duplice problema del valore: il «problema del valore qualitativo» e il «problema del valore quantitativo» (Sweezy 1942, pp. 23-55). Lo scambio economico ineguale riguarda principalmente un problema di valore quantitativo legato alle relazioni di scambio-valore (e una rottura di questo a livello internazionale), mentre lo scambio ecologico ineguale riguarda principalmente le relazioni di valore d'uso e la ricchezza reale (comprese le contraddizioni tra valore d'uso e valore di scambio).[8]


Marx ([1867] 1989, p. 218) sottolineava che la produzione umana impiegava ancora «quei mezzi di produzione che esistono per natura, che non rappresentano nessuna combinazione di materiale naturale e di lavoro umano». Questi prodotti diretti della natura, il risultato della natura, erano trattati nel capitalismo, sottolineava (seguendo gli economisti politici classici che lo avevano preceduto), come “doni gratuiti” che non entravano nel processo di valorizzazione del sistema.


Coerentemente con ciò, Marx tracciava una distinzione tra la “ricchezza” reale, alla quale contribuivano sia la natura che il lavoro, e il valore, in cui si tiene conto solo del lavoro (Marx [1875] 1938, p. 3, [1867] 1976, p. 134, Foster et al. 2010, pp. 61-4).[9] È stata la natura intrinsecamente unilaterale del calcolo del valore della produzione capitalistica a portare alla rapina della natura, cioè l'incapacità di provvedere al pieno “ripristino” di ciò che era stato sottratto dalla terra. «La produzione capitalistica», scriveva, «sviluppa quindi la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio». (Marx [1867] 1989, pp. 552-553).


Studi recenti (Burkett e Foster 2006, 2008, Wendling 2009) hanno mostrato in che misura Marx abbia integrato la sua analisi economico-politica con la nuova concezione della termodinamica apparsa ai suoi tempi, come si evince dalle sue argomentazioni sul metabolismo.[10] Non sorprende, quindi, che la maggior parte delle prime forme di economia ecologica siano state fortemente indebitate con Marx (Martinez-Alier 1987).


La trattazione di Marx dello scambio ineguale, dell'imperialismo e della frattura metabolica globale ha fatto sì che la nozione di scambio ecologico ineguale emergesse periodicamente nell'economia politica marxiana, sebbene il suo ruolo all'interno della critica marxiana fosse minore prima degli anni Settanta. Per Galeano (1973, p. 72), la produzione era così organizzata in America Latina coloniale e neocoloniale da costituire «un setaccio per il drenaggio delle ricchezze naturali» a vantaggio dei colonizzatori. Emmanuel (1976) ha sostenuto che i paesi capitalisti avanzati stavano consumando i beni comuni ecologici, liberandosi «dei propri rifiuti scaricandoli in mare o nell'aria», il che era possibile perché erano «gli unici a farlo» (pp. 72-3). Amin (1977a, p. 212) ha commentato esplicitamente «tutta una serie di “scambi ineguali”» legati a fattori ecologici che si affiancano allo scambio ineguale di lavoro. Tali «altre forme di scambio ineguale» erano per Amin (1977a, p. 212) cruciali per comprendere il ruolo che l'estrazione di risorse naturali dalla periferia svolgeva nell'analisi complessiva dell'imperialismo:

Il sistema capitalistico si avvale delle forme di appropriazione precapitaliste presenti nei paesi della periferia per non pagare il mantenimento della terra. La distruzione sistematica distruzione sistematica dei suoli è un fattore importante di impoverimento a lungo termine per i Paesi dipendenti. (Amin 1976, p. 154)


Se l'economia politica marxiana ha portato naturalmente a teorie di scambio ecologico ineguale, quella che viene generalmente considerata la tradizione “malthusiana” (legata in particolare alla capacità di carico) ha generato un approccio per molti versi sovrapponibile.[11] Nel 1965, Georg Borgström, scienziato dell'alimentazione presso la Michigan State scienziato dell'alimentazione presso la Michigan State University, pubblicò il libro The hungry planet, che dedicava un capitolo a quella che chiamava «superficie fantasma». Ciò che ha permesso ad alcuni paesi di sfruttare al massimo la loro terra disponibile o la loro base ecologica è stata l'importazione di cibo da altre parti, da altri paesi o dal mare. Questi «ettari fantasma» hanno permesso a paesi ricchi, come i Paesi Bassi, di sviluppare una densità di popolazione e una produzione industriale pur disponendo di una base agricola inadeguata (e hanno permesso loro di attingere a prodotti tropicali). Nei paesi più poveri, nel frattempo, dedicare questa «superficie fantasma» alla produzione per l'esportazione nei paesi ricchi ha ridotto la superficie alimentare disponibile per la sussistenza locale (Borgström 1965, pp. 74-90, Catton 1982, pp. 38-44). L'idea degli «ettari fantasma» in termini di terra, secondo Borgström (1965, pp. 74-5), mirava a fornire un «indicatore commisurato» con cui registrare l'uso ecologico. Pertanto, egli si preoccupava di «elaborare metodi in base ai quali l'uso di fertilizzanti commerciali e gli apporti energetici» utilizzati in agricoltura potessero essere «calcolati in termini corrispondenti e aggiunti alle superfici fantasma». Questo approccio può essere considerato un precursore dell'analisi dell'impronta ecologica.


All'interno della sociologia, la questione dello scambio ecologico ineguale è spesso vista come portata alla ribalta dallo studio di Bunker (1985) Underdeveloping the Amazon: extraction, unequal exchange, and the failure of the modern state. Bunker ha cercato di incorporare il “modo di estrazione” come controparte del “modo di produzione”. Lo scambio ineguale di energia e materiali avviene a scapito delle economie estrattive o delle “periferie estreme”. «Ci sono», egli scrive,

molteplici disuguaglianze negli scambi internazionali. Una, certamente, deriva dalla differenza dei salari del lavoro. Un'altra, tuttavia, è nel trasferimento del valore naturale delle risorse grezze dalla periferia al centro… I flussi di energia verso l'esterno e l'assenza di legami consumo-produzione si combinano con l'instabilità della domanda esterna e con l'esaurimento delle risorse naturali specifiche del sito per impedire l'immagazzinamento dell'energia in forme fisiche e sociali utili nella periferia, lasciandola sempre più vulnerabile al dominio delle formazioni sociali ad alta intensità energetica del centro. Infine, se le risorse non si rinnovano naturalmente, l'ineguaglianza dello scambio è intensificata dalla perdita di risorse e dall'interruzione dei flussi energetici naturali associati nella periferia stessa. (Bunker 1985, p. 45)

 
Chase-Dunn (1998, 234) ha considerato l'analisi di Bunker come un punto di svolta nello sviluppo di una teoria dello scambio ecologico ineguale, osservando:

I valori d'uso vengono persi dalla regione [sottosviluppata ed estrattiva] sia attraverso l'esportazione delle risorse sia attraverso la distruzione degli ecosistemi da cui vengono estratte. Lo scambio ineguale di lavoro è accompagnato da uno scambio ineguale di materia ed energia.


Tuttavia, nonostante le intuizioni di analisti così diversi, è rimasto il problema di sviluppare un approccio teorico ed empirico coerente con la questione dello scambio ecologico ineguale. Alcuni teorici del sistema mondiale (ad esempio, Frank 2006) hanno utilmente sostenuto che il sistema mondiale dominante del XIX secolo era una struttura dissipativa che imponeva entropia alla sua periferia. Ma mancavano quadri concettuali chiari che illustrassero e rendessero operativo questo concetto.


Una svolta importante è arrivata con lo sviluppo dell'analisi dell'impronta ecologica negli anni Novanta (Rees 1992, Wackernagel e Rees 1996). L'impronta ecologica è stata concepita come l'inverso della vecchia nozione di capacità di carico dell'ecologia. Invece di chiedersi, come nell'analisi della capacità di carico, quanta popolazione o quanto carico ambientale una particolare unità di terreno sarebbe in grado di sostenere, l'impronta ecologica ha invertito la domanda, chiedendo quanta terra fosse necessaria per sostenere un particolare carico ambientale, o una determinata popolazione con un determinato consumo pro capite. La terra, misurata in ettari, è diventata quindi una misura comune per l'entità dei servizi ambientali che sono serviti a fornire un determinato livello di consumo su una base indefinita.


L'analisi dell'impronta ecologica ha facilitato le indagini sugli impatti ecologici delle nazioni cogliendo l'impronta più ampia che si estende oltre i confini nazionali (York et al. 2003). Ciò ha permesso di determinare la misura in cui una determinata regione o un determinato paese ha superato il proprio territorio/le proprie risorse, registrando un deficit o uno scoperto ambientale – o, in alternativa, uno «spostamento del carico ambientale» – rispetto al resto del Pianeta (Wackernagel e Rees 1996, pp. 48-55, Hornborg 2011, pp. 14-20). Fornendo una base, per quanto limitata, per misurare il consumo ecologico dal livello individuale fino al sistema mondiale, l'analisi dell'impronta ecologica, come ha insistito Amin (2009), ha reso possibile una critica più incisiva dell'accumulazione capitalistica fondata sul valore d'uso.


L'impronta ecologica ha ispirato una notevole ricerca empirica, soprattutto in ambito sociologico, direttamente finalizzata alla valutazione degli scambi ecologici ineguali (ad esempio Jorgenson 2006, Rice 2007, Lawrence 2009, Jorgenson et al. 2009, Jorgenson e Clark 2009, 2012, Bonds e Downey 2012). L'analisi dell'impronta ecologica dimostra che le impronte più grandi sono principalmente una funzione dello sviluppo economico e non corrispondono alle capacità di carico ecologico di determinate nazioni. I paesi più sviluppati hanno impronte ecologiche più grandi ma un minore degrado ambientale interno ai loro confini, mentre i paesi meno sviluppati hanno impronte più piccole e un maggiore degrado ambientale all'interno dei loro confini (Jorgenson 2006, p. 686). L'ovvia spiegazione di queste sproporzioni nell'impatto ambientale è che i paesi a capitalismo centrale fanno grande affidamento sull'importazione di risorse dai paesi della periferia e si impegnano in varie forme di esternalizzazione della produzione e di spostamento del carico ambientale (Rice 2007, p. 1370).


Tuttavia, sebbene sia utile per dimostrare l'impatto ecologico disomogeneo delle nazioni, in termini di carichi ambientali che richiedono per sostenere i loro consumi e l'appropriazione diseguale dello spazio ambientale globale, l'impronta ecologica non misura di per sé gli scambi materiali effettivi, il trasferimento del valore d'uso o le origini spaziali dei beni consumati (Jorgenson 2006, p. 689, Rice 2007, p. 1373).[12] Gli analisti del sistema mondiale e i sociologi dell'ambiente che si occupano di scambi ecologici diseguali hanno quindi cercato di collegare i punti, utilizzando dati basati sui prezzi per dimostrare che i paesi meno sviluppati con un livello relativamente più alto di esportazioni verso i paesi sviluppati hanno, allo stesso tempo, impronte ecologiche più piccole e subiscono un degrado ambientale sproporzionato. In queste analisi si presume, sulla base dell'esperienza storica (cfr. Jorgenson 2006, p. 691), che le esportazioni dalla periferia siano fortemente ponderate sulle esportazioni di risorse naturali. Tuttavia, i dati basati sui prezzi utilizzati in ampi studi transnazionali non consentono in genere di disaggregare i tipi (caratteristiche fisiche) di beni scambiati, mentre le esportazioni del Sud globale sono sempre più basate sul settore manifatturiero, mettendo in discussione questa ipotesi. L'intera argomentazione si basa su ampie deduzioni dalle relazioni di prezzo senza una considerazione diretta dei trasferimenti di ricchezza reale.


In effetti, la teoria dello scambio ecologico ineguale emersa da questi studi è stata elaborata in modo un po' drastico per adattarsi ai dati empirici disponibili. Sebbene i recenti studi di sociologia ambientale e di economia ecologica indichino con forza l'esistenza di uno scambio ecologicamente ineguale, vi sono seri problemi sia a livello di analisi empirica sia, soprattutto, di teoria sottostante. Gli approcci esistenti si sono basati su dati in cui il contenuto ecologico (o fisico) dei beni è sconosciuto e le misure quantitative sono in termini di prezzi piuttosto che di beni. Di conseguenza, nella maggior parte degli attuali studi empirici sugli scambi ecologicamente diseguali, viene rivelato ben poco sulla natura ecologica dello scambio stesso – in termini di materia, energia, risorse, ecc. La teoria, che si basa su questi dati empirici, è vaga e approssimativa, trae ampie generalizzazioni sullo spostamento del carico ambientale, ma non riesce a confrontarsi direttamente con quello che logicamente costituirebbe l'elemento centrale di qualsiasi teoria dello scambio ecologico ineguale: lo scambio di maggiore per minore ricchezza ecologica. Ad esempio, Jorgenson (2006, 691) ci dice in modo indiretto ciò che già sappiamo:

che i paesi sviluppati con livelli più elevati di consumo di risorse esternalizzano i loro costi ambientali basati sul consumo verso i paesi meno sviluppati, aumentando i livelli di degrado ambientale all'interno di questi ultimi ... La maggior parte delle materie estratte, dei prodotti agricoli e dei beni prodotti [nei Paesi sottosviluppati] viene esportata e consumata nei Paesi più sviluppati.


Nonostante la natura pionieristica di tali analisi, qui impariamo poco o nulla sui processi coinvolti o sulla reale portata dello scambio ineguale. In breve, le analisi standard dell’“ineguale scambio ecologicamente” dipendono in larga misura dall'analisi dell'impronta ecologica, derivante dalle nozioni tradizionali di capacità di carico. A ciò si affianca un esame delle relazioni commerciali in termini di prezzo (soprattutto per quanto riguarda la direzionalità degli scambi). Tutto ciò rappresenta un tentativo di stabilire correlazioni di massima – in contrapposizione a un esame storico-teorico delle strutture e dei processi di scambio ecologico ineguale all'interno del sistema mondiale. Nonostante il fatto che i concetti di scambio economico ineguale e di scambio ecologico ineguale siano entrambi nati dalla teoria classico-marxiana, non c'è un ricorso diretto all'analisi classico-marxiana, al di là delle allusioni inconsistenti di Bunker (1985, pp. 34-37, 44-45), che rifiuta la teoria del valore-lavoro (insieme alla teoria neoclassica) a favore di una teoria indefinita del “valore naturale”. Come critica, la prospettiva standard dello scambio ecologico ineguale rimane quindi teoricamente non sviluppata, non riuscendo a fare pieno uso della distinzione cruciale tra valore d'uso e valore di scambio della prospettiva classica marxiana basata sul valore.


Il principale ostacolo che si pone all'analisi empirica in questo ambito teorico è ovviamente il problema dell'incommensurabilità: la mancanza di una misura comune (Martinez-Alier 2002, pp. 216-7) al di là del prezzo. Il problema nel concepire i processi di scambio ineguale, come ha detto Hornborg (2006, p. 171), è che

la maggior parte delle statistiche commerciali sono in unità monetarie, piuttosto che in tempo di lavoro investito, energia, o ettari... Se l'energia investita (Odum e Arding 1991) o gli ettari (Wackernagel e Rees 1996) venissero contati al posto dei dollari, l'importanza delle importazioni dal Sud sarebbe riconosciuta come molto più importante di quella suggerita dalle misure monetarie.


In sostanza, il problema diventa la mancanza di una un’unità di misura comune (o di una serie di misure comuni correlate) con cui iniziare ad analizzare lo scambio ecologico ineguale. È qui che l'analisi di Odum acquista significato.

 

Odum e l'analisi della ricchezza reale

 
Howard Odum e suo fratello maggiore Eugene Odum sono generalmente considerati i principali ecologi dei sistemi della fine del XX secolo, avendo in gran parte creato il campo (Hagen 1992, pp. 122-145). Sono stati coautori di The fundamentals of ecology, il testo fondamentale dell'ecologia dei sistemi, che «ha creato una generazione di ecologi dell'ecosistema – distinti dagli ecologi vegetali e dagli ecologi animali – preparati mentalmente e tecnicamente a dare il proprio contribuito a decenni di ambientalismo» (Golley 1993, p. 69). Quello che in precedenza era un campo ristretto e tecnico è stato introdotto nella corrente principale dell'analisi biologica (Hagen 1992, p. 126). Al centro del loro lavoro c'era il ricorso al concetto di metabolismo per riferirsi a tutto livelli biologici dalla cellula all'ecosistema (Odum 1969).[13]


Negli ultimi decenni della sua vita, dal 1983 al 2002, Howard Odum ha sviluppato un metodo per misurare il lavoro totale degli ecosistemi incorporati nelle merci risultanti dai processi economici ed ecosistemici. Ciò ha fornito un modo per calcolare l'entità della ricchezza naturale (in termini energetici) scambiata fra i paesi o la perdita della dotazione naturale di un paese a causa del commercio di materie prime. Ha chiamato questo lavoro incarnato nell’ecosistema – misurato in termini di energia richiesta per produrre o mantenere una merce, una risorsa naturale o un intero sistema economico nazionale – emergia (scritto con la m). L'emergia era quindi concepita, nella concezione di Odum, per fornire un’unità di misura energetica comune per misurare la ricchezza reale/i valori d'uso.


Per Odum (2007, p. 276), lo scambio ecologico ineguale sorge come risultato del «capitalismo imperiale». Le relazioni commerciali, è stato dimostrato, hanno portato alcuni paesi a scambiare più emergia (energia incorporata) con meno. Date le grandi disuguaglianze negli scambi ecologici, era impossibile per i paesi periferici promuovere uno sviluppo a lungo termine che fosse sia ecologicamente sostenibile che basato sulle esportazioni fintanto che persistevano relazioni commerciali ecologiche ineguali. L'analisi è stata costruita con una stretta attenzione analitica alla teoria marxiana del valore e alle teorie marxiane dello scambio ineguale, che sono state utilizzate come modi per arrivare alle considerazioni in qualche modo parallele dell'analisi emergetica.


Odum ha chiarito, ripetendolo in più occasioni (ad esempio, Odum e Arding 1991, p. 109), che non stava tentando di costruire una teoria energetica del valore economico. Piuttosto, in un modo un po' parallelo alla teoria di Marx, l'analisi ha indicato circuiti di valore d'uso materiale e valore di scambio (valore astratto) che erano in relazione contraddittoria l'uno con l'altro (valore economico che si muoveva in un flusso circolare, energia/emergia all'interno di un sistema termodinamicamente aperto) – con conseguente depredazione della terra e incapacità di provvedere alla sostituzione della ricchezza ecologica perduta in un sistema dominato dall'accumulazione di valori-lavoro.[14]


La chiave della teoria di Odum sullo scambio ecologico ineguale era il concetto di emergia. La terminologia riguardo all’emergia (emergy, transformity, empower, emvalue e emdollar) e le innovazioni concettuali che la accompagnano sono state introdotte da David Scienceman in collaborazione con Odum, a partire dal 1983, in seguito allo studio di Scienceman su Systems ecology di Odum (1983). La motivazione originale per ideare la nuova terminologia era quella di evitare confusioni che erano sorte nella teoria di Odum (1983, pp. 251-68) attraverso il suo uso del concetto di «energia incorporata» – una nozione che consentiva numerose interpretazioni e sembrava in conflitto con il modo in cui il concetto di energia era comunemente usato nella scienza per riferirsi all'energia disponibile o all'exergia (Scienceman 1995, p. 253). Inoltre, il concetto di «energia incorporata» era spesso fonte di confusione, in quanto «incorporata», nel senso in cui lo usava Odum, significava qualcosa di più simile agli effetti di una gelatina che viene assorbita in un corpo che a un proiettile, cioè l'energia veniva utilizzata e dissipata (p. 253). L'idea essenziale dell'«energia incorporata» di Odum era quella dell'energia passata, non più fisicamente presente nella stessa forma o grado, che era entrata nella creazione di un oggetto o prodotto – un approccio più o meno analogo al concetto di valore di Marx come derivante da input di lavoro datati. Tutto ciò ha portato all'introduzione della categoria di emergia. Come ha spiegato Odum (1995, p. 318):

Nel 1983, il termine EMERGY, scritto con una 'M', fu suggerito da David Scienceman per il nostro concetto [di energia incorporata] e emjoule o emcalorie come unità... L'EMERGIA è definita come l'energia di un tipo richiesta direttamente e indirettamente per produrre un servizio o un prodotto... Ad esempio, la produzione di piante verdi può essere espressa in emjoule solari, che include l'energia solare necessaria per fornire tutti gli input all'impianto, come pioggia, vento, sostanze nutritive, lavoro impiegato per la coltivazione, semi e così via.


In sostanza, l’«EMERGY, misura della ricchezza reale, è il lavoro precedentemente richiesto per generare un prodotto o un servizio» (Odum 1996, vii). La “m” in emergia doveva simboleggiare la memoria energetica, o il fatto che si trattava di un sistema di contabilità finalizzato agli input totali di energia nel tempo (Scienceman 1987, p. 262).


L'analisi dell'emergia mirava a un metodo che prendesse le varie forme di energia utilizzate per la realizzazione di un prodotto o servizio e le trasformasse in «unità di un tipo». Fondamentale per questo era il concetto di «transformity», definito come «l'EMERGIA di un tipo necessaria per formare un'unità di energia di altro tipo» (Odum 1991, p. 114; si veda anche Odum 1996, pp. 13, 289, Odum 1995, p. 317, Odum e Arding 1991, p. 99), solitamente misurata in emjoule solari. «Poiché la valutazione di EMERGY riconduce ciò che era necessario per un prodotto a una forma comune di energia, è un modo per mostrare come si confrontano i requisiti per diversi prodotti» (Odum e Arding 1991, p. 100).


I beni con una maggiore transformity rappresentano input datati di emergia (compresa l'entropia o l'energia dissipata) che sono stati utilizzati per la loro produzione. Una maggiore transformity era associata all'emergere, a livelli di produzione più elevati, di prodotti più utili, cioè in forme più accessibili agli esseri umani. Non si può mangiare la luce del sole o il petrolio greggio, ma si possono mangiare patate coltivate col contributo di tali fonti di energia.[15] Così «il lavoro aumenta l'utilità dell'energia, mentre degrada e disperde parte di quell'energia» (Odum 1995, p. 317).[16] Ad esempio, è noto che occorrono circa quattro calorie di carbone per generare una caloria di energia elettrica, il che conferisce all'elettricità «una maggiore transformity», associata a una maggiore utilità e a una qualità superiore, anche se l'energia disponibile è stata persa nel processo (Odum e Odum 2001, p. 68, Odum 1996, p. 289).


Il concetto di emergia di Odum e la sua nozione di transformity sono particolarmente debitori nei confronti dello sviluppo del principio di massima potenza come legge della termodinamica da parte di Lotka (1925). Tuttavia, poiché Lotka non specificava i principi dei sistemi basati sulle qualità dell'energia, Odum modificò l'affermazione di Lotka di questo principio ponendo «l'energia di ciascun livello su una base comune usando il concetto di “empower”» (o potenza come rappresentazione dei livelli superiori di transformity dell’energia). «I sistemi prevalenti», dichiarava, «sono quelli i cui progetti massimizzano l’empower rafforzando l'assunzione di risorse all’optimum di efficienza» (Odum 1996, p. 26, corsivo aggiunto)».[17] I sistemi devono operare secondo principi dettati dalla «gerarchia energetica universale» che «fornisce le trasformazioni per correlare quantitativamente l'energia di una scala con quella di un'altra» (Odum 1996, p. 34).

 

Odum e Marx: verso una sintesi dialettico-ecologica

 

Il significato dell'analisi di Odum emerge in modo più completo dal confronto con Marx. In un caso straordinario di fecondazione incrociata di idee fra scienze fisiche e scienze sociali, Odum e Scienceman hanno sviluppato il quadro dell’emergia-transformity mentre conducevano un'indagine pluridecennale sull'economia politica marxista, in particolare sulla teoria del valore-lavoro. La stretta connessione fra la critica ecologica di Odum e l'economia politica marxiana si riflette nella sovrapposizione delle critiche all'economia mainstream (oggi neoclassica) e alla sua teoria soggettiva del valore.


Odum e Scienceman consideravano l'analisi dell’emergia come una forma di contabilità della ricchezza reale (ecologica) e utilizzavano il concetto di «valore dell’emergia» o «emvalore» per distinguere questo approccio dalla teoria del valore-lavoro o «lavalue» (che vedevano come una teoria del valore correlata, "donatrice" o basata sulla produzione, connessa ad un input energetico - il lavoro), così come da altre forme economiche di valore (Scienceman 1992). «Nella terminologia di Odum», scrive Scienceman (1992, p. 6), «il valore d'uso, essendo la forma corporea di una merce, si riferirebbe al valore (emvalue) nel contenuto di energia solare». In altre parole, il valore emergetico (o emvalue) si riferiva al valore d'uso o al «valore reale» (ricchezza reale). Non doveva essere confuso con il valore economico o monetario (Scienceman 1989). Odum (2001, p. 40) si riferiva all’emvalue come a «un secondo valore, il contributo della ricchezza reale, il modo di usare la ricchezza reale», distinto dal «valore di mercato» o valore economico. «L'emergia», sottolineava, «misura il valore naturale – la ricchezza reale» (Odum 2001, p. 112). Non solo il denaro non è una misura della ricchezza reale, ma la relazione è spesso «inversa»: i prezzi «sono più bassi quando i contributi [ecologici] sono maggiori» (Odum 1991, p. 90). L'intera analisi puntava a una nozione di «emvalue in una gerarchia di valore aggiunto» che assomigliava all'analisi di Marx, ma era invece orientata alla ricchezza reale, vista come in contraddizione con il valore-lavoro (o dei servizi umani) che sta alla base dell'economia capitalistica (Scienceman 1987, p. 269).


Odum ha visto un grande significato nel fatto che Marx collegasse il suo approccio al valore del lavoro con la termodinamica, che si stava sviluppando ai suoi tempi e che fu integrata nella sua teoria (Burkett e Foster 2006). Lo stesso Marx ([1867] 1967, p. 215; anche Scienceman 1992, p. 36) scrisse: «La creazione di valore è la trasformazione della forza-lavoro in lavoro. La forza-lavoro stessa è energia trasformata in un organismo umano mediante la materia nutritiva». Per Odum, la teoria di Marx era un tentativo di spiegare la creazione di ricchezza/valore nel capitalismo in termini di trasformazioni di energia attraverso il lavoro astratto. Il lato più fisico o del valore d'uso dell'analisi di Marx era visto come avente un carattere energetico o ecologico.[18] Così il lavoro astratto nella teoria di Marx era rappresentato da Odum e Scienceman, seguendo Heilbroner, come «appesantito da un qualche calcolo non ancora adeguatamente spiegato», che per Odum e Scienceman rappresentava chiaramente il suo emvalue (Scienceman 1989, p. 62, Odum e Sciemenan 2005, p. 17, Heilbroner 1988, p. 132). Il «concetto di valore del lavoro» di Marx, visto da questa prospettiva, era un valore “donatore” simile al “valore-emergia”. Marx vedeva il valore come «derivante dalle ore umane impiegate»; Odum vedeva il «valore-emergia [come] derivato dagli apporti di risorse» (Odum e Scienceman 2005, p. 23). In entrambi i casi, l'attenzione era rivolta alla produzione (naturale e sociale).


A questo punto è fondamentale sottolineare che una certa ambiguità rimaneva nell'interpretazione di Odum dell'analisi economica di Marx in termini di fisica/energetica. A volte egli (e Scienceman) criticavano la teoria del valore di Marx perché non era una sorta di fisica pura – come se le forme economiche storiche potessero essere ridotte direttamente all'energetica alla maniera di Podolinsky, che Engels aveva criticato (Marx ed Engels 1975b, vol. 46, pp. 410-2, Podolinsky [1883] 2008, Burkett e Foster 2008, pp. 131-40). Più spesso, Odum sembrava riconoscere che la distinzione di Marx tra valore (valore di scambio) e ricchezza (valore d'uso), e la contraddizione che questa rappresentava per il capitalismo, costituiva la vera forza della teoria di Marx. In effetti, questa stessa contraddizione è stata ripetutamente sollevata nell'analisi dello stesso Odum, che ha contrapposto la ricchezza reale al valore di scambio e ne ha fatto il punto di forza della sua critica all'economia neoclassica.


Come indicato in precedenza, la riduzione da parte di Odum delle distinzioni qualitative/di scala rispetto alla gerarchia energetica a un'unica metrica comune (l'emergia), per quanto utile nell'analisi dello scambio ineguale, si presta anche al riduzionismo se porta a ignorare altre dimensioni della natura/realtà. Per la vita non esiste un'unica metrica. Perciò Martinez-Alier (2002, 218) ha ragione nel mettere in guardia sul fatto che l'uso di un concetto «come quello di emergia», a parte le difficoltà intrinseche

di calcolo e applicazione, renderebbe conto solo di un aspetto del legame tra l'estrazione delle risorse e l'ambiente. Il punto importante non è la difficoltà di calcolo. Il punto essenziale, come argomentato in precedenza, è che l'incommensurabilità si applica non solo al valore monetario, ma anche al riduzionismo fisico. È possibile ridurre la “biopirateria” a calcoli energetici?


È naturalmente impossibile misurare appieno l'impatto in termini energetici/emergetici dell'estinzione di una singola specie, come il rospo dorato ** o la tigre di Giava.


Tuttavia, tenendo conto di queste riserve, è chiaro che l'approccio concettuale offerto dalla teoria dei sistemi ecologici ha molto da offrire. Bisogna diffidare del riduzionismo energetico, ma i flussi di energia sono comunque fondamentali per sviluppare un approccio globale agli scambi ecologici ineguali. L'ecologia dei sistemi di Odum, pur essendo discutibile per il riduzionismo che talvolta ha incoraggiato, è troppo rivelatrice in termini scientifici per essere ignorata.


La forza dell'approccio di Odum si rivela nel suo profondo impegno con l'economia politica marxiana. In una lettera scritta a Engels il 6 luglio 1863, Marx fornì un diagramma (che definì «Tavola Economica») dei suoi schemi di riproduzione della produzione capitalistica, distinguendolo dal “Tableau économique” di Quesnay (Marx ed Engels 1975a, p. 136). Odum e Scienceman hanno tradotto questo diagramma degli schemi di riproduzione di Marx in un diagramma del linguaggio dei sistemi energetici (Scienceman 1992, p. 28). Hanno poi sviluppato un'analisi approfondita dell'economia politica di Marx, trasponendo la sua visione sistemica dell'economia capitalistica in un linguaggio/diagrammi/equazioni dei sistemi-emergia e modellandolo in condizioni diverse (ad esempio, stato stazionario, riproduzione espansa), eseguendo varie simulazioni al computer. Questo aspetto è stato sviluppato in modo più completo nel capitolo di ventisei pagine An energy systems view of Karl Marx's concepts of production and labor value (Odum e Scienceman 2005). Secondo questa visione, «Marx stava fondamentalmente cercando di introdurre una scala di trasformazione del lavoro [per spiegare l'economia capitalistica], basata su una fonte intermedia (l'energia del lavoro) piuttosto che su una fonte originaria (l'energia solare)» (Scienceman 1989, p. 64).


Sebbene sia chiaro che Odum e Scienceman non possono essere considerati marxisti nella loro visione complessiva del mondo, la loro ricerca sul sistema marxiano è stata approfondita, andando oltre il Capitale di Marx e approfondendo la più ampia trattazione marxiana della teoria del valore, della trasformazione dei valori in prezzi di produzione, degli schemi riproduttivi, dello scambio ineguale e del ruolo della natura nella produzione capitalistica. In questo processo hanno analizzato il lavoro di pensatori come Amin (1976), Becker (1977), Carchedi (1984, 1987, 1988), Cleaver (1979), Foley (1986), Goodwin e Punzo (1987), Heilbroner (1988), Howard e King (1976, 1985), Krause (1982), Lonergan (1988), Martinez-Alier (1987), Morishma (1973), Rubin ([1928] 1972), Samuelson (1957), Seton (1957) e Wolff (1984).[19]


Marx, osservano Odum e Scienceman (2005, p. 31; Scienceman 1992, p. 36), aveva stabilito che tutta la produzione si basava sulla natura e sull'energia, fonti ultime della ricchezza. Tuttavia, in un'economia capitalista, come quella descritta da Marx, la “regione” dei valori-lavoro definiva il regno della produzione di merci. Il capitalismo, nelle sue relazioni di valore, escludeva quindi la natura (indipendente dal lavoro) come fonte di valore (Scienceman 1989, p. 63). In questo caso Odum e Scienceman sembrano aver accettato la teoria del valore-lavoro come operante nella “regione” dell'economia capitalistica nel modo descritto da Marx, pur sostenendo (come Marx stesso) che il regno della ricchezza reale era molto più ampio, comprendendo il lavoro della natura (emvalue).


Per Marx, il valore nel sistema di contabilità economica che caratterizzava il capitalismo era il risultato dell'aggiunta di lavoro (o nel sistema di Odum l'aggiunta di servizi umani) a ciò che la natura aveva già fornito gratuitamente. Come abbiamo visto, Marx, come gli economisti classici che lo hanno preceduto, si riferiva alla produzione della natura stessa, indipendente dal lavoro, come a un «dono gratuito» al capitalismo, in quanto non entrava nel valore aggiunto (economico) del sistema (Foster et al. 2010, pp.61-65, Odum e Scienceman 2005, p. 31). Per Marx ([1867] 1976, p. 638), tuttavia, questa era una contraddizione del sistema stesso, che costituiva una forma di rapina o di sovrasfruttamento (Raubbau) – che generava una frattura metabolica.


Nell'economia politica classica, la contraddizione tra valore d'uso e valore di scambio era comunemente vista sotto forma del famoso paradosso di Lauderdale (dal nome del conte di Lauderdale, economista classico), secondo il quale l'espansione della ricchezza privata si basava in larga misura sulla distruzione della ricchezza pubblica. Ad esempio, la distruzione di alcune colture da parte dei proprietari terrieri per gonfiare artificialmente i loro prezzi di mercato rappresentava la spoliazione della ricchezza pubblica reale (valori d'uso) per aumentare la ricchezza privata (valori di scambio). Questo non era visto come un caso raro, ma come una caratteristica intrinseca dell'economia capitalistica (Foster et al. 2010, 53-72). Odum (1991, p. 90, Scienceman 1992, p. 30) ha seguito Marx e altri economisti classici nell'incorporare il paradosso di Lauderdale nella sua analisi, indicando così una distruzione capitalistica globale della ricchezza naturale per l'arricchimento privato.


In generale, Odum sembrava sostenere che la teoria marxiana, enfatizzando la forza lavoro, piuttosto che gli input energetici in generale, non fosse riuscita a sviluppare un'analisi adeguata del ruolo della ricchezza reale nella produzione, richiedendo che questa fosse posta su una base più scientifica attraverso l'analisi emergetica (Odum e Arding 1991, p. 109, Odum e Scienceman 2005). Tuttavia, in diversi punti Odum ha offerto un'interpretazione più sottile di Marx, sembrando riconoscere che Marx stava descrivendo quella che era una vera e propria contraddizione dell'economia capitalistica – tra il sistema di accumulazione e la natura – una contraddizione che Odum riconosceva anche nella sua critica dell'economia neoclassica (Odum 1973, Scienceman 1987, pp. 269-70). In effetti, la posizione di Odum era per molti versi più simile a quella di Marx di quanto egli si rendesse conto, dal momento che Marx teorizzava i limiti della legge del valore nel capitalismo, dato che non incorporava il ruolo della natura nella creazione della ricchezza (Foster et al. 2010, pp. 61-4, Marx [1875] 1938, p. 3).


La critica più aspra di Odum e Scienceman (2005, p. 41) a Marx era rivolta all'argomento di Marx secondo cui, poiché il prezzo del lavoro era più basso nelle regioni rurali, specialmente sottosviluppate, i lavoratori erano lì altamente sfruttati. «La valutazione dell'emergia», hanno scritto, «indica una diversa interpretazione... In rapporto al prezzo, i valori emergia per i prodotti dei paesi rurali sono più alti che nei paesi sviluppati perché la maggior parte del sostegno del lavoro proviene dalla natura senza essere pagato».


A questo proposito, tuttavia, Odum e Scienceman hanno sottovalutato Marx e la teoria marxiana. Marx ed Engels indicarono esplicitamente che i lavoratori potevano essere pagati meno del valore della forza lavoro per lunghi periodi di tempo solo nei casi in cui la riproduzione del lavoro era supportata da un accesso marginale alla terra, cioè alle risorse ecologiche. In termini marxiani, tale lavoro nel capitalismo diventa la base dei superprofitti derivanti da «profitti per deduzione», vale a dire deduzioni dal prezzo del lavoro o dal valore della forza lavoro (Foster 2012, pp. 13-4, Baran e Sweezy [1964] 2012, p. 65, Emmanuel 1972, pp. 110-20, 127-8). Tali superprofitti sono stati resi possibili dal fatto che i salari non coprivano l'intero costo della riproduzione (il valore della forza lavoro) dei lavoratori. Ciò che ha reso possibile ciò è stato descritto nel modo più chiaro da Engels nella seconda edizione de La questione delle abitazioni, dove ha spiegato che l'orto domestico e l'agricoltura su piccola scala avevano consentito ai lavoratori tedeschi di ricevere salari estremamente bassi generando profitti eccezionalmente elevati, che corrispondevano a una «decurtazione del salario normale [cioè necessario per la riproduzione dei lavoratori senza accesso alla terra]» (Engels 1988, p. 39, Foster 2012, pp. 13-4). Quindi, come Odum, Marx ed Engels sostenevano che i salari eccezionalmente bassi nelle aree rurali erano dovuti ai sussidi della natura.


È evidente da tutto ciò che la critica di Marx e l'analisi emergetica di Odum hanno una certa affinità. Entrambi si concentrano sulla contraddizione tra valore d'uso e valore di scambio. Odum ha fornito un modo concreto di comprendere le disuguaglianze e le perdite di ricchezza reale imposte dal sistema capitalistico. In quanto modello di teoria dei sistemi non storico, tuttavia, il suo trattamento dipendeva da un impulso in qualche modo artificiale, che dava direzione e scopo all'analisi, vale a dire il massimo potere di Lotka o il massimo potere di Odum (vedi Levins 2008, pp. 29, 37). Quindi, i parametri energetici del sistema erano necessariamente concepiti in termini meccanicistici, universalistici. Come con molti approcci alla teoria dei sistemi, l'analisi di Odum rappresenta

il tentativo di una tradizione scientifica riduzionista di venire a patti con la complessità, la non linearità e il cambiamento attraverso sofisticate tecniche matematiche e computazionali, un tentativo di una comprensione più dialettica che è frenata sia dai suoi pregiudizi filosofici che dai contesti istituzionali ed economici del suo sviluppo. (Levins 2008, p. 48)


Dove la sua visione olistica/sistemica e il tentativo di rottura dialettica con il riduzionismo offre nuove intuizioni critiche, un tale approccio può essere utilizzato con cautela. Dove la sua rottura con una tradizione scientifica meccanicistica rimane incompleta, e dove il riduzionismo si riproduce all'interno della sua analisi, ha bisogno di essere sottoposta a critica. Nell'ecologia complessiva dei sistemi di Odum, una rosa, una farfalla, un ecosistema e un'orchestra sinfonica possono essere valutati in termini di principio di massimo potere e quindi di efficienza ottimale, da un punto di vista energetico. Questo può dirci qualcosa su ognuno di questi oggetti dal punto di vista della fisica, ma le informazioni risultanti sono limitate dalla ristrettezza della misura adottata.[20] Imparare da un tale approccio all'ecologia dei sistemi è una cosa; cadere preda del riduzionismo a cui può potenzialmente condurre è un’altra. In qualsiasi analisi ecologica storico-materialista, il materialismo ecologico deve avere la precedenza teorica sull'energetica, proprio come il materialismo storico nella teoria di Marx, come sostiene Amin (1978, pp. 1-18), ha la precedenza teorica sulla legge del valore.

 

Odum e la teoria dello scambio ecologico ineguale


Nessuno di questi limiti dell'ecologia generale dei sistemi di Odum, tuttavia, ci impedisce di attingere al suo approccio allo scambio ecologico ineguale. Sebbene la struttura generale della teoria del valore-lavoro della produzione capitalistica di Marx sia stata una fonte di ispirazione per Odum, è stata la teoria marxiana dello scambio economico ineguale a rivestire un interesse più concreto, aiutandolo a sviluppare la propria teoria dello scambio emergetico ineguale. Mentre i teorici marxiani usavano il «concetto del valore-lavoro» di Marx «per mostrare grandi squilibri quando il commercio era basato sui prezzi di mercato», Odum e Scienceman (2005, p. 41) suggerirono che l'ecologia dei sistemi «aveva mostrato [simili] grandi squilibri usando l'analisi dell'emergia». Un lavoro chiave, che mette a confronto i due approcci allo scambio ineguale, influenzando lo stesso Odum, è stato fornito da Lonergan (1988) in una revisione della letteratura sullo scambio ineguale. Lonergan ha dimostrato che nel commercio internazionale, secondo l'approccio marxiano, si scambiava più lavoro con meno lavoro, mentre nell'analisi di Odum si scambiava più valore-emergia (o emvalue) con meno valore. In entrambi i casi, i prezzi deviavano dai “valori” (sebbene nel caso di Odum l’"emvalue" o emergia si riferisse alla ricchezza reale o al valore d'uso), creando un trasferimento di valore globale a vantaggio dei paesi sviluppati. Così, «recenti lavori empirici suggeriscono che le economie sviluppate importano più valore-lavoro di quanto ne esportino e, analogamente, possono anche importare più energia incorporata di quanta ne esportino». (Lonergan 1988, pp. 141-2).


Pur discutendo il lavoro di Emmanuel e Amin, Lonergan ha sottolineato l'analisi dello scambio economico ineguale sviluppata da Becker (1977) nella sua economia politica marxiana. Il lavoro di Becker enfatizzava la prima (più ampia) forma di teoria dello scambio ineguale all'interno del marxismo, concentrandosi sulle differenze tra le composizioni organiche e su come ciò influisse sugli scambi tra aree prevalentemente urbane e aree prevalentemente rurali – un approccio che è stato poi esteso alle relazioni globali Nord-Sud. «La legge dello scambio ineguale», scrisse Becker (1977, p. 169),

assicura che nei paesi meno sviluppati la maggior parte dei settori [della produzione] sperimenterà condizioni mediamente sfavorevoli negli scambi con i paesi la cui maggioranza dei settori di produzione sperimenterà condizioni migliori della media. Non è la famosa – o famigerata – legge del vantaggio comparato a determinare i flussi di merci e i loro relativi tassi di scambio. Le note di una reciproca armonia di interessi, cantate con tanta dolcezza dagli apologeti dell’economia, sono di tanto in tanto soffocate dal rumore delle disuguaglianze e delle iniquità di scambio.


È stata l'argomentazione molto rigorosa sullo scambio ineguale presentata da Becker che sembra aver avuto la maggiore influenza, all'interno della letteratura secondaria marxiana, sull'ulteriore sviluppo dell’analisi di Odum (Odum e Scienceman 2005, p. 41).


Per comprendere la teoria dello scambio ecologico ineguale di Odum, è necessario esaminare più da vicino il suo metodo di analisi dell’emergia. Il processo di calcolo dell'emergia inizia con il disegno di un diagramma del sistema energetico del sistema in esame. Odum suggerisce che gli esperti di un processo si riuniscano attorno a un tavolo ed elenchino tutti gli elementi che contribuiscono al sistema. Per esempio, se si volesse calcolare l'emergia del mais, si disegnerebbe un diagramma del sistema energetico che illustri gli input necessari per la coltivazione del mais in particolari condizioni. La loro relazione reciproca attraverso i percorsi energetici è indicata anche attraverso la notazione del diagramma dei sistemi energetici.


Una volta completato il diagramma del sistema, ogni input diventa una voce in una tabella di valutazione dell’emergia. In questa tabella, i dati energetici grezzi di ogni voce, reperiti nella letteratura esistente, vengono moltiplicati per la sua transformity precedentemente pubblicata o attualmente calcolata (secondo il metodo esposto in Odum 1996), per ottenere l'emergia solare di ogni voce. In questo modo, le voci possono essere sommate e si possono essere calcolare altri indici per osservare le quantità in relazione tra loro e per confrontare i sistemi. I calcoli sono inclusi nella tabella in base alle esigenze dello studio specifico. I calcoli dell'emergia per dollaro sono utilizzati per mettere in relazione gli indicatori economici ed ecologici. Il Center for Environmental Policy (2012) ha pubblicato i calcoli emergetici per le risorse naturali di centotrentaquattro economie nazionali. Sono ora disponibili delle vere e proprie mappe globali dell'uso dell'emergia sulle varie dimensioni, che forniscono prospettive comparative (Sweeney et al. 2007).


Nell'analisi emergetica, la dispersione e il degrado dell'energia sono presi in considerazione nei diagrammi utilizzati per delineare i sistemi energetici. Odum e Arding (1991, p. 97) scrivono che

 la definizione spesso usata nei corsi elementari di fisica e ingegneria, secondo cui l'energia è la capacità di compiere lavoro, non è corretta. L'energia degradata non può compiere alcun lavoro. Il lavoro che l'energia potenziale [exergia] può compiere dipende dalla sua posizione nella gerarchia energetica. (Odum e Arding 1991, p. 97)


L'energia disponibile o exergia è quindi «l'energia potenziale in grado di compiere lavoro e di essere degradata nel processo» (Odum 1996, p. 16). L'emergia somma tutti i precedenti input di energia potenziale nella serie di trasformazioni energetiche necessarie per produrre un determinato output. Le analisi dell'exergia, che misurano l'energia disponibile, non sono quindi complete come l'emergia. Tuttavia, i dati che misurano l'exergia possono essere convertiti in dati di emergia moltiplicandoli per le transformity corrette (Odum 1996, p. 268).


Pur non proponendo l'emergia come determinante del prezzo/valore di scambio, Odum ha messo in relazione l'emergia con il denaro (e quindi ai valori delle merci) attraverso diversi indicatori che vengono utilizzati per valutare, dal punto di vista della ricchezza reale, la redditività, l'equità e la sostenibilità a lungo termine di processi economici come la produzione, l'estrazione e il commercio. La conoscenza di questi concetti è essenziale per comprendere l'analisi di Odum sullo scambio ecologico ineguale. I concetti chiave sono i seguenti:

Il rapporto di investimento dell'emergia è il «rapporto tra l'emergia acquistata e quella proveniente dall'ambiente libero locale» (Odum e Odum 2001, p. 201). «Il rapporto per un'area è stabilito dallo stato di sviluppo dell'economia che utilizza risorse non rinnovabili» (Odum e Arding 1991, p. 16). Un rapporto d'investimento competitivo per un paese ricco e sviluppato come gli Stati Uniti è di circa 7 a 1, mentre per molte economie periferiche il rapporto è di 1:1 o meno (Odum e Odum 2001, p. 99, Odum e Arding 1991, p. 20).

Il rapporto emergia/$ (emergia/denaro) è l'emergia utilizzata da tutte le fonti in un'economia divisa per il Prodotto Interno Lordo (PIL) di quell'anno. Un elevato rapporto emergia/denaro significa che questi Paesi, di solito rurali e non sviluppati, attingono pesantemente a «input diretti di risorse ambientali non pagate» (Odum e Arding 1991, p. 18). Le esportazioni di questi Paesi includono livelli più elevati di emergia per i dollari internazionali ricevuti e hanno un potere d'acquisto ecologico relativo inferiore (Odum 1996, p. 201). Un emdollaro «è il contributo di emergia che va a sostenere un dollaro di Prodotto Interno Lordo" (Odum e Odum 2001, p. 94).

Il rapporto di scambio dell'emergia «è il rapporto tra l'EMERGIA ricevuta e l'EMERGIA consegnata in una transazione commerciale o di vendita... L'area che riceve l'EMERGIA maggiore riceve un valore maggiore e vede la sua economia stimolata maggiormente». I prodotti grezzi come i minerali, i prodotti rurali dell'agricoltura, della pesca e della silvicoltura tendono ad avere un elevato rapporto di scambio di EMERGIA quando vengono venduti al prezzo di mercato. Questo è il risultato del fatto che il denaro viene pagato per i servizi umani e non per l'ampio lavoro della natura che ha portato a questi prodotti» (Odum e Arding 1991, p. 18). Per valutare il commercio tra paesi o le vendite locali, «il beneficio relativo è determinato dal rapporto di scambio... Un'economia locale è danneggiata quando il nuovo sviluppo richiede più EMERGIA di quanta ne restituisca in potere d'acquisto. Mantenere il prodotto per l'uso domestico aumenta lo standard di chi vive a casa» (Odum e Arding 1991, p. 22).

Odum ha utilizzato questi rapporti e indicatori per sviluppare la sua teoria dello scambio ecologico ineguale. «Il libero scambio», scrive, è «un ideale basato sul presupposto di un commercio equo, ma il libero scambio ha reso i paesi sviluppati ricchi, con alti standard di vita, lasciando i paesi meno sviluppati devastati» (Odum 2007, p. 273). Le economie sviluppate (e le aree urbane) hanno generalmente indici di investimento emergetici molto più elevati rispetto ai Paesi meno sviluppati (e alle aree rurali). In altre parole, i primi si affidano più pesantemente dei secondi all'emergia acquistata (portata dall'esterno) e meno al lavoro dell'ambiente libero.[21] I paesi sviluppati, in cui si fa meno affidamento sul lavoro dell'ambiente libero e in cui l'emergia viene in gran parte acquistata, hanno un basso rapporto emergia/denaro. Al contrario, i paesi meno sviluppati (rurali), in cui l'ambiente libero svolge un ruolo maggiore nell'economia, hanno un rapporto emergia/denaro elevato.[22] Di conseguenza, la valuta di un paese sviluppato, quando viene convertita in dollari internazionali (valuta estera) e utilizzata per acquistare prodotti in un paese sottosviluppato, ha un potere d'acquisto-emergia per dollaro di gran lunga superiore a quello della propria economia nazionale, mentre l'inverso è vero per un'economia sottosviluppata quando acquista i prodotti di un'economia sviluppata – vale a dire che la valuta locale, quando viene convertita in dollari internazionali e utilizzata per acquistare prodotti in un'economia sviluppata, ha un potere d'acquisto-emergia notevolmente inferiore a quello del proprio paese. Un paese povero che prende in prestito da un paese ricco e deve ripagare in valuta locale convertita in dollari internazionali attraverso il cambio perde potere di acquisto-emergia. Così, «negli anni '80 il Brasile ha restituito una ricchezza reale [misurata in termini di emergia] 2,6 volte superiore a quella ricevuta con un prestito estero» (Odum 1996, p. 216).

Odum (1996, pp. 210-11) riassume questo concetto dicendo che:

Quando un prodotto ambientale viene venduto da uno Stato rurale a un'economia più sviluppata, c'è un grande beneficio netto in termini di EMERGIA per l'acquirente più sviluppato, per due motivi: (1) l'EMERGIA dei prodotti ambientali è superiore a quella del denaro pagato per i servizi di trasformazione; e (2) il rapporto EMERGIA/denaro è molto maggiore nello Stato rurale che fornisce il prodotto rispetto all'economia che lo acquista.


Il rapporto di scambio di emergia è quindi fortemente sbilanciato a sfavore dei paesi poveri e rurali. Odum (Odum e Odum 2001, p. 139, Odum, 1996, p. 210) ha riscontrato che negli anni '80 e nei primi anni '90 lo scambio ineguale di ricchezza reale (emergia ricevuta/emergia esportata) nel commercio tra le nazioni era straordinario. Così, i Paesi Bassi, la Germania occidentale e il Giappone avevano tutti un rapporto di scambio di emergia pari o superiore a 4 (cioè ricevevano in cambio quattro volte più emergia di quante ne esportassero); gli Stati Uniti avevano un rapporto di scambio di emergia pari a 2,2; l'India aveva un rapporto di 1,45 e, più in basso nella scala di sviluppo, la Liberia e l'Ecuador avevano rapporti di scambio di emergia rispettivamente di 0,151 e 0,119.


Alla base di questa disuguaglianza c'è il fatto (già sottolineato da Marx) che «non si paga all'ambiente il suo lavoro estensivo» (Odum e Odum 2001, p. 95), e questo pone le basi di un Raubbau globale in cui i Paesi sottosviluppati vengono sistematicamente derubati della ricchezza reale. Come ha detto Odum (2007, pp. 276-7) nella sua critica del «capitalismo imperiale», l'intero sistema di «investimenti globali dissanguano i benefici netti dell'emergia dalle aree meno sviluppate a quelle sviluppate, a causa dello squilibrio nel rapporto emergia/denaro».


A peggiorare le cose, le economie che si specializzano nell'esportazione di risorse primarie si specializzano in quei prodotti che hanno alti rendimenti netti di emergia (definiti come il rendimento di emergia meno l'emergia utilizzata per lavorare il prodotto). I combustibili fossili sono esempi di prodotti con elevati rendimenti netti di emergia (Odum e Odum 2001, pp. 98-9). Nell'acquisto di questi prodotti primari, le nazioni acquirenti guadagnano quindi di più in termini di ricchezza reale rispetto alle nazioni venditrici. Di conseguenza, «le nazioni sviluppate ricevono molta più ricchezza reale [in questi scambi] di quella che esportano o pagano» (Odum 2007, p. 274).


Da questo punto di vista, i paesi poveri farebbero meglio a utilizzare le proprie risorse a beneficio della popolazione locale, piuttosto che venderle a prezzi che non lasciano nulla per il reinvestimento ecologico in patria. Oltre alle perdite per le popolazioni locali, secondo le attuali condizioni commerciali, i paesi poveri non ricevono un compenso sufficiente per svolgere un lavoro di ripristino che garantisca la sopravvivenza a lungo termine dell'ecosistema nelle aree degradate per rifornire il mercato delle esportazioni (Odum e Arding 1991, pp. 37-9).


Odum e Arding (1991) hanno fornito uno studio approfondito sullo scambio ineguale di emergia in Ecuador, permettendoci di capire meglio come l'analisi dell'emergia possa contribuire a una comprensione completa dell'imperialismo ecologico. Pur concentrandosi sulla maricoltura dei gamberi e sull'esportazione dall'Ecuador verso paesi ricchi come gli Stati Uniti, il rapporto analizzava anche la posizione complessiva dell'Ecuador rispetto allo scambio di emergia. «Il rapporto fra l'EMERGIA acquistata e l'EMERGIA ambientale libera [cioè il rapporto di investimento in emergia] all'interno dell'Ecuador era solo di 0,09, molto inferiore ai valori di 7 o più nei Paesi sviluppati» (35). Il potere d'acquisto-emergia di un dollaro americano in Ecuador è risultato pari a 3,6 volte quello degli Stati Uniti. Ciò significa che:

Se l'Ecuador prende in prestito denaro dagli Stati Uniti e lo usa per acquistare prodotti negli Stati Uniti, per poi ripagarlo con la valuta ecuadoriana convertita nel cambio internazionale, il potere d'acquisto restituito è 3,6 volte superiore. Ciò equivale a un tasso di interesse del 360%. Non c'è da stupirsi che gli investimenti dei Paesi sviluppati nei Paesi sottosviluppati abbiano causato una depressione finanziarianei Paesi sottosviluppati. (p. 37)


Complessivamente, il rapporto emergia ricevuta/emergia esportata per l'Ecuador nei primi anni '90 era di 0,20 contro il 2,2 degli Stati Uniti. Pertanto, l'Ecuador ha inviato all'estero una quantità di emergia cinque volte superiore a quella ricevuta, il che riflette una perdita ecologica netta. In termini di maricoltura dei gamberi, l'emergia dei gamberi inviati agli acquirenti stranieri era circa quattro volte quella ricevuta in potere d'acquisto in dollari internazionali (Odum e Arding 1991, pp.33-39).


La maggior parte delle esportazioni di risorse dell'Ecuador, ovviamente, avveniva sotto forma di petrolio, che rappresentava una quantità di emergia esportata sette volte superiore a quella dei gamberi (Odum e Arding 1991, p. 24). «Il petrolio dell'Amazzonia viene pompato attraverso le montagne fino a un terminale di spedizione sull'Oceano Pacifico per l'esportazione» (Odum e Arding 1991, p. 23). Ciò significa che la regione amazzonica ecuadoriana è la più colpita dall'esportazione di petrolio.


Odum e Arding (1991) hanno dimostrato che le ricchezze naturali dell'Ecuador sono state prosciugate attraverso i meccanismi del commercio internazionale e del debito a beneficio dei Paesi importatori:

Energia, minerali e informazioni sono la vera ricchezza. Ci vuole energia per concentrare i minerali necessari a un'economia. Ci vuole energia per mantenere ed elaborare le informazioni. Quando le risorse sono abbondanti e a basso costo, la ricchezza può essere abbondante e il tenore di vita elevato. Se le risorse e i prodotti di base sono importati a basso costo, la ricchezza è abbondante... I paesi che vendono la loro energia [combustibili] danno via la loro EMERGIA a 6 per 1 o peggio. I benefici per i paesi che acquistano i loro combustibili dipendono dal rapporto di EMERGIA della loro transazione commerciale. (pp. 89-90, 104)


Greenpeace ha utilizzato questa analisi nella campagna contro l'allevamento di gamberi dei primi anni ‘90, quando ha inviato una lettera al presidente ecuadoriano citando lo studio di Odum e Arding (1991) sulla maricoltura dei gamberi e lo scambio ecologico ineguale (Martinez-Alier 2002, p. 82).


La ricerca sulle disuguaglianze internazionali nell'uso e nello scambio di emergia continua ad ampliarsi (Sweeney et al. 2007). Analizzando le esportazioni di emergia nel tempo e l'inadeguata compensazione ricevuta per questo trasferimento di ricchezza, Devincenzo King (2006, pp. 77-8) ha analizzato il debito ecologico dovuto a cinque paesi focali della regione saheliana dell'Africa subsahariana (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Senegal) a causa delle esportazioni nette cumulative di emergia che hanno arricchito i paesi più ricchi. Secondo questa analisi, i paesi subsahariani hanno saldato tutto il debito internazionale in termini di emergia all'inizio degli anni '90 (nel caso di Mauritania, Niger e Senegal, entro gli anni '70) e dovrebbero ora poter utilizzare le loro risorse per svilupparsi internamente. In effetti, in termini emergetici, i paesi saheliani risultano essere creditori netti, piuttosto che debitori. Inoltre, King (2006, pp. 72, 86) ha dimostrato che queste nazioni hanno sperimentato un fattore di disuguaglianza emergetica (EIF, il rapporto tra il tasso di cambio ufficiale e il tasso di cambio equo basato sull'emergia) nel loro commercio con gli Stati Uniti che è aumentato drasticamente tra il 1970 e il 2000, fino a raggiungere, all'inizio del nuovo millennio, un EIF che dava agli Stati Uniti un vantaggio di oltre 10:1 negli scambi commerciali in termini di emergia (ricchezza reale) con tutti questi paesi.


Certo, nonostante il tentativo di completezza nel contabilizzare tutti gli input e gli scambi energetici, l'analisi dell'emergia rimane un indicatore unitario che, per quanto particolarmente utile, non è in grado di cogliere tutte le dimensioni di un rapporto enormemente complesso e dinamico di sfruttamento ambientale, degrado e scambio ineguale inflitto dal centro alla periferia. Non può da sola, ad esempio, rendere conto di tutti gli aspetti della distruzione ecologica a lungo termine del commercio del guano in Perù nel XIX secolo, che ha privato il paese di una risorsa inestimabile con effetti incalcolabili, che è stata alla base della devastazione sociale ed ecologica e del sottosviluppo a lungo termine (imposto dalla conquista militare) di quel paese fino ai giorni nostri (Melillo 2012, Clark e Foster 2012). Tuttavia, l'analisi dello scambio ecologico ineguale in termini di emergia può essere un indicatore prezioso – il migliore che abbiamo – della vasta estensione del Raubbau ambientale centro-periferia. Come strumento analitico, ci aiuta anche a capire i processi coinvolti nello scambio ecologico ineguale e può essere utilizzato insieme a indicatori molto diversi, come l'analisi dell'impronta ecologica, per avere un quadro più completo dell'imperialismo ecologico come fattore principale del moderno sistema mondiale capitalista.


La forza dell'analisi di Odum risiede nel fatto che fornisce una base per riconoscere le condizioni ecologiche e i contributi dei popoli del Terzo mondo e delle popolazioni di sussistenza, che spesso sono visti come «quelli che non contano nulla» (Waring 1999, pp. 65-74) nel sistema dominante di contabilità economica. Sottolineando che «le nazioni sviluppate ricevono molta più ricchezza reale di quella che esportano o pagano», Odum (2007, pp. 274, 278) difendeva le lotte delle popolazioni indigene e contadine e dei popoli rurali in generale contro l'insaziabile tendenza all'accumulazione del «capitalismo globale», che egli caratterizzava «come un analogo su larga scala della crescita eccessiva di erbe infestanti». Le soluzioni al dilemma ecologico globale, sosteneva, si trovano spesso nelle società indigene e contadine. Odum (2001, p. 87) ha osservato che «le politiche demografiche e di sviluppo adatte al risanamento a basso consumo energetico possono prendere a modello quelle che si trovavano in passato nelle culture a basso consumo energetico come nel caso degli indiani Yanomamo del Venezuela». E ha indicato il Kerala in India come esempio di «progresso sociale senza crescita economica» (Odum e Odum 2001, p. 57).

 

Marx, Odum e il discorso dello scambio ecologico ineguale: sfide teoriche

 

La nostra trattazione della teoria dell'emergia di Odum ha esplorato la questione della dialettica Marx-Odum nell'analisi dello scambio ecologico ineguale, basandosi e integrando altre analisi di questo fenomeno. Sia l'economia politica marxiana che l'ecologia dei sistemi di Odum sono fortemente critiche nei confronti dell'economia neoclassica e della dottrina dominante del libero scambio. Inoltre, il lavoro di Odum mette in evidenza una spaccatura nell'economia ecologica tra un approccio radicale, da un lato, esemplificato da Odum e dall'analisi ecologica marxiana, che sottolinea la contraddizione tra valore d'uso (ricchezza reale) e valore di scambio (valore economico), e, dall'altro, un approccio sempre più dominante che cerca di trovare il modo di internalizzare le esternalità, allineando l'ecologia con i dati sui prezzi – più in linea con l'economia ambientale neoclassica.


In effetti, la divisione che si è sviluppata nell'economia ecologica è meglio visibile in relazione agli approcci distinti adottati da Constanza (1980, 1981a, 1981b) e Odum. Ex studente di Odum presso l'Università della Florida, Constanza è stato cofondatore della Società Internazionale di Economia Ecologica ed è stato redattore capo della rivista economica della Società, «Ecological Economics», dal suo inizio nel 1989 fino al 2002. Odum è stato membro del consiglio di amministrazione di «Ecological Economics» fin dalla sua nascita. All'inizio degli anni ‘90, tuttavia, si verificò un profondo scontro sulla questione dell'emergia/ricchezza reale rispetto al valore di mercato. Le divergenze emerse portarono Constanza a rimuovere Odum e alcuni altri scienziati naturali dal comitato direttivo nel 1992, e gli articoli che affermavano il concetto di emergia furono praticamente banditi dalla rivista (Odum 2001, pp. 37-39).[23]


Le basi di questa disputa hanno preceduto di alcuni anni la fondazione della stessa Economia Ecologica. Constanza (1980, 1223, 1981a, 1981b) ha utilizzato un approccio di input-output a energia incorporata che impiega dati basati sui prezzi per sostenere una «teoria energetica del valore», sostenendo che «i valori energetici incorporati calcolati ... mostrano un'ottima relazione empirica con i valori in dollari determinati dal mercato»". L'approccio di Constanza fu aspramente criticato nientemeno che da Georgescu-Roegen, il fondatore dell'economia ecologica. L'approccio di Constanza è stato aspramente criticato da Georgescu-Roegen, il fondatore dell'Economia ecologica. Citando Engels (Marx ed Engels 1975b, vol. 25, pp. 586-7) riguardo all'impossibilità di una teoria energetica del valore, Georgescu-Roegen (1986, 270-2) ha fatto notare che Constanza si è basato su «una tabella input-output con valori monetari invece di dati [energetici] reali»" e lasciava il lettore «perplesso su come» i vari fattori «sono stati convertiti in energia». Georgescu-Roegen (1981, 69-70) ha sostenuto che una teoria del valore basata sull'«energia incorporata» come quella proposta da Constanza era ««una ... estrema falsificazione della realtà».


Allo stesso modo, Daly (1981, pp. 165-72) ha sferrato un duro attacco al tentativo di Constanza (1981a) di costruire una teoria energetica del valore e di dimostrare che i prezzi si basavano su tali valori energetici. Secondo Daly, i risultati di Constanza a tale riguardo erano dati nell'ipotesi, incorporata nel suo approccio, di una teoria energetica del valore economico e non dimostravano in alcun modo la prima. In effetti, come aveva ammesso lo stesso Constanza, i suoi risultati erano altrettanto coerenti con una teoria del valore-lavoro – una possibilità che tuttavia aveva scartato semplicemente esclamando: «Qualcuno può seriamente suggerire che il lavoro crei la luce del sole?» (Constanza 1981a, p. 140, Burkett 2006, pp. 3-41).[24] Secondo Daly (1981, pp. 167-8), il «risultato empirico (o imposizione analitica) di Constanza, secondo cui i prezzi di mercato riflettono da vicino l'energia incorporata, è preso come una santificazione del mercato all'interno del quadro del dogma energetico».[25] Infine, Daly (1981, p. 168) ha espressamente contestato l'argomentazione di Constanza secondo cui, poiché i valori energetici sarebbero buoni buoni predittori dei valori di mercato, in quei casi in cui i mercati esistono, essi potrebbero quindi essere impiegati «per determinare “valori di mercato” laddove i mercati non esistono, ad esempio, nei sistemi ecologici».[26] I punti deboli dell'approccio di Constanza sono stati ulteriormente evidenziati da una prospettiva marxista da Burkett (2006, pp. 37-41).


Criticando piuttosto la teoria del valore dell'energia incorporata di Constanza dal punto di vista della scienza fisica piuttosto che dell’economia, Odum ha insistito sul fatto l'economia ecologica dovrebbe concentrarsi sulla contabilità della ricchezza reale, che non può essere derivata da categorie basate sul denaro. Né era legittimo aggiungere energia di forme e qualità diverse senza prima convertirla in emergia di un tipo (Odum 2001, pp. 37-9). Tutto ciò richiedeva un approccio emergetico diretto ai valori d'uso, con tali flussi di ricchezza reale che costituivano una «controcorrente» contraddittoria rispetto ai flussi monetari. Il punto cruciale dell'analisi di Odum, come abbiamo visto, è stato il riconoscimento che «gran parte del contributo dell'ambiente alla società non ha una corrispondente circolazione di denaro» (Odum 2007, pp. 260-68).


Questa spaccatura nell'economia ecologica su questioni quali (1) il concetto di emergia contro l'approccio dell'energia incorporata di Constanza e (2) la ricchezza reale/il valore d'uso contro il valore di mercato/il valore di scambio si è trasferita nell'analisi dello scambio ineguale. Alf Hornborg, antropologo culturale, che ha svolto un ruolo di primo piano e generalmente positivo nella discussione sullo scambio ecologico ineguale, ha lanciato un attacco in Ecological Economics (curato da Constanza) all'approccio di Odum. Hornborg (1998, p. 130) ha affermato che l'«emergia» è un concetto «metafisico» come la teoria del valore-lavoro. Hornborg ha poi denigrato la teoria del valore-lavoro per la sua incapacità di dimostrare la corrispondenza tra valori e prezzi di mercato – non capendo che tale corrispondenza era contraria all'analisi di Marx[27] – e come teoria «normativa» del valore (anche questa un'idea sbagliata) (Hornborg 2003, p.5). Al contrario, il valore, dichiara Hornborg (1998, p. 130), è «soggettivo, culturale e contestuale». L'oggetto principale dell'attacco di Hornborg, tuttavia, non era Marx, ma piuttosto Odum, che è stato criticato per aver fornito, nella sua analisi dell'emergia, una visione «normativa» sotto forma di una «teoria energetica del valore [economico]» che «riecheggia Marx» (Hornborg 1998, pp. 130-2, 2001, pp. 40-3, 2003, pp. 5-6, 2011, pp. 17, 104).[28] Inoltre, Odum si caratterizzava per offrire un approccio simile a quello del movimento tecnocrate dei primi del ‘900 negli Stati Uniti, che aveva proposto una teoria energetica del valore. (Hornborg 2011, p. 104).


A nostro avviso, queste critiche di Hornborg a Odum mancano completamente il bersaglio. Al centro dell'analisi di Odum c'era l'affermazione, come abbiamo visto, che «i valori di mercato sono inversi ai contributi di ricchezza reale dell'ambiente», poiché non viene dato alcun pagamento monetario per il lavoro della natura. In effetti, questo costituiva il nucleo stesso della sua teoria dello scambio ineguale (Odum 1996, p. 60, Cleveland 1987, è. 59, Brolin 2006, p. 262). Ma, accettando a priori l'affermazione di Constanza secondo cui esisteva una correlazione approssimativa tra energia incorporata e prezzo, e attribuendo questo punto di vista – erroneamente – a Odum, Hornborg giunge erroneamente alla conclusione opposta: che l'analisi dell’emergia blocca la comprensione della relazione inversa tra flussi energetici e prezzi (Hornborg 2011, p. 104). Confondere Odum con Constanza e prendendo a questo proposito di mira il primo piuttosto che il secondo, Hornborg ha caratterizzato l'analisi di Odum come «niente di meno che un modo per legittimare, in linea di massima, i prezzi del mercato mondiale così come sono» (Hornborg 2001, pp. 40-2).[29]


Tutto questo ignorando la ripetuta insistenza di Odum sul fatto che la sua preoccupazione non era il valore di mercato, ma la ricchezza reale, immaginandoli come circuiti separati e contraddittori, in modo analogo all'argomentazione di Marx. Così, proprio nell'opera su cui Hornborg (1998) ha concentrato il suo fuoco, Odum e Arding avevano affermato senza mezzi termini che: «Il valore dell'EMERGIA [emvalue] non è destinato a essere usato per il valore di mercato». Aggiungendo: «Alcuni confondono i concetti di EMERGIA con il movimento tecnocratico degli anni Trenta, che utilizzava l'energia come base del valore e proponeva di pagare le persone con certificati energetici al posto del denaro... I tecnocrati volevano sostituire il valore dell'energia con il denaro, mentre il valore-EMERGIA non è destinato ad essere utilizzato per il valore di mercato, ma per una valutazione [ecologica] su scala più ampia dell’economia» e della pianificazione (Odum e Arding 1991, p. 109, Brolin 2006, pp. 245-6). La posizione di Odum era legata, come abbiamo visto nel corso di questo contributo, alla distinzione che Marx aveva fatto tra ricchezza e valore nella sua critica dell'economia capitalistica (Foster, Clark e York 2010, pp. 61-4). Nel caso di Odum, l'analisi è talmente lontana da una teoria del valore di scambio economico che, come nota Brolin (2006, p. 264), nel suo lavoro non si trova alcuna discussione sulla formazione dei prezzi di mercato. L'analisi di Odum e Scienceman era quindi, come abbiamo notato, formalmente coerente con la teoria classica del valore-lavoro, e si preoccupava di evidenziarne le implicazioni più radicali per la teoria della ricchezza reale.


Opponendosi al concetto di emergia di Odum come base dell'analisi dello scambio ineguale, Hornborg propose di sostituire il concetto di exergia, o energia disponibile, come base di tale teoria. Insisteva sul fatto che l'exergia fosse superiore all'emergia nell'analisi dello scambio ecologico ineguale, poiché era chiaro che quanto più denaro era legato a un prodotto, tanto meno energia disponibile era associata ad esso (Hornborg 1998, pp. 131-132). Tuttavia, c'era un difetto fondamentale in questa argomentazione. Poiché tutta la produzione e tutti gli scambi che coinvolgono elementi fisici in tutti i luoghi e in tutti i tempi comportano perdite di energia disponibile – dato che questa è una legge fondamentale della fisica – ciò rappresenta un problema universale. La mera relazione inversa tra flussi di denaro ed exergia difficilmente può costituire una teoria significativa dello scambio ecologico ineguale dal punto di vista sociale, poiché deriva inesorabilmente dalla condizione entropica che governa tutta la produzione e quindi si applica invariabilmente laddove si verificano produzione e scambio, che comportano transazioni monetarie. Il problema è in qualche modo analogo a quello della più ampia teoria dello scambio economico ineguale basato sulle disuguaglianze nella composizione organica, ma su una scala più ampia. Questo è talmente parte di qualsiasi sistema di produzione e scambio che lo “scambio ineguale” in questi termini perde di significato. Per rendere lo scambio ecologico ineguale un concetto significativo, deve essere basato su differenze di potere socio-economico.


A nostro avviso, la teoria dello scambio economico ineguale sviluppata sulla base dell'economia classica, e successivamente ampliata dalla teoria marxiana e dalla teoria del sistema mondiale per prendere in considerazione anche lo scambio ecologico ineguale, pone le basi per lo sviluppo di una più ampia sintesi dialettica fra scienza ecologica, economia politica marxiana e scienze sociali ambientali. In particolare, abbiamo bisogno di un'analisi marxiana/sistemica mondiale che attinga criticamente all'approccio sistemico di Odum allo scambio ecologico ineguale (emergia) e alla distruzione della ricchezza reale da parte della produzione capitalistica. Crediamo che sia possibile collegarla con le teorie basate sull'analisi della frattura metabolica di Marx (Foster 1999, Foster, Clark e York 2010, Schneider e McMichael 2010, Moore 2011a). Questo approccio, ne siamo convinti, consentirebbe un approfondimento teorico ed empirico dell'analisi dello scambio ecologico ineguale, già affrontato in vari modi nel lavoro di pensatori importanti come Amin, Bunker, Clark, Hornborg, Jorgenson, Lawrence e Rice. Il metodo di analisi di Odum ci offre un modo efficace di analizzare lo scambio ecologico ineguale e il debito ecologico, che integra e completa l'analisi dell'impronta ecologica, per la quale sono ora disponibili ampi dati per centotrentaquattro paesi (Sweeney et al. 2007, Center for Environmental Policy 2012).


La forza dell'analisi di Odum, come abbiamo visto, era radicata nel riconoscimento di quello che Sweezy (1942, pp. 23-40) chiamava il «problema del valore qualitativo», cioè il ruolo del valore d'uso e la contraddizione tra valore d'uso e valore di scambio nella produzione capitalistica. Criticando l'economia capitalista dal punto di vista del valore d'uso (attraverso l'analisi dell'emergia), Odum ha sottolineato la necessità di una valutazione ecologica esterna della produzione, come strumento di pianificazione sociale ed ecologica, non subordinata ai prezzi di mercato.


«In ecologia», ha osservato Murray Bookchin (1980, p. 88), «il Newton della... termodinamica, o più propriamente dell'energetica, è Howard Odum». Odum è stato anche uno dei principali critici del capitalismo, dell'economia neoclassica e dell'imperialismo ecologico. La sua critica ha beneficiato di un'indagine approfondita ed estesa sull'analisi ambientale di Marx. Era chiaro che nella nostra epoca il sistema di accumulazione capitalista dovesse cedere il passo a quella che lui definiva «una via d'uscita prospera», in cui l'economia avrebbe dovuto essere riorientata verso una produzione sostenibile, la giustizia ambientale (ed energetica) e l'uguaglianza sociale (Odum e Odum 2001). Le condizioni storiche, sosteneva Odum (1973, 222), indicavano la necessità di un'economia stazionaria (o stato d'equilibrio) più favorevole all'attuazione di «ideali socialisti sulla distribuzione» su scala mondiale. È qui, quindi, che troviamo uno dei più importanti punti di convergenza tra scienza ecologica e scienza sociale ambientale. L'aspetto più cruciale, tuttavia, di un approccio all'ecologia basato sul sistema-mondo, è l'opportunità che questo offre di chiarire le condizioni storiche delle disuguaglianze ecologiche ed economiche tra centro e periferia. È qui, come abbiamo visto, che l'analisi di Odum ci aiuta a comprendere alcune delle dimensioni chiave del problema, come ordini di grandezza. Per procedere verso il tipo di contrazione e convergenza oggi necessario a livello mondiale in settori come il cambiamento climatico, è importante riconoscere i secoli di scambi ineguali e l'enorme debito ecologico nei confronti della periferia, entrambi evidenziati dall'analisi di Odum.


La critica sistemico-ecologica di Odum al capitalismo imperiale fornisce i mezzi necessari per la sintesi delle letterature della frattura metabolica e dello scambio ecologico ineguale. Come sostengono Clark e Foster (2009, p. 313), lo scambio ecologico ineguale – definito come «il trasferimento sproporzionato e sottocompensato di materia ed energia dalla periferia al centro, e lo sfruttamento dello spazio ambientale all'interno della periferia per la produzione intensiva e lo smaltimento dei rifiuti» – è dialetticamente connesso al concetto di frattura metabolica di Marx. Secondo Odum, la teoria di Marx puntava nella giusta direzione enfatizzando il «tasso metabolico del lavoro», e quindi un più ampio metabolismo uomo-natura (Scienceman 1992, p. 33, Odum e Scienceman 2005). Il recente lavoro sul concetto di frattura metabolica di Marx (Foster 1999, Foster et al. 2010, Schneider e McMichael 2010, Moore 2011a) ha dimostrato le più ampie implicazioni ecologiche della critica metabolica di Marx, rispetto alla quale il lavoro di Odum (e in particolare il suo approccio allo scambio ecologico ineguale) può essere visto come un parziale complemento. Con la conseguente dialettica Marx-Odum dello scambio ineguale come base, è possibile immaginare un'agroecologia globale più critica, che sostenga la mobilitazione internazionale dei contadini per le risorse della terra (Schneider e McMichael 2010, p. 461) e che converga con l'incipiente ascesa di quello che è stato definito un nascente «proletariato ambientale» (Foster et al. 2010, pp. 439-40).


È importante, tuttavia, esprimere una parola di cautela. È l'analisi dialettica che deve essere l'oggetto finale di ogni critica dell'ordine capitalistico e del suo regime ecologico dominante. L'approccio emergetico di Odum, che si è evoluto dall'ecologia dei sistemi e dalla fisica, ci fornisce un potente strumento critico. Ma né l'ecologia né la società, come abbiamo visto, possono essere ridotte a un'unica misura (che sia il valore- lavoro o l'emergia).


Il pericolo della reificazione è un prodotto intrinseco del capitalismo. Se siamo costretti a cercare mezzi di commensurabilità nell'analisi dei valori d'uso o della ricchezza reale, è solo per evidenziare la ristrettezza dell'analisi del valore capitalista, il suo eccessivo sfruttamento della natura e l'impatto ineguale sulla popolazione mondiale – e per contribuire alla formazione di un nuovo sistema storico in cui i produttori associati siano in grado di regolare «razionalmente questo loro ricambio organico con la natura» (Marx [1863-1865] 1989, p. 933). Non esiste una misura unica e universale che contenga la chiave del rapporto umano con la natura. Si tratta di una relazione complessa, contingente e coevolutiva, sulla quale abbiamo comunque il potere di incidere.


Quella che abbiamo definito la dialettica Marx-Odum rispetto allo scambio ecologico ineguale raggiunge il suo significato ultimo nel permetterci di comprendere i mezzi per trascendere socialmente la frattura metabolica, cioè la frattura tra natura e società che trova la sua massima espressione nel capitalismo stesso. Per Marx ([1857-1858] vol. XXIX, 1986, p. 422),

«Non è l'unità degli uomini viventi e attivi con le condizioni naturali inorganiche del loro ricambio con la natura, e di conseguenza la loro appropriazione della natura, bensì la separazione di queste condizioni inorganiche dell'esistenza umana da questa esistenza attiva, una separazione che è posta compiutamente solo nel rapporto tra lavoro salariato e capitale, ha bisogno di una spiegazione ovvero è il risultato di un processo storico». [Corsivo nell'originale].


La frattura nello «scambio metabolico con la natura», insieme al movimento dialettico attraverso il quale l'unità elementare viene «ripristinata», rappresenta quindi per Marx nient'altro che l'alienazione capitalistica della natura insieme alla sua eventuale trascendenza. Come ha insistito Moore (2011b, pp. 136-139), natura e società non sono una relazione «binaria» – al di fuori dell'esistenza di condizioni storiche alienate – ma unitaria. L'umanità è essa stessa parte della natura. Tuttavia, sotto il capitalismo, questa relazione diventa un'espropriazione e un'alienazione unilaterale di tutta la natura al di fuori dell'umanità in nome dell'accumulazione del capitale. È per questo motivo che i recenti tentativi di riconcepire il sistema capitalistico mondiale come un'ecologia mondiale (e non solo come un'economia mondiale) sono così importanti come sviluppi critici del nostro tempo, permettendoci di percepire un'ampia unità dialettica (si veda in particolare Wallerstein 2004b, Moore 2011a, 2011c). L'analisi dello scambio ecologico ineguale ha un ruolo vitale da svolgere in questo senso.


«La giustizia propria della natura», scriveva Epicuro (341-271 a.C.), «è un simbolo del conveniente, in vista del non danneggiare e non essere danneggiati reciprocamente». Oggi questo principio deve essere applicato a tutte le nostre relazioni sociali e (nella misura in cui è razionale) anche a tutte le nostre relazioni ecologiche (Epicuro 2002, p. 207).

 

 Note


*
Riteniamo utile precisare che, nel riportare la bibliografia, nella nostra traduzione ci siamo attenuti solo parzialmente ai criteri redazionali adottati dalle università e dall’editoria italiana, diversamente avremmo reso meno agevole il collegamento col testo dal momento che usa dei rimandi indicando solo l’autore e la data di pubblicazione del testo citato. Per quanto riguarda le varie citazioni presenti nel testo, solo in alcuni casi abbiamo fatto riferimento a quelle già esistenti in italiano, segnalando con la data l’opera relativa nel corpo del testo e quindi in bibliografia.


** N.d.T. «La maledizione delle risorse, nota anche come paradosso dell'abbondanza o paradosso della povertà, è un fenomeno che riguarda i paesi con un’abbondanza di risorse naturali (come i combustibili fossili e alcuni minerali) che hanno una crescita economica inferiore, meno democrazia o risultati di sviluppo peggiori rispetto ai paesi con meno risorse naturali». (Wikipedia)

*** N.d.T. Il rospo dorato (Incilius periglenes (Savage, 1967)) era un minuscolo anfibio sino a poco tempo fa diffuso in una ristretta area di circa 10 km² di foresta tropicale della Costa Rica centrale e precisamente nella cordillera di Tilarán (provincia di Monteverde) fra i 1.500 ed i 1.620 metri d'altitudine. La specie è stata classificata estinta dall'UICN nel 2004. L'ultimo esemplare di rospo dorato era stato osservato nel 1989 e, nonostante le prolungate ricerche fatte in seguito, non è stato possibile ritrovare nessun altro esemplare vivente. Tra le possibili cause dell'estinzione è stato proposto il surriscaldamento globale. (Wikipedia)


[1] Né la frattura metabolica, che è associata alle contraddizioni del metabolismo umano con la natura, né lo scambio ecologico ineguale, che deriva dalle disparità tra le zone relativamente natura, né lo scambio ecologico ineguale, che deriva dalle disparità tra le regioni relativamente urbane/industrializzate e regioni rurali/sottosviluppate, riguardano esclusivamente l'imperialismo Nord-Sud, in quanto gli effetti sono interni all'imperialismo Nord-Sud, poiché gli effetti sono anche interni a determinate nazioni/regioni. In questa sede, tuttavia, esamineremo queste teorie in relazione all'imperialismo, cioè in termini di frattura metabolica globale e dello scambio ecologico globale ineguale.

[2] Qui il nostro obiettivo è semplicemente quello di aprire la porta a quella che speriamo possa essere una teoria completa, che dovrebbe essere integrata con le questioni di storia, geografia e sviluppo co-evolutivo, comprendendo l'intera formazione del sistema capitalistico mondiale, compresa la sua logica storica e le sue crisi.

[3] In questo articolo ci occupiamo principalmente di promuovere un approccio più critico e coeso al concetto di scambio ecologico ineguale, sottolineando al contempo la potenziale sintesi con l'approccio della frattura metabolica di Marx. Non rientra nei confini del nostro studio affrontare la questione delle recenti e importanti critiche/estensioni critiche del concetto di frattura metabolica di Marx. A questo proposito si veda Schneider e McMichael (2010) e Moore (2011).

[4] In quanto segue diamo per scontato che tutte le principali teorie marxiane dell'imperialismo – ad es. quelle di Marx ([1863-1865] 1989), Luxemburg ([1913] 2003), Bukharin ([1915] 1973), Lenin ([1916] 1939), Amin (1977a), Emmanuel (1972), Baran (1957), Magdoff (1978) e Harvey (2003) – sono integralmente legate alle teorie dello scambio ineguale. Tuttavia, la nostra trattazione dell'imperialismo è necessariamente limitata ai punti in cui la teoria dello scambio ineguale (sia economico che ecologico) si sovrappone alla più ampia teoria marxiana dell'imperialismo. Anche se una sintesi più ampia dell'analisi dello scambio ineguale con la teoria dell'imperialismo nel suo complesso è, a nostro avviso, essenziale, ma tale sintesi complessiva esula dai limiti del presente documento, che tuttavia può servire a gettare alcune delle basi cruciali per una teoria più unificata.

[5] La posizione iniziale di Wallerstein sembra essere più vicina a quella di Emmanuel. Si veda Wallerstein (1974, p. 5).

[6] Martinez-Alier (2002, p. 214) si riferisce al concetto di scambio ineguale come «basato su nozioni precedenti come Raubwirtschaft o “economia del saccheggio”». È importante notare che anche Weber seguì Liebig e Marx nel sollevare il problema della questione del Raubbau in relazione al saccheggio della terra da parte dell'industria capitalistica. Si veda Foster e Holleman (2012, pp. 1650-5).

[7] L'argomentazione di Marx qui contraddice l'affermazione di Hornborg (2006, p. 169) secondo cui «Marx era probabilmente troppo concentrato sullo sfruttamento del lavoro per vedere che lo scambio ineguale poteva anche assumere la forma di prosciugamento delle risorse naturali di un'altra società».

[8] L'analisi del valore di Marx è spesso vista in modo troppo ristretto in termini di problema del valore quantitativo, e quindi riferita semplicemente al valore di scambio (o al «valore» visto semplicemente nel suo aspetto quantitativo). Tuttavia, non meno cruciale per l'intero quadro teorico del valore di Marx è il valore d'uso (legato alla produzione in generale e alla ricchezza reale). La ricchezza, nell'analisi di Marx, deriva sia dalla natura che dal lavoro (a differenza del «valore» del capitalismo che deriva solo dal lavoro). Pertanto, per comprendere appieno il quadro teorico del valore in Marx, è necessario incorporare il problema del valore qualitativo e le contraddizioni tra (a) valore di scambio e valore d'uso e (b) «valore» e ricchezza reale. (La genialità dell'analisi di Odum (e di Scienceman), come vedremo, consiste nell'aver colto questa più ampia dialettica teorico-valoriale dell'economia politica di Marx, portando a un'argomentazione sulla contraddizione fra ricchezza reale e relazioni di valore capitalistiche per molti versi parallela a quella di Marx – e che diventa la chiave per un'analisi dialettica dello scambio ecologico ineguale.

[9] Come spiega Heinrich (2012, 42), «le cose che non sono prodotti del lavoro», nella teoria di Marx, «non possiedono un “valore”. Se vengono scambiate, hanno un valore di scambio o un prezzo, ma non un valore, e questo valore di scambio deve essere spiegato a parte». Questo crea una situazione in cui il capitalismo, in quanto sistema economico basato sul valore-lavoro, deruba sistematicamente la natura, nel senso che non viene attribuito alcun valore a quelli che in economia vengono definiti “doni gratuiti” della natura e quindi non si provvede alla sua riproduzione.

[10] Tuttavia, gli studi molto approfonditi di Marx ed Engels sulla termodinamica non erano generalmente noti fino a poco tempo fa, nemmeno a coloro che studiano l'economia ecologica. Così meno di dieci anni fa Hornborg (2006, p. 164) scriveva che Marx «ignorasse... la termodinamica».

[11] Il lavoro dello stesso Malthus, compresa la sua nota teoria della popolazione, non aveva nulla a che fare con le nozioni di capacità di carico ecologico della terra ed era per molti versi anti-ecologico nelle sue asserzioni. Si veda Foster (2000, pp. 81-110).

[12] Un passo nella giusta direzione è stato il nuovo e migliorato metodo di analisi dell'impronta ecologica sviluppato da Wackernagel et al. (1999), in cui si cerca di includere le stime dell'energia incorporata dei prodotti netti non energetici.

[13] Come vedremo in seguito, Howard Odum studiò molto da vicino l'economia politica di Marx. Tuttavia, sebbene Odum abbia svolto un ruolo fondamentale nell'introdurre il concetto di metabolismo nell'analisi degli ecosistemi e nell'ecologia dei sistemi più in generale, non era direttamente a conoscenza della trattazione del metabolismo da parte di Marx e della sua teoria della frattura metabolica. Questo perché la traduzione originale del Capitale di Marx in inglese, studiata da Odum, utilizzava le parole «scambio materiale» nei casi in cui Marx aveva usato Stoffwechsel (metabolismo). Inoltre, l'analisi della teoria di Marx della frattura metabolica è emersa alla fine del XX secolo (Foster 1999) e in sociologia. Studi recenti su Marx e la termodinamica (Burkett e Foster 2006, Wendling 2009) sono apparsi solo dopo la morte di Odum. Tuttavia, Odum e Scienceman, come indicato di seguito, erano consapevoli di alcuni aspetti termodinamici del pensiero di Marx e hanno persino fatto riferimento al «tasso metabolico del lavoro» nella teoria di Marx (Scienceman 1992, p. 33).

[14] L'approccio di Odum assomigliava per certi versi a quello dei fisiocratici che, secondo Marx ([1861-1863] 1963b, p. 52, Burkett 2006, p. 33), «concepivano il valore semplicemente come valore d'uso, semplicemente come sostanza materiale». Tuttavia, l'analisi di Odum assunse una forma molto più critica (senza dubbio influenzata in parte dai suoi studi su Marx) in cui il «valore d'uso» – per Odum «emvalue» o «emergy» – fu usato come base per una critica approfondita dei valori di scambio delle merci capitalistiche, che erano intesi come interamente basati sul lavoro o sui «servizi umani», escludendo la natura dai calcoli (Scienceman 1992, p. 33).

[15] Tuttavia, non tutti i beni prodotti nelle moderne catene di merci sono autentici valori d'uso dal punto di vista di un processo di produzione razionale. L'approccio di Odum era coerente con l'esame critico dello «spreco patologico» (Odum e Odum 2001, p. 8) incorporato in modo irrazionale nell'economia capitalistica, in cui le merci vendute erano sempre più «valori d'uso specificamente capitalistici» che traevano la loro utilità dal fatto di fornire profitti al capitalista (Foster 2011).

[16] La logica gerarchica era simile all'analisi della rete alimentare in ecologia, in cui i più efficienti trasformatori di energia, le piante che effettuano la fotosintesi, si trovavano in fondo alla gerarchia e gli animali carnivori in cima. La perdita di efficienza dal fondo della rete alimentare verso l'alto era collegata allo sviluppo di specie “dominanti”.

[17] L'enfasi posta da Odum sull'efficienza ottimale era importante perché suggeriva che, a lungo termine, non era il massimo rendimento a produrre il risultato ottimale, ma piuttosto l'optimum poteva essere uno stato stazionario. Questa argomentazione è forse proposta in modo più chiaro in Odum e Odum (2001).

[18] La discussione di Rubin ([1928] 1972, pp. 131-133) sul lavoro astratto, studiato da Odum e Scienceman, mette in relazione i tentativi di vari teorici marxisti di spiegarlo in termini di una base energetica o fisiologica comune, sebbene Rubin stesso si opponga a tale interpretazione.

[19] Questi riferimenti sono tratti da Odum e Scienceman (2005) e Scienceman (1989, 1992). La bibliografia del documento originale di Odum e Scienceman (2005), presentato nel 2004 (due anni dopo la morte di Odum), è contrassegnata dall’indicazione scritta a mano “incompleta”. Tuttavia, la pubblicazione negli atti della conferenza dell'anno successivo ha omesso questa nota e l'ha riprodotta così com'era. La bibliografia faceva riferimento ad Amin (1976) per titolo ed editore, ma includeva accidentalmente il nome di Becker come autore in quella riga. Chiaramente, si sarebbe dovuto trattare di due (o tre) voci separate, una (o due) per Amin e una per Becker. (Il modo in cui i nomi, le date e gli editori sono stati confusi suggerisce che l'intenzione degli autori potrebbe essere stata quella di includere Amin (1976, 1977a) e Becker (1977) nella bibliografia). Becker (1977) era chiaramente importante per la loro analisi ed è stato citato nel testo. La più ampia letteratura sullo scambio ineguale (compreso Emmanuel 1972) è stata riassunta in Lonergan (1988), che ha avuto un impatto diretto sull'analisi di Odum.

[20] La trasformabilità dell'informazione al vertice della gerarchia energetica nell'analisi di Odum e Odum (2001, p. 69), rappresentata come 1 × 1011, non ci dice nulla sul contenuto dell'informazione.

[21] Moore (2011a, pp. 21-22) si riferisce alla libera appropriazione dell'ambiente libero non capitalizzato come alla creazione di un «surplus ecologico» per il capitale. Anche se qui non usiamo questa terminologia, la sovrapposizione tra la sua argomentazione su questo punto e l'approccio di Odum ci sembra abbastanza evidente.

[22] Non tutti i paesi sviluppati hanno un alto rapporto investimenti emergetici e un basso rapporto emergia/denaro. Alcune “ricche dipendenze” che esportano in larga misura materie prime, come il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda, si discostano dalla norma dei paesi sviluppati/sottosviluppati a causa del loro altissimo livello di emergia pro capite (Sweeney et al. 2007, p. 13).

[23] Nelle parole di Odum (2001, p. 38): «Ad un certo punto, tuttavia, lì ci fu un profondo scontro [in relazione a Ecological Economics], e una delle questioni principali era input-output di energia incorporata contro emergia. Altra cosa era il valore di mercato rispetto ad altri valori [ecologici]. Quindi lui [Constanza] ci estromise dal comitato». Poco prima del numero di Luglio 1992 Odum e altri sei, prevalentemente scienziati naturali, furono rimossi dal comitato di Ecological Economics.

[24] Constanza (1981a, p. 140) ha insistito sul fatto che la sua teoria del valore dell'energia incorporata non sfidava in alcun modo l'economia neoclassica. «I risultati», scrisse, «indicano che non vi è alcun conflitto intrinseco tra una teoria del valore basata sull'energia incorporata (o sul costo energetico) e le teorie del valore basate sull'utilità».

[25] Il termine «dogma energetico [o energia]» è stato introdotto da Georgescu-Roegen (1981, p. 53) per riferirsi a punti di vista che riducevano le questioni del valore economico e tutte le questioni ecologiche/entropiche a mera energia. Georgescu-Roegen ha usato la nozione di «dogma energetico» in un senso più stretto per riferirsi a coloro che, sfidando la termodinamica, credevano che il riciclaggio potesse avvenire al 100% (Mayumi 2001, p. 60).

[26] Daly (1981, p. 167) ha specificato di ritenere che anche Odum e i suoi collaboratori gravitassero verso una teoria energetica del valore economico, sebbene in modo diverso da Constanza. Tuttavia, se Daly ha indicato che Odum probabilmente ricadeva nella stessa categoria e che Constanza era «rappresentativo della scuola di Odum», ha espresso dubbi a causa della natura piuttosto diversa dell’argomentazione di Odum. Questo prima dell'introduzione della terminologia dell’emergia, avvenuta due anni dopo, che ha chiarito la natura della teoria di Odum a questo proposito e le differenze tra essa e quella di Constanza. Daly (1981, p. 168) ha sostenuto affinché si mantenesse l'analisi del valore soggettivo nell’ambito dell'ampia tradizione neoclassica, sebbene spesso attingesse a critiche economiche/ecologiche esterne a tale tradizione.

[27] Questo si riferisce all'intero processo/problema di trasformazione nell'analisi di Marx, in cui i prezzi di produzione sono valori trasformati. Per una discussione generale vedi Hunt e Lautzenheiser (2011, pp. 227-31, 518-24). È interessante notare che proprio questa deviazione dei prezzi di produzione dai valori è diventata la base della teoria marxiana dello scambio ineguale.

[28] Le stesse critiche di fondo sono state rinnovate (sebbene con alcune riserve) da Joan Martínez-Alier (2002, pp. 217-8), che ha accettato la definizione di base di Hornborg del problema rispetto al lavoro di Odum, e la tesi dell’exergia.

[29] Hornborg non fu l'unico teorico in questo campo a confondere Odum con Constanza. Anche Stokes (1992, pp. 147-54) interpretava il primo in termini di quest'ultimo, e non era consapevole dei loro andamenti divergenti. Stokes, tuttavia, ha si è interessato a Odum solo fino al 1983, quindi il suo lavoro non ha seguito l'intera fase emergenziale dell'analisi di Odum.

 

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John Bellamy Foster & Hannah Holleman

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: The Journal of Peasant Studies, Vol. 41, No. 2, pp. 199-233 (14.03.2014)