Fonte:  Climate&Capitalism - 02.01.2023

Non credete ai titoli dei giornali: sta accadendo molto meno di quanto sostengono gli opinionisti favorevoli alla fusione.


Una scoperta? Sono stati necessari centonovantadue laser ad alta potenza per produrre un'esplosione di energia che è durata solo un decimiliardesimo di secondo.

Una straordinaria svolta scientifica e ingegneristica: i ricercatori del Lawrence Livermore National Laboratory della Bay Area hanno recentemente raggiunto l'obiettivo, a lungo perseguito, di generare una reazione di fusione nucleare che producesse più energia di quella immessa direttamente in un piccolo reattore. Il giorno dopo, gli opinionisti di tutti gli schieramenti politici hanno pubblicizzato questa scoperta come foriera di una nuova era nella produzione di energia, suggerendo che un futuro di energia da fusione illimitata e a basso impatto si conseguirà forse entro una ventina di anni.

In realtà, però, la fusione nucleare commercialmente praticabile è solo infinitamente più vicina di quanto non lo fosse negli anni Ottanta, quando fu raggiunta per la prima volta una reazione di fusione contenuta, cioè non avvenuta nel sole o da una bomba.

Sebbene la maggior parte degli scrittori onesti abbia almeno riconosciuto gli ostacoli che si frappongono alla fusione su scala commerciale, in genere li sottovalutano ancora – tanto oggi quanto negli anni Ottanta. Ci viene detto che una reazione di fusione dovrebbe avvenire «più volte al secondo» per produrre quantità di energia utilizzabili. Ma l'esplosione di energia del reattore a fusione LLNL è durata in realtà solo un decimo di nanosecondo, cioè un decimiliardesimo di secondo. A quanto pare, altre reazioni di fusione (con una perdita netta di energia) hanno funzionato per alcuni nanosecondi, ma riprodurre questa reazione per oltre un miliardo di volte al secondo è ben al di là di ciò che i ricercatori stanno anche solo contemplando.

Ci è stato detto che il reattore ha prodotto circa 1,5 volte la quantità di energia immessa, ma questo conta solo l'energia laser che ha effettivamente colpito il contenitore del reattore. Quell'energia, necessaria per generare temperature superiori a cento milioni di gradi, era il prodotto di una serie di 192 laser ad alta potenza, che richiedevano una quantità di energia ben superiore a 100 volte per funzionare.

Ci dicono che un giorno la fusione nucleare libererà vaste aree di terreno che attualmente sono necessarie per far funzionare impianti solari ed eolici. Ma l'intera struttura necessaria per ospitare i 192 laser e tutte le altre apparecchiature di controllo necessarie era grande abbastanza da contenere tre campi da calcio, anche se la reazione di fusione vera e propria avviene in un contenitore d'oro o di diamante più piccolo di un pisello.

Tutto questo solo per generare l'equivalente di circa 10-20 minuti di energia utilizzata da una tipica piccola abitazione. Chiaramente, anche i sistemi solari più economici sui tetti possono già fare molto di più. Il gruppo di Mark Jacobson dell'Università di Stanford ha calcolato che una conversione totale all'energia eolica, idrica e solare potrebbe utilizzare una superficie pari a quella attualmente occupata dalle infrastrutture mondiali per i combustibili fossili.

Karl Grossman, critico nucleare di lunga data, ha scritto di recente su Counterpunch dei molti probabili ostacoli al potenziamento dei reattori a fusione, anche in linea di principio, tra cui l'alta radioattività, la rapida corrosione delle apparecchiature, l'eccessiva richiesta di acqua per il raffreddamento e la probabile rottura dei componenti che dovrebbero funzionare a temperature e pressioni insondabilmente elevate. La sua fonte principale su questi temi è il dottor Daniel Jassby, che ha diretto per venticinque anni il pionieristico laboratorio di ricerca sulla fusione di Princeton. Il laboratorio di Princeton, insieme a ricercatori europei, ha guidato lo sviluppo di un dispositivo più comune per ottenere reazioni di fusione nucleare, un contenitore a forma di ciambella o sferico noto come tokamak. I tokamak, che contengono volumi molto più grandi di gas altamente ionizzato (in realtà un plasma, uno stato della materia fondamentalmente diverso), hanno ottenuto reazioni di fusione sostanzialmente più voluminose per alcuni secondi alla volta, ma non si sono mai avvicinati a produrre più energia di quella iniettata nel reattore.

La reazione di fusione mediata dal laser ottenuta al LLNL è avvenuta in un laboratorio chiamato National Ignition Facility, che si vanta di lavorare sulla fusione per l'energia, ma che è principalmente dedicato alla ricerca sulle armi nucleari. M. V. Ramana dell'Università della British Columbia, il cui recente articolo è stato pubblicato sul nuovo ZNetwork, spiega: «Il NIF è stato creato come parte del Science Based Stockpile Stewardship Program, che è stato il riscatto pagato ai laboratori di armi nucleari statunitensi per aver rinunciato al diritto di effettuare test dopo che gli Stati Uniti hanno firmato il Comprehensive Test Ban Treaty [Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti]» nel 1996. È «un modo per continuare a investire nell'ammodernamento delle armi nucleari, anche se senza test esplosivi, e mascherarlo come mezzo per produrre energia “pulita”».

Ramana cita un articolo del 1998 che spiega come uno degli obiettivi degli esperimenti di fusione laser sia quello di cercare di sviluppare una bomba all'idrogeno che non richieda un ordigno a fissione convenzionale per accenderla, eliminando potenzialmente la necessità di uranio o plutonio altamente arricchito nelle armi nucleari.

Mentre alcuni prevedono un futuro di reattori a fusione nucleare funzionanti con acqua di mare, il combustibile effettivo per i tokamak e gli esperimenti di fusione laser consiste in due isotopi unici di idrogeno noti come deuterio – che ha un neutrone in più nel suo nucleo – e trizio – con due neutroni in più.

Il deuterio è stabile e piuttosto comune: circa un atomo di idrogeno su 5-6000 nell'acqua di mare è in realtà deuterio, ed è un ingrediente necessario (come componente dell'“acqua pesante”) nei reattori nucleari convenzionali.

Il trizio, invece, è radioattivo, con un tempo di dimezzamento di dodici anni, ed è tipicamente un costoso sottoprodotto (30.000 dollari al grammo) di un insolito tipo di reattore nucleare noto come CANDU, che oggi si trova principalmente in Canada e Corea del Sud. Con la metà dei reattori CANDU in funzione che dovrebbero essere dismessi nel corso di questo decennio, le scorte di trizio disponibili raggiungeranno probabilmente il picco prima del 2030 e un nuovo impianto di fusione sperimentale in costruzione in Francia esaurirà quasi completamente le scorte disponibili all'inizio del 2050. Questa è la conclusione di un articolo altamente rivelatore apparso sulla rivista Science lo scorso giugno, mesi prima dell'ultima scoperta sulla fusione. (In seguito ho appreso che la maggior parte di questi dati è stata riportata per la prima volta, per un pubblico non specializzato, sul New Energy Times nel 2021).

Sebbene il laboratorio di Princeton abbia compiuto alcuni progressi verso il potenziale riciclo del trizio, i ricercatori della fusione continuano a dipendere dalle scorte in rapida diminuzione. Sono in fase di sviluppo anche combustibili alternativi per i reattori a fusione, basati sull'elio radioattivo o sul boro, ma questi richiedono temperature fino a un miliardo di gradi per innescare una reazione di fusione. Il laboratorio europeo prevede di sperimentare nuovi metodi per generare trizio, ma questi aumentano significativamente la radioattività dell'intero processo e si prevede un guadagno di trizio solo del 5-15%. Maggiore è il tempo di inattività tra un esperimento e l'altro, minore sarà la produzione di trizio.

L'articolo di Science cita D. Jassby, ex del laboratorio di fusione di Princeton, che afferma che il problema dell'approvvigionamento di trizio «rende sostanzialmente impossibili i reattori di fusione deuterio-trizio».

Perché dunque tutta questa attenzione verso il potenziale immaginato per l'energia da fusione? È l'ennesimo tentativo di coloro che credono che solo un approccio su larga scala e ad alta intensità tecnologica possa essere una valida alternativa alla nostra attuale infrastruttura energetica dipendente dai combustibili fossili. Alcuni degli stessi interessi continuano a promuovere le false affermazioni secondo cui una "nuova generazione" di reattori nucleari a fissione risolverà i problemi persistenti dell'energia nucleare, o che la cattura e l'interramento su larga scala dell'anidride carbonica proveniente dalle centrali elettriche a combustibili fossili renderà possibile perpetuare l'economia basata sui fossili nel lontano futuro.

Non è compito di questo articolo affrontare sistematicamente queste affermazioni, ma è chiaro che le promesse odierne di una nuova generazione di reattori "avanzati" non sono molto diverse da quelle che si sentivano negli anni '80, '90 o nei primi anni 2000.

L'esperto nucleare Arnie Gundersen ha sistematicamente esposto i difetti del "nuovo" progetto di reattore attualmente favorito da Bill Gates, spiegando che la tecnologia sottostante, raffreddata a sodio, è la stessa del reattore che «ha quasi distrutto Detroit» a causa di una fusione parziale nel 1966 e che ha ripetutamente causato problemi in Tennessee, Francia e Giappone.

L'infrastruttura francese per l'energia nucleare, che è stata a lungo presentata come un modello per il futuro, è sempre più afflitta da problemi alle apparecchiature, da enormi sforamenti dei costi e da alcune fonti di acqua di raffreddamento che non sono più sufficientemente fredde, a causa dell'aumento delle temperature globali. Un tentativo di esportare la tecnologia nucleare francese in Finlandia è durato più di vent'anni del previsto, con costi molto superiori a quelli originariamente previsti.

Per quanto riguarda la cattura del carbonio, sappiamo che innumerevoli esperimenti di cattura del carbonio, altamente sovvenzionati, sono falliti e che la stragrande maggioranza della CO2 attualmente catturata dalle centrali elettriche viene utilizzata per il «recupero potenziato del petrolio», ossia per aumentare l'efficienza dei pozzi petroliferi esistenti. Le condutture necessarie per raccogliere la CO2 e interrarla nel sottosuolo sarebbero paragonabili all'intera infrastruttura attuale per il trasporto di petrolio e gas, e l'idea di un interramento permanente si rivelerà probabilmente un sogno irrealizzabile.

Nel frattempo, sappiamo che la costruzione di nuovi impianti solari ed eolici è già più economica di quella di nuove centrali elettriche a combustibili fossili e, in alcune località, è persino meno costosa del mantenimento in funzione delle centrali elettriche esistenti. Lo scorso maggio, la California è riuscita per un breve periodo a far funzionare l'intera rete elettrica con energia rinnovabile, un traguardo già raggiunto in Danimarca e in Australia meridionale. Sappiamo inoltre che una serie di metodi di stoccaggio dell'energia, combinati con una sofisticata gestione del carico e con l'aggiornamento dell'infrastruttura di trasmissione, stanno già contribuendo a risolvere il problema dell'intermittenza dell'energia solare ed eolica in Europa, in California e in altre località.

Allo stesso tempo, sta crescendo la consapevolezza della crescente dipendenza della tecnologia rinnovabile, comprese le batterie avanzate, dai minerali estratti dalle terre indigene e dal Sud del mondo.

Pertanto, una transizione energetica significativamente giusta deve essere sia completamente rinnovabile, sia rifiutare i miti della crescita perpetua emersi dall'era dei combustibili fossili. Se la fine dell'era dei combustibili fossili fa presagire la fine della crescita capitalistica in tutte le sue forme, è chiaro che tutta la vita sulla Terra alla fine ne beneficerà.


Brian Tokar

Traduzione di Marco Giustini

Fonte: Climate&Capitalism 02.01.2023


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