Fonte: Monthly Review - 01.05.2000

Questa recensione del 2000 di un libro che raccoglie scritti di Rachel Carson, selezionati dalla sua biografa Linda Lear, ci regala interessanti e affascinanti informazioni sul modo di guardare e rappresentare la natura da parte dell’autrice di Silent Spring e allo stesso tempo documenta il lucido e coraggioso passaggio della studiosa all’attivismo politico in difesa dell’ambiente.



Lost Woods
: The Discovered Writing of Rachel Carson, a cura di Linda Lear. Beacon Press, 1999
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Lost Woods
riporta Rachel Carson nella sfera pubblica. Questa raccolta dei suoi scritti, selezionati dalla sua biografa Linda Lear, ci ricorda ancora una volta la straordinaria gamma dei suoi talenti e l'altrettanto straordinario uso che ne fece. Il libro offre, in un piccolo volume, un assaggio di tutte le cose interessanti e affascinanti che si trovano nelle opere più lunghe della Carson. Attraverso un'attenta scelta di discorsi, articoli, annotazioni e lettere, presentati in ordine cronologico, Lear ci permette di assistere, attraverso le stesse parole della Carson, alla sua trasformazione da scienziato naturale ad attivista politico dell'ambiente.

Gran parte della prima metà è dedicata a brevi brani tratti da scritti sulla natura della Carson che illustrano la sua riverenza per i misteri e la grande antichità della vita. Scrivendo del ruolo dei venti e delle correnti d'aria sulla popolazione degli ecosistemi insulari, Carson ci dice che «gli aviatori [N.d.T. Metafora qui per indicare i venti e le correnti d’aria sopra citati] sono passati attraverso un gran numero di filamenti bianchi e di seta dei “paracadute” dei ragni ad altezze di due o tre miglia». Altrettanto miracolose sono le migrazioni delle anguille di Chesapeake. Dopo dieci o vent'anni di vita trascorsi contente tra i banchi di fango e le paludi, si impegnano di tornare ai loro luoghi di riproduzione, a mille miglia di distanza, nel Mar dei Sargassi. Cosa li guidi nei loro viaggi è ancora sconosciuto. Nell'aria, le migrazioni annuali degli uccelli rispecchiano gli stessi curiosi viaggi in mare delle anguille e di altri pesci. La Carson descrive l'evoluzione della vita ricca e varia dell'isola [N.d.T. L’isola in questione dovrebbe forse essere una di quelle della Baia di Chesapeake] nel corso di milioni di anni come il «riposo di un'isola». Le storie che racconta di creature viventi guidate da impulsi insondabili servono in modo parallelo a "nutrire" la nostra immaginazione. C'è, a quanto pare, un numero infinito di soluzioni alla sfida della vita.

Come la descrive Linda Lear correttamente nel sottotitolo della sua biografia, Rachel Carson è stata una «testimone della natura». Nel presentarci il funzionamento dei venti o delle correnti marine o gli habitat delle larve, scrive come una narratrice trasparente, trasmettendo il proprio fascino per i soggetti trattati senza mai attirare l'attenzione su di sé. Mette la natura al centro della scena, sottolineando i complessi processi della vita in evoluzione eoni prima dell'arrivo degli umani. Queste forme di vita durature negoziano i loro ambienti in modi del tutto estranei agli esseri umani, e lo fanno da molto più tempo. Cercando di cogliere la loro prospettiva sulla vita, la Carson regola continuamente l'angolazione della nostra. La sua angoscia per le conseguenze della guerra, ad esempio, non si concentra sulla decimazione di vite umane ma sul danno o sulla distruzione della fauna selvatica di cui entrambe le parti in qualsiasi conflitto sono responsabili (nella guerra nel Pacifico negli anni '40, ad esempio, gli aerei uccisero migliaia di uccelli, specialmente quelli che volavano di notte; altri grandi uccelli come albatri e procellarie caddero nelle trincee, dove morirono di fame).

L’impegno della Carson era verso il mondo naturale nel suo insieme piuttosto che verso una qualsiasi tribù al suo interno. Non era più propensa a discriminare tra le classi di invertebrati di Linneo che tra le classi marxiste di vertebrati. La sua politica era ecologica, non ideologica. Percepiva il rapporto degli organismi con il loro ambiente come una catena continua di eventi, in cui ogni anello giocava un ruolo critico, piuttosto che come una serie di lotte decisive tra forti e deboli. L'interruzione di questa continuità, attraverso «la costante manomissione dell'uomo dell'equilibrio della Natura», ha avuto non una ma molte vittime, da trovare in ogni punto della catena alimentare. Le foglie cosparse di pesticidi cadono a terra e diventano cibo per i lombrichi. La primavera successiva, i pettirossi consumano una dose letale di quei lombrichi e muoiono.

Non concedere privilegi speciali agli esseri umani ha liberato la Carson da una visione strettamente strumentale della natura che vede la Terra come un vasto deposito di ricchezza da sfruttare e di cui gli esseri umani possono appropriarsi. Per la Carson, la corretta amministrazione veniva prima di tutto; la proprietà diventava un problema solo quando entrava in conflitto con la capacità della natura di rinnovarsi illesa. Lei non si oppose al fatto che la terra fosse detenuta in mani private, che i minerali venissero estratti, che la natura selvaggia fosse rivendicata per l'agricoltura o che si ricorresse all'uso di pesticidi, occasionalmente e con parsimonia. Si è opposta a ogni interferenza irresponsabile con le risorse naturali al fine di realizzare guadagni (politici o economici) a breve termine che voltasse le spalle, impunemente, alle conseguenze a lungo termine per l'ambiente. Gradualmente, man mano che le sue preoccupazioni [per l’ambiente] la portavano ad avvicinarsi alle forze trainanti che si trovano dietro alla diffusa distruzione della vita naturale, capì che era in gioco molto di più e che avrebbe dovuto portare le sue passioni private su un terreno pubblico e politico.

Il passaggio dalla Carson come osservatrice alla Carson come attivista è segnato in Lost Woods da una lettera indirizzata da lei al Washington Post nel 1953, dove protestava contro il licenziamento da parte dei repubblicani appena eletti di ambientalisti professionisti da incarichi governativi di alto livello nel Fish and Wildlife Service e nel Bureau of Land Management. La loro sostituzione con incaricati politici era di cattivo auspicio per «la vera ricchezza della Nazione... le risorse della terra: suolo, acqua, foreste, minerali e fauna selvatica». L'intervento pesante suggerì alla Carson che «si stava aprendo la strada per un'incursione sulle nostre risorse nazionali ... La proposta di donazione delle nostre riserve petrolifere offshore e la minacciata invasione di parchi nazionali, foreste e altre terre pubbliche». Scrivendo al culmine del maccartismo, la Carson concludeva «È una delle ironie del nostro tempo che, mentre ci concentriamo sulla difesa del nostro paese dai nemici esterni, dovremmo essere così incuranti di coloro che lo distruggerebbero dall'interno».

La Carson inviò un'altra lettera al Post nel 1959, in risposta a un editoriale che discuteva gli effetti di un inverno estremamente rigido sugli uccelli migratori. Questa è stata la prima salva pubblica nella sua guerra contro l'uso indiscriminato di pesticidi (Silent Spring è stato pubblicato tre anni dopo). In essa, cita un ecologista britannico che si riferisce all'aumento dell'uso di pesticidi come a «una straordinaria pioggia di morte sulla superficie della terra».

L'immagine si aggiungeva ai timori della Carson per la ricaduta radioattiva e alle sue preoccupazioni sui pericoli dello smaltimento dei rifiuti atomici, in quanto poco compresi all'epoca come le implicazioni a lungo raggio dei pesticidi (gli Stati Uniti e altre potenze nucleari scaricavano scorie radioattive in mare dal 1946). In una prefazione alla seconda edizione di The Sea Around Us [N.d.T. Il mare intorno a noi ha avuto in Italia diverse edizioni da Einaudi a Piano B], la Carson evidenziava i pericoli di «un problema che è molto più complesso e molto più pericoloso di quanto sia stato ammesso... La verità è che lo smaltimento (di rifiuti radioattivi) è avvenuto molto più rapidamente di quanto le nostre conoscenze giustifichino. Smaltire prima e investigare dopo è un invito al disastro…».

La Carson avrebbe avvertito delle applicazioni premature dei pesticidi quanto dei pericoli dello smaltimento dei rifiuti in mare. In entrambi i casi, la prudenza scientifica era stata sacrificata, come affermò in un discorso al Women's National Press Club, «per servire gli dei del profitto e della produzione». Erano state adottate strategie, sostanze chimiche sintetiche erano state rilasciate nella terra, nell'aria e nel mare prima che la scienza ne stabilisse la sicurezza. Le richieste dell'industria e del commercio erano semplicemente troppo urgenti e troppo potenti per essere legate alle preoccupazioni eccessivamente prudenti dell'ufficiale della sanità pubblica. Era molto più facile presumere semplicemente che le sostanze chimiche fossero innocenti fino a prova contraria, piuttosto che attendere il via libera scientifico.

Rachel Carson è stata una dei primi scienziati a riconoscere le difficoltà che queste denunce avrebbero presentato per coloro che cercavano di frenare l'uso di sostanze chimiche tossiche. La scienza convenzionale testa tradizionalmente le sostanze una alla volta. La prospettiva di riuscire a districare gli effetti di esposizioni multiple a migliaia di sostanze chimiche diverse al fine di identificare i rischi collegati a ciascuna individualmente è quasi nulla. Ma la mancanza di prove che dimostrino la tossicità non garantisce che una sostanza non sia tossica, ma semplicemente che l'approccio convenzionale alla scienza rende impraticabile tale valutazione. Non sorprende che non ci siano "dati" sulla maggior parte dei sospetti cancerogeni.

La "scienza sana", quindi, è diventata il rifugio e il grido di battaglia delle industrie chimiche. Per la grande maggioranza delle sostanze chimiche potenzialmente dannose, [quella locuzione] equivale a "nessuna scienza". Per la piccola minoranza di casi in cui può essere utilizzato, lo strumento prescelto è la valutazione del rischio applicata all'analisi costi/benefici. Sviluppata come strumento ambientale negli anni '70, la valutazione del rischio sovrastima enormemente la capacità della scienza di prevedere i danni su quelli che sono sistemi ecologici e umani estremamente complessi. Essa serve per quantificare e gestire il rischio, non per eliminarlo. Chiede quali livelli di esposizione sono sicuri piuttosto che come muoversi verso alternative più sotenibili. La maggior parte delle ipotesi che avanza – su esposizioni, dose-risposta, estrapolazioni dagli animali all'uomo – si basano su decisioni soggettive e talvolta arbitrarie. Eppure fornisce una copertura rispettabile per tutti i tipi di atteggiamenti ambientali. Lo stesso Al Gore che ha scritto una brillante introduzione a un'edizione per l'anniversario di Silent Spring ha citato la "scienza solida" per giustificare la creazione di un comitato consultivo che ha effettivamente ritardato l'eliminazione graduale di diversi pesticidi, tutti ampiamente utilizzati negli USA (in Iowa, Florida, Texas e California), che sono l’argomento- chiave della campagna elettorale di Al Gore. I gruppi ambientalisti e di interesse pubblico hanno lasciato il panel nel 1999, citando la riluttanza dell'EPA «a fare scelte difficili».

Per l'idealista Carson, la soluzione a questo dilemma era prevenire la possibilità di danni ritirando o trattenendo dall'uso qualsiasi sostanza che non risultasse sicura. «L'onere della prova», ha affermato la Carson nella sua ultima apparizione pubblica, «è su coloro che userebbero queste sostanze chimiche per dimostrare che le procedure sono sicure». Questa strategia è stata ora elaborata nel Principio di precauzione, uno strumento decisionale affinato in una conferenza di attivisti, scienziati e studiosi nel Wisconsin nel 1998. Sostiene che la legislazione non ha bisogno di fare affidamento sulla scienza e che, anche nel contesto di incertezza scientifica, gli inquinatori dovrebbero dimostrare sia una chiara necessità di intraprendere qualsiasi attività pericolosa sia l'assenza di qualsiasi alternativa più sicura.

Le vecchie strategie ambientali che facevano il gioco della "scienza" e si basavano sulle valutazioni del rischio per sostenere la loro tesi hanno chiaramente avuto un successo limitato. La produzione di pesticidi dalla pubblicazione di Silent Spring è aumentata del 400 %. Il loro uso diffuso porta a circa 110.000 avvelenamenti e venticinque morti umane registrate ogni anno. L'irrorazione agricola di routine uccide sessantasette milioni di uccelli all'anno, un fatto che sarebbe particolarmente doloroso per Rachel Carson.

L'agroindustria è ora molto meglio organizzata di quanto non fosse ai tempi della Carson. Il lobbying delle società chimiche (al cui status di deducibilità fiscale la Carson si oppose con veemenza all'inizio degli anni '60) ora esercita un'influenza su una scala che lei troverebbe inimmaginabile. Come concorrente, il principio di precauzione sembra una canna sottile, ed è improbabile che resista alle pressioni della burrasca da parte dell'industria chimica. Eppure i suoi sostenitori sostengono che è già incarnato in molte politiche attuali. Gli Stati Uniti, sostengono, hanno firmato e ratificato la Dichiarazione di Rio, vincolante per l'Agenzia per la protezione ambientale (EPA), alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo nel 1992. Ciò affermava:

Laddove vi siano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di piena certezza scientifica non può essere usata come motivo per rinviare misure efficaci in termini di costi per prevenire il degrado ambientale.

Ma l’«efficacia dal punto di vista dei costi» – ecco il problema! Questa frase inserita su insistenza della delegazione statunitense chiarisce che, quando la richiesta di “certezza scientifica” non riesce a tutelare gli interessi delle imprese, gli imperativi economici sottostanti che essa serve passeranno in primo piano. Naturalmente, l'uso dell'analisi costi/benefici garantisce che la palla rimanga nel campo dei massimizzatori di profitto.

Tuttavia, in assenza di campagne più incisive per controllare la diffusione di sostanze chimiche tossiche, il Principio di precauzione oggi potrebbe non essere più donchisciottesco del guanto di sfida lanciato alle industrie chimiche da una scienziata indipendente in un libro scritto quasi quarant'anni fa [naturalmente, alla data della recensione; oggi, come già detto, sono appunto sessant’anni. N.d.T]. Lost Woods ci ricorda ancora una volta la portata dell'opposizione che la Carson ha dovuto affrontare e l'improbabilità del suo successo. Questo è un messaggio che dobbiamo ascoltare.


Ellen Leopold

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Monthly Review 01.05.2000


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