Fonte: The New Yorker - 19.03.2018

Solo alla fine della sua vita, Rachel Carson scrisse il libro per il quale è ora conosciuta. Prima di allora si era sempre considerata una poetessa del mare.



Il mondo domestico di Rachel Carson ha modellato la sua comprensione del mondo naturale; entrambi sono ecosistemi complessi e talvolta fragili.


La casa, su un'isola del Maine, è appolliata su uno scoglio in riva al mare come un nido d'aquila. Sotto il portico posteriore con la ringhiera bianca, la roccia ricoperta di chiazze di mare digrada verso un basso fondale grumoso di erba anguilla e vesciche, scivoloso come un nodo di serpenti. Le pervinche si aggrappano alle rocce, le cozze si serrano come borse. Un gabbiano atterra su uno scoglio di erbacce ispide, si sprimaccia e si accovaccia, per difendersi dal vento impetuoso che soffia sull'acqua, mentre, sulla scogliera, gli alberi - abeti rossi e betulle ricoperti di licheni - sospirano e scricchiolano come vecchi in un mattino umido.

«La costa è un mondo antico», scriveva Rachel Carson dalla scrivania di questa casa, su un tavolo con il piano di pino incastrato in un angolo di una stanza dove la porta della zanzariera tremava ad ogni soffio di vento, come se implorasse di essere aperta. Molto prima che la Carson scrivesse il suo ultimo libro, pubblicato nel 1962, era una scrittrice celebre: la scienziata-poetessa del mare. Undersea, il suo saggio d'esordio, apparve su The Atlantic nel 1937. «Chi conosce l'oceano?», si chiedeva. «Né io né voi, con i nostri sensi terrestri, conosciamo la schiuma e l'impeto della marea che si abbatte sul granchio che si nasconde sotto l'alga della sua pozza di marea, o il suono delle lunghe e lente onde di metà oceano, dove i banchi di pesci erranti predano e sono predati, e il delfino rompe le onde per respirare l'atmosfera superiore». Il libro lasciava i lettori a bocca aperta, annegati nella marea del suo linguaggio, un gorgheggio acquatico di molluschi e branchie e vermi tubolari e ricci e plancton e cunner, inzuppati di salamoia, ricoperti di rocce, sessili, arborescenti, abissali, spinosi, radiolari, silicei e fosforescenti, mentre, qua e là, «l'aragosta si fa strada con agile prudenza attraverso il perpetuo crepuscolo».

Silent Spring [la trad. it., Primavera silenziosa, è pubblicata da Feltrinelli], un libro di terraferma, non è un libro da poco: ha promosso il movimento ambientalista, ha provocato l'approvazione del Clean Air Act (1963), del Wilderness Act (1964), del National Environmental Policy Act (1969), del Clean Water Act e dell'Endangered Species Act (entrambi del 1972) e ha portato all'istituzione dell'Environmental Protection Agency, nel 1970. Il numero di libri che hanno fatto altrettanto bene al mondo si può contare sulle braccia di una stella marina. Tuttavia, tutti gli altri libri della Carson e quasi tutti i suoi saggi riguardavano il mare. Il fatto che la Carson sarebbe stata ricordata per un libro sulla pericolosità di pesticidi da cortile come il DDT l'avrebbe sorpresa nei suoi anni giovanili, quando era biologa marina presso l'U.S. Bureau of Fisheries, e scriveva promemoria sull'alosa e rifletteva sul muso indagatore delle balene, dopo essersi specializzata ai tempi dell’università sull'anguilla americana.

La Carson era fiera di Silent Spring, ma è impressionante vedere che una nuova raccolta, Silent Spring and Other Writings on the Environment, curata da Sandra Steingraber (Library of America), non includa nemmeno una goccia dei suoi scritti sul mare. La Steingraber si lamenta del fatto che «mentre i libri sul mare della Carson alludono occasionalmente alle minacce ambientali, non invitano ad alcuna azione particolare» e, con questo, li mette da parte. La convinzione politica è una strana misura del valore di un pezzo di prosa la cui forza risiede nella conoscenza e nella meraviglia. Nel suo primo libro, Under the Sea-Wind (1941), la Carson scriveva: «Stare sulla riva del mare, percepire il flusso e il riflusso delle maree, sentire il respiro di una nebbia che si muove su una grande palude salata, osservare il volo degli uccelli della riva che hanno spazzato su e giù le linee di superficie dei continenti per migliaia di anni, vedere la corsa delle vecchie anguille e delle giovani alghe verso il mare, significa avere la conoscenza di cose che sono quasi eterne come può esserlo qualsiasi vita terrena». Non avrebbe potuto scrivere Silent Spring se per decenni non fosse scesa dalle rocce, arrotolato i pantaloni e guadato le pozze di marea, pensando a come una cosa possa cambiarne un'altra e a come, «nel corso degli eoni del tempo, il mare sia diventato sempre più amaro con il sale dei continenti». Amava soprattutto uscire di notte, con una torcia elettrica, per penetrare il buio spaventoso.

Tutte le creature sono fatte di mare, come la Carson amava sottolineare; «la grande madre della vita», lo chiamava. Anche i mammiferi terrestri, con i nostri scheletri induriti di calcare e il nostro sangue salato, nascono come feti che nuotano nell'oceano di ogni grembo. Lei stessa non sapeva nuotare. Non le piacevano le barche. In tutta la sua infanzia non aveva mai sentito l'odore dell'oceano. Cercava di immaginarlo: «Immaginavo il suo aspetto e il suono delle onde».

Carson nacque nel 1907 nella Pennsylvania occidentale, vicino al fiume Allegheny, in una casa di legno a due piani in una fattoria di sessantaquattro acri con un frutteto di meli e peri e un'aia con un maiale, un cavallo, alcune galline e pecore, un luogo non diverso da quello che lei evoca nelle prime righe di Silent Spring:

C'era una volta una città nel cuore dell'America dove tutta la vita sembrava vivere in armonia con l'ambiente circostante. La città si trovava in mezzo a una scacchiera di fattorie floride, con campi di grano e colline di frutteti dove, in primavera, nuvole bianche di fiori si libravano sopra i campi verdi. In autunno, la quercia, l'acero e la betulla si trasformavano in un tripudio di colori che fiammeggiavano e tremolavano su uno sfondo di pini. Poi le volpi abbaiavano sulle colline e i cervi attraversavano silenziosamente i campi, seminascosti nelle nebbie delle mattine autunnali.

 La più giovane di tre figli, trascorse la sua infanzia vagando per i campi e le colline. Sua madre le insegnò i nomi delle piante e i richiami degli animali. Leggeva Beatrix Potter e Il vento nei salici. A otto anni scrisse una storia su due scriccioli alla ricerca di una casa. «Non ricordo nessun momento, nemmeno nella prima infanzia, in cui non ho pensato che sarei diventata una scrittrice», ha detto, «Non ho idea del perché». Le storie che scrisse durante l'adolescenza raccontavano le sue scoperte: «Il nido del biancone, pieno di uova, la culla aerea del rigogolo, la struttura di bastoni che il cuculo chiama nido e la casa ricoperta di licheni del colibrì».

E poi: qualcosa della ruggine delle miniere di carbone di Pittsburgh invase l'infanzia della Carson quando suo padre, che non si era mai dato da fare se non per il roseto che curava, cominciò a vendere pezzi della fattoria di famiglia; i prati divennero negozi. Non era il flagello dei pesticidi, ma per la Carson si trattò di una perdita che le permise di scrivere con tanta chiarezza, nell'incipit di Silent Spring, del destino di un'immaginaria città americana irrorata di DDT:

Poi una strana ruggine si insinuò nella zona e tutto cominciò a cambiare. Un incantesimo maligno si era posato sulla comunità: misteriose malattie colpirono le greggi di polli; il bestiame si ammalò e morì. Ovunque c'era un'ombra di morte. I contadini parlavano di molte malattie nelle loro famiglie. In città i medici erano sempre più perplessi per la comparsa di nuovi tipi di malattie tra i loro pazienti. C'erano state diverse morti improvvise e inspiegabili, non solo tra gli adulti ma anche tra i bambini, che venivano colpiti all'improvviso mentre giocavano e morivano nel giro di poche ore.

 La Carson lasciò la casa per il Pennsylvania College for Women, per studiare inglese. Inviò poesie a riviste come Poetry, The Atlantic, Good Housekeeping, The Saturday Evening Post e ricevette diverse lettere di rifiuto, strane come farfalle. La madre vendeva mele, polli e le porcellane di famiglia per contribuire a pagare la retta e si recava dalla fattoria al college ogni fine settimana per battere a macchina i documenti della figlia (in seguito batterà a macchina anche i suoi libri), anche perché, come molte madri, desiderava lei stessa un'istruzione.

 La Carson, che gli amici chiamavano Ray, partecipò a un ballo universitario nel 1928, ma non mostrò mai alcun interesse romantico per gli uomini. Tuttavia, si appassionò profondamente della sua professoressa di biologia, Mary Scott Skinker. Cambiò la sua specializzazione e seguì la Skinker a Woods Hole per un progetto di ricerca estivo, che le permise di vedere finalmente l'oceano. Di giorno setacciava la riva per ore e ore, persa in un mondo nuovo, incantata da ogni creatura. Di notte, scrutava l'acqua al largo dei moli per osservare l'accoppiamento dei vermi policheti, le cui setole scintillavano al chiaro di luna.

 La Carson iniziò a studiare zoologia alla Johns Hopkins, completò un master ed entrò nel programma di dottorato nel 1932. Tutta la sua famiglia si trasferì a Baltimora per vivere con lei: la madre, il padre malato, la sorella divorziata e le due nipotine molto piccole. Rachel, l'unica salariata della famiglia, lavorava come assistente di laboratorio e insegnava Biologia e Zoologia alla Johns Hopkins e all'Università del Maryland. Con l'aggravarsi della Depressione, per un certo periodo vissero solo di mele. Alla fine, la Carson dovette lasciare l’università per accettare un lavoro meglio retribuito, nel dipartimento di Educazione pubblica del Bureau of Fisheries, e guadagnò altri soldi vendendo articoli al Baltimore Sun. La sua migliore biografa, Linda Lear, precisa che uno di essi riguardava l'allevamento delle ostriche, mentre «altri tre portavano avanti la sua ricerca sulla situazione dell'alosa».

 Il padre della Carson morì nel 1935, seguìto, due anni dopo, dalla sorella maggiore, lasciando Rachel a prendersi cura della madre e delle nipoti, di undici e dodici anni; in seguito essa adottò il nipote, rimasto orfano all'età di quattro anni. Questi obblighi a volte frustravano la Carson, ma non tanto quanto secondo i suoi biografi. Per la Lear, autrice di Rachel Carson: Witness for Nature (1997) e curatrice di un'eccellente antologia, Lost Woods: The Discovered Writing of Rachel Carson (1998), gli obblighi familiari della Carson – in particolare verso i piccoli di casa – non erano altro che fardelli che «la privarono della privacy e prosciugarono la sua energia fisica ed emotiva». La Lear lo afferma forse immedesimandosi troppo, nel tentativo di spiegare perché la Carson non abbia scritto di più e perché, a parte i suoi articoli sul Sun, non abbia mai presentato un manoscritto in tempo. Ma dal prendersi cura degli altri si impara sempre qualcosa. La Carson giunse a vedere il mondo così bello, selvaggio, come un’entità vivente e vulnerabile, ogni parte della quale è collegata a ogni altra, non solo grazie alla sua prodigiosa ricerca scientifica, ma anche grazie a una vita dedicata alla cura di giovani e anziani, ad asciugare la fronte a un moribondo, a rimboccare le coperte a ragazze orfane di madre, a riscaldare la cena a un bambino solo. L'aspetto domestico e familiare pervade la sua comprensione della natura. «Si dice che la fauna selvatica stia diminuendo perché la sua casa viene distrutta», scriveva nel 1938, «ma la casa della fauna selvatica è anche la nostra casa». Se avesse avuto meno impegni familiari, avrebbe avuto meno intuizioni.

 All'inizio del suo periodo di lavoro presso il Bureau of Fisheries, la Carson redasse un saggio di undici pagine sulla vita marina intitolato The World of Waters. Il capo del suo dipartimento le disse che era troppo bello per un opuscolo governativo e le suggerì di inviarlo a The Atlantic. Dopo la pubblicazione, con il titolo di Undersea, la Carson iniziò a scrivere il suo primo libro proprio negli anni del New Deal di Franklin Delano Roosevelt, nel senso che lo redasse sul retro della carta intestata della National Recovery Administration, mentre lavorava per quello che divenne, nel 1939, l'U.S. Fish and Wildlife Service. Under the Sea-Wind apparve poche settimane prima che i giapponesi bombardassero Pearl Harbor, e affondò come una corazzata.

 La Carson, che aveva trascorso la guerra durante il razionamento della carne istruendo le casalinghe su come cucinare pesci poco conosciuti, si era stancata. Propose al Reader's Digest un articolo sul DDT. Durante la guerra, le aziende chimiche avevano venduto il pesticida ai militari per fermare la diffusione del tifo eliminando i pidocchi. Dopo la guerra, iniziarono a vendere il DDT e altri pesticidi a livello commerciale, per irrorare fattorie e giardini. La Carson, leggendo i rapporti governativi sui pesci e sulla fauna selvatica, si allarmò: Il DDT non era stato testato per uso civile e molte creature, oltre agli insetti, sembravano morire a causa sua. Propose un articolo sul pesticida, dove si chiedeva «se potesse sconvolgere l'intero delicato equilibrio della natura se usato incautamente». Ma il Reader's Digest non era interessato.

 Scrivendo di notte, la Carson iniziò un altro libro, nella speranza di sottoporre ai lettori i risultati di una rivoluzione che stava avvenendo nella biologia marina e nell'esplorazione delle profondità marine, prospettando un'ecologia dell'oceano. «Per quanto possa sembrarci senza segni e senza tracce, la superficie dell'oceano è divisa in zone ben definite», spiegava l'autrice. «I pesci e il plancton, le balene e i calamari, gli uccelli e le tartarughe marine sono tutti legati da vincoli indissolubili a determinati tipi di acqua». Ma lo stato della ricerca implicava anche il fatto che sussistessero dei misteri: «Le balene appaiono all'improvviso al largo delle coste dove sciami di krill simili a gamberi si stanno riproducendo, le balene sono arrivate da non si sa dove, da non si sa quale rotta».

 La Carson aveva affrontato un argomento e un campo di ricerca così ampio che inizialmente intitolò il libro Out of My Depth o Carson at Sea. Anche lei era come se presagisse qualcosa. Nel 1946 le era stata asportata una cisti al seno sinistro. Nel 1950, il medico le trovò un'altra cisti. Dopo un altro intervento chirurgico, si recò in riva al mare, a Nags Head, nella Carolina del Nord. «Vidi le tracce di un uccello di terraferma, probabilmente un sanderling, e le seguii un po', poi [le tracce] si rivolsero verso l'acqua e furono presto cancellate dal mare», scrisse nelle note di campo conservate in uno dei suoi quaderni rilegati a spirale, «Quante cose vengono spazzate via, come se non ci fossero mai state».

 Quando La Carson terminò il libro, The Atlantic rifiutò di pubblicarne un estratto, ritenendolo troppo poetico. William Shawn, direttore del New Yorker, non condivise questa riserva. The Sea Around Us [Trad. it. Il mare intorno a noi, ha avuto in Italia diverse edizioni: Gherardo Casini Editore, Einaudi e ultimamente Piano B Edizioni] apparve su queste pagine, nel 1951, come un ritratto del mare in tre parti, il primo ritratto di qualcosa che non fosse una persona. Le lettere dei lettori si moltiplicarono: «Ho iniziato a leggere pensando "chissà cos’è ora questo" e mi sono ritrovato incantato», ha scritto uno di loro, e molti hanno dichiarato che si trattava della cosa più memorabile mai pubblicata sulla rivista e, a parte Hiroshima di John Hersey, la migliore.

The Sea Around Us vinse il National Book Award e rimase nella classifica dei best-seller del New York Times per un periodo record di ottantasei settimane. Ripubblicato, Under the Sea-Wind anch’esso diventò un best-seller. I lettori si chiedevano chi fosse l'autore. L'opera della Carson, che rivelava una grande energia, fece supporre ai recensori maschi che la sua autrice dovesse essere per metà uomo. Un giornalista del Boston Globe scrisse: «Immaginerete certamente che una donna che ha scritto dei sette mari e delle loro meraviglie sia un tipo dal fisico robusto… Non Miss Carson. È piccola e snella, con capelli castani e occhi il cui colore ha qualcosa del verde e del blu dell'acqua di mare. È curata e femminile, porta uno smalto rosa tenue e usa il rossetto e la cipria con perizia, ma senza esagerare».

 La Carson scrollò le spalle e, rassegnando le dimissioni dal suo incarico governativo, iniziò a mettere in discussione la politica federale. Quando il nuovo Segretario agli Interni di Eisenhower, un uomo d'affari dell'Oregon, sostituì gli scienziati del dipartimento con dei politici, la Carson scrisse una lettera al Washington Post: «L'inquietante quadro che si sta chiaramente rivelando è l'eliminazione dal governo di uomini di carriera di lunga esperienza e alta competenza professionale e la loro sostituzione con incaricati politici».

 Ma il più grande cambiamento apportato dal successo alla Carson avvenne quando, con i proventi della sua “biografia” dell'oceano, comprò un piccolo pezzo di terra in cima a uno sperone di roccia nel Maine e vi costruì un piccolo cottage, una Walden sul mare. Una volta la Carson si immerse sott'acqua, indossando un casco da immersione di ottantaquattro chili, e resistette, a otto metri di profondità, col vetro appannato per soli quindici minuti. Il suo vero amore era la riva: «Non riesco a pensare a un posto più eccitante in cui trovarsi del mondo della bassa marea, quando la marea cala molto presto al mattino, e il mondo è pieno di odore di sale, e [si avverte] il suono dell'acqua, e la morbidezza della nebbia». Per scandagliare le profondità, leggeva libri; le pareti della sua casa nel Maine ne sono tappezzate, stipati tra cesti e vassoi pieni di vetri di mare, conchiglie e pietre levigate dal mare. Proprio lì scrisse parte del suo libro successivo, The Edge of the Sea.

«Il mio problema con quasi tutti i libri divulgativi sul mare», rifletteva, «è che forniscono un sacco di brevi informazioni separate tra loro su una serie di creature, che non sono mai saldamente collocate nel loro ambiente». Il libro della Carson sulle coste marine era diverso, perché spiegava la riva come un sistema, un ecosistema, una parola che la maggior parte dei lettori non aveva mai sentito prima, e che la Carson stessa usava raramente, evocandola invece come un'ondata di movimento e di storia:

Nel mio pensiero queste coste, così diverse nella loro natura e negli abitanti che sostengono, sono rese uniche dal tocco unificante del mare. Perché le differenze che avverto in questo particolare istante di tempo che è mio non sono che le differenze di un momento, determinate dal nostro posto nel flusso del tempo e nei lunghi ritmi del mare. Un tempo questa costa rocciosa sotto di me era una pianura di sabbia; poi il mare si è alzò e trovò una nuova linea di costa. E ancora, in un futuro oscuro, le onde ridurranno in sabbia queste rocce e riporteranno la costa al suo stato precedente. E così, nell'occhio della mia mente, queste forme costiere si fondono e si confondono in uno schema mutevole e caleidoscopico in cui non c'è un finale, non c'è una realtà definitiva e fissa: la terra diventa fluida come il mare stesso.

 Paul Brooks, editore della Carson presso la Houghton Mifflin, una volta disse che, come scrittrice, era come «lo scalpellino che non perde mai di vista la cattedrale». Era una redattrice meticolosa, come lui. «Ho passato un po’ di tempo sul capitolo dedicato alla sabbia con la matita tra i denti», le scrisse. Ma a lei non piaceva che i suoi testi fossero modificati e corretti, e avvertiva Brooks: «Sono propensa a usare quella che può sembrare una curiosa inversione di parole o frasi» – il suo divagare intriso di salamoia – «ma per la maggior parte sono aspetti peculiari del mio stile e non voglio che vengano cambiati».

>Scrivendo in riva al mare, Rachel Carson si innamorò. Incontrò Dorothy Freeman nel 1953 sull'isola del Maine dove la Carson aveva costruito il suo cottage e dove la famiglia della Freeman aveva vissuto per anni. La Carson aveva quarantasei anni, la Freeman cinquantacinque. La Freeman era sposata e aveva un figlio grande. Quando lei e la Carson non erano insieme, mantenevano una corrispondenza travolgente e appassionata. «Perché conservo le tue lettere?», scrisse la Carson alla Freeman quell'inverno, «Perché? Perché ti amo!». La Carson teneva le sue lettere preferite sotto il cuscino. «Ti amo al di là di ogni espressione», le scriveva la Freeman, «Il mio amore è sconfinato come il mare».

 Entrambe le donne si preoccupavano di cosa potesse accadere alle loro lettere. In una sola busta, spesso chiudevano due lettere, una da leggere alla famiglia (Carson alla madre, Freeman al marito), una da leggere in privato e probabilmente destinata alla «Cassaforte», il termine in codice per le lettere da distruggere. «Le hai messe nella Cassaforte?», chiedeva la Carson alla Freeman, «Se non l'hai fatto, fallo!». Più tardi, mentre la Carson stava preparando gli scritti che si era impegnata a donare alla Yale University, la Freeman lesse che le carte della scrittrice Dorothy Thompson, recentemente rese pubbliche, contenevano rivelazioni sui suoi rapporti omosessuali. La Freeman scrisse alla Carson: «Cara, ti prego, ricorri subito alla Cassaforte», avvertendo che le loro lettere avrebbero potuto avere «significati per persone in cerca di idee» (Ma non le distrussero tutte: quelle sopravvissute sono state curate dalla nipote della Freeman e pubblicate nel 1995).

 Dopo la pubblicazione di The Edge of the Sea (1955), un altro best-seller pubblicato a puntate sul New Yorker, Shawn volle che la Carson scrivesse un nuovo libro, da pubblicare sulla rivista, su niente meno che “l'universo”. E avrebbe potuto scriverlo. Ma quando sua nipote Marjorie morì di polmonite, la Carson adottò il figlio di Marjorie di quattro anni, Roger, un bambino che descrisse «vivace come diciassette grilli». Accantonò pertanto i progetti di scrittura più lunghi fino a quando, con una certa riluttanza, iniziò a lavorare a uno studio il cui titolo, per molto tempo, fu Man Against the Earth.

 Nel gennaio del 1958, i membri di un comitato di cittadini contro l'avvelenamento di massa inondarono i giornali del Nordest con lettere al direttore che richiamavano l'attenzione sulle terribili conseguenze dei programmi di irrorazione aerea di insetticidi a livello locale e statale: gli insetti non morivano, ma tutto il resto sì. Una casalinga e osservatrice di uccelli del Massachusetts, Olga Owens Huckins, che definì i programmi «disumani, antidemocratici e probabilmente incostituzionali», scrisse una lettera alla Carson. Il comitato aveva intentato una causa a New York e la Huckins suggeriva alla Carson di occuparsi del caso.

 La Carson voleva scrivere della distruzione dell'ambiente fin dal bombardamento di Hiroshima e dal primo uso civile del DDT, nel 1945. Tuttavia, non poteva lasciare Roger e la madre malata per fare un servizio su un processo a New York. A febbraio scrisse a E. B. White: «Spero che lei possa seguire queste udienze per il New Yorker». White si mostrò esistante – in seguito disse alla Carson che non sapeva «distinguere un idrocarburo clorurato da un insetto della zucca» – e aggiunse che sarebbe stata lei a scrivere la storia, inoltrando la lettera della Carson a Shawn. A giugno, la Carson si recò a New York e propose la questione a Shawn. «Di solito non pensiamo che il New Yorker cambi il mondo», le disse, «ma questa volta potrebbe farlo».

 La Freeman, donna saggia, temeva che le aziende chimiche si sarebbero scagliate contro la Carson, in modo implacabile e feroce. La Carson la rassicurò che ne aveva tenuto conto, ma che, «sapendo quello che faccio, non avrei più pace in futuro se tacessi». Marjorie Spock, la sorella del pediatra, inviava alla Carson i resoconti del processo, mentre la Carson svolgeva le sue ricerche da casa, nel Maryland e nel Maine, spesso con Roger al suo fianco. Assimilò una vasta letteratura scientifica in diversi ambiti, tra cui medicina, chimica, fisiologia e biologia, e produsse una spiegazione scritta con una chiarezza da libro di fiabe. La Freeman scrisse alla Carson che era «come Mamma Gabbiano col suo panino al formaggio», ché lo masticava prima di darlo in pasto ai suoi piccoli. La Carson rispose: «Forse il sottotitolo di Man Against the Earth potrebbe essere “Ciò che ha portato Mamma Gabbiano”».

 Nell'autunno del 1958, sua madre ebbe un ictus. La Carson si prese cura di lei a casa. La madre le aveva insegnato i canti degli uccelli; la prima volta che visitarono insieme il Maine, la Carson aveva fatto un inventario: «E poi c'erano i versi di altri uccelli più piccoli: il richiamo sferragliante del martin pescatore che si appollaiava, tra un'incursione e l'altra a caccia di pesci, sui pali del molo; il richiamo del fetonte che nidificava sotto la grondaia della capanna; i codirossi che si rifugiavano tra le betulle sulla collina dietro la capanna e che, mi sembrava, si chiedevano l'un l'altro la strada per Wiscasset, perché potevo facilmente trasformare le loro sillabe nella domanda: “Qual è Wiscasset? Qual è Wiscasset?”».

 Nel tardo autunno della malattia della madre della Carson, Spock le inviò un album di canti di uccelli. Carson lo ascoltò con Roger, insegnandogli ogni canzone. «Ha una sensibilità molto dolce per tutti gli esseri viventi e ama uscire con me per guardare e ascoltare tutto ciò che accade», scrisse a Spock. La madre di Carson morì nel dicembre dello stesso anno, all'età di ottantanove anni. La primavera del 1959 fu la prima primavera della Carson senza la madre. «In aree sempre più vaste degli Stati Uniti, la primavera ora non è annunciata dal ritorno degli uccelli, e il primo mattino è stranamente silenzioso quando un tempo era pieno della bellezza del canto degli uccelli», scriverà la Carson. Fu Paul Brooks ad avere l'idea di usare il titolo del capitolo sugli uccelli come titolo dell'intero libro, Silent Spring. Una stagione di dolore.

 E, tuttavia, la Carson temeva di essere messa a tacere. Si ammalò. Lei e la Freeman non lo dissero quasi a nessuno, nemmeno a Brooks. All'inizio del 1960, mentre era immersa nello studio di una sempre più nutrita letteratura scientifica sulle conseguenze per gli esseri umani «del flusso infinito di sostanze chimiche di cui fanno parte i pesticidi, sostanze chimiche che ora pervadono il mondo in cui viviamo, agendo su di noi direttamente e indirettamente, separatamente e collettivamente», come se fossimo tutti pesci che nuotano in un mare avvelenato, riscontrò altre lesioni nel seno sinistro.

 Il 4 aprile 1960, Carson si sottopose a una mastectomia radicale. Il chirurgo non le fornì alcuna informazione sui tumori o sul tessuto asportato e non le raccomandò alcun trattamento successivo; quando lei gli fece delle domande, lui le mentì, come era prassi comune, soprattutto con le pazienti donne. L'intervento era stato devastante e il recupero fu lento. «Penso di aver risolto il fastidioso problema dei capitoli sul cancro», scrisse a Brooks dal Maine a settembre. Ma a novembre scoprì altri noduli, questa volta sulle costole. Consultò un altro medico e iniziò la radioterapia. A dicembre si confido finalmente con Brooks.

 La Carson aveva tenuto segreto il suo cancro perché era una persona riservata, ma anche perché non voleva dare alle aziende chimiche la possibilità di liquidare il suo lavoro come motivato dalla sua malattia, e forse perché, al momento opportuno, non voleva che si tirassero indietro: più si accanivano contro di lei, più facevano brutta figura. Questo richiedeva uno stoicismo formidabile. A partire dall'inizio del 1961, essa rimase, a periodi alterni, su una sedia a rotelle. A un trattamento ne seguiva un altro: subì altri interventi chirurgici, iniezioni (un medico consigliò iniezioni di oro). Una malattia seguiva l'altra: influenza, infezioni da stafilococco, artrite reumatoide, infezioni agli occhi. «Un tale catalogo di malattie!», scrisse alla Freeman. «Ad essere superstiziosi, sarebbe facile credere a un'influenza malevola all'opera, decisa con qualunque mezzo per impedire che il libro venga terminato».

 All'inizio, alla Carson fu detto che era ormai «una questione di mesi». Aveva paura di morire, ma era terrorizzata dall'idea di morire prima di poter finire il libro. La Freeman, che pensava che il lavoro stesso stesse uccidendo la Carson, o almeno compromettendo la sua capacità di reagire al cancro, la esortò ad abbandonare il libro che aveva progettato e a produrre, invece, qualcosa di molto più breve, e farla finita. «Qualcosa sarebbe meglio di niente, credo», pensò Carson, valutando la possibilità di rielaborare le sue pagine in qualcosa di “più ridotto” e “forse più filosofico nel tono”. Decise di non farlo e, nel gennaio 1962, presentò al New Yorker una bozza quasi completa del libro.

Shawn la chiamò a casa per dirle che aveva finito di leggere e che il libro era «un’opera brillante». Le disse: «Hai reso [un’opera scientifica] letteratura, piena di bellezza, amore e profondità di sentimenti». La Carson, che non era sicura di riuscire a finire di scrivere il libro, era sicura, per la prima volta, che esso avrebbe avuto nel mondo l’effetto che lei si aspettava. Riattaccò il telefono, mise a letto Roger, prese in braccio il gatto e scoppiò a piangere, crollando di sollievo.

 Silent Spring apparve sul New Yorker, in tre parti, nel giugno 1962, e come libro, pubblicato da Houghton Mifflin, in settembre. Tutto è collegato a tutto il resto, dimostrava l'autrice. «Se avveleniamo le caddiesflies [N.d.T. insetti appartenenti all’Ordine dei Tricotteri] in un ruscello, i salmoni diminuiscono e muoiono», scriveva:

Avveleniamo i moscerini in un lago e il veleno viaggia da un anello all'altro della catena alimentare e presto gli uccelli dei margini del lago diventano le sue vittime. Avveleniamo i nostri olmi e le primavere successive sono prive del canto dei pettirossi, non perché abbiamo spruzzato direttamente i pettirossi, ma perché il veleno ha viaggiato, passo dopo passo, attraverso l'ormai familiare ciclo olmo-foglia-terra. Si tratta di questioni di cronaca, osservabili, parte del mondo visibile che ci circonda. Riflettono la rete di vita o di morte che gli scienziati conoscono come ecologia.

 La sua forza fu percepita immediatamente. I lettori scrivevano per condividere le loro storie. «Posso entrare nei negozi di mangimi qui e comprare, senza alcun motivo, abbastanza veleno da eliminare tutti gli abitanti dell'Oregon», scriveva un giardiniere. Iniziarono a chiamare i membri del Congresso. E. B. White scrisse alla Carson, dichiarando che i testi erano «gli articoli più preziosi che la rivista avesse mai pubblicato». Durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, il 29 agosto, un giornalista chiese al presidente Kennedy se la sua amministrazione intendesse indagare sugli effetti collaterali a lungo termine del DDT e di altri pesticidi. «Sì», rispose, «So che lo stanno già facendo, credo in particolare, ovviamente, dopo il libro di Miss Carson».

 «Quello che ha scritto ha dato il via a un dibattito nazionale», annunciò la CBS Reports in uno speciale di un'ora – The Silent Spring of Rachel Carson – in cui i filmati della Carson erano intervallati da quelli dei portavoce del governo e dell'industria, per creare un dibattito de-facto. (Nel programma, la Carson siede sulla veranda della sua casa bianca nel Maine, indossando una gonna e un cardigan; il portavoce principale dell'industria degli insetticidi, Robert White-Stevens, dell'American Cyanamid, indossa spessi occhiali con montatura nera e un camice bianco, in piedi in un laboratorio di chimica, circondato da provette e becchi di Bunsen.

 Nel programma, White-Stevens mette in dubbio la competenza della Carson: «Le principali affermazioni del libro della signorina Rachel Carson, Silent Spring, sono grossolane distorsioni dei fatti reali, completamente non supportate da prove scientifiche sperimentali e dall'esperienza pratica generale sul campo».

La Carson finge perplessità: «Qualcuno può credere che sia possibile stendere una tale quantità di veleni sulla superficie della terra senza renderla inadatta a qualsiasi forma di vita?».

White-Stevens si sfoga: «Miss Carson sostiene che l'equilibrio della natura è una forza fondamentale per la sopravvivenza dell'uomo, mentre il chimico, il biologo e lo scienziato moderni credono che l'uomo stia controllando costantemente la natura».

La Carson ribatte: «Per queste persone, a quanto pare, l'equilibrio della natura è stato abrogato non appena l'uomo è entrato in scena. Beh, si potrebbe anche supporre che si possa abrogare la legge di gravità».

Può anche indossare il camice da laboratorio, ma, a fronte della serenità di Carson, è White-Stevens che si presenta come un pazzo. La Carson, però, non era tanto serena, quanto esausta. Aveva cinquantacinque anni, ma ne dimostrava venti di più (aveva detto alla Freeman che si sentiva come se ne avesse novanta). Aveva pregato la Freeman di non dire a nessuno del cancro: «Non c'è motivo di dire che non sono stata bene. Se vuoi o ritieni di dover dare un resoconto negativo, di’ che ho avuto un brutto periodo a causa dell'irite che ha ritardato il mio lavoro, ma che si è risolto bene. E che non mi hai mai visto più in forma di così. Per favore, dillo». Ma se nessuno lo sapeva, non era difficile accorgersene. Quando la Carson fu intervistata dalla CBS, indossava una pesante parrucca; aveva perso i capelli. Non venne mostrata in piedi, cosa che sarebbe stata difficile: il cancro si era diffuso alle vertebre; la sua colonna vertebrale stava iniziando a cedere. Dopo aver intervistato la Carson, il giornalista della CBS Eric Sevareid disse al suo produttore Jay McMullen che la rete avrebbe dovuto mandare in onda il programma il prima possibile. «Jay», disse, «hai come protagonista una morta».

A dicembre, mentre acquistava come regalo di Natale per Roger un giradischi, la Carson svenne per il dolore e la debolezza. I tumori continuavano a diffondersi. La CBS Reports mandò in onda The Silent Spring of Rachel Carson nell'aprile del 1963. Il mese successivo, la Carson testimoniò davanti al Congresso.

 In autunno, il cancro aveva raggiunto l'osso pelvico. Scrisse: «Gemo dentro e mi sveglio di notte e grido silenziosamente per il Maine». Quando la Carson tenne quello che sarebbe stato il suo ultimo discorso pubblico, L'uomo contro sé stesso, zoppicando fino al palco con l'uso di un bastone, un giornale locale la descrisse come una «zitella di mezza età, affetta da artrite». Scrisse alla Freeman che tornare nel Maine «è solo un sogno, un bel sogno».

 Rachel Carson non rivide l'oceano. Non sarebbe stata ricordata nemmeno per ciò che aveva sul mare, dalla sua riva alle sue profondità. «Il caro vecchio Sea Around Us è stato sfrattato», scrisse la Freeman, con dolore. «Quando la gente parlerà di lei dirà: “Oh sì, l'autrice di Silent Spring”, perché suppongo che ci siano persone che non hanno mai sentito parlare di The Sea Around Us».

 La mattina presto del 14 aprile 1964, la Freeman scrisse alla Carson, chiedendole come avesse dormito e augurandole di godere della bellezza della primavera: «Posso essere sicura che ti svegli con il canto degli uccelli». La Carson morì prima del tramonto. Tre settimane dopo, sulla loro isola nel Maine, la Freeman versò le ceneri della Carson in mare. «Ogni essere vivente dell'oceano, sia vegetale che animale, alla fine della sua vita restituisce all'acqua i materiali che erano stati temporaneamente assemblati per formare il suo corpo», scrisse una volta la Carson. La Freeman si sedette su una roccia e guardò la marea che si spegneva.

 Prima di ammalarsi e anche dopo, quando ancora credeva di poter guarire, la Carson pensò di affrontare, per il suo libro successivo, un argomento che la affascinava. «Viviamo in un'epoca di innalzamento dei mari», scriveva, «Nel corso della nostra vita stiamo assistendo a una sorprendente alterazione del clima». Interrogandosi, fino alla fine, su cosa fosse l'innalzamento dei mari, morì prima di poter iniziare a scriverne.

 Questa primavera, nell'Atlantico settentrionale, non è stato avvistato un solo neonato di balena franca: l'acqua, a quanto pare, è troppo calda; le madri non hanno partorito nessun cucciolo. Il mare è tutto intorno a noi. È la nostra casa. E l'ultimo nato è la nostra, inconsolabile, perdita.

 
Jill Lepore

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: The New Yorker 19.03.2018