Nell’anno del bicentenario di Engels, vale ancora la pena di tornare a discutere del Generale e di tenere a mente come la sua attività teorica, nelle ultime fasi della sua produzione, si fosse concentrata sul progetto incompleto di una “Dialettica della natura”.

Il libro di Kaan Kangal, “Friedrich Engels and the Dialectics of Nature” (Palgrave Macmillan 2020), affronta le intenzioni, i fini, le procedure, le tesi e la storia degli effetti dell’"opera" in questione, invitandoci a ritornare ad Engels senza cadere vittima delle stratificate maldicenze sul suo conto. Solo in questo modo, da una nuova lettura di Engels, sarà possibile osservare i meriti e i limiti del progetto di una “Dialettica della natura”, del suo discorso e delle sue intenzioni.

Nei manoscritti de L’ideologia tedesca, Marx ed Engels scrissero che:

conosciamo una sola scienza, quella della storia. La storia può essere considerata sotto due aspetti, ed essere suddivisa in storia della natura e storia degli uomini. Tuttavia, questi aspetti sono inseparabili: finché esistono uomini, la storia della natura e la storia degli uomini si condizionano reciprocamente. [1]

Sebbene la ricerca più recente ci mostri come entrambi i sodali fossero versati nella storia naturale (come mostrato ad esempio di recente, relativamente a Marx, dai lavori John Bellamy Forster o di Kohei Saito), è stato Engels che ha dedicato la maggior parte della sua ad un progetto in cui la natura assumeva un ruolo centrale, ovvero la cosiddetta Dialettica della natura.

Il volume di Kangal, Friedrich Engels and the Dialectics of Nature, che compare nella serie “Marx, Engels, and Marxism” curata da M. Musto e T. Carver, discute approfonditamente il progetto incompleto di una Dialettica della natura, considerandone gli aspetti storici, editoriali e teoretici. Il volume è strutturato in sei capitoli, i quali seguono una sorta di ordine retrospettivo: dopo l’introduzione (capitolo 1), Kangal discute la controversa storia editoriale del testo di Engels (capitoli 2 e 3). L’autore esamina le intenzioni, i fini e le procedure del progetto engelsiano come anche alcuni dei concetti fondamentali sviluppati da Engels all’interno del suo scritto, come ad esempio le coppie materialismo/idealismo e dialettica/metafisica (capitoli 4 e 5), concludendo infine con una visione complessiva dei risultati del suo volume (capitolo 6).

L’introduzione dello scritto è intitolato polemicamente Neue-Engels-Lektüre (nuova interpretazione di Engels), con un chiaro riferimento alla corrente interpretativa tedesca nota come Neue-Marx-Lektüre (nuova interpretazione di Marx), originatasi, quest’ultima, dai lavori pionieristici di H. Reichelt e H.-G. Backhaus e che conta importanti recenti sostenitori come M. Heinrich, I. Elbe o J. Hoff. Nondimeno, sebbene entrambe le proposte interpretative intendano stabilire un nuovo modo di interpretare il pensiero di Marx ed Engels, mostrando la stretta relazione che intercorre tra i due autori e il pensiero di Hegel, l’approccio di Kangal parte da un presupposto polemico e (auto)critico (p. 7), essendo tale approccio sostanzialmente differente e per certi versi opposto rispetto alla summenzionata corrente interpretativa marxiana. Infatti, nel secondo capitolo, Kangal si occupa della maledizione lanciata contro Engels dagli studiosi di Marx. In queste letture marxiste, colpevole per certi versi anche la Neue-Marx-Lektüre, Engels non è percepito come il propugnatore di una teoria comune o, quantomeno, come colui che ha tentato di diffondere e disseminare la teoria di Marx. La maledizione di Engels è anzi quella di essere colui che ha mistificato le teorie economiche dell’autore de Il capitale, oppure colui che ha contaminato, in maniera forse colposa, il marxismo e i suoi sviluppi, interpretando in modo impreciso le affermazioni di Marx o deviando il discorso del Moro dall’ambito della storia o delle formazioni economico-sociali a quello delle scienze naturali. Kangal mostra invece come molte letture marxiste falliscano nell’interrogarsi su questo presupposto interpretativo, talvolta accettato in maniera meramente aprioristica. Kangal contesta dunque l’idea di una reale separazione tra la teoria di Marx e quella del “secondo violino”, quantunque i due si fossero dedicati a differenti oggetti di indagine. Pertanto, sebbene il contributo individuale, nel caso di Engels, sia rappresentato dalla Dialettica della natura, ciò non significa che quest’ultima non debba essere considerata come un “simbolo non convenzionale di un’attività collettiva scientifico” (p. 28). In questo capitolo, vengono mostrate numerose evidenze testuali dell’intensa collaborazione tra Engels e Marx negli anni Settanta dell’Ottocento. Peraltro, l’autore critica in maniera tagliente tutti quei lettori che presuppongono che Engels si fosse attribuito i meriti di Marx; in tal senso, mi pare che gli argomenti di Kangal siano particolarmente convincenti, dato che essi sono basati su una meticolosa analisi delle lettere di Engels scritte a) dopo la morte di Marx e b) rivolte a terzi. È infatti merito di Kangal quello di basare la sua analisi su evidenze testuali e contestuali, considerando anche meticolosamente gli interventi editoriali sui testi. È fondamentale comunque adottare – sostiene Kangal – un approccio ermeneutico ai testi di Engels e, pertanto, è sempre necessario analizzare le intenzioni, i fini e le procedure di un testo, nonché l’orizzonte di (pre)comprensione dell’autore e del lettore; tale approccio ci permette di gettare uno sguardo sui meriti e sui limiti del discorso di e su Engels e sulla Dialettica della natura.

Come suggerisce il titolo del terzo capitolo, Le origini del dibattito su Engels (The Origins of the Engels Debate), l’autore discute la nascita di due campi interpretativi opposti, cioè i pro e i contra Engels, ovvero quella rigida separazione tra marxismo occidentale e marxismo sovietico, in cui la figura di Engels gioca un cruciale ruolo divisivo. Secondo Kangal è Storia e coscienza di classe di Lukács che ha forgiato una narrazione basata sull’ingiustificata “estensione” engelsiana del metodo dialettico dal regno della storia a quello della natura. Le affermazioni di Lukács sono contestate in maniera precisa da Kangal, il quale mostra come una sorta di dibattito su Engels si fosse originato ben prima della pubblicazione del testo di Lukács: dalla morte di Hegel in avanti, infatti, molti filosofi volevano escludere un fruttuoso incontro tra la dialettica e le scienze naturali (da Trendelenburg fino a Lange, passando per Dühring). Dopo aver discusso il dibattito marxista sino al famoso scritto di Lukács e analizzando le posizioni di Kautsky, Bernstein, Struve e così via, l’autore mostra come il dibattito a tal riguardo fosse stato in verità molteplice e trasversale, al punto da sostenere che è difficile ammettere in termini generali una rigida separazione tra marxismo sovietico e occidentale. Proseguendo in tale direzione, Kangal si occupa prima del conflitto tra deboriniti e i meccanisti in Unione Sovietica e poi della genesi editoriale della Dialettica della natura, esaminando in profondità come le varie imprese editoriali fossero principalmente dirette a “stabilire […] un testo autentico”, invece di considerare lo stato frammentario dei manoscritti che lo compongono (p. 59). L’autore, dunque, difende ciò che chiama “teorema di incompletezza” (p. 124), sulla base del quale l’“opera” Dialettica della natura vada considerata nel suo statuto di incompletezza e non, per l’appunto, in quanto “opera”.

Nel capitolo 4, intitolato La Dialettica della Natura tra politica e filosofia (Dialectics of Nature: Between Politics and Philosophy), l’autore ammette che la Dialettica della natura deve essere intesa come il vero e proprio progetto di Engels, visto che le altre opere principali di questo periodo (ad esempio l’Anti-Dühring) nascono “su richiesta o consiglio di altri” (p. 94). Nella Dialettica della natura, Kangal ritiene che Engels tuttavia non espliciti le sue intenzioni generali in maniera chiara, cosa che pertanto richiede un lavoro ricostruttivo da parte dello studioso. A parere dell’autore, una delle intenzioni centrali di Engels era quella di integrare la dialettica e le leggi di sviluppo della natura; inoltre, egli sviluppava gradualmente e assieme a Marx la sua concezione, dato che essi avevano il fine comune di guadagnare gli scienziati naturali alla dialettica materialista. Lo sforzo del Generale può dunque essere visto come “un investimento oppure un contributo all’apertura di un nuovo fronte filosofico-teoretico e all’espansione della sfera di influenza del marxismo nel regno delle idee” (pp. 96-97). Engels era consapevole di un “trend anti-filosofico” comune in quel periodo agli scienziati naturali e credeva che molti di essi (ad esempio Moleschott o Büchner) condividevano un materialismo ingenuo simile a quello francese del diciottesimo secolo. La dialettica, pertanto, doveva essere reintrodotta a livello metodologico, quantunque ciò avrebbe dovuto significare il superamento (nel senso hegeliano della Aufhebung) della dialettica hegeliana nel materialismo dialettico. Non si può, secondo Kangal, separare le intenzioni e i fini di Engels da due “premesse costitutive” del suo discorso (p. 95): la funzione della teoria e il ruolo dell’intellettuale nel movimento della classe lavoratrice, il quale deve contribuire a offrire una teoria del e per la classe lavoratrice medesima. Da ciò segue che per Engels e Marx filosofia non è mera attività contemplativa, bensì pratica.

Raggiungiamo, dunque, il quinto capitolo, il quale rappresenta il cuore del volume e concerne alcune questioni cruciali (e filologiche) relative alla Dialettica della natura. Kangal contesta l’idea tradizionale di una redazione dell’opera che copra gli anni dal 1873 al 1882. Secondo lui, invece, vi sono probabilmente 7 progetti dal 1873 al 1886, che l’autore divide in 4 fasi principali: il progetto iniziale (1873-76), il piano del 1878 (1878-79), il piano del 1880 (1880-1882) e poi il progetto finale (1886 o dopo). Secondo Kangal, una profonda revisione del progetto ha luogo al livello del terzo progetto, in cui Engels sembra ridurre i materiali di ricerca e poi nell’ultimo progetto in cui predispone i materiali in quattro cartelle come se egli volesse scrivere alcuni articoli invece di un volume.

Kangal dunque passa a mostrare i limiti dell’opera incompleta di Engels, sostenendo che egli non fu in grado di portare a compimento il suo progetto di un’ontologia della natura, come risulterebbe dimostrato dalla concezione engelsiana delle opposizioni concettuali di materialismo/idealismo e di dialettica/metafisica. I limiti del discorso engelsiano, comunque, non meritano di essere stigmatizzate, dato che la Dialettica della natura era un lavoro (o, forse sarebbe meglio dire “più lavori”) in fase di sviluppo. Engels, col suo fine di superare Hegel, si riferisce in maniera problematica solo a parti del sistema hegeliano, considerando a malapena la “logica soggettiva” hegeliana e lasciando da parte (in maniera ancor più problematica) la Fenomenologia dello spirito, concentrandosi invece sulla logica oggettiva, che egli non discute tuttavia in maniera approfondita. Pertanto, Engels fallisce nel sostenere un serio confronto con la logica di Hegel e propone un fil-rouge problematico tra Aristotele e Hegel e, al contempo, un problematico rifiuto di Kant. Non considererò qui di seguito la discussione del rapporto con Aristotele e Kant di Kangal, il quale mostra le ambiguità di Engels (o, quantomeno, la sua mancanza di chiarezza) nell’interpretazione di entrambi i filosofi. Resta nondimeno da notare che Engels spesso tradisce le semantiche dei suoi autori di riferimento; e ciò avviene anche relativamente al tentativo di superamento dell’idealismo. La terminologia adottata da Engels e specialmente la sua concezione oppositiva di materialismo e dialettica e di metafisica e idealismo fallisce se si analizzano le sue riflessione sulla base del significato che a quei termini dava Hegel. Infatti, Kangal mostra come in un certo senso la concezione di Engels, sebbene se ne distanziasse terminologicamente, fosse in verità d’accordo con quella hegeliana relativamente ai concetti di metafisica e di idealismo: se intendiamo per idealismo il fatto che le entità singolari finite sono interconnesse e interdipendenti in quanto momenti di una totalità in sviluppo e se concepiamo la metafisica nel senso di una ricerca rigorosa delle strutture della realtà e della conoscenza (p. 157), allora sarà forse possibile cogliere la vicinanza concettuale malgrado la distanza terminologica. Sono molto favorevole all’idea di Kangal che “il lavoro di Engels è talvolta considerato come troppo metafisico; io credo che non sia abbastanza metafisico” (p. 7; trad. mia). Pertanto, dovremmo evitare di cadere in errore quando confondiamo diversi sensi di “metafisica”, senza considerare la specificità di quello hegeliano, alla stessa stregua di quanto Kangal rileva essere un limite del discorso engelsiano.

Nondimeno, per quanto riguardo la filosofia della natura di Hegel, Engels voleva dimostrare come il filosofo di Stoccarda, malgrado individuasse nella dialettica l’unico metodo razionale, avesse riconosciuto e rifiutato al contempo una dialettica della natura, non ammettendo in alcun modo la storicità di quest’ultima e concependo il cambiamento naturale in quanto causato da una causa “esterna”, ovvero l’Idea o lo Spirito. Nel riconoscimento di una storia della natura, può essere rinvenuto il lato darwinista del discorso di Engels e anche la sua critica a Hegel. Aggiungo qui che Engels prese davvero seriamente ciò che una volta Marx gli scrisse: l’Origine delle specie era “il libro che contiene i fondamenti storico-naturali del nostro modo di vedere”. [2]

Nell’ultimo paragrafo del quinto capitolo, l’autore contesta l’idea di un unico piano per la Dialettica della natura con argomenti molto convincenti, mostrando le diverse formulazioni di Engels delle leggi della dialettica e le differenti declinazioni della stessa dialettica nei differenti piani, mostrando ulteriormente le stratificazioni dei testi engelsiani.

Nella conclusione, vengono riassunti i risultati del volume; l’autore riafferma che la Dialettica della natura resta un “torso” e che essa

non fu pensata essere […] un’introduzione complessiva alla fondazione filosofica delle scienze naturali. Sin dalle prime fasi fino alla fine, Engels si stava preparando piuttosto per incrociare le spade su questioni riguardanti la storicità della natura, la necessità della filosofia nelle scienze naturali applicate e l’indispensabilità di una revisione continua e un rinnovamento dei mezzi per la percezione e la conoscenza nella filosofia e nelle scienze naturali (p. 204; trad. mia).

Ho già detto che sono molto favorevole alle intenzioni di Kangal di dare nuova luce a Engels e al suo progetto e concordo con la maggior parte dei suoi argomenti di fondo (quantunque la questione filologica meriterebbe un discorso a parte), anche se continuo a non essere convinto sul considerare Marx ed Engels in maniera troppo stringente come un “collettivo scientifico” (e mi riferisco qui specialmente agli scritti economici). [3] A scanso di ogni equivoco, fare le dovute differenze non vuole e non deve però coincidere col lanciare una nuova maledizione contro il già abbastanza vituperato Engels. Concludendo, il volume di Kangal rappresenta un serio ed intenso confronto con la Dialettica della natura, la sua origine, la sua Wirkunkgsgeschichte, le sue intenzioni, le sue procedure e i suoi limiti; il testo offre importanti intuizioni e riflessioni e pone un rinnovato standard metodologico per investigare i testi di Engels, nonché un nuovo modo di considerare i manoscritti della Dialettica della natura.


Note:

[1] K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, trad. it. di F. Codino, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Vol. V, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 14. I manoscritti de L’ideologia tedesca sono stati pubblicati di recente (2018) nell’edizione storico-critica tedesca MEGA2 secondo l’ordine cronologico di stesura: a tal proposito si rimanda il lettore italiano a R. Fineschi, «L’ideologia tedesca» dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), in “Historia Magistra. Rivista di storia critica”, Anno XI, 30/2019, pp. 89-104; mi sia permesso di rimandare anche G. Schimmenti, Processualità e ideologia ne L’ideologia tedesca, in “H-Ermes. Journal of Communication”, 7 (2016), pp. 189-204.

[2] Marx a Engels a Manchester, Londra, 19 dicembre 1860, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Vol. XLI, Lettere (gennaio 1860-settembre 1864), Editori Riuniti, Roma 1973, p. 145.

[3] Per una ricostruzione equilibrata di alcune di tali differenze rimando a G. Sgro’, Friedrich Engels e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Orthotes, Napoli-Salerno 2017.


Gabriele Schimmenti


Fonte: Micromega, 05.03.2021