Fonte: Z.Net - 03.01.2021

L'economia partecipativa è una visione di come noi esseri umani possiamo gestire meglio la nostra vita economica, compresa la produzione, il consumo e l’allocazione delle risorse.


Introduzione

Cosa intendiamo per economia partecipativa, ecologia e anarchismo?

L'economia partecipativa è una visione di come noi esseri umani possiamo gestire meglio la nostra vita economica, compresa la produzione, il consumo e l’allocazione delle risorse. Spesso chiamata parecon, l'economia partecipativa è costruita su alcuni valori fondamentali – solidarietà, diversità, equità, autogestione, assenza di classi, sostenibilità – e prevede solo quattro istituzioni centrali. La parecon non offre alcun progetto, indica solo ciò che è essenziale per soddisfare i valori perseguiti.
L'ecologia è un termine il cui significato può cambiare un po’ a seconda di chi lo usa. Qui è sufficiente dire che l'ecologia è il modo in cui gli organismi, inclusi gli esseri umani, impattano sui loro ambienti e ne sono a loro volta influenzati, considerando gli “apporti di origine umana” come l’anidride carbonica nell’atmosfera, la plastica negli oceani, i suoni che riverberano nelle nostre orecchie, l'inquinamento che intasa i nostri polmoni e il suolo sotto i nostri piedi.

Un'altra parola che assume sfumature diverse a seconda di chi la usa è anarchismo. Ci basterà qui precisare che consideriamo l'anarchismo come una filosofia e un movimento politico che pone un alto onere della prova [1] a qualsiasi esercizio di autorità e specialmente all'imposizione di gerarchie coercitive. L'anarchismo mira all'abolizione di uno stato che funzioni al di sopra della cittadinanza e, nella maggior parte dei casi, rifiuta anche tutte le altre strutture ritenute autoritarie o gerarchiche.

Quindi, considerato quanto questi temi coinvolgano ciascuno di noi, come può un articolo affrontare la visione economica partecipativa, l'ecologia e anche l'anarchismo?

Forse possiamo partire col delineare la nostra visione economica, descrivere la necessità di nuove relazioni ecologiche, chiarire le aspirazioni che si pone l’anarchismo e quindi suggerire modi in cui la visione economica partecipativa si interfaccia con i bisogni ecologici e l'agenda anarchica.


Economia partecipativa (Parecon)

L'economia partecipativa, chiamata anche parecon e talvolta socialismo partecipativo, è definita da cinque caratteristiche fondamentali.

In primo luogo, in una parecon, possiedo la mia maglietta, la mia bicicletta ecc., ma né io né nessun altro è proprietario del luogo in cui lavora. Il diritto di influire sulle decisioni nel luogo in cui lavoro deriva dall'essere influenzato da tali decisioni, non dalla proprietà. La proprietà è assente.

In altre parole, gli strumenti naturali o costruiti dall’uomo con cui la gente crea nuovi prodotti fanno tutti parte di un bene comune sociale. Questo bene comune non è utilizzato per il bene privato ad opera degli interessi di un piccolo gruppo di proprietari ma viene invece utilizzato per il bene generale, nell’interesse di tutti.

In secondo luogo, oltre a eliminare la proprietà dei mezzi di produzione, lavoratori e consumatori sono organizzati in consigli di lavoratori e consumatori e federazioni di consigli come luoghi da cui contribuiscono con i loro sforzi e cercano di soddisfare le loro preferenze in campo economico. Inoltre, questi consigli ripartiscono l'influenza del processo decisionale sulle scelte economiche in proporzione all'impatto di tali scelte sulle persone che decidono: per quanto possibile, se sarai più colpito, avrai più voce in capitolo; se sarai meno colpito, avrai meno voce in capitolo. E questo vale per l'intera economia: per la produzione, il consumo e l'allocazione.

In terzo luogo, la divisione del lavoro all'interno e tra i luoghi di lavoro, ossia la divisione aziendale del lavoro, è sostituita da combinazioni bilanciate di mansioni. Al posto dell’attuale situazione in cui un 20% della popolazione lavorativa monopolizza tutti i compiti di responsabilità e di gestione dirigenziale nei luoghi di lavoro, mentre l'80% svolge solo compiti meccanici e subordinati, quando non servili, ma comunque privi di potere decisionale, si passa a un'economia partecipativa dove tutti coloro che lavorano avranno un mix di compiti che consentono mediamente a ogni lavoratore di essere legittimato dalla propria situazione lavorativa complessiva – questa è la novità dell'approccio – a prendere pienamente parte alla vita economica e al processo decisionale.

Ovviamente nella nuova economia ci saranno ancora settori come la chirurgia, la giurisprudenza, l’ingegneria e altri lavori qualificati fondati sulla conoscenza, che danno un qualche tipo di potere. Naturalmente, la gente continuerà a imparare questo tipo di professioni, ma i chirurghi così come fanno le operazioni, impareranno anche a fare le pulizie e a rispondere al telefono, o a fare altro.

Nella nuova economia continuerà ad esserci lavoro faticoso, lavoro pericoloso, lavoro noioso proprio come ci saranno lavori snervanti o che danno un certo potere. Il cambiamento consisterà nel fatto che le persone svolgeranno in alternanza lavori privi di potere e lavori che danno potere in un complessivo equilibrio di responsabilità. Cioè, in questa nuova economia, ogni lavoro è bilanciato in un mix di compiti e responsabilità che in sintesi consentono una media attribuzione e condivisione del processo decisionale.

Quarto punto, riguardo alla remunerazione, o al pagamento, o al reddito in un'economia partecipativa, parametri di riferimento sono l’impegno e il sacrificio in un lavoro socialmente apprezzato.

In una parecon non c'è un reddito derivante dal possesso di proprietà, o dal potere contrattuale o dalla produzione. Non ottieni reddito dal possesso, per il fatto di avere più potere o essere più produttivo. Invece, se una persona lavora più a lungo, ottiene di più. Se una persona lavora di più, ottiene di più. Se una persona facesse, per qualche motivo, un lavoro più oneroso o altrimenti duro, otterrebbe di più per compensare quel sacrificio. Con l'avvertenza che in ogni caso la persona deve svolgere un lavoro socialmente apprezzato.

Quinto punto, in ogni economia, l'allocazione determina cosa viene prodotto, in quali quantità, a chi viene distribuito e a quale valore. In un'economia partecipativa si ottiene ciò con quella che viene chiamata pianificazione partecipativa.

La pianificazione partecipativa, la quinta caratteristica distintiva dell'economia partecipativa, è l'unico aspetto abbastanza complesso da imporci una presentazione meno frettolosa. È un sistema di negoziazione cooperativa decentralizzata che giunge a una valutazione relativa (o prezzo), che riflette i reali costi individuali, sociali ed ecologici e i benefici che a loro volta informano le decisioni sugli input ed output effettivi.

I consigli dei lavoratori, alla luce delle attività dell'anno precedente e dei loro costi finali, propongono e riferiscono i risultati che vorrebbero raggiungere e gli input di cui avranno bisogno per lo scopo. I consigli dei consumatori raccolgono e riferiscono il consumo proposto dei loro membri più il consumo collettivo dell'intero consiglio, ciascuno in accordo con il reddito e i prezzi previsti.

Le informazioni dei consigli dei lavoratori e dei consumatori vengono elaborate in modi reciprocamente concordati e trasparenti e trasmesse ai consigli insieme alle previsioni aggiornate su quali saranno i prezzi quando la pianificazione sarà completa.

I consigli poi considerano le nuove informazioni e adattano e riferiscono nuove proposte. Individui e consigli modificano le proposte per cercare di raggiungere i risultati socialmente accettabili che desiderano, rispettando il vincolo secondo il quale come consumatori si mantengano entro il loro reddito/budget e come produttori forniscano i risultati desiderati senza sprecare risorse.

Il confronto continua fino a quando non viene elaborato un piano. Inoltre, lo scambio di informazioni ed il perfezionamento avvengono nel contesto di caratteristiche aggiuntive che impiegano le stesse idee di base in contesti diversi al fine di rivelare le implicazioni ecologiche e affrontare le opzioni di investimento.

La sostanza di ciò che abbiamo qui solo sinteticamente abbozzato e appena specificato – ossia la pianificazione partecipativa – è che l'influenza di ogni attore è perfettamente proporzionale a quanto lui o lei sono influenzati dalle scelte da prendere. La valutazione delle scelte è accurata tenendo conto delle implicazioni individuali, sociali ed ecologiche. Il piano arriva senza indebiti ritardi a programmi responsabili e attuabili. Metodi di aggiornamento alla luce dei cambiamenti di gusti, esigenze e disponibilità nel corso dell'anno sono facilmente intrapresi coerentemente con i valori guida. I comportamenti evocati non solo sono fattibili e concordati reciprocamente da tutte le parti coinvolte, ma si accordano tra loro e rafforzano anche la solidarietà tra i partecipanti poiché il beneficio di ciascuno dipende in modo determinante dal beneficio di tutti. E infine, risultati e comportamenti supportano la logica e la pratica non solo dei consigli dei lavoratori e dei consumatori, ma anche delle combinazioni bilanciate di mansioni e dell'equa remunerazione, e quindi dell'assenza di classi.

Questa è, chiaramente, una serie molto ampia di misure, ma il punto è che le istituzioni chiave della parecon sono solo cinque e sono tutte progettate in modo che non ci sia una classe capitalista e una classe di burocrati o manager, ma, invece, solo lavoratori e consumatori che lavorano, consumano e godono tutti delle stesse opportunità e delle stesse condizioni generali, anche se ciascuno svolge il proprio lavoro speciale senza divisione o dominio di classe.

Le nuove istituzioni producono solidarietà tra gli attori sociali. Ogni soggetto, per andare avanti, deve comportarsi in modo coerente con il benessere degli altri, piuttosto che cercare di calpestarlo. Invece di bravi ragazzi che finiranno per ultimi, anche i cattivi devono perseguire il bene sociale come mezzo per ottenere un progresso privato.

Le nuove istituzioni producono anche equità. Ogni soggetto sociale riceve una quota della produzione in accordo con lo sforzo e il sacrificio che spende per contribuirvi. Non ci sono differenze enormi né drammatiche nel reddito e nella ricchezza perché non c'è ricchezza o reddito che derivi da proprietà, potere o produzione. Guadagni di più solo se lavori socialmente e utilmente più a lungo, o più duramente, o in compiti più onerosi. E in generale, la qualità media del lavoro di ogni persona migliora in modo decisivo solo quando il complesso di lavoro medio bilanciato migliora per tutti.

Le nuove istituzioni producono anche diversità. Onorano e cercano varie soluzioni e opzioni rispettando le volontà dell'intera popolazione piuttosto che solo quella dei settori d'élite.

È presumibile che le nuove istituzione sin dall’inizio producano l’autogestione. Esse accordano a ciascun soggetto, sia nei luoghi di lavoro, nelle unità di consumo o tramite il sistema di assegnazione, un'influenza appropriata su ogni decisione, dalle più piccole scelte personali ai più grandi progetti collettivi, e su tutto il resto.

Le nuove istituzioni, in breve, generano assenza di classi, sostenibilità e uso efficiente delle risorse umane e materiali per soddisfare i bisogni e sviluppare le potenzialità. Ogni soggetto è libero di perseguire e soddisfare i propri bisogni economici in modo coerente con ogni altro, che potrà fare altrettanto.


Ecologia

Parlando di ecologia, sappiamo come le economie introducono nuovi elementi nell'ambiente, come gli inquinanti, esauriscono le risorse naturali e ne alterano la disposizione e composizione; conosciamo il modo in cui le persone si relazionano all'ambiente, ad esempio costruendo dighe o creando modelli modificati di urbanizzazione. Ciascuno di questi e altri possibili modi in cui un'economia può influenzare l'ambiente può, a sua volta, avere effetti a catena sulla natura e, attraverso questi cambiamenti, di nuovo sulla vita delle persone.

Ad esempio, un'economia può aggiungere scarti prodotti dal sistema economico all'ambiente mediante i gas di scarico emessi dalle automobili o dalle ciminiere che accumulano sostanze chimiche nell'atmosfera. A loro volta, questi effluenti possono impedire la respirazione o alterare il modo in cui i raggi del sole influenzano la temperatura atmosferica. Entrambe queste ricadute economiche possono avere effetti a catena sulla salute delle persone o sui venti che poi influenzano le correnti marine, incidendo a loro volta sullo stato delle calotte polari e quindi alterando i modelli meteorologici, i livelli del mare e i raccolti.

Oppure un'economia può consumare petrolio, acqua o foreste, portando le persone a ridurre il loro uso delle risorse esaurite, influendo sul livello totale di produzione e consumo in tutto il mondo, sulla disponibilità di nutrienti essenziali per la vita e di materiali necessari in edilizia per la creazione di abitazioni.

Oppure un'economia può alterare la forma e il contenuto delle dinamiche dell'ambiente naturale, ad esempio riducendo le foreste e con esse l'apporto di ossigeno che emettono nell'atmosfera; o aumentando il numero di bovini e influenzando i loro schemi alimentari (per produrre bistecche più gustose), e accrescendo di conseguenza le emissioni di metano e pertanto l’effetto serra che a sua volta altera i modelli meteorologici globali. Oppure possono alterare il modo di vivere, di spostarsi e di comportarsi di ognuno di noi, aspetti che a loro volta influiscono sul rapporto che le persone hanno con le montagne, i fiumi, l’aria e le altre specie.

Nei casi appena elencati e in molti altri, ciò che facciamo nella nostra vita economica influisce direttamente o indirettamente sul modo in cui prosperiamo o soffriamo sul piano ambientale nella nostra vita quotidiana, nonché sul modo in cui l'ambiente stesso si evolve.

In altre parole, le azioni economiche hanno effetti diretti, secondari e differiti sull'ambiente e l'ambiente modificato, a sua volta, ha effetti diretti, secondari e differiti sulle nostre condizioni di vita.

A volte questi effetti sono molto pesanti, come quando il livello del mare si innalza e inghiotte zone costiere e depressioni. O nel caso di carestie, esaurimento delle risorse o dell'acqua che causano fame e altre privazioni estreme. O in casi meno gravi ma comunque tremendi, come la comparsa di tornado, uragani, siccità e inondazioni che colpiscono gravemente vaste popolazioni; o quando si registrano alti tassi di tumore causati dalla presenza di acque sotterranee inquinate o di radiazioni crescenti che uccidono un gran numero di persone in età giovanile; o nel caso della costruzione di dighe che comportano l’eliminazione di intere città e villaggi. Può trattarsi anche di effetti limitati ad aree più ristrette, private dei propri ambienti naturali che vengono pavimentati o esposte a inquinamento acustico derivante dalla produzione o da consumi acusticamente inquinanti.

Da tutto ciò deriva che il rapporto di un'economia con l'ambiente naturale circostante è mortalmente serio e il non tenerne conto, anche riuscendo ad affrontare tutti gli altri aspetti, sarebbe una debolezza capace di condizionare negativamente qualsiasi modello economico proposto per la nuova società.


Capitalismo ed ecologia

Prima di considerare la relazione dell'economia partecipativa con l'ecologia, potrebbe rivelarsi utile considerare come il capitalismo e anche quello che è stato chiamato socialismo di mercato abbiano fallito per quanto riguarda l'ambiente.

In primo luogo, i mercati danno la priorità alla massimizzazione del profitto (o surplus) di breve periodo indipendentemente dalle implicazioni di lungo periodo.

In secondo luogo, i mercati ignorano la maggior parte degli effetti ambientali come esternalità e hanno incorporato incentivi a violare l'ambiente ogniqualvolta ciò può produrre profitti e, per dirla tutta, la soddisfazione di consumatori a scapito di altri.

E, terzo, il mercato segue la spinta ad accumulare indipendentemente dagli effetti sulla vita e su tutte le altre variabili.

In altre parole, i mercati creano incentivi a violare l'ambiente e qualsiasi altra cosa esterna all'acquirente e al venditore che decidono una transazione ogni volta che ciò aumenterà il profitto del produttore.

I venditori, ad esempio, useranno metodi di produzione che generano inquinamento ma che costano meno rispetto all'utilizzo di tecnologie pulite; che danneggiano le acque sotterranee o consumano risorse ma che costano meno rispetto ai metodi che non lo fanno; oppure incorporeranno nei prodotti effetti secondari che i consumatori che acquistano il prodotto non subiranno direttamente ma che magari subiranno altri, e che costano meno alla produzione e agli acquirenti.

E la cosa non si limita soltanto al fatto che in ogni transazione i partecipanti hanno un incentivo a trovare il corso di produzione più economico e redditizio e il corso di consumo più personalmente soddisfacente: c’è anche il fatto che i mercati obbligano a incentivare al massimo gli scambi.

Cioè, c'è una spinta a comprare e vendere anche al di là dei vantaggi diretti a farlo, perché ogni produttore valuta non tanto i benefici derivanti dal realizzare un po’ più di profitto rispetto a un po' di tempo libero in più dovuto al minor lavoro, ma, invece, i vantaggi di rimanere in affari rispetto alla possibilità di un fallimento. Cioè, ogni attore compete per una quota di mercato al fine di guadagnare surplus da investire per ridurre i costi futuri, pagare la pubblicità futura ecc. Questi surplus devono essere massimizzati nel presente per non essere messi fuori gioco in futuro dalla competizione.

La corsa per una quota di mercato diventa una spinta ad accumulare continuamente profitti senza tregua, il che significa farlo anche al di là di ciò che l'avidità dei proprietari potrebbe altrimenti comportare. La filosofia guida è crescere o morire, indipendentemente da inclinazioni personali contrarie. Ciò non solo viola l'attenzione alla sostenibilità delle risorse, ma produce anche un flusso in costante aumento di rifiuti e inquinamento. Gli scambi si moltiplicano e in ogni transazione persiste l'incentivo a inquinare e a violare in altro modo l'ambiente.

Otteniamo così un'economia che vomita, consuma e danneggia l'ambiente su vasta scala. Otteniamo un'economia che trasforma le comunità in discariche, facendo ammalare le città con lo smog, inquinando le acque sotterranee che a loro volta aumentano i casi di cancro e causando il riscaldamento globale che minaccia non solo tempeste violente ma anche vasti sconvolgimenti del livello degli oceani e della produzione agricola


Parecon ed ecologia

Per l’ambiente, un'economia partecipativa sarà migliore del capitalismo? Sì, per una serie di motivi.

Prima di tutto, in una parecon non c'è la spinta ad accumulare. Ogni produttore non è obbligato ad espandere il surplus per competere con altri produttori per una quota di mercato. Invece, il livello di produzione riflette il giusto equilibrio tra desideri di maggiori consumi e desideri di una minore quantità di lavoro complessiva.

In altre parole, in una parecon, ognuno di noi deve scegliere tra aumentare la durata complessiva e l'intensità del proprio lavoro per accrescere il proprio consumo, o, invece, lavorare meno per aumentare il proprio tempo disponibile per godere dei prodotti del proprio lavoro e di quanto ci offre la vita. E poiché la società nel suo insieme deve affrontare questa identica scelta, possiamo ragionevolmente prevedere che invece di una spinta virtualmente illimitata ad aumentare le ore e l'intensità del lavoro, una parecon non avrà alcuna spinta ad accumulare oltre i livelli che soddisfino i bisogni reali e sviluppino reali potenzialità. Il processo produttivo si stabilizzerà, pertanto, a livelli di produzione e di lavoro molto più bassi – diciamo, trenta ore di lavoro settimanali per produrre prodotti socialmente utili, e alla fine anche meno.

La seconda questione è quella della valutazione. La pianificazione partecipativa non prevede che ciascuna transazione sia determinata solo dalle persone che producono direttamente e dalle persone che consumano direttamente gli articoli oggetto di scambio, tanto meno offre ai partecipanti incentivi strutturali per massimizzare i benefici puramente personali indipendentemente dal più ampio impatto sociale. Invece, ogni atto di produzione e consumo in una parecon fa parte di un piano economico integrato totale. Le interrelazioni di ogni attore con tutti gli altri attori e di ogni azione con tutte le altre azioni sono adeguatamente contabilizzate dal processo decisionale della pianificazione partecipativa. Il succo della faccenda è che i consumatori dispongono di un certo budget. Per essere allocato, le unità produttive devono produrre ciò che è socialmente apprezzato, e i prezzi delle risorse, dei beni intermedi e dei beni finali, tenendo conto di tutti i costi e i benefici personali, sociali ed ecologici associati.

La produzione o il consumo di gas, sigarette e altri articoli che hanno effetti positivi o anche negativi sulle persone, oltre che sull'acquirente e il venditore, terrà conto di tali effetti. Lo stesso vale per le decisioni sulla costruzione di una diga, l'installazione di turbine eoliche o il taglio dell'utilizzo di determinate risorse. E allo stesso modo per quanto riguarda l’inquinamento. I progetti vengono modificati alla luce del feedback dei consigli interessati a tutti i livelli della società, e anche di gruppi di persone che sono colpite e mostrano il costo delle implicazioni ecologiche.

Eliminando la spinta del mercato ad accumulare e ad avere solo un breve orizzonte temporale e l'ignoranza obbligata dal mercato degli effetti economici che si estendono oltre acquirenti e venditori (come gli effetti sugli attori circostanti e sull'ambiente) e il conseguente errato prezzo di mercato dei prodotti, parecon contabilizza adeguatamente costi e benefici e fornisce mezzi per gestire in modo ragionevole gli impatti ambientali.

Non è che non ci sia inquinamento in una parecon. E non è che le risorse non rinnovabili non vengano mai utilizzate: non puoi produrre senza sprechi e non puoi prosperare senza utilizzare alcune risorse! Piuttosto, quando la produzione o il consumo generano effetti negativi sull'ambiente o esauriscono le risorse che apprezziamo e non possiamo sostituire, non dovremmo effettuare transazioni a meno che i benefici non superino gli svantaggi. E non dovremmo effettuare transazioni a meno che la distribuzione di benefici e svantaggi non sia considerata accettabile da tutti gli attori coinvolti.

Questo è ciò che la parecon attraverso la pianificazione partecipativa realizza ecologicamente e in realtà tutto ciò che possiamo chiedere a un'economia è di agire secondo la sua logica interna. Non vogliamo che l'economia funzioni in base alla pressione di dinamiche istituzionali su cui gli esseri non hanno alcuna influenza. Vogliamo una buona economia che permetta alle persone interessate di esprimere i propri giudizi con la migliore conoscenza possibile dei costi e dei reali benefici, apportando un appropriato contributo all’autogestione.

Se l'economia consente ai suoi attori questo spettro di possibilità e di controllo, come fa la parecon, ciò che resta da valutare è ciò che le persone probabilmente decideranno. Parecon prevede che le persone siano libere e capaci di autogestirsi, e contemporaneamente assicura che le dinamiche intrinseche di questa economia siano coerenti con la più ricca comprensione umana possibile delle connessioni e delle opzioni ecologiche.

Allo stesso modo, possiamo chiedere al resto della società – alla sua cultura, ai vari gruppi di parentela e al sistema politico – che anche questi, in base ai loro ruoli, non inducano le persone a comportamenti contro l'ambiente o le generazioni future. Ciò richiede che un sistema politico consenta la libera espressione della volontà delle persone e non abbia pregiudizi istituzionali riguardo all'ecologia. E lo stesso vale per la cultura. Quest'ultima potrà esprimersi in molteplici forme ma in ogni caso non ci saranno atteggiamenti e inclinazioni disdicevoli all'interno delle norme culturali e tantomeno antiecologici.


Anarchismo

Più in generale, un anarchico cerca e individua strutture autoritarie, gerarchiche e cerca di sfidarle quando le condizioni e il perseguimento della giustizia lo consentono.

Come ha detto Bakunin, «l'autorità tende a rendere chi la possiede ingiusto e arbitrario; spinge anche coloro che vi sono soggetti ad acconsentire a ciò che è sbagliato, essere sottomessi e servili. L'autorità corrompe il suo detentore e svilisce la sua vittima».

Gli anarchici lavorano per eliminare ogni forma di dominio e di subordinazione. Idealmente, si concentrano sul potere politico, sul potere economico, sui rapporti di potere tra uomini e donne, sul potere tra genitori e figli, sul potere tra le comunità culturali, sul potere sulle generazioni future attraverso gli effetti sull'ambiente e molto altro ancora.

Ovviamente gli anarchici sfidano lo stato e i poteri economici nazionali e internazionali, ma sfidano anche ogni altro tipo e manifestazione di autorità illegittima.

Come afferma Kropotkin, interpretando il sentimento anti-autoritario ma forse anche prefigurando future complicazioni: «Prevediamo già uno stato della società in cui la libertà dell'individuo non sarà limitata da nessuna legge, nessun vincolo, da nient'altro che le sue abitudini sociali e la necessità che tutti sentono di trovare cooperazione, sostegno e simpatia tra i propri vicini».

Allora perché non dovrebbero preoccuparsi tutti della necessità che le persone debbano avere un controllo appropriato sulle loro vite provando ammirazione per l'anarchismo?

I problemi sorgono perché dall'essere «oppositori dell'autorità illegittima» possono nascere movimenti di impareggiabile imponenza, da un lato, e movimenti del tutto insignificanti, dall'altro.

Se con anarchismo intendiamo il primo caso, le brave persone ammireranno e graviteranno verso l'anarchismo. Ma se con anarchismo intendiamo il secondo, allora le brave persone avranno delle riserve o addirittura saranno ostili ad esso.

Allora qual è la versione non così ammirevole o addirittura sgradevole dell'anarchismo che allontana molti potenziali sostenitori? E qual è la versione degna di ammirazione che ora vede crescere un suo consenso ovunque? E le correnti degne di ammirazione incorporano intuizioni sufficienti per avere successo?


L’anarchismo deteriore

«Anarchismo» deteriore è il marchio di quell’anarchismo che respinge in sé e per sé le forme politiche o le istituzioni, o anche la semplice vecchia tecnologia, o la lotta per le riforme – come se tutte le strutture politiche, gli accordi istituzionali o persino l'innovazione tecnologica imponessero intrinsecamente un'autorità illegittima, o come se relazionarsi alle strutture sociali esistenti per ottenere immediati risultati limitati fosse un automatico segno di ipocrisia o di sostegno al sistema.

Gli anarchici avvertono in modo acuto l'uso della forza da parte dello stato odierno a scopo repressivo, ma in risposta alcuni di essi deducono erroneamente che questa è una conseguenza del tentativo di giudicare, o legiferare, o attuare obiettivi condivisi in quanto tali, e non siano invece gli strumenti degli interessi immediati di ristrette élites; [se comprendessero questo], farebbero valere in modo più positivo le loro istanze. Non dobbiamo rifiutare la politica. Abbiamo bisogno di una buona politica. Una politica anarchica. Il che non è affatto una contraddizione in termini. [2]

Allo stesso modo, gli anarchici vedono correttamente che molte se non addirittura la maggior parte delle nostre istituzioni, mentre forniscono alle persone organizzazione, divertimenti, cibo, trasporti, case, servizi ecc., al contempo limitano anche ciò che le persone possono fare in modi che sovvertono le aspirazioni e la dignità umane. Tuttavia alcuni anarchici deducono poi erroneamente che tutte le istituzioni di per sé debbano essere oppressive in modo che invece di istituzioni durature dovremmo avere solo interazioni spontanee volontarie in cui in ogni momento tutti gli aspetti della vita sociale vengano generati e dissolti in modo fluido.

La verità opposta è ovviamente che senza istituzioni stabili e durature che abbiano norme e ruoli ben concepiti e duraturi, rapporti evoluti tra popolazioni disparate e anche tra individui sono del tutto impossibili.

I ruoli istituzionali che costringono le persone a negare la loro umanità o l'umanità degli altri sono, ovviamente, abominevoli, mentre i ruoli istituzionali che consentono alle persone di esprimere la loro umanità più pienamente e liberamente non sono affatto abominevoli in sé, ma sono parte integrante di un ordine sociale giusto e in grado di migliorare le condizioni di vita. In breve, non dobbiamo rifiutare ogni tipo di istituzione, abbiamo bisogno di buone istituzioni liberatrici, che non sono affatto una contraddizione in termini.

La situazione con la tecnologia è simile. Gli anarchici guardano alle catene di montaggio, alle armi e all'uso di energia e vedono giustamente come depredano il nostro mondo. Ma alcuni anarchici concludono che c'è qualcosa nell’evoluzione tecnologica che genera intrinsecamente questi orribili risultati, tanto che staremmo meglio senza tecnologia. Naturalmente, costoro non capiscono che le matite sono tecnologia, i vestiti sono tecnologia, e in effetti tutti i manufatti umani sono tecnologia, e che la vita sarebbe breve e brutale, nella migliore delle ipotesi, senza tecnologia. Quindi, il problema non è denigrare e rifiutare la tecnologia in sé, ma creare e mantenere solo tecnologie che agevolino obiettivi e potenzialità umane. Non dobbiamo rifiutare qualunque tecnologia, abbiamo bisogno di una tecnologia umana, che non è affatto una contraddizione in termini.

E infine, riguardo alle riforme, l'anarchismo giustamente nota che nel caso di molte riforme le conquiste ottenute sono fugaci e le élites riescono persino a utilizzare tali concessioni per rafforzare la loro legittimità ed estendere il loro dominio, prima concedendo ma poi addomesticando e in seguito spesso anche eliminando quanto realizzato. Ma, ancora, ciò che viene trascurato è che questi problemi non derivano dal cambiamento o dalla riforma in sé, ma da un cambiamento che è concepito, perseguito e implementato in modo da presupporre l’accettazione del sistema piuttosto che il suo superamento. Ciò che si richiede allora non è il rifiuto di qualunque riforma, che significherebbe lasciare il gioco in mano alle élites, ma lottare per le riforme che concepiamo, perseguiamo e implementiamo secondo un piano che porti gli attivisti a cercare ulteriori vantaggi lungo un percorso di cambiamento che porti in ultima analisi a nuove istituzioni.

Non dovrebbe essere neppure necessario discutere la appena menzionata "concezione erronea" dell'anarchismo con le sue tesi anti-politiche, anti-istituzionali, anti-tecnologiche e anti-riformiste. È perfettamente naturale e comprensibile per le persone, quando vengono sensibilizzate ai mali della struttura politica, delle istituzioni o delle tecnologie contemporanee, o quando s’imbattono per la prima volta nelle difficoltà dei progetti di riforma, incolpare l'intero settore piuttosto che i suoi peggiori esempi. Ma, riflettendo con lucidità, questa confusione svanirebbe subito poiché diventerebbe presto chiaro che senza strutture politiche, senza istituzioni e/o senza tecnologia in sé, per non parlare di riforme progressiste, l'umanità sopravvivrebbe a malapena e tanto meno prospererebbe e adempirebbe alle sue capacità.

Ma, naturalmente, la previsione di un facile superamento di questo tipo di opinioni trascura il fatto che i media e le élites faranno riferimento a una qualsiasi di queste correnti dell’anarchismo e la sosterranno, rappresentandola come l'intero anarchismo, per screditarlo. In tale contesto, alcuni dei più estremi (ma colorati) sostenitori di tali punti di vista saranno posti all’attenzione dai media. I loro approcci insostenibili e discutibili otterranno di conseguenza molta più visibilità di quanta deriverebbe dal numero dei loro sostenitori e dalla loro logica o dai loro valori.


Un anarchismo auspicabile

Che dire della corrente buona dell'anarchismo contemporaneo che è meno visibile nei media? Essa mi sembra molto più edificante e stimolante. È un esteso ritorno dello slancio a combattere dalla parte degli oppressi in ogni ambito della vita: dalla famiglia, alla cultura, allo stato, all’economia, e sul piano della “globalizzazione economica”, e farlo in modi creativi e coraggiosi concepiti per ottenere miglioramenti immediati nella vita delle persone e contemporaneamente rivolti alla realizzazione di nuove istituzioni in futuro.

Questo anarchismo auspicabile trascende dei limiti che in passato lo hanno spesso caratterizzato. Invece di essere esclusivamente politicamente anti-autoritario, oggigiorno essere anarchico implica avere sempre più un orientamento di genere, culturale ed economico, oltre che politicamente radicato, che affronti ogni aspetto con pari impegno.

Nella mia esperienza dell’anarchismo, tutto ciò è per molti aspetti nuovo, ed è utile ricordare che molti anarchici appena un decennio fa, e forse anche più recentemente, avrebbero detto che l'anarchismo affronta tutto, sì, naturalmente, ma tutto tramite una prospettiva anti-autoritaria piuttosto che assumendo simultaneamente altre prospettive a sé stanti.

Questi anarchici pensavano, implicitamente o esplicitamente, che l'analisi da un punto di vista prevalentemente anti-autoritario potesse spiegare la famiglia nucleare meglio di un'analisi radicata anche nei concetti di parentela, potesse spiegare la razza o la religione meglio di un'analisi radicata anche in concetti culturali, e potesse spiegare la produzione, il consumo e l'allocazione meglio di un'analisi radicata anche in concetti economici.

Avevano torto nel sostenere questo "monismo politico", ed è un grande progresso che molti anarchici ora lo sappiano e stiano ampliando il loro approccio intellettuale in modo che l'anarchismo ora si concentri non solo sullo stato, ma anche sulle relazioni di genere, non solo sull'economia, ma anche sulle relazioni culturali ed ecologiche, e anzi metta in luce la dimensione della libertà in ogni ambito, e si soffermi su tutti questi aspetti non sempre e solo attraverso il prisma dei rapporti di autorità ma anche attraverso i concetti che gli sono propri.

L'anarchismo auspicabile naturalmente non solo non denigra la tecnologia in sé, ma acquista familiarità con diversi tipi di tecnologia impiegandoli a seconda dei casi. Non solo non denigra le istituzioni in sé, o le forme politiche in sé, ma cerca di concepire nuove istituzioni e nuove forme politiche di attivismo per una nuova società, inclusi nuovi modelli di coordinamento, decisionali ed organizzativi.

Questo anarchismo auspicabile non solo non denuncia le riforme in se stesse, ma lotta per definire e ottenere riforme in modi che siano attenti ai bisogni immediati delle persone, ne migliorino la vita adesso e preparino future trasformazioni radicali della società.

Allora perché l'anarchismo buono non emerge in visibilità rispetto all’anarchismo meno buono? Perché a sinistra le persone non gravitano verso l’anarchismo migliore?

Parte della risposta, già nota, è che le élites e i media mainstream danno maggiore visibilità alla prospettiva meno auspicabile, riservandole maggior peso e attenzione di quanto altrimenti godrebbe. Ma parte della risposta è data anche dal fatto che il lato buono dell'anarchismo odierno è sotto vari aspetti ancora troppo vago per imporsi. Qual è il problema? Penso che dipenda almeno in parte dal fatto che l’anarchismo “buono” non propone obiettivi chiari e convincenti.


Visione anarchica?

L'anarchismo si è storicamente concentrato sulla dimensione politica della vita. Ma anche qui, l'emergente anarchismo dei movimenti odierni, con la sua lunga storia, non ci chiarisce cosa potrebbe essere un sistema politico anarchico. Supponendo che le società debbano adempiere a funzioni giudiziarie, legislative e di gestione collettiva della dimensione politica della vita, e che le società debbano farlo tramite istituzioni che i cittadini costruiscono e a cui prendono parte, quali dovrebbero essere queste istituzioni? Se la corrente “cattiva” dice che non dovremmo favorire istituzioni politiche ma solo l'interazione spontanea face to face di individui liberi, dove ciascuno fa ciò che preferisce senza essere sottoposto ad alcuna autorità, allora cosa dovrebbe proporre la tendenza “buona” che vuole soddisfare le stesse aspirazioni ma senza sacrificare la collettività e la continuità? Che tipo di strutture, con quali tipi di ruoli e norme sociali ricorrenti proprie di un sistema politico anarchico, si svolgeranno funzioni politiche e allo stesso tempo si promuoveranno i valori che sosteniamo?

È forse prematuro aspettarsi che il nuovo emergente anarchismo produca dall'interno una visione convincente della futura religione, identificazione etnica o comunità culturale, o una visione futura dei rapporti di parentela, sessualità, procreazione o socializzazione, o anche una visione futura dei sistemi di produzione, consumo o allocazione. Ma per quanto riguarda il raggiungimento, l'attuazione e la protezione contro l'abuso di programmi politici condivisi, la soluzione di controversie e la creazione e l'applicazione di norme sulle relazioni collettive, mi sembra che l'anarchismo dovrebbe farsi guidare dalla sua azione visionaria.

Tuttavia, ci sono stati sufficienti e seri tentativi anarchici per spiegare come dovrebbero essere risolte le controversie legali? Dovrebbe esserci una sentenza giuridica? Dovrebbero essere create leggi e un coordinamento politico? Come le violazioni e le interruzioni dovrebbero essere gestite? E come dovrebbero essere implementati positivamente programmi condivisi?

In altre parole, qual è la serie di reali alternative istituzionali anarchiche agli odierni apparati legislativi, giudiziari, di polizia ecc.? Quali istituzioni anarchiche possono promuovere la solidarietà, l'equità, l'autogestione partecipativa, la diversità e qualsiasi altro fattore di affermazione della vita e della libertà svolto nel contempo attraverso le necessarie funzioni politiche?

Fino ad oggi anche lo spirito migliore dell'anarchismo si è spesso tradotto solo in un rifiuto dell'oppressione, e non in una visione di liberazione. Scrive Alexander Berkman: «In tutti i tempi e in tutti i luoghi, qualunque sia il nome che prende il governo, qualunque sia stata la sua origine o la sua organizzazione, la sua funzione essenziale è sempre quella di opprimere e sfruttare le masse, e di difendere gli sfruttatori e oppressori. I suoi principali strumenti caratteristici e indispensabili sono il poliziotto e l'esattore delle tasse, il soldato e il carcere». Va bene, ma come si possono organizzare le funzioni politiche in accordo con i valori anarchici?

Prodhoun scrive: «Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, recintato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù. Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, ad ogni movimento, annotato, registrato, censito, tariffato, timbrato, squadrato, postillato, ammonito, quotato, collettato, patentato, licenziato, autorizzato, impedito, riformato, raddrizzato, corretto. Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, braccato, tartassato, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale». Sembra giusto, ma allora come ci autogoverniamo? Come gestiamo noi stessi e le nostre società?

Ci dice Errico Maletesta: «Quello che vogliamo, quindi, è la distruzione totale del dominio e dello sfruttamento della persona da parte di un’altra persona; vogliamo persone unite… da una solidarietà consapevole e scelta, che cooperino tutte volontariamente per il benessere di tutti; vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti i mezzi per conseguire il massimo benessere, il massimo sviluppo morale e spirituale possibile; vogliamo pane, libertà, amore e scienza – per tutti». Sì, sì, ma come?

Un numero enorme di cittadini delle società sviluppate non rischierà ciò che ha, per quanto poco possa essere in certi casi, per perseguire un obiettivo su cui non ha le idee chiare. Quante volte dovranno chiederci qual è il nostro obiettivo prima di dare loro risposte serie, sufficientemente esaurienti, attentamente ponderate e convincenti?

Offrire una visione politica che comprenda strutture fondamentali per il funzionamento di una società, che mostri come ciascuna di esse potrebbe funzionare in modo non autoritario, promuovendo risultati positivi, non solo fornirebbe al nostro attivismo contemporaneo una speranza a lungo termine, ma informerebbe anche le nostre risposte immediate all'attuale sistema elettorale, legislativo, delle forze dell'ordine e giudiziario, e quindi a molte delle nostre scelte strategiche.

L’odierna comunità anarchica non dovrebbe pertanto elaborare una tale visione politica? Penso che dovrebbe, e spero ardentemente che una simile visione politica anarchica arrivi presto. In effetti, sospetto che fino a quando non ci sarà un’ampia componente dell'anarchismo che propone qualcosa di positivo e degno riguardo agli obiettivi politici, sarà la componente negativa, che denuncia tutte le strutture politiche e persino tutte le istituzioni, ad avere maggiore visibilità e a ridurre notevolmente la potenziale adesione all'anarchismo.

Alcuni risponderanno che l'anarchismo ha già una visione più che adeguata e che un’ulteriore prospettiva limiterà l'ingegno e l'innovazione. Rispondo che questo è lo stesso tipo di errore di quando si condanna in blocco ogni struttura politica, ogni istituzione, tutta la tecnologia o ogni riforma. Il problema non è la visione in sé. Il problema è una visione che è detenuta e posseduta solo dalle élite e che serve solo le élite. Una visione pubblica e ampiamente accessibile che serva veramente l'intera popolazione, politica e non, è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.

E le potenzialità dell’anarchismo buono? Immagino che direi che, se l'anarchismo riconoscerà veramente la necessità di concetti e pratiche tipici della cultura, dell'economia e del genere, nonché della politica, e se esso saprà supportare la visione propria di altri movimenti riguardo a dimensioni sociali non governative e al contempo saprà fornire essa stessa una visione politica convincente, magari di concerto con persone che hanno sviluppato una visione politica partecipativa, e se la comunità anarchica riuscirà ad evitare strane confusioni sulla tecnologia, le strutture politiche, le istituzioni in sé e cercherà di ottenere riforme in modi non riformisti, allora l'anarchismo avrà molto da offrire e potrebbe benissimo diventare una delle principali fonti di ispirazione e saggezza nel XXI secolo nello sforzo di rendere il nostro mondo un posto molto migliore.


Economia partecipativa e anarchismo

Per quanto riguarda la parecon e l'anarchismo, penso che la parecon sia coerente con le inclinazioni che ho precedentemente descritto come caratterizzanti un anarchismo degno e desiderabile e che parecon rappresenti persino una visione economica propriamente anarchica che elimina la gerarchia di classe e qualunque forma di gerarchia economica. Essa è inoltre coerente e può fornire uno stimolo a qualunque altra aspirazione anarchica. La parecon è, credo, in questo senso un’economia anarchica così come una economia solidale, della diversità, equa, autogestita e sostenibile.

Questo è tutto? Quasi, ma so per esperienza che alcuni anarchici si oppongono all'affermazione che la parecon sia un'economia anarchica e in conclusione possiamo forse rispondere utilmente alle loro preoccupazioni.

Il problema è che molti anarchici provano, comprensibilmente, un notevole disagio verso tutto ciò che non possa ricondursi alla frase «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!». La mia opposta convinzione è che questa stessa norma neghi involontariamente l'autogestione e non riesca completamente a guidare i rapporti economici. Considerando i sentimenti che inducono gli anarchici ad apprezzare quella norma, direi che se guardiamo alle ragioni per cui essa presenta delle difficoltà, possiamo trovare una nuova norma che sostenga l'autogestione e guidi i rapporti economici, accordandosi nel contempo con la basilare aspirazione all'equità che induce molti anarchici a favorire la norma imperfetta. La nuova norma sarà quella che dovrà adottare la parecon.

In primo luogo, in che misura la norma «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni!» è una negazione dell'autogestione?

E se io volessi dare meno di quanto garantiscono le mie capacità? Mi chiedo perché nessuno fa mai questa domanda piuttosto ovvia? Supponiamo che io sia un giocatore di baseball di talento, un artista, un muratore, un ragioniere, un ballerino, un chirurgo o qualsiasi altra cosa, ma preferirei fare un altro tipo di lavoro rispetto a quello in cui eccello. In altre parole, voglio che la società prenda da me – la parte "da ciascuno" della norma – meno di quanto la mia capacità mi permetterebbe di produrre. Il rispetto di questa norma preclude questa scelta da parte mia? Un ipotetico anarchico critico della parecon, o un anarchico qualsiasi ovunque nel tempo o nello spazio, mi impedirebbe di svolgere un lavoro in cui sono meno bravo se lo preferissi rispetto ad uno che potrei fare meglio? Se la norma non lo preclude, cosa significa?

Andiamo oltre e rendiamo la cosa più semplice. Supponiamo che lavori almeno in parte nel settore in cui riesco ad esprimere le mie più grandi potenzialità produttive, ma che non voglia farlo per tutto il tempo in cui sono "abile" a farlo, ma solo per la metà di quel tempo. La norma da-ciascuno a-ognuno mi impedisce di fare quella scelta? Qualche anarchico forse obbietterebbe alla scelta di lavorare meno tempo di quanto io sia in grado di fare? In caso negativo, cosa prevede la norma?

Ora, considerando la seconda parte della frase, che dire della locuzione «a ciascuno» della norma? Supponiamo che io voglia ricevere meno di quanto si suppone io abbia bisogno. Posso optare per questa scelta? Perché no? Supponiamo che io voglia più di quanto si suppone io abbia bisogno. Posso averlo? Supponiamo che sia molto più di quanto si suppone mi serva. In sostanza, come fai a sapere e come faccio a sapere di cosa ho bisogno io o qualcun altro?

Ecco il punto cruciale. Gli anarchici che sostengono «da ciascuno/a ciascuno», in realtà intendono che ogni persona, nel nuovo contesto sociale, dovrebbe cercare e ricevere un ammontare di beni e servizi ritenuto necessario e garantito, vale a dire che ogni persona dovrebbe cercare e ricevere un importo onesto, giusto, equo. Sostengono anche che ogni persona dovrebbe fornire il proprio lavoro in modo altrettanto equo e responsabile. Non sono favorevoli all'idea che qualcosa al di fuori della persona abbia un impatto su ciò che la persona fa, ciò è alquanto strano dato che tutti sono influenzati da tutti. Ma allora cosa preferiscono?

Una possibilità è che gli anarchici pensino che ogni produttore e consumatore deciderà liberamente di propria iniziativa, senza alcuna influenza da parte degli altri, di soddisfare la propria domanda (bisogni) e garantire una offerta (di lavoro) in modo che il totale dia luogo ad un accordo equo e giusto. In altre parole lavorerò una quantità appropriata e consumerò una quantità appropriata perché voglio essere responsabile. Va bene, d’accordo, ma come faccio a sapere cosa significa essere responsabile?

Come fa anche una persona socialmente responsabile a sapere cosa sono una domanda e un'offerta eque, anche se presumiamo che tutti scelgano liberamente di essere giusti? La norma «da ciascuno/a ciascuno» non fa nulla per chiarire cosa sia garantito e cosa non lo è. In effetti, preso alla lettera, ciò che vuoi è, per il fatto che lo vuoi, garantito. Eppure ogni anarchico con cui ho parlato di questo, quando si sono forniti esempi reali, arriva rapidamente alla conclusione che tranne nei casi di disabilità, dove le persone ottengono davvero ciò di cui hanno bisogno dal punto di vista medico più un reddito completo, o nel caso di tipologie di beni in cui le persone possono avere tutto ciò che vogliono, le persone dovrebbero ricevere una quantità equa, ossia coerente con la propria attività, e dovrebbero fornire un lavoro equo, ossia coerente con ciò che desiderano consumare. E ora la parola «coerente» è la chiave.

L'anarchico cerca di evitare l'ingiustizia delle persone che ottengono troppo o troppo poco, in rapporto ai loro sforzi, a causa dei rapporti di proprietà, del potere o anche dal valore/volume della loro produzione personale. E l'anarchico cerca anche di evitare che qualsiasi persona debba lavorare in modo eccessivo e senza un’equa retribuzione, o debba lavorare in modo iniquo in condizioni difficili. E l'anarchico cerca anche di garantire che ogni partecipante possa autogestirsi.

Bene, concordo totalmente su tutti questi obiettivi. Voglio le stesse cose. Ma guardo la situazione, e per quanto mi riguarda quegli obiettivi non implicano «da ciascuno a ciascuno» quanto piuttosto che le persone dovrebbero ottenere un reddito in accordo con la durata, l'intensità e l'onerosità del loro lavoro (più i sussidi per il servizio sanitario, altri beni gratuiti ecc.), perché per me è equo che le persone contribuiscano con un lavoro socialmente valutato in rapporto al reddito che ricevono e che utilizzino efficacemente i beni con cui lavorano. Ciò per me è responsabile. Entrambi questi aspetti dovrebbero essere poi concordati nel contesto di decisioni autogestite, collettive e cooperative sull'orientamento dell'economia, compreso ciò che viene prodotto, in quale volume e con quali mezzi; il tutto condotto mediante informazioni complete e accurate sui costi personali, sociali ed ecologici e i vantaggi delle opzioni disponibili.

Va bene, tutto ciò conduce, ironia della sorte, direttamente alla parecon. Ma c'è un altro aspetto. La norma «da ciascuno a ciascuno» non solo non ci dice chi o cosa decide in base a quali criteri, cos'è un «bisogno garantito» e cosa una «capacità garantita», né perché dovrei ottenere solo ciò di cui ho bisogno, qualunque cosa ciò significhi, e dare solo ciò che sono in grado di fare, qualunque cosa sia; inoltre non fornisce alla società un modo per sapere quanto, rispetto ad altri desideri, le persone desiderino fare una scelta rispetto a un'altra, o quanto le persone vogliano sostituire alcuni lavori onerosi rispetto ad altri. In altre parole, non fornisce le informazioni necessarie per prendere decisioni sulla direzione verso cui muoversi, incluso quanto e cosa produrre nel breve periodo e quali investimenti fare nel lungo. Anche questo ci porta direttamente alla parecon, ossia alla pianificazione partecipata. Ma per ora, il fatto è che ogni anarchico che prospetta la norma «da ciascuno a ciascuno» vuol dire in pratica che dovrei ottenere una quantità che, nel contesto in cui mi trovo, sia giusta e chiaramente in accordo con quanto tempo, con quanto duramente e in quali condizioni ho lavorato – e a mia volta dovrei dare un importo che sia anche equo, che in pratica si riduce ad un lavoro in accordo con ciò che desidero avere come reddito, ma anche in un modo che produca un output socialmente apprezzato.

Se qualche anarchico non è d'accordo, va bene, ma spero che dedicherà del tempo per farmi sapere il motivo scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., solo così potremo poi forse confrontarci.


Note

[1] Parlando di «onere della prova» qui l’autore usa una locuzione del diritto processuale antico come moderno, indicando «un principio logico-argomentativo in base al quale chi vuole dimostrare l'esistenza [e, aggiungiamo nel caso specifico, la validità, la necessità] di un fatto ha l'obbligo di fornire le prove per l'esistenza [la necessità] del fatto stesso». In sostanza crediamo che Albert qui voglia dire che chi sostiene la necessità di gerarchie coercitive e di un potere autoritario, e comunque di un potere, dovrebbe dimostrarne la necessità. (N.d.t)

[2] Si è reso necessario intervenire sul testo per rendere più chiaro qualche passo, nell’originale in forma troppo sintetica. (N.d.t.)


Michael Albert

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: ZNET 03.01.2021