Fonte: Green Left - 05.12.2023

Rivolta ambientale di massa a Panama contro una multinazionale mineraria. Un milione di persone è sceso in piazza il 22 novembre per protestare contro i piani di espansione della miniera Cobre Panamá. In questa intervista il socialista panamense José Cambra descrive «le più grandi mobilitazioni che abbiamo mai visto in questo paese».



La Corte Suprema di Panama ha dichiarato incostituzionale il contratto firmato tra lo stato e la Minera Panamá per la gestione della miniera Cobre Panamá, dopo settimane di proteste di massa che ne chiedevano la chiusura.

La Minera Panamá – una filiale della multinazionale First Quantum Minerals (FQM) – ha sfruttato negli ultimi venti anni l'enorme miniera di rame e oro a cielo aperto nel Corridoio Biologico Mesoamericano, sensibile dal punto di vista ecologico. Ma in base a un nuovo contratto approvato in ottobre dal Congresso di Panama, la Minera Panamá ha deciso di estendere le sue attività per altri venti anni, con ulteriori poteri di espropriare le terre vicine alla sua concessione esistente e di deviare interi fiumi per uso privato.

Per saperne di più sulla rivolta ambientale di massa che ha sfrattato una multinazionale mineraria, Federico Fuentes di Green Left e Antonio Neto di Revista Movimento hanno parlato con José Cambra, attivista socialista e membro dell'Associazione dei Professori di Panama (ASOPROF).


Poò spiegare il motivo di queste proteste?

La Costituzione panamense vieta l'amministrazione delle risorse naturali di Panama da parte di stati stranieri. FQM è di proprietà di capitali canadesi, statunitensi, sudcoreani e cinesi. Non si tratta solo di un'azienda privata straniera, ma in parte, anche di capitali di questi stati stranieri.

Nonostante ciò, la società ha estratto il rame e altri minerali della miniera senza pagare le tasse dal 2017 al 2023. Secondo i report finanziari di FQM, la miniera Cobre Panamá rappresentava il 48% dei profitti globali di FQM.

La questione è arrivata al pettine in agosto, quando il governo ha presentato un nuovo contratto all'Assemblea dei Deputati. Sindacati, avvocati e ambientalisti hanno risposto dicendo che il contratto presentava gli stessi difetti di quelli precedenti e che la Corte Suprema avrebbe dovuto dichiarare il governo colpevole di oltraggio alla Corte perché il contratto era incostituzionale.

Invece, il 21 ottobre il Congresso ha approvato il contratto dopo soli tre giorni di discussione. Questo ha provocato un'esplosione sociale in un paese già stufo del prezzo inaccessibile dei farmaci, della mancanza di sicurezza sociale e dell'altissimo costo della vita.

L'anno scorso ci sono state a Panama mobilitazioni che avevano costretto il governo a trovare un accordo su alcuni di questi temi. Ma il governo non è riuscito a rispettarli. Così, la gente è scesa di nuovo in piazza.


Può dirci qualcosa di più sulle mobilitazioni dello scorso anno?

L'intensità delle ultime proteste si spiega, in gran parte, con la mancata realizzazione dell'accordo dell'anno scorso. Nel 2022 abbiamo assistito alle più grandi mobilitazioni che il paese avesse mai visto fino a quel momento. In tutto il paese ci sono state manifestazioni, marce e scontri con la polizia per chiedere una riduzione del costo dei farmaci e degli alimenti.

Tutto questo è approdato a negoziati pubblici tra il governo e le organizzazioni che guidavano la lotta. Abbiamo chiesto che i negoziati venissero trasmessi in televisione, il che è stato spettacolare. Alla fine, la Camera di Commercio ha chiesto al presidente di chiudere la trasmissione perché tutto il paese stava ascoltando il dibattito in cui l'oligarchia veniva denunciata pubblicamente.

Una parte molto ampia della popolazione ha seguito i negoziati, cosa che si vede raramente. All'improvviso, la gente nelle strade ci diceva: «Ehi, sono d'accordo con quello che avete detto ieri, sono d'accordo che dovrebbe essere così».

Le mobilitazioni si sono svolte quotidianamente per un mese. Anche se non sono state grandi come quelle recenti, ci sono state grandi marce a Panama City – la città più grande del paese – guidate principalmente dal sindacato degli insegnanti, ASOPROF, e dal sindacato dei lavoratori edili, SUNTRACS.

ASOPROF e SUNTRACS hanno svolto un ruolo importante anche nelle ultime lotte. Ci può spiegare perché?

All'inizio dell'anno scorso abbiamo iniziato a costruire un'alleanza tra organizzazioni popolari. Purtroppo non siamo riusciti a coinvolgere tutti in questa alleanza, ma siamo riusciti a coinvolgere molte altre organizzazioni.

Questa alleanza si chiama Alleanza Popolare Unita per la Vita (APUV). Coinvolge SUNTRACS, ASOPROF, movimenti comunitari, movimenti giovanili. È un'alleanza molto forte, ma non è l'unica. Esiste anche l'Alleanza Nazionale per i Diritti dei Popoli Organizzati (ANADEPO) e il Coordinamento Nazionale dei Popoli Indigeni di Panama (COONAPIP).

È importante notare che i popoli indigeni hanno svolto un ruolo molto importante in queste recenti proteste, in particolare gli Ngäbe che hanno bloccato l'Autostrada Interamericana in direzione del Costa Rica, riuscendo a bloccare una delle più importanti autostrade di Panama.

Per quanto riguarda il mio sindacato, l'ASOPROF, dopo il voto del 21 ottobre abbiamo tenuto assemblee degli insegnanti in ogni regione, durante le quali gli iscritti hanno votato per uno sciopero di 48 ore. Lo sciopero è stato poi prolungato per altre 48 ore e il 30 ottobre abbiamo dichiarato uno sciopero a tempo indeterminato.

Il 3 novembre le proteste raggiunsero un nuovo livello. C'erano blocchi stradali in tutto il paese, ben oltre di quanto visto nel 2022. Persone che non avevamo mai incontrato durante le proteste, ma che erano stufe della situazione attuale, sono uscite per bloccare le strade dei loro quartieri.

Sui social media sono stati lanciati appelli spontanei per marce lungo la tangenziale costiera di Panama City che hanno mobilitato 250.000 persone contro l'attività mineraria. Ci sono state anche importanti proteste da parte delle comunità che vivono nelle aree circostanti la miniera. Interpellate dai deputati del Congresso, si sono dette totalmente contrarie al progetto tanto che i pescatori hanno iniziato a sabotare la miniera impedendo alle barche di lasciare la miniera con il minerale o di entrare con le forniture di carbone necessarie per produrre elettricità. In sostanza, hanno costretto la miniera a chiudere. In alcuni casi, ciò ha significato dover affrontare la forza navale panamense con bombe molotov. Per questo, la popolazione li considera degli eroi.

Sulla terraferma, le comunità locali e i camionisti hanno bloccato le strade che portavano alle miniere, riuscendo a sabotarne il funzionamento. Questa è stata un'incredibile espressione di forza.

Naturalmente, dietro questa esplosione di proteste c'era il malcontento per la scarsità d'acqua, i blackout elettrici, la mancanza di lavoro per i giovani e la corruzione e i privilegi dei politici a favore dei boss. Ciò ha creato un terreno fertile per le più grandi mobilitazioni mai viste in questo paese, con circa un milione di persone in piazza il 22 novembre.

Abbiamo visto un movimento veramente autogestito, in cui le diverse componenti, ad esempio i pescatori, hanno preso decisioni basate sulle loro conoscenze e le hanno portate avanti con il sostegno del resto del movimento. Abbiamo visto giovani che organizzavano azioni dirette e presìdi di autodifesa.

Si è verificata una rottura tra la società civile e la società politica. Il livello di disaffezione politica era così alto che non sarebbe sbagliato definirlo come una situazione pre-rivoluzionaria. Non c'è stato un vuoto di potere né sono stati creati organi permanenti di contropotere, ma le mobilitazioni erano così forti da agire come un potere indipendente.

Come risultato di tutto ciò, il 28 novembre la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale il contratto della miniera. Le proteste hanno anche costretto alle dimissioni il Ministro del Commercio, che aveva firmato il contratto, e portato all'approvazione, all'inizio di novembre, di una legge di moratoria mineraria che blocca il rilascio di ulteriori concessioni.

Quale sarà il prossimo passo della lotta?

Sebbene la lotta fosse per la chiusura della miniera, riconosciamo che ci sono ancora circa 5.000 lavoratori impiegati nella miniera. La nostra proposta è che questi stessi lavoratori presiedano alla chiusura graduale della miniera. Ci rendiamo conto che la miniera non può essere chiusa subito e che sono necessarie misure per una riconversione sicura ed ecologica del sito. Riteniamo che i lavoratori debbano rimanere per questo processo.

Invece la compagnia mineraria, responsabile di aver contaminato l'ambiente e di aver sottratto tanti profitti al paese, dovrebbe sostenere i costi. Il nostro slogan è: «Chi inquina, paga».


Federico Fuentes, Antonio Neto & José Cambra

Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org

Fonte: Green Left 05.12.2023