Karl Korsch. Dal consiliarismo al marxismo critico, di Giorgio Amico, Massari Editore, 2023.

Giurista, filosofo, rivoluzionario di professione, ministro, cospiratore, soldato valoroso, pacifista coerente, Karl Korsch è stato tutto questo e molto di più. Amico personale di Amadeo Bordiga e di Bertold Brecht, ispiratore della Scuola di Francoforte, compagno di studi di Kurt Lewin, avversario di Stalin - Korsch ha segnato in molti modi la storia del Novecento.


 



Sulle opportunità di un nuovo dibattito "korschiano"

I

 Nulla da togliere alle personalità che, più di cinquant’anni fa, hanno ruotato attorno alla presentazione e discussione critica delle prime edizioni italiane delle opere di Karl Korsch – tra gli altri, Colletti, Rusconi, Perlini e Vacca –, ma è sempre stata evidente la mancanza di uno studio serio che, tirando le somme, riuscisse a collocare Korsch nel suo contesto storico, di modo poi da poterlo proiettare e restituire a noi. Che quei contributi accumulati e invecchiati di cinque decenni, tra articoli in dotti volumi, introduzioni, prefazioni, saggi originali e brevi studi particolari, non soddisfino pienamente l’esigenza di cedere al signor Korsch il posto e lo spazio che merita nel contesto della critica radicale, non è di certo data dal tempo, il quale scorrendo come base naturale ha fatto decadere nel dimenticatoio la grande maggioranza di quegli scritti, se non proprio tutti. Il vero problema è stato il vuoto costituito dalla mancanza nel contesto nostrano di un interesse e di un dibattito serio su Korsch da una parte, e dall’assenza di un’opera realmente complessiva ed esauriente sulla sua vita e sul suo pensiero dall’altra.

Tra questi due snodi s’inserisce il prezioso contributo di Giorgio Amico che nel 2004 aveva composto, in una coedizione tra gli editori Colibrì e Giovane Talpa, quella che è ancora a oggi l’unica vera opera monografica mai scritta in italiano sul pensatore tedesco, intitolata Il rinnegato Korsch. Storia di un’eresia comunista. La stessa, con grande rammarico, risultava esaurita, introvabile, fuori stampa e fuori catalogo da troppi anni ormai. Ripresa in mano dall’attento editore Roberto Massari, ha ora visto luce una seconda edizione italiana in una nuova e splendida veste intitolata Karl Korsch. Dal consiliarismo al marxismo critico (Massari Editore, Bolsena 2023, pp. 264). L’opera di Amico affronta la complessa molteplicità dei tanti aspetti riguardanti Korsch con uno sguardo asciutto e organico, lo stesso che ci permette di incontrarlo facendoci immergere in un calore che, moventesi in sé, da sé e al di là di sé, ne delinea e attraversa il carattere, l’intelligenza, il metodo, gli interessi, la formazione, le esperienze, la gradualità del suo pensiero mai immobile ma, anzi, dialetticamente in movimento, i ruoli giocati, le testimonianze vissute, le dedizioni, le aspirazioni, le vocazioni, la rivolta; ma anche le fratture, i passi mancati, i cambi di marcia, le battute d’arresto, l’isolamento, il silenzio, le perdite, i dolori, le nostalgie, le ferite, le sconfitte. Dai primi impegni militanti, alla teorizzazione consiliare, dalla critica al kautskismo, alla critica al leninismo, l’opposizione interna nel Partito e nell’Internazionale, l’espulsione, la lotta contro il fascismo e il nazismo, la vicinanza alla Rivoluzione spagnola, l’esilio, le ultime ricerche negli Stati Uniti, la morte.

 

II

 Un paio di impressioni personali su Korsch sono qui più che necessarie, saranno dunque esposte nella presente nota e in quella che segue in quanto nel lavoro di Amico non sono poste centralmente. Tutto ciò non è un difetto dell’opera monografica di Amico, caratterizzata anzi dal pregio dell’attenta precisione biografica, ma gli stimoli e le opportunità sollevate da un simile libro ci permettono di confrontarci ex novo con le teorizzazioni di Korsch e di dibattere ancora una volta col suo pensiero alla luce del “collasso della modernizzazione” (Kurz) che attanaglia l’attuale e irreversibile fase di crisi. Le impressioni prima anticipate riguardano sicuramente la sua rilettura delle categorie dell’opera di Marx. Se è vero che Korsch restituisce all’agitatore di Treviri l’eredità hegeliana e l’intensa radicalità del critico del modo di produzione capitalistico, dall’altra, figlio dei tempi, rimane ancorato a quella lettura che non è riuscita completamente ad afferrare, e dunque mettere del tutto in discussione, quelle categorie di merce, valore, denaro e lavoro (per la critica dello Stato invece le sue conclusioni sono certamente più avanzate) che, oggi più che mai, devono essere aspramente respinte, costituendo, al di sopra della critica delle stesse, la base portante di ogni critica anticapitalista e, dunque, del sovvertimento della produzione e riproduzione della vita quotidiana così com’è poveramente organizzata, vissuta e pensata. Seppur nel suo Karl Marx si dedichi nella digressione di due capitoli più che notevoli, come «Il carattere di feticcio della merce» [1] e «La legge del valore» [2], riconoscendo in queste due categorie (merce e valore) una base assolutamente storica, cioè tipicamente centralizzate e generalizzate nella sola organizzazione sociale capitalistica e, dunque, assolutamente non naturali, eterne, ontologiche o immutabilmente date – indicando inoltre nella categoria di feticcio il nucleo centrale della critica dell’economia politica prima e di tutta la teoria e formulazione marxiana poi [3], sulla falsariga del Lukács di Storia e coscienza di classe che vedeva racchiuso nella teoria del feticismo della merce tutto il materialismo storico [4], o di Isaak Rubin che descriveva la teoria del feticismo come base della teoria del valore di Marx [5] – e seppur rigetti la revisione al concetto di valore apportata a partire dalle tendenze “secondinternazionaliste” prima e da quelle “ortodosse” poi, l’eretismo di Korsch non sembra riuscire a giungere fino in fondo o andare completamente al di là della lettura tipica del “marxismo tradizionale”, anzi spesso resta involontariamente tra la fitta ragnatela di quest’ultimo. Chi scrive questo articolo non nasconde di abbracciare le teorizzazioni della corrente internazionale della “critica del valore” (Wertkritik) di autori come Kurz, Jappe, Lohoff, Trenkle e Postone, ed è attraverso queste che possiamo individuare in Korsch i limiti dati dall’idea rituale e tradizionale della “lotta di classe” posta in termini debolmente anacronistici a mo’ di “scienza della storia” e, infine, dalla concezione del “lavoro”, dato che manca in lui una critica specifica e puntuale della categoria marxiana del “lato astratto del lavoro” il quale solo nel modo di produzione capitalistico si erge a categoria economica e sintesi sociale per eccellenza, prescindendo dal contenuto materiale del suo dispendio, avendo come fine in sé la realizzazione tautologica della “valorizzazione del valore” (Marx) in denaro e sempre più denaro. Che si producano, per esempio, giocattoli oppure bombe, di fronte alla logica del capitale non fa alcuna differenza e l’utilità di una e dell’altra si misurano dalla loro capacità di realizzarsi in valore di scambio su mercati anonimi.

 

III

 Un discorso a parte lo merita quel che riguarda le sue importanti intuizioni sulla dialettica tra natura e storia esposte in alcune delle pagine tratte da Marxismo e filosofia, da Il materialismo storico e dal già citato Karl Marx. Gli ultimi due titoli condividono un capitolo intitolato «Natura e società» [6] che ben fa comprendere la centralità che il pensatore tedesco attribuiva al discorso. Qui Korsch dimostra l’importanza di opporsi nettamente a chi trasforma fatti e fattori socialmente e storicamente determinati in mere leggi di natura, modo che, oltre a comportare una fastidiosa lettura astorica, può condurre verso un darwinismo sociale decisamente pericoloso. Sarà utile riportare per intero un passaggio tratto da Marxismo e filosofia:

 Tutti i fenomeni di questo mondo reale, in cui viviamo come esseri che pensano e come esseri che agiscono o come esseri che agiscono e pensano, si suddividono in un primo momento in due grandi gruppi principali: da un lato noi e tutto ciò che esiste facciamo parte di un mondo che possiamo rappresentarci come “natura”, un mondo “inumano”, del tutto indipendente dal nostro pensare, volere e agire. D’altro canto, in quanto esseri umani che pensano, vogliono e agiscono, ci troviamo in pari tempo in un mondo su cui influiamo praticamente e di cui subiamo gli effetti pratici, e che quindi dobbiamo considerare essenzialmente come nostro prodotto, e di cui noi dobbiamo considerarci un prodotto. Questi due mondi, quello naturale da un lato e quello pratico, storico-sociale dall’altro, non sono però due mondi distinti, in realtà formano un unico mondo: la loro unità si basa sul fatto che entrambi si collocano nel processo vitale attivo-passivo degli uomini, che con la loro attività collettiva (divisione del lavoro) e col loro pensiero riproducono e sviluppano di continuo la propria realtà complessiva [7].

 Certo, questo non fa di Korsch un critico ecologista, neanche come precursore, ma in piccola porzione è una buona piattaforma di partenza su cui riflettere, soprattutto per quanto riguarda l’interrelazione tra natura e cultura, tra natura e società che, in molti pensieri apparentemente critici viene, in modo meccanicamente adialettico, scissa di netto portando in grembo letture problematiche. Allo stesso modo è un ottimo primo esercizio per iniziare a riflettere criticamente su tutto il revival eco-socialista che ruota attorno alla Dialettica della natura di Engels nella sua lettura ipostatizzata del “metodo dialettico” come legge e principio positivo applicabile alla natura e alla storia come momenti scissi, svincolati e distinti senza mediazione se non la trasformazione della materia. A differenza di Marx, che alla fine delle proprie ricerche di “critica dell’economia politica” ne esponeva i risultati dispiegandoli dialetticamente secondo contraddizioni interne, Engels dialettizzava i risultati a lui contemporanei delle “scienze naturali” esponendoli poi cronologicamente confondendo i piani logico e storico. Certo, per onestà intellettuale è giusto precisare che Korsch, nonostante la citazione pocanzi riportata lo allontani da Engels, nelle sue opere principali non lo critichi affatto tanto che, nell’Anticritica, respinge di netto le accuse di aver negato la “dialettica della natura” [8], così come nella stragrande maggioranza dei passaggi da lui scritti Marx ed Engels sono posti quasi come un’unica entità, un Monsieur MarxEngels o un Egregio Magnifico EngelsMarx, disconoscendo le profonde differenze che intercorrevano nelle interpretazioni dei due. Non per andare contro il “secondo violino” come se fosse il peggiore degli antipatici, tutt’altro, ma oggettivamente, per fare un piccolo esempio, l’idea di un materialismo dialettico è filologicamente inesistente nell’opera di Marx mentre nell’Anti-Dühring dell’amico Engels spesso vi si ritrova un combinare e affiancare “materialismo” e “dialettica”, fatto poi preso molto sul serio da Plechanov che fece del materialismo dialettico la tradizionalità del marxismo [9]; le storpiature del Diamat e di Stalin [10] hanno infine fatto il resto. Il merito di una messa in discussione dell’empirismo engelsiano della dialettica a forma triadica di sterili leggi lo si deve maggiormente al giovane Lukács di Storia e coscienza di classe [11], all’Alfred Schmidt de Il concetto di natura in Marx [12], senza poi dimenticare, dando giustamente a Cesare quel che è di Cesare, il Sartre della Critica della ragione dialettica [13].
Altro discorso andrebbe poi fatto sul cavallo di battaglia simil-ecologista di cui molti fautori del “socialismo da caserma” (Kurz) si fanno oggi portatori e paladini, le stesse entità che sono passate senza neanche troppa vergogna dalla sfrenata glorificazione nostalgica dell’industria del carbone e del nucleare esclusivamente sovietici a un ambientalismo abbastanza blando, tragicomico quasi quanto il Kautsky che affermava letteralmente che nel socialismo, per quanta attenzione si possa dedicare ad animali e piante, l’estendersi delle colture avrebbe irreversibilmente portato all’estinzione di alcuni di loro ma perlomeno avrebbe condotto anche alla soppressione delle classi! Monocolture intensive o barbarie, verrebbe da dire! Sembra in tutto e per tutto un ambientalismo più dovuto che voluto, magari per il fatto di aver sognato di egemonizzare in un primo momento la marea di quei movimenti giovanili comparsi negli ultimi anni e la cui critica ecologica si riduceva altrettanto tristemente a condotte di consumi consapevoli e scelte circoscritte all’individuale, mentre il “collettivo” veniva richiamato a riforme che conservassero il proprio modo di funzionamento. Anche quando il collasso ambientale si è palesato sotto gli occhi di tutti, il mito del piano quinquennale non è comunque stato abbandonato non notando che il sogno della pianificazione conserva le stesse categorie del funzionamento logico del modo di produzione capitalistico (merce, valore, denaro, lavoro). Parliamoci chiaramente, non saranno semplicemente energie alternative o rinnovabili a bloccare quel processo capitalistico della “valorizzazione del valore” la cui logica tautologica, in continuo auto-movimento come “soggetto automatico” (Marx) da cui si è tutti agiti e non agenti in quanto “maschere di carattere” (Marx), infierisce più di quello che si crede all’interno e all’esterno del drastico collasso del “metabolismo” o “ricambio organico tra uomo e natura” (Marx), tra animale umano e animale non-umano, abitanti di una natura che, molto semplicemente, siamo ma da cui si è irrazionalmente separati nell’inversione e appiattimento feticista tra concreto e astratto tipica del capitalismo. Serve una riflessione d’altro livello. È probabile che le teorizzazioni di tendenza consiliare del signor Karl Korsch, se si accompagnassero alla critica delle già citate categorie portanti del modo di produzione capitalistico, potrebbero essere un buon punto di partenza per donare all’ecologismo la radicalità pratica che merita, magari in netta contrapposizione alla problematicità delle entità partitiche “da caserma” pocanzi citate oppure di autori come Andreas Malm, colui che pur di inseguire il “che fare?” a tutti i costi immagina la proibizione della deforestazione e la riconversione delle multinazionali del capitale fossile attraverso le politiche di un sedicente “leninismo ecologico”, masturbandosi sulla pianificazione di uno Stato, indefinito e trans-storico, che prende le proprie nette posizioni sul metodo di un cosiddetto “comunismo ecologico di guerra” [14] e vedendo nel bolscevismo della prima ora l’avanguardia ultima dell’ambientalismo. Lasciamo pure Malm da solo a cincischiare.

 

IV

 Proprio a questo proposito, accanto al percorso biografico condotto da Giorgio Amico sopraggiunge di volta in volta puntuale la fatidica domanda che sovente si chiede cosa di un’autrice o un autore rimanga o meno attuale e cosa la rende o lo rende importante. Ebbene, per il signor Karl Korsch mi pare che parlino da sé tutte quelle scintille di spontaneismo che, sollevandosi ancora oggi, coadiuvano trovando la propria forza e la propria forma pratica in un modello diretto e del tutto assembleare, orizzontale, così come in Francia la pratica autogestionaria delle Zad, una buona parte dell’energia che dà forza vitale al movimento No Tav, sino alla fase più matura e realizzata dell’autonomia de facto di due esperienze come i Caracoles nel Chiapas e la rivoluzione confederale nel Rojava, e che, pur lontanamente e non direttamente (nella loro multiformità particolare queste ultime due sono certo ispirate dal municipalismo libertario di Bookchin), richiamano tutte quante a quell’idea di consiliarismo di cui proprio Korsch è stato uno dei principali teorici.
Proprio perché il pensiero di Korsch non è immobile, leggerlo nella propria mobilità, o meglio leggerlo come lotta e non come legge, ci può aiutare a perderci nella sua selva oscura e ritornare a sé, attraverso quel passaggio logico-dialettico che sviluppa il concreto nella ridiscesa dall’astratto, così come Marx eredita dalla Logica di Hegel, certo acciaccati, ma con in mano quella critica delle armi che ci permetterà di praticare razionalmente una sintesi sociale in netta rottura con quella esistente. In questo, avere l’opera di Giorgio Amico come fedele accompagnatore, come Virgilio, è un pregio e una fortuna da cui non ci si può esimere.


Note

[1] K. Korsch, Karl Marx, Laterza, Bari 1970, pp. 119-126.

[2] Ibidem, pp. 127-131.

[3] Ibid., p. 126.

[4] G. Lukács, Storia e coscienza di classe, Sugarco, Milano 1974, p. 224.

[5] I. Rubin, Saggi sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli, Milano 1976, p. 5.

[6] K. Korsh, Karl Marx, op. cit., pp. 161-168; K. Korsch, Il materialismo storico, Laterza, Bari 1971, pp. 43-68.

[7] K. Korsch, Marxismo e filosofia, Sugarco, Milano 1966, p. 23.

[8] Ibidem, p. 103.

[9] Si veda: G. Plechanov, La concezione materialistica della storia, Feltrinelli, Milano 1972.

[10] Si veda: J. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico, Rinascita, Roma 1950.

[11] Merita di essere riportato per intero quel passaggio che fa tanto imbestialire gli eco-socialisti della prima e dell’ultima ora: «La natura è una categoria sociale. Ciò che vale come natura ad un determinato grado dello sviluppo sociale, la struttura del rapporto tra uomo e natura e il modo in cui l’uomo si misura con essa, quindi il senso che la natura deve avere in rapporto alla sua forma e al suo contenuto, alla sua estensione (Umfang) e alla sua oggettualità, è sempre socialmente condizionato», in: G. Lukács, op. cit., p. 291.

[12] Non a caso un’intera sezione del primo capitolo si intitola «Critica della dialettica della natura di Engels», in: A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Laterza, Bari 1969, pp. 46-56.

[13] Commentando l’Engels che riduce la dialettica a tre leggi fondamentali da applicare alla “storia naturale” e alla “storia sociale” (la conversione della quantità in qualità e viceversa, la compenetrazione degli opposti e la negazione della negazione), Sartre deride il passaggio in cui Engels accusa Hegel di aver sviluppato queste leggi imponendole alla natura e alla storia come leggi del pensiero invece di “dedurle”; «L’incertezza di Engels trapela dai termini che impiega: astrarre non è dedurre. E come potrebbero dedurre leggi universali da un insieme di leggi particolari? Questo si chiama indurre, caso mai. E abbiamo visto come in realtà non si trovi nella Natura se non la dialettica che vi si è messa», in: J.P. Sartre, Critica della ragione dialettica, Il Saggiatore, Milano 1963, p. 157.

[14] Si veda: A. Malm, Le chauve-souris et le capital, La fabrique, Paris 2020.


Afshin Kaveh - novembre 2023