Fonte: Monthly Review - 01.11.2022
La percezione di vivere in un periodo storico critico per quanto riguarda le condizioni di abitabilità sulla Terra – non solo per gli esseri umani ma anche per molti altri organismi viventi – sta guadagnando sempre più adepti tra la gente comune, gli accademici, i politici e i movimenti sociali.
Questo periodo critico è stato presentato come la crisi planetaria dell'Età dell’Antropocene e gli studi intrapresi nel presente secolo mostrano che le condizioni di abitabilità sulla Terra si stanno progressivamente deteriorando.[1] C'è anche una percezione crescente, anche se meno diffusa, della stretta relazione tra la crisi dell'abitabilità in corso e l'odierna società capitalistica mondiale. Questa percezione si basa più sull'intuizione e sulla corrispondenza storica degli indicatori della crisi planetaria col modo di produzione sociale capitalistico che su studi scientifici che dimostrano che la crisi è una necessità strutturale della riproduzione del capitale. Di conseguenza, per denominare il periodo storico attuale sono stati coniati numerosi termini alternativi ad Antropocene. Sebbene termini come Plantationocene, Chthulucene, Growthocene, Econocene, Pyrocene, Necrocene e così via possono avere un valore provocatorio, è anche vero che si basano su una comprensione incompleta della crisi in corso. Tra le alternative ad Antropocene, Capitalocene è il termine che ha subìto un sviluppo concettuale più profondo. Tuttavia, il concetto di Capitalocene non è privo di importanti malintesi sulla crisi e sul suo rapporto con i fondamenti del modo capitalistico di produzione sociale fondato sulla riproduzione del capitale.
Lasciarsi alle spalle la crisi planetaria richiede una comprensione scientifica del funzionamento della Terra come sistema naturale integrale, e a questo scopo devono essere coinvolte molte discipline delle scienze naturali. Inoltre, è necessaria anche una comprensione scientifica dei diversi modi di produzione sociale nel corso della storia, in particolare del modo capitalistico, e dei loro impatti specifici sul funzionamento del pianeta. Oggi, la profusione di termini e le diverse concettualizzazioni sottostanti, che di solito riflettono solo aspetti parziali della crisi planetaria, hanno creato una certa confusione, che ostacola sia una corretta comprensione del ruolo degli esseri umani sia la nostra capacità di intraprendere le giuste strategie per lasciarci la crisi alle spalle. Poiché i concetti sono espressi verbalmente da termini (sebbene non tutti i termini siano concetti), diventa chiaro che il dibattito Antropocene-Capitalocene non è solo una questione terminologica. È un dibattito sul contenuto concettuale alla base della crisi e sui diversi approcci per affrontarla, e questo ha importanti implicazioni per quanto riguarda il futuro degli esseri umani sulla Terra, così come il futuro stesso della Terra. Il dibattito si estende alla manifestazione della crisi planetaria negli strati [geologici] e alla sua possibile formalizzazione nella Scala temporale geologica (GTS).
In questo contributo, intraprendo un'analisi critica dei termini correnti scelti per indicare la crisi planetaria in corso e delle diverse concettualizzazioni alla base di questi termini. Concentro l’attenzione principalmente sulla disputa Antropocene vs Capitalocene, sia perché si tratta dei termini più diffusi sia perché hanno subìto un profondo sviluppo teorico. Mostro come i difetti presenti in questi termini derivino da un'incomprensione sia della crisi planetaria che dei fondamenti del modo di produzione capitalistico, e del loro reciproco rapporto. Queste carenze si riflettono nelle proposte per formalizzare la crisi planetaria nella GTS e sono discusse in questo contesto. L'accento è posto sui limiti metodologici ed epistemologici degli approcci dell’Antropocene e del Capitalocene, che sono in ultima analisi responsabili della debolezza delle loro proposte politiche per lasciarsi alle spalle la crisi.
La forma stratigrafica della crisi planetaria e la sua formalizzazione nella Scala del Tempo Geologico
Il termine Antropocene è diventato popolare all'inizio di questo secolo, quando fu introdotto dal premio Nobel Paul Crutzen e dal suo collega Eugene Stoermer. L'Antropocene è stato concepito come un nuovo tempo nella storia della Terra, in cui l'azione umana determina cambiamenti nelle dinamiche terrestri paragonabili a quelle causate dalle forze naturali. La ricerca intrapresa dopo l'introduzione del termine Antropocene ha mostrato che la percezione che l'azione umana sia in grado di determinare cambiamenti significativi sulla Terra potrebbe essere fatta risalire al XIX secolo. Un certo numero di precursori della proposta dell'Antropocene, come Anthropozoic, Anthropogene, Technogene e altri, erano stati coniati in precedenza per descrivere il tempo della storia della Terra caratterizzato da tali impatti umani. L'Antropocene e i suoi precursori sono strettamente legati allo sviluppo delle discipline delle scienze naturali, in particolare della geologia, a partire dal XVIII secolo, e al tentativo di costruire uno strumento pratico che potrebbe essere utilizzato per fare riferimento alla storia della Terra sulla base della documentazione stratigrafica. Oggi, questo strumento è la GTS, un progetto in corso che viene sottoposto a revisione periodica e che si aggiorna insieme alla nostra comprensione della storia della Terra. Il lancio del concetto di Antropocene all'interno delle cosiddette discipline scientifiche del Sistema Terra ha spinto la ricerca sulla sua possibile formalizzazione nella GTS. Questa ricerca si è cristallizzata in una proposta preliminare per stabilire ufficialmente l'Antropocene come epoca geologica della GTS.[2]
La GTS mira a fornire uno strumento standardizzato agli scienziati della Terra di molte diverse sotto-discipline e ha un eminente carattere pratico e pragmatico. Idealmente, la GTS dovrebbe fornire una registrazione stratigrafica continua e correlata a livello globale della Terra con stime dell'età accurate in modo che i processi orogenici, gli episodi serra, le estinzioni di massa, le glaciazioni e molti altri eventi nella storia della Terra, come l'azione umana nell'Antropocene, possano essere correlati a specifiche unità cronostratigrafiche, che sono organizzate gerarchicamente. La GTS ha regole per l'accettazione e la revisione delle unità che sono concordate internamente all'interno della Commissione Internazionale sulla Stratigrafia (ICS) e dell'Unione Internazionale delle Scienze Geologiche (IUGS).
Queste regole sono state modificate in accordo con il progresso della nostra comprensione della storia della Terra, ma vale la pena ricordare che le organizzazioni internazionali responsabili della GTS (proprio come molte organizzazioni in tutto il mondo, come l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il Fondo Monetario Internazionale, e altri) riflettono il rispettivo peso dei paesi nominati nella scena scientifica e politica globale. Poiché i paesi occidentali in generale e i paesi anglosassoni in particolare sono dominanti in queste organizzazioni, la maggior parte degli accordi raggiunti di solito corrisponde alla visione occidentale dominante.[3] Nel complesso, il punto di vista occidentale sulla società sovietica è stato alquanto parziale. Ad esempio, la storia ambientale sovietica è stata spesso descritta come un «ecocidio», sebbene l'URSS sia stata pioniera in campi come l'ecologia, la climatologia e nelle misure di conservazione ambientale.[4] Termini come Terziario o Secondario [N.d.T. Vale a dire, le due ere geologiche del Cenozoico e del Mesozoico] sono stati progressivamente abbandonati nella nomenclatura della GTS a favore di altri termini che riflettono in modo più accurato la storia della Terra. Tuttavia, il periodo quaternario persiste ancora come l'ultimo periodo della GTS, sebbene un termine alternativo, l'Antropogene, suggerito nel 1922 dal geologo sovietico Alexei Pavlov, fosse piuttosto popolare in URSS.[5]
Nonostante i possibili difetti tecnici dell'Antropogene come proposta unitaria, il fatto che il Quaternario fosse saldamente consolidato nel mondo anglofono – e che la proposta ufficiale fosse stata presentata durante la Guerra Fredda da geologi sovietici, che avevano poco peso nelle organizzazioni geologiche internazionali – potrebbe aver contribuito al rigetto dell'Antropogene e al successivo abbandono di qualsiasi ricerca sull'argomento. È, piuttosto, un luogo comune tra gli scienziati naturali credere che la ricerca all'interno di una particolare disciplina costituisca scienza pura, e che la scienza può e deve essere rimossa dalla politica, dall'ideologia e da ogni tipo di determinazione storica che potrebbe condizionare strutturalmente lo sviluppo della scienza. In realtà, questo è vero solo in parte: la scienza si svolge sempre in condizioni strutturali che di solito limitano le possibilità della scienza e il percorso generale della ricerca scientifica. Ad esempio, tali condizioni strutturali, che sono storicamente determinate, regolano ciò che deve essere studiato e ciò che non lo è. L'Antropogene è un buon esempio di queste condizioni poste alla scienza, ma ce ne sono molte altre.[6]
Poiché l'Antropocene dà il nome a un periodo della storia della Terra caratterizzato da una crisi planetaria indotta dall'uomo, non è più un problema che riguarda solo le scienze della Terra e le scienze naturali. È strettamente correlato alle forme del metabolismo sociale umano, che sono a loro volta legate ai modi storici di produzione sociale. A questo proposito, il dibattito sulla data di inizio dell'Antropocene non è solo una questione tecnica sulla gerarchia interna della GTS, ma ha importanti implicazioni per la concettualizzazione della crisi in corso e per le strategie politiche necessarie per uscirne. La proposta dell'Antropocene come epoca più recente della GTS – successiva alla precedente Epoca Olocenica – si basa rigorosamente su criteri stratigrafici e sostiene una data di inizio intorno alla metà del XX secolo. Secondo questa proposta, il miglior marcatore stratigrafico per l'inizio dell'Antropocene nella GTS sarebbe rappresentato dai radionuclidi di plutonio derivati dalle detonazioni di armi nucleari e depositati dai processi di ricaduta in una serie di ambienti come bacini marini profondi, calotte glaciali, laghi e formazioni di scogliere coralline. Ciò consentirebbe una ragionevole sincronizzazione e una correlazione su scala globale, che sono due dei requisiti fondamentali per la formalizzazione delle unità della GTS. Sebbene l'impronta dell'attività umana sugli strati sia antecedente al secolo scorso, essa non ha avuto un segnale stratigrafico approssimativamente sincrono e correlato su scala globale, prima della metà del XX secolo.[7]
Al di là degli strati, anche l'impronta umana sull'ecosistema terrestre è molto più antica della metà del XX secolo, ma le precedenti attività umane non hanno prodotto un cambiamento nella dinamica terrestre di entità, intensità e velocità, pari a quella dell'attuale crisi planetaria. Questo cambiamento in realtà non è dissimile da altri cambiamenti nella storia della Terra, tranne che per il suo carattere antropico e per l’accelerazione dei processi di degrado. Ad esempio, l'aumento dell'anidride carbonica atmosferica nei 6.000 anni precedenti l'era industriale è stato di 20 parti per milione (ppm), mentre negli ultimi 200 anni l'anidride carbonica è aumentata di circa 100 ppm, la maggior parte durante il XX secolo. Allo stesso modo, il metano nell'atmosfera è aumentato di 150 parti per miliardo (ppb) durante i 3.000 anni precedenti la rivoluzione industriale e 1,000 ppb negli ultimi due secoli; la maggior parte dell'aumento corrisponde all’ultimo secolo.
Nel loro insieme, i principali indicatori della crisi planetaria mostrano una tendenza con un brusco aumento nel corso dell'ultimo secolo, e in particolare dal 1940 al 1950 circa. Tuttavia, considerato singolarmente, un indicatore può mostrare un brusco aumento diverso da quello degli indicatori cumulativi. Ciò dipende dalle proprietà fisiche e chimiche del particolare parametro considerato, dal suo ruolo nella dinamica terrestre e dalla relazione con altri parametri e dall'attività umana. Ad esempio, l'anidride carbonica atmosferica era già aumentata bruscamente verso la metà del XIX secolo, molto probabilmente a causa della combustione di combustibili fossili nei processi industriali, mentre le temperature atmosferiche sono aumentate bruscamente all'inizio del XX secolo, principalmente a causa dell'effetto serra dell'anidride carbonica. Allo stesso modo, il brusco aumento delle estinzioni di specie rispetto al livello di base potrebbe essere iniziato nel XVIII secolo, o forse molto più tardi, a seconda della sensibilità al degrado ambientale del taxon considerato (mammiferi, vertebrati, pesci e così via), nonché dalla pressione dell'attività umana, che fino a tempi recenti è stata maggiore per le specie terrestri che per quelle marine.
Nel complesso, ci si aspetterebbe di trovare la manifestazione stratigrafica della crisi planetaria dopo la sua manifestazione negli indicatori ambientali, compreso il biota. In ogni caso, la crisi planetaria, espressa nell'andamento degli indicatori ambientali e negli strati, segna un salto quantitativo dell'impatto umano sulla Terra senza analoghi storici. Questa ondata deve essere collegata ai modi storici in cui gli esseri umani sono organizzati socialmente ed economicamente e ai corrispondenti modi del metabolismo sociale.[8]
Individuare l'inizio della crisi planetaria e la sua manifestazione sugli strati alla metà del XX secolo, potrebbe essere approssimativamente corretto, ma il termine Antropocene, per questa crisi e per l'unità corrispondente nella GTS, pone alcuni problemi ed è stato intensamente dibattuto. Per quanto riguarda la GTS, l'Antropocene non segue la raccomandazione di dare una desinenza “-ian” o “-an” per età/stadi ed epoca/serie. Ancora più importante, Antropocene è un termine con un forte contenuto concettuale, mentre la maggior parte dei termini della GTS sono descrittivi. Il nome Antropocene, per un'epoca della GTS, non solo descrive una firma stratigrafica correlata a livello globale, ma concettualizza un evento ben definito nella storia della Terra, in termini di causalità, origini e magnitudo, un evento che si è rivelato essere una crisi planetaria. Età, epoche e periodi della GTS prendono solitamente i nomi dai tipi di rocce che caratterizzano l'unità cronostratigrafica (ad esempio, il Cretaceo o il periodo Sideriano); dalla posizione stratigrafica all'interno della GTS (Alto, Medio, Inferiore, riguardo alla serie); e soprattutto dalle caratteristiche geografiche vicine all'area stratotipica dell'unità, che è l'attuale raccomandazione dell'ICS. Solo i nomi delle ere e degli Erathem nell'eone Fanerozoico sono stati scelti per riflettere i principali cambiamenti nella storia della vita sulla Terra.[9] Quindi, i nomi delle unità cronostratigrafiche sono essenzialmente descrittivi e di solito non alludono agli eventi nella storia della Terra che si sono verificati durante l'intervallo di tempo di un'unità, e ancor meno alle cause sottostanti gli eventi. Questo perché la GTS è uno strumento di correlazione, ma non la storia della Terra in quanto tale, anche se ciò non significa che i criteri utilizzati per denominare le unità cronostratigrafiche non possano essere modificati, purché i criteri siano basati sul consenso. Tuttavia, un accordo per denominare le unità cronostratigrafiche in base all'evento principale sembra essere problematico al livello attuale della nostra comprensione della storia della Terra, almeno per le unità gerarchiche inferiori alle epoche. In effetti, i membri dell'Anthropocene Working Group (AWG), che ha il mandato ufficiale dell'ICS di presentare una proposta sull'Antropocene, non sono d'accordo con l'opinione dominante all'interno dell'AWG e hanno proposto di definire l'Antropocene come un evento geologico, piuttosto che come un'epoca formale.[10]
L'Antropocene inaugura una nuova procedura metodologica nella nostra comprensione della storia della Terra e nella formalizzazione delle unità nella GTS. Prima dell'Antropocene, le unità venivano formalizzate una volta che il contenuto degli strati, attraverso il quale si deducevano gli eventi nella storia della Terra, era ragionevolmente noto. Dal punto di vista epistemologico, la conoscenza procede dai dati osservati negli strati locali ai fenomeni globali, mentre nell'Antropocene la conoscenza procede nella direzione opposta: dai fenomeni globali alla loro espressione negli strati locali. In altre parole, nell'Antropocene, la crisi planetaria indotta dall'uomo non è nota dagli strati ma dagli indicatori ambientali globali; cioè la crisi planetaria non è stata dedotta dagli strati, ma è stata cercata negli strati. La logica alla base di questa procedura è che se sappiamo di precedenti crisi planetarie simili a quella attuale dalla documentazione geologica, l'ipotesi che possa essere trovata una firma stratigrafica della crisi planetaria in corso è ragionevole. Sebbene la ricerca di prove empiriche della conoscenza teorica non sia insolita nella scienza, questo pone alcuni problemi in termini di formalizzazione nella GTS. Storicamente, gli eventi nella storia della Terra sono stati dedotti dalla documentazione geologica, quindi la formalizzazione nella GTS riflette questa metodologia.
In termini della GTS, ci sono due principali implicazioni nell'accettare l'Antropocene come un'epoca formale. In primo luogo, lascia aperta la possibilità di definire unità a un livello di rango inferiore all'epoca; in secondo luogo, lascia aperta la possibilità di rinominare le unità nella GTS in modo che si riferiscano agli eventi geologici accaduti, piuttosto che utilizzare nomi descrittivi. Ad esempio, il termine Quaternario potrebbe essere sostituito dall'Antropogene di Pavlov, basato sull'aspetto e sull'evoluzione del genere Homo sulla Terra. Questi criteri potrebbero servire come base per riformulare l'Antropozoico del geologo italiano Antonio Stoppani e definirlo come un'era successiva all'era cenozoica e che inizia alla base dell'età gelasiana.[11]
L'Antropocene, come proposto dall'AWG, segna l'inizio di una registrazione stratigrafica su scala globale adatta alla correlazione e potrebbe essere formalizzata nella GTS. La designazione Antropocene identifica l'attività umana in generale come la causa del record globale, ma non individua il particolare tipo di attività umana che la causa. Da un lato, il termine introduce per la prima volta la storia umana nella GTS utilizzando un termine genetico che spiega le cause del record stratale globale. D'altra parte, ciò lascia una certa ambiguità riguardo al tempo storico concreto nella storia umana, che è strutturalmente legato a una particolare forma di produzione umana e, quindi, al particolare modo del metabolismo sociale umano che è responsabile di tale impronta stratigrafica globale.
Un tentativo di modificare l'ambiguità della proposta dell'AWG è stato recentemente formulato e consiste nel definire un'età geologica denominata Capitaliana, o Capitaliniana, come unità gerarchica inferiore dell'Epoca dell’Antropocene. In questo modo, il modo capitalistico di riproduzione sociale viene identificato come la forma storica concreta del metabolismo sociale alla base della crisi planetaria e della sua manifestazione negli strati. In altre parole, Capitalian/Capitalinian identifica la forma storica concreta dell’Anthropos, ovvero, l’Anthropos capitalistico, la cui attività ha portato alla crisi planetaria e alla sua espressione stratale. Per risolvere l'ambiguità dell'Antropocene è stato proposto per la nuova epoca del GTS anche il nome di Capitalocene. Tuttavia, definire il Capitalocene come un'epoca pone alcuni problemi per quanto riguarda le unità di rango inferiore della GTS. Ad esempio, un'età denominata Capitaliana/Capitaliniana sarebbe alquanto ridondante nella terminologia. Inoltre, diventa problematico indicare come Epoca del Capitalocene, età con modi di produzione non capitalistici e metabolismi sociali umani, che avrebbero segnali stratigrafici presumibilmente diversi sotto l’aspetto qualitativo e/o quantitativo.[12]
In sintesi, sebbene la registrazione stratigrafica della crisi planetaria sia chiara, la sua formalizzazione nella GTS è più complessa, per due ragioni principali. In primo luogo, perché l'attività umana è il meccanismo trainante della crisi, e tale attività è storicamente determinata e, in secondo luogo, per le regole specifiche di formalizzazione della GTS. Se l'IUGS dovesse scegliere di denominare le unità cronostratigrafiche in base ai principali eventi geologici, ci sono diverse opzioni per farlo in relazione alla storia umana, ad esempio combinando unità a diversi livelli gerarchici. Se la scelta preferita è dare il nome di una posizione geografica alla registrazione stratale della crisi planetaria, a questo scopo potrebbe essere utilizzata la posizione della sezione e punto dello stratotipo di confine globale (GSSP). In ogni caso, vale la pena ricordare che la GTS è un riferimento concordato e standardizzato per la storia della Terra e che, come principio generale, le regole ei criteri necessari per formalizzare le unità cronostratigrafiche dovrebbero essere il più coerenti possibile in tutta la GTS.[13]
Antropocene e Capitalocene come concetti della crisi planetaria
Antropocene e Capitalocene non sono solo nomi per la crisi planetaria nella GTS. Implicano particolari concezioni della crisi planetaria e, come tali, particolari approcci volti ad affrontare la crisi dell'abitabilità sulla Terra. Per questi motivi Antropocene e Capitalocene, come nomi di unità cronostratigrafiche, non possono essere completamente districati dal contenuto concettuale alla base di questi nomi. In larga misura, le controversie sulla formalizzazione derivano da questo contenuto concettuale. Pertanto, è necessaria una ricerca sui concetti di Antropocene e Capitalocene da una prospettiva gnoseologica, al di là del loro uso come nomi nella GTS.
Il concetto di crisi planetaria nella scienza del Sistema Terra
Il concetto di Antropocene è strettamente legato allo sviluppo della scienza del Sistema Terra a partire dalla fine del XX secolo. La scienza del Sistema Terra è uno «sforzo transdisciplinare volto a comprendere la struttura e il funzionamento della Terra come sistema complesso e adattivo» e ha «la grande sfida... di raggiungere una profonda integrazione dei processi biofisici e delle dinamiche umane, per costruire una comprensione veramente unificata del Sistema Terra».[14] Mostrerò che la scienza del Sistema Terra non solo è lontana dall'affrontare questa «grande sfida», ma che si sta muovendo nella direzione epistemologica sbagliata. Di conseguenza, la concezione della crisi planetaria da parte della scienza del Sistema Terra è incompleta e le proposte per affrontare la crisi sono a dir poco insufficienti. Il motivo principale è che gli studi condotti dagli scienziati del Sistema Terra non sono riusciti a individuare le cause antropogeniche concrete che determinano la crisi planetaria, che viene quindi assegnata all'uomo in generale, all'Anthropos, e non a un particolare Anthropos storico. In questo modo, la scienza del Sistema Terra cancella qualsiasi storia relativa alle forme di produzione e riproduzione sociale e non considera che esistono diversi modi storici di produzione sociale, con diversi metabolismi sociali e diversi impatti sulla Terra. È paradossale che l'evidenza empirica realizzata dagli studi sulla scienza del Sistema Terra, che correla chiaramente la crisi planetaria al modo di produzione capitalistico e non a modi precedenti, sia sistematicamente ignorata dalla scienza del Sistema Terra. Tutti gli indicatori ambientali della crisi planetaria rivelano un chiaro allontanamento dal loro livello storico di fondo negli ultimi due secoli, come mostrato sopra, a seconda dell'indicatore considerato. Questo segna un'innegabile correlazione storica con il modo di produzione capitalistico.
Sebbene la coincidenza storica tra la crisi planetaria e il modo capitalistico non sia di per sé la prova di un legame strutturale o immanente tra i due in termini di essenza, necessità e causalità, essa indica la direzione corretta da seguire per qualsiasi ricerca volta a comprendere la crisi planetaria e lasciarsela alle spalle. In altre parole, se la crisi è storicamente correlata alla modalità capitalistica di organizzazione sociale, qualsiasi ricerca che si pretenda scientifica dovrebbe indagare il possibile legame tra questa modalità e l'emergenza in atto. Tuttavia, la scienza del Sistema Terra ignora la sorprendente evidenza empirica costruita sui suoi stessi studi; la possibilità di un tale legame strutturale negli studi scientifici del Sistema Terra non viene nemmeno menzionata. La domanda è: perché?[15]
Non esiste una risposta semplice a questa domanda. Gli scienziati del Sistema Terra sono certamente consapevoli del contributo diseguale alla crisi di abitabilità da parte dei diversi paesi, a seconda dello sviluppo del modo di produzione capitalistico e dei contributi delle diverse classi sociali. Pertanto, gli scienziati del Sistema Terra possono sospettare che la crisi sia in qualche modo correlata al modo di produzione capitalistico, così come i lavoratori sospettano che qualcun altro si stia arricchendo con il loro lavoro.
Come la correlazione storica tra il modo capitalistico e la crisi planetaria, i dati empirici sul contributo differenziato delle classi e dei vari Paesi alla crisi non mostrano perché e come questo sia un risultato diretto della produzione capitalistica legata alla mercificazione e alla divisione del lavoro su scala locale e globale. Per trasformare queste intuizioni in prove scientifiche è necessaria una ricerca scientifica volta a svelare i processi oggettivi attraverso i quali la crisi planetaria è necessariamente legata alla produzione capitalistica e il motivo per cui c'è un contributo differenziato delle classi. Gli scienziati del Sistema Terra non hanno intrapreso questo tipo di ricerca. La ragione potrebbe essere piuttosto banale: la ricerca ha bisogno di finanziamenti. È possibile che gli scienziati del Sistema Terra non abbiano fiducia nella loro capacità di raccogliere fondi per indagare la relazione tra la crisi planetaria e il modo capitalistico, e che abbiano deciso di rimanere nel loro comodo campo di conoscenza senza esplorare questa possibilità. Al contrario, Karl Marx è stato in grado di dimostrare scientificamente che la crisi planetaria è inevitabile sotto la produzione capitalistica, rivelando le concatenazioni causali della frattura metabolica, come potenziale crisi planetaria, con la particolare forma di sfruttamento del lavoro sotto il modo capitalistico, nel contesto della sua teoria del valore del lavoro.
Gli scienziati del Sistema Terra non sono generalmente consapevoli del carattere scientifico della teoria del valore di Marx. Studiare i fondamenti del modo di produzione capitalistico per verificare se la crisi planetaria sia o meno inerente a questo modo di produzione è certamente al di fuori del campo delle scienze naturali e spesso delle competenze degli scienziati del Sistema Terra. Infatti, molti scienziati delle discipline naturali e sociali ritengono che la produzione sociale in generale, e quella capitalistica in particolare, non proceda secondo leggi deterministiche – seppure storiche – analoghe a quelle della natura. La teoria del valore di Marx dimostra il contrario. Gli scienziati del Sistema Terra sostengono che per una comprensione scientifica del Sistema Terra e quindi della crisi planetaria è necessaria una «integrazione dei processi biofisici e delle dinamiche umane». In pratica, però, rifiutano di fare riferimento all'unico corpus veramente scientifico disponibile sul sistema capitalistico, che è la teoria del valore di Marx. Dispiegando la contraddizione essenziale del sistema del valore – cioè la contraddizione tra valore e valore d'uso, e le mediazioni concrete che intervengono nelle sue espressioni fenomenologiche (ad esempio, nel saggio di profitto e nella popolazione capitalistica) – Marx è in grado di mostrare la natura finita del modo di produzione capitalistico. Egli conclude che in questo modo di produzione il metabolismo sociale umano non è solo mediato dalla riproduzione del capitale, ma anche il contrario: il metabolismo sociale è una mediazione alienata nella misura in cui diventa un mero mezzo per il metabolismo del capitale.[16]
La crisi planetaria esprime questa fondamentale contraddizione, sotto forma di un dilemma finale: sistema capitalistico o sistema umano. Tuttavia, la finitudine del modo capitalistico sembra essere in qualche modo inconcepibile per gli scienziati del Sistema Terra, che sembrano aderire solo alla prima parte della famosa citazione di Fredric Jameson: «Qualcuno una volta ha detto che è più facile immaginare la fine del mondo che immaginare quella del capitalismo. Ora possiamo rivedere questo concetto e assistere al tentativo di immaginare il capitalismo immaginando la fine del mondo».[17] Di conseguenza, l'attuale comprensione del “funzionamento” della Terra da parte della scienza del Sistema Terra ingloba i “processi biofisici” della Terra, ma esclude quelle visioni delle “dinamiche umane” che mettono seriamente in discissione la validità del modo capitalista e il suo ruolo fondamentale nella crisi. Questo non rientra nell'agenda della scienza del Sistema Terra. L’affermazione che «è necessaria un'azione umana collettiva» per stabilizzare la Terra in condizioni abitabili e che «tale azione comporta la gestione dell'intero Sistema Terra – biosfera, clima e società – e potrebbe includere la decarbonizzazione dell'economia globale, il potenziamento dei pozzi di assorbimento del carbonio della biosfera, cambiamenti comportamentali e innovazioni tecnologiche, nuovi accordi di governance e la trasformazione dei valori sociali» non è molto di più di un insieme di affermazioni vaghe. Da questa e da altre affermazioni – e dall'affinità tra gli scienziati del Sistema Terra e il campo dell'economia ecologica, che è fortemente influenzato dalla scuola neoclassica – è chiaro che la cosiddetta economia globale non è altro che l'economia capitalistica, e che qualsiasi altro ordine socioeconomico diverso dal capitalismo viene automaticamente scartato.[18] Se è vero che una gestione della Terra fondata sulla scienza sarà probabilmente necessaria per mitigare la crisi planetaria, è facile immaginare che una gestione determinata dalla riproduzione del capitale, in cui il profitto è l'unico obiettivo, possa trasformarsi in una sorta di fascismo verde-tecnologico.
Come si è detto, la ricerca scientifica su qualsiasi argomento si sviluppa in base a determinati fattori determinanti in una determinata società, tra cui l'ideologia, i valori morali e i mezzi tecnologici. Sebbene questi fattori siano di per sé storici, essi segnano le tendenze strutturali e le condizioni limite della ricerca, e solo dopo lunghi e faticosi periodi possono essere superati. Gli studi sulla crisi planetaria si sono sviluppati principalmente dopo la scomparsa delle società di tipo sovietico e durante un periodo di proclami pomposi sulla “fine della storia” o sul fatto che “non c'è alternativa” al modo capitalistico.[19] Queste narrazioni sono saldamente radicate nelle società occidentali, alle quali appartiene la maggior parte degli scienziati del Sistema Terra. Seguendo il pensiero occidentale dominante, gli scienziati del Sistema Terra hanno assunto il fallimento di queste esperienze socialiste come una dimostrazione empirica dell'impossibilità di qualsiasi modalità di organizzazione sociale diversa da quella capitalista. Dopo tutto, in ogni società divisa in classi, «le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante», e gli scienziati del Sistema Terra – che lo vogliano o no, e che lo sappiano o no - sono strutturalmente condizionati nella loro ricerca dal pensiero borghese dominante.[20]
Quindi, non solo gli scienziati del Sistema Terra, ma anche la maggior parte dei pensatori e degli scienziati occidentali, hanno equiparato il fallimento di alcune esperienze socialiste al fallimento generale dell'unica alternativa scientificamente fondata – alla quale, paradossalmente, la stessa società borghese ha storicamente dato origine – volta a superare le insormontabili contraddizioni del modo capitalistico. Senza nemmeno effettuare una seria «analisi concreta della situazione concreta», che avrebbe rivelato le decisioni politiche interne dei primi anni Settanta, che hanno portato alla restaurazione del modo capitalistico nell'ex Unione Sovietica (tra le altre cose), gli scienziati del Sistema Terra hanno seguito acriticamente il pensiero dominante, dando per scontata l'impossibilità del socialismo e del comunismo. Nonostante gli innegabili progressi nella nostra attuale comprensione delle dinamiche terrestri, grazie allo sviluppo della scienza del Sistema Terra negli ultimi anni, questa disciplina non è riuscita a rendere conto dell'elemento più cruciale della crisi planetaria in corso: gli esseri umani e la loro storia, e in particolare la forma più recente di organizzazione sociale umana basata sulla produzione di merci e sulla riproduzione del capitale. Per quanto riguarda la storia umana e le modalità storiche di organizzazione sociale, gli scienziati del Sistema Terra considerano la modalità capitalistica in modo astorico, come l'unica modalità attraverso cui la società possa essere organizzata e il mezzo necessario con cui la riproduzione sociale può essere generata.
Da un punto di vista gnoseologico e metodologico, si tratta di un approccio non scientifico e, di conseguenza, la risultante concettualizzazione della crisi planetaria da parte della scienza del Sistema Terra è fallace. Questa critica alla scienza del Sistema Terra è per certi versi simile a quella di V. I. Lenin nei confronti di Ernst Mach, e di M. M. Rosental nei confronti di Werner Heisenberg, Max Born e altri fisici per il loro idealismo e positivismo di fronte ai problemi dell'epistemologia della scienza e del rapporto tra pensiero e natura. Nelle parole di Evald Ilyenkov: «Non tutti gli artisti hanno un concetto di arte ben sviluppato, in ogni caso, anche se possono creare magnifiche opere d'arte. Il presente autore non si vergogna di ammettere di avere una nozione piuttosto vaga dell'atomo, rispetto a un fisico. Ma non tutti i fisici hanno una concezione del concetto». Gli scienziati del Sistema Terra non hanno un concetto corretto di cosa sia la produzione sociale. Tuttavia, in difesa della scienza del Sistema Terra, si può dire che non tutti i marxisti hanno un concetto di natura ben sviluppato, poiché la natura è stata ampiamente considerata non dialettica nella maggior parte del marxismo occidentale, compresa la cosiddetta filosofia della prassi.[21]
Il concetto di crisi planetaria nelle narrazioni capitaloceniche
Il Capitalocene è stato originariamente proposto da Andreas Malm come sostituto dell'Antropocene, come nome dell'epoca geologica nella GTS. In seguito, il termine è stato oggetto di successive concettualizzazioni; ora ha guadagnato una certa popolarità nelle scienze sociali e umanistiche. In questa sede, mi concentrerò sul dispiegamento concettuale del Capitalocene da parte di Jason W. Moore e Donna Haraway, in quanto questi rappresentano i punti di vista epistemici caratteristici forniti non solo per il Capitalocene, ma anche per altri “-ceni” proposti nell'ambito delle discipline umanistiche e delle scienze sociali.
Secondo questi autori, il Capitalocene definisce il capitalismo «come un sistema di potere, profitto e riproduzione nella rete della vita. Pensa il capitalismo come se le relazioni umane si formassero attraverso le geografie della vita». Il Capitalocene è quindi «una mossa concettuale e metodologica chiave nel ripensare il capitalismo come “un complesso storicamente situato di metabolismi e assemblaggi”».[22] Sulla base di queste concettualizzazioni del Capitalocene, sorge una domanda immediata: Cosa aggiungono al concetto marxista classico di capitalismo come modo di produzione basato sulla riproduzione del capitale? Questa concettualizzazione del Capitalocene migliora qualcosa nella nostra comprensione scientifica delle leggi generali della produzione sociale e della produzione capitalistica, come formulate da Marx? Aggiunge qualcosa alla teoria del valore del lavoro di Marx, una teoria organica articolata attraverso una serie di leggi generali che spiegano la riproduzione materiale e ideale della società capitalista? Che cos'è il capitale come feticcio automatico, se non espressione dell'idealismo borghese, di un sistema di potere che governa la produzione sociale e della forma alienata del metabolismo sociale nel capitalismo?[23]
Astrazione e «Dualismo cartesiano»
Una questione ricorrente nel movimento del Capitalocene, è che l'approccio dell'Antropocene e della scienza del Sistema Terra alla crisi planetaria è influenzato da un cosiddetto dualismo cartesiano, una «divisione cartesiana» per cui gli esseri umani e la natur,a o la società e la natura, sono concepiti come realtà separate e non correlate, trattate come categorie analitiche distinte. Nel concetto di Capitalocene, il dualismo cartesiano attribuito alla scienza del Sistema Terra è metodologicamente ed epistemologicamente scorretto. Non solo, ma la scienza moderna in generale, in questa prospettiva, si basa sul dualismo cartesiano ed è diventata un cosiddetto geopotere che, in ultima analisi, è al centro della crisi planetaria. Secondo il discorso del Capitalocene,
«Riconoscere gli esseri umani come parte della natura, separando al contempo l'Umanità dalla Natura, mette in crisi il pensiero dell'Antropocene ad ogni passo. Da un lato, gli esseri umani diventano l'Umanità, un’impresa umana singolare. Essi agiscono o sono soggetti alle “grandi forze della natura”. D'altra parte, l'Umanità – la maiuscola è voluta – rimane una forza geofisica... In pratica, la società è indipendente dalla Natura (Due Sistemi). Per gli scienziati del sistema terra che stanno dietro all'Antropocene, si aggiungono i Fattori Sociali – di nuovo, decisamente in maiuscolo –; per gli studiosi delle scienze umane e sociali, si aggiunge la Natura».[24]
Piuttosto che questo presunto dualismo, la narrativa del Capitalocene propone di affrontare la crisi planetaria da una prospettiva olistico-monistica in cui la società e la natura non sono astratte l'una dall'altra come categorie diverse di studio particolare. Come dice Moore: «Il Capitalocene contesta quindi il riduzionismo sociale e ambientale, e resiste a qualsiasi periodizzazione del capitalismo derivata dalla categoria mitica di Società (esseri umani senza natura)», mentre «l'argomento del Capitalocene segue di conseguenza un percorso diverso dalle procedure che governano la ricerca sui cambiamenti ambientali globali: non è una ricerca delle “cause [sociali] sottostanti” del cambiamento ambientale, né che colleghi “l'organizzazione sociale” con le conseguenze ambientali».[25]
Tuttavia, la scienza del Sistema Terra richiede specificamente una «profonda integrazione dei processi biofisici e delle dinamiche umane per costruire una comprensione veramente unificata del Sistema Terra».[26] Queste non sono solo belle parole, ma un obiettivo affidabile, come mostra l'evoluzione del diagramma di Bretherton, che mira a fornire una visione integrale del complesso funzionamento della Terra. Quindi, accusare la scienza del Sistema Terra di tale dualismo cartesiano non è corretto. Come mostrato sopra, il problema della scienza del Sistema Terra è che finora non è riuscita a raggiungere l'integrazione perché procede su basi teoriche errate riguardo alla dinamica umana. Tuttavia, mostrerò che il discorso del Capitalocene non è in grado di fornire una comprensione completa e integrata della natura e dell'umanità perché naviga su basi teoriche ancora peggiori di quelle della scienza del Sistema Terra.[27]
In sostanza, il Capitalocene e altri “-cene” propongono di avvicinarsi al Sistema Terra come totalità, senza distinguere tra il sociale e il naturale, l'uomo e la natura, al fine di studiare le particolarità di questi regni e le loro reciproche interazioni. Questo è metodologicamente scorretto e impedisce qualsiasi comprensione della Terra come sistema dinamico.
«Il problema supremo di tutta la filosofia, quello del rapporto del pensiero coll’essere, dello spirito colla natura» ha avuto diverse formulazioni nella storia della filosofia, compresa la classica divisione corpo-anima di René Descartes, e il rapporto del materiale con l'ideale di Ilienkov.[28] La questione del rapporto tra pensare ed essere non poteva essere risolta dalla filosofia moderna, finché Marx e i marxisti classici non l'hanno affrontata da una prospettiva dialettica e materialista. Né i teorici dell'Antropocene né quelli del Capitalocene sono stati in grado di risolvere i legami concreti tra la società umana e la natura, che, nella modalità capitalista, si esprimono come una crisi planetaria derivante dall'incompatibilità ontologica tra uomo e natura. Nel caso dei teorici dell'Antropocene, ciò è dovuto al fatto che hanno affrontato il lato naturale del problema con una base dialettica e materialistica inconscia, ma il loro approccio al lato sociale è idealistico e non dialettico. Di conseguenza, considerano il capitalismo come l'unico modo di produzione, e quindi credono che ci possa essere una certa compatibilità tra gli esseri umani e la natura sotto il capitalismo. I teorici del Capitalocene falliscono perché non sono in grado di affrontare nessuno dei due lati del problema su una base materialista e dialettica.
Nel processo di acquisizione della conoscenza, gli esseri umani si confrontano con una realtà materiale esterna alla mente umana che è di per sé oggettiva e indipendente dal modo in cui viene pensata. La realtà, sia essa sociale o naturale, ci appare come una totalità concreta plasmata dalla sintesi di molteplici determinazioni, e la comprensione della realtà è possibile solo attraverso una serie di mediazioni. In primo luogo, la totalità concreta deve essere percepita sensorialmente; poi, deve essere elaborata attraverso forme concrete di pensiero: concetti, categorie, giudizi e così via; infine, la pratica determina se l'apprensione della realtà da parte del pensiero è corretta o meno. Questo è stato a lungo riconosciuto dai filosofi idealisti classici come Immanuel Kant e G. W. F. Hegel. Secondo la logica trascendentale di Kant, la mente umana formula concetti a partire dalla percezione sensoriale di una realtà materiale che è varia e contraddittoria. Tuttavia, per Kant, la diversità e le contraddizioni sono attributi della ragione pura piuttosto che della realtà stessa, e i concetti sono forme della conoscenza kantiana a priori della realtà. Ciò significa che la conoscenza umana della realtà non è un processo storico; è non-dialettica e ciò che è storico, semmai, è la rivelazione di tale conoscenza a priori, ma non la conoscenza stessa. La logica dialettica di Hegel riconosce anche l'esistenza di una realtà oggettiva esterna alla mente umana. Con Hegel, le contraddizioni come forza motrice del cambiamento vengono esplorate a un livello che in Kant era solo preliminare. Tuttavia, Hegel considerava le vere contraddizioni della natura come donate dallo spirito assoluto dell'umanità, e questa concezione idealista ostacolava la sua dialettica.[29]
La comprensione della realtà è un processo sociale e storico senza fine che, come una tendenza molto generale, procede dalla mancanza di conoscenza alla scoperta di leggi, principi e regole generali e particolari che governano la realtà. Dal punto di vista gnoseologico, il processo di comprensione procede innanzitutto attraverso la percezione dell'oggetto studiato come una totalità concreta da cui alcuni tratti generali sono estrapolati dai fenomeni e fissati nel pensiero. La totalità concreta viene quindi scomposta nei suoi elementi costitutivi, che vengono astratti dagli altri elementi per intraprendere un'analisi statica delle loro particolarità; infine, gli elementi vengono riassemblati per indagare le loro reciproche interazioni concrete e la storia dell'oggetto.
In questo processo, la conoscenza procede dalla comprensione immediata dei fenomeni alla concettualizzazione di generalità concrete conformi all'essenziale dell'oggetto, alla sua origine ed evoluzione. La logica formale - o logica intellettiva, secondo Hegel - gioca un ruolo importante nell'analisi statica degli elementi costitutivi che sono astratti dalla totalità concreta. La comprensione intellettuale è un passaggio necessario per riassemblare i componenti analizzati e indagare le loro interconnessioni e trasformazioni. Ciò consente quindi una comprensione completa della realtà che include la storia o il movimento dell'oggetto studiato sulla base della logica dialettica.[30] Comprendere l'essenziale dell'oggetto studiato non è possibile senza l'analisi delle sue parti costitutive, per le quali è necessaria l'astrazione, o senza successivamente riassemblare queste parti per indagare le loro reciproche interazioni, sebbene, nell'immediato processo di conoscenza, le analisi statiche e dinamiche siano solitamente eseguite contemporaneamente.
Questa è la tendenza generale della cognizione umana nel corso della storia, per cui la conoscenza procede da forme di pensiero astratte e idealistiche a forme concrete e materialiste, da concezioni mitologiche e religiose a una comprensione scientifica della realtà. Questo è grosso modo il percorso seguito dai bambini nel loro processo di apprensione della realtà, così come l'evoluzione storica e logica mostrata dalla maggior parte delle scienze moderne.
La scienza del Sistema Terra è oggi una disciplina che integra studi provenienti da un ampio spettro di campi, come la geologia, la biologia, la chimica e la fisica; una disciplina in grado di fornire una comprensione completa non solo della Terra – delle sue origini, delle sue dinamiche e dei possibili scenari futuri – ma anche degli altri pianeti. Ciò include una comprensione completa della differenziazione della materia sulla Terra, dalla materia inorganica a quella organica, e da questa alle «cellule semplici, alle cellule singole più sofisticate, alla vita multicellulare e infine alla vita intelligente».[31] Ciascuna delle prime discipline ha subito una propria evoluzione logica e storica, astraendo dalla totalità concreta della Terra e da altre discipline, prima di essere integrata in una comprensione delle dinamiche terrestri. A sua volta, ogni disciplina ha seguito un percorso conoscitivo simile in relazione all'oggetto di studio. Ad esempio, la botanica e la zoologia erano sottodiscipline indipendenti della biologia, astratte l'una dall'altra per facilitare un'analisi sistematica dei loro particolari argomenti, un'analisi che era statica per quanto riguarda il campo più ampio della vita sulla Terra, ma meno statica per quanto riguarda i loro rispettivi campi. Solo in seguito questi sottocampi sono stati integrati in una visione più dinamica della vita sulla Terra. La scienza del Sistema Terra non ha superato la necessaria astrazione formale della natura e della società, portando a una comprensione dialettica e materialista della Terra, una comprensione in cui si rivela la particolare relazione tra l'Anthropos capitalista e la natura, come mostrato dalla crisi planetaria.
La narrativa del Capitalocene non può nemmeno fornire una comprensione delle interrelazioni concrete della società e della natura che hanno stimolato la crisi planetaria. Questo perché rifiuta l'astrazione della natura e della società come oggetti particolari di studio. Ma non è possibile condurre ricerche di successo sui modi di organizzazione sociale in generale, e sul modo capitalista in particolare, senza astrarre la società dalla natura, così come non è possibile sviluppare una comprensione efficace delle dinamiche della Terra senza astrarre la natura dalla società. Solo dopo che la natura e la società sono state studiate in modo indipendente, come leggi della produzione sociale e leggi naturali - cioè i principi generali della riproduzione sociale e della riproduzione capitalista, e i principi generali della natura e della sua evoluzione - è stato compreso che è possibile integrare entrambi i regni in una comprensione completa dell'impatto umano sulla Terra e della crisi planetaria. Per questo Marx astrae consapevolmente la produzione capitalistica dalla natura per indagare le leggi universali di questo particolare modo di riproduzione sociale, pur essendo pienamente consapevole del fatto che la natura ha sempre l'ultima parola in tutto:
«I valori d'uso, abito, tela, ecc., in breve i corpi delle merci, sono combinazioni di due elementi, materia naturale e lavoro. Se si detrae la somma complessiva di tutti i vari lavori utili contenuti nell’abito, nella tela, ecc., rimane sempre un substrato materiale, che è dato per natura, senza contributo dell'uomo. Nella sua produzione, l’uomo può soltanto operare come la natura stessa: cioè unicamente modificando la forma dei materiali. E ancora: in questo stesso lavoro di formazione l’uomo è costantemente assistito da forze naturali. Quindi il lavoro non è l'unica fonte dei valori d’uso che produce, della ricchezza materiale. Come dice William Petty, il lavoro è il padre della ricchezza materiale e la terra ne è la madre».[32]
I precursori storici della denominazione Antropocene nella GTS, non possono essere fatti risalire a prima della fine del XVIII secolo, perché prima di allora la crisi planetaria non era una realtà con manifestazioni fenomenologiche evidenti. Per questo né Aristotele né Galileo avevano coscienza di un concetto come quello di crisi planetaria. La concettualizzazione odierna della crisi planetaria è possibile perché è una realtà globale con evidenti espressioni fenomenologiche. Nonostante il fatto che la crisi planetaria abbia iniziato a essere solo una realtà incipiente nel XIX secolo, i concetti di metabolismo sociale e di frattura metabolica di Marx hanno identificato le cause concrete alla base delle prime manifestazioni della crisi, come la rottura del ciclo dei nutrienti e l'impoverimento della fertilità del suolo. In questo modo, Marx astraeva la società dalla natura e poi riassemblava la comprensione comune delle scienze naturali e dei processi naturali disponibili all'epoca con le sue ricerche sulla produzione capitalistica. Di conseguenza, il metabolismo sociale e la frattura metabolica di Marx sono concetti della sua teoria del valore del lavoro e sono pienamente integrati con altri concetti, come le classi proletaria e capitalista, l'esercito industriale di riserva, il profitto, la concentrazione e la centralizzazione del capitale e così via. Tutti questi concetti e molti altri sono articolati all'interno e dalle leggi generali della produzione capitalistica, tra cui la legge dell'accumulazione capitalistica, la legge della popolazione capitalistica e la legge della tendenza al ribasso del saggio di profitto, mostrando le loro concrete determinazioni reciproche e la relazione concreta con i fenomeni incipienti della crisi planetaria, come rivelato dalle scienze naturali del XIX secolo. In sintesi, l'approccio di Marx è scientifico, dialettico e materialista, e ha deliberatamente preso la natura come un dato per rivelare le leggi della produzione capitalistica, per poi indagare le relazioni particolari della produzione capitalistica con la natura considerando le prime manifestazioni della crisi planetaria nel XIX secolo. Da un punto di vista gnoseologico, è impossibile per Marx o per chiunque altro, sviluppare una comprensione scientifica della Terra, o di qualsiasi altro oggetto reale e materiale, senza astrazioni e senza procedere attraverso la logica formale e la logica dialettica.[33]
Tuttavia, il Capitalocene e altri discorsi “-cenici” rifiutano l'astrazione operativa della natura e della società per comprendere il Sistema Terra che sta entrando in crisi. Per quanto riguarda l'evoluzione storica dell'elaborazione cognitiva della realtà e la concomitante evoluzione della logica, tutti questi approcci “-cenici” si collocano prima di Cartesio e della modernità. Sono più vicini alla scolastica medievale e a varie forme di pensiero mitologico che vedono la realtà come una totalità ideale, in cui le parti costitutive non hanno bisogno di essere distinte attraverso analisi particolari e formali per condurre una ricerca sulle interazioni concrete tra di esse. Poiché i teorici del “-cene” negano espressamente l'astrazione della natura e della società, non sono in grado di intraprendere una critica dell'economia politica, tanto meno una critica basata sul materialismo e sulla dialettica, come nel caso di Marx. L'economia, intesa come produzione materiale che tutte le società devono intraprendere per riprodursi, ha bisogno di essere astratta dalla natura, per il suo studio particolare, se si vogliono comprendere le interazioni concrete tra qualsiasi organizzazione socioeconomica e la natura.
Rifiutando tale astrazione - e nonostante i riferimenti a Marx e ad altri autori marxisti - la proposta del Capitalocene manca di una corretta comprensione della teoria del valore di Marx. Si tratta di una narrazione con una profusione di nuovi termini e concetti – apparentemente radicali – che vengono accostati senza determinazioni concrete di causalità e necessità tra loro. Tale concettualizzazione radicale viene accostata a categorie marxiane solitamente concepite in modo capovolto rispetto all'analisi di Marx stesso. In questo modo, il discorso sul Capitalocene finisce per avere una visione semplicistica dell'interazione tra gli esseri umani capitalisti e la natura che è, paradossalmente, più riduzionista del presunto riduzionismo del dualismo cartesiano, che questa narrazione attribuisce alla scienza del Sistema Terra. Da un punto di vista epistemologico, l'approccio “-cenico” è oggi una forma di idealismo borghese rispetto alla questione della crisi planetaria.
In realtà, gli stessi teorici del “-cene” considerano il Capitalocene una narrazione, un movimento, un discorso, ma è un discorso pieno di neologismi apparentemente radicali che lascia inalterato un problema fondamentale: la riproduzione materiale della società (cioè l'economia) su cui si basa la crisi planetaria. In questo modo, l'approccio “-cenico” è più vicino all'idealismo postmoderno e alle svolte linguistiche che a qualsiasi comprensione basata sul materialismo. Non sorprende quindi che alcune proposte per superare questa crisi sembrino ingenue. Non sorprende nemmeno che la comprensione scientifica della natura e delle sue leggi fondamentali da parte delle scienze positive - fisica, chimica, biologia, geologia e così via - durante la modernità, sia vista dalla narrazione del Capitalocene come un «geopotere», «volto a 'scoprire' e ad appropriarsi di una nuova Natura a buon mercato» in generale, e in particolare dei «Quattro a buon mercato» (lavoro, cibo, energia e materie prime). In questa visione, l'unico scopo della comprensione scientifica della natura è quello di servire l'appropriazione capitalistica. La natura è astratta dalla società e una «natura sociale astratta» è costruita socialmente, con l'unica funzione di garantire l'accesso del capitale alle «Nature a buon mercato». In altre parole, la «natura sociale astratta» è un ideale creato sulla base del dualismo cartesiano e dell'astrazione della natura e della società, che mira a consentire il «geo-managerialismo» della natura per il profitto.[34]
Poiché queste visioni unilaterali e riduzioniste dissolvono qualsiasi relazione oggettiva tra società e natura esterna - anche come astrazione necessaria - annullano la capacità della scienza di riflettere la realtà della natura nel pensiero. Questo accade (1) perché natura e pensiero non sono trattati come categorie analitiche distinte e (2) perché la scienza è vista come una creazione ideale per il profitto del capitale e non come un universale umano storicamente determinato, come il lavoro. Secondo il discorso del Capitalocene,
il geopotere emerge al nesso tra grande scienza, grandi Stati e «tecnologie del potere che rendono il territorio e la biosfera accessibili, leggibili, conoscibili e utilizzabili». Se il geopotere attiva la Natura, rende anche la Natura un motore di accumulazione attraverso la produzione di una natura sociale astratta. Questa è l'accumulazione per appropriazione, il processo di creazione del plusprofitto attraverso il geopotere e la sua produzione di natura sociale astratta.[35]
Non ci può essere alcun dubbio sul ruolo della scienza nello sviluppo della produzione capitalistica sulla Terra, perché la scienza è una forza produttiva nel modo capitalista, come lo è in qualsiasi altro modo di riproduzione sociale. La costruzione delle piramidi richiedeva la conoscenza della fisica di base, così come la progettazione di mulini per macinare il grano. In generale, la riproduzione materiale della società funge da condizionamento strutturale per lo sviluppo della scienza in un dato momento storico. La riproduzione del capitale e la competizione per il profitto su cui si basa il modo capitalista hanno certamente innescato la trasformazione della scienza come forza produttiva a un livello senza precedenti nella storia umana. Il lavoro è l'attività umana specifica, il cui carattere teleologico è alla base dell'evoluzione umana. Nell'attività pratica di trasformazione di un oggetto esterno, gli esseri umani devono idealmente prefigurare i risultati da ottenere e i mezzi necessari per raggiungere questo scopo. Questa è la base di una comprensione materialistica della conoscenza, della coscienza e dell'etica, intesa come capacità di selezionare ciò che è necessario, e qual è la procedura più adatta per ottenere i risultati desiderati. Il lavoro è l'attività pratica che richiede un processo decisionale basato sulla conoscenza, in cui conoscenza ed etica si rafforzano a vicenda e la pratica è il criterio ultimo di verità. Su questa base, la conoscenza, compresa la conoscenza scientifica, è un universale umano condiviso da tutte le forme di organizzazione sociale.
Lo sviluppo delle scienze positive durante la modernità capitalista, nonostante la riprovazione morale di alcune applicazioni pratiche di questa conoscenza scientifica, è un approccio verso una vera comprensione della natura. Il lavoro e la conoscenza scientifica sono universali che mediano il metabolismo umano con la natura, indipendentemente dalle loro particolari forme storiche. Le forme universali sono in relazione dialettica con le forme storiche, il lavoro, con il lavoro sociale astratto come sostanza del valore mercantile capitalista e la scienza, con la scienza come determinata dalla riproduzione del capitale. Ma la dialettica richiede di indagare il momento dominante dell'unità dialettica, cioè la relazione di sussunzione della coppia indagata. Il riduzionismo della narrativa capitalocenica impedisce tale ricerca dialettica e, quindi, ogni proposta positiva di trascendere la forma storica. Indubbiamente, lasciarsi alle spalle la crisi planetaria richiederà l'implementazione di una comprensione scientifica delle dinamiche della Terra, come raggiunto dalla scienza del Sistema Terra. La visione unilaterale e non dialettica della scienza come «geopotenza» e le basi epistemologiche premoderne della narrativa capitalocenica sulla storia della cognizione, portano al nichilismo e impediscono di intraprendere strategie positive volte ad affrontare la crisi planetaria.[36]
«Accumulazione per appropriazione» e Accumulazione per sfruttamento del lavoro
I teorici del Capitalocene e altri teorici del “-cene” hanno contribuito a una migliore descrizione della «cosiddetta accumulazione originaria» esplorata da Marx nel Capitale, con la ricerca sui meccanismi coercitivi e violenti attraverso i quali le società non proletarie vengono spossessate delle loro mezzi di produzione e di sussistenza, e sono costrette ad alienare non solo il loro lavoro, ma aspetti significativi della loro vita.[37] Gli esseri umani devono appropriarsi ed elaborare la natura attraverso il lavoro per intraprendere il processo del metabolismo sociale con la natura. Questo è un universale umano, indipendentemente dal modo di produzione storica considerato. Nelle società di classe, l'appropriazione universale della natura da parte degli esseri umani si basa sulla proprietà privata. È quindi meglio caratterizzato come rapina o espropriazione, in cui l'appropriazione universale appare come estraniamento. [38]. Pertanto, l'espropriazione della natura, dei beni, delle terre e persino degli esseri umani delle società non proletarie è un momento necessario per l'accumulazione del capitale, un momento che precede la forma specifica di accumulazione del capitale mediante lo sfruttamento del lavoro, e che accompagna lo sviluppo del capitale sulla Terra in qualsiasi momento, a condizione che rimanga qualcosa da proletarizzare e mercificare.[39] Sebbene i meccanismi particolari dell'espropriazione capitalista possano essere formalmente diversi, più sottili e raffinati di quelli dei precedenti modi di produzione, non sono sostanzialmente dissimili dalle forme di espropriazione di tutte le società di classe.
Lo sfruttamento capitalistico del lavoro richiede che la forza lavoro sia una merce, il cui valore è scambiato con il valore equivalente di quei mezzi di sussistenza mercificati, necessari per riprodurre la forza lavoro in quanto tale, un valore equivalente che prende la forma del salario. Tuttavia, nell'espropriazione capitalista non c'è scambio di merci secondo il principio dei valori equivalenti.[40] Poiché l'obiettivo del Capitale di Marx è «di svelare la legge economica del movimento della società moderna», la «cosiddetta accumulazione originaria» è solo una parte secondaria e principalmente descrittiva del Capitale, mentre la maggior parte del libro è dedicata alla forma specifica dell'accumulazione capitalistica. Finché il lavoro è l'unica attività in grado di produrre valore, il problema dell'accumulazione del capitale deve essere affrontato dal punto di vista del lavoro, in particolare, dalla forma specifica di sfruttamento del lavoro da parte del capitale.[41]
Una volta che le società non proletarie sono state alienate dai loro mezzi di produzione, la particolare forma di sfruttamento del lavoro che caratterizza l'accumulazione del capitale è l'ottenimento del plusvalore attraverso i due diversi meccanismi illustrati da Marx: il pluslavoro assoluto e il pluslavoro relativo. Il pluslavoro non è solo specifico del modo capitalistico, ma è la forma costitutiva dell'accumulazione del capitale. Infatti, l'ottenimento del plusvalore attraverso lo sfruttamento del lavoro è il processo che comanda l'espropriazione, la proletarizzazione e la mercificazione, e non il contrario. Quindi, è il meccanismo trainante dell'espansione del modo capitalistico sulla Terra. Certo, ci sono stati periodi storici in cui la somma di capitale accumulata attraverso l'espropriazione può aver prevalso sul capitale accumulato attraverso il pluslavoro; ad esempio, nei periodi della «cosiddetta accumulazione primitiva» o, più recentemente, durante l'espropriazione delle risorse pubbliche da parte del capitale in seguito al crollo delle economie di tipo sovietico. Tuttavia, l'espropriazione è solo il primo momento in cui il capitale inizia ad accumulare in scenari non proletarizzati e non mercificati, un momento che svanisce rapidamente una volta che l'accumulazione tramite surplus di lavoro emerge come forma dominante.
La domanda, è quali siano le determinazioni reciproche tra questi due momenti e come tali determinazioni possano evolvere e spiegare la storia del modo capitalistico. Per il Capitalocene e alcuni teorici dell'accumulazione primitiva, il meccanismo trainante dell'accumulazione del capitale è la cosiddetta «accumulazione per appropriazione», mentre per Marx è il pluslavoro derivante dallo sfruttamento del lavoro. Il discorso del Capitalocene evidenzia «il capitalismo come una storia in cui isole di produzione e scambio di merci operano all'interno di oceani di natura a buon mercato o potenzialmente a buon mercato».[42] Sebbene ciò possa essere formalmente corretto, si tratta di una comprensione piuttosto incompleta dello svolgimento della produzione capitalistica e non rende conto delle forme intrinseche dell'accumulazione di capitale o della storia dell'accumulazione di capitale.
In parole povere, affermare che la premessa per i proletari è il non proletariato e che la premessa per la mercificazione è la non mercificazione, non dice molto. Il capitale espropria le sfere non mercificate e accumula attraverso lo sfruttamento del lavoro, una volta che queste sono state mercificate. Nella storia del capitale ci sono state certamente “isole” inizialmente mercificate in “oceani” non mercificati. Tuttavia, ciò è meramente descrittivo e non coglie l'essenziale e le causalità del rapporto dialettico tra «accumulazione per appropriazione» (in realtà, espropriazione) e accumulazione per sfruttamento del lavoro. Una comprensione dialettica e materialista dell'accumulazione del capitale richiede la conoscenza delle determinazioni concrete, reciproche, di questi due processi e di come queste determinazioni si evolvono. Questo è il procedimento di Marx, che non ha nulla a che vedere con quello del discorso del Capitalocene, nonostante le sue affermazioni sulla dialettica. Per questo motivo, la conclusione di Marx sulla dialettica dell'espropriazione e dello sfruttamento del lavoro è opposta a quella dei teorici del Capitalocene.
In sintesi, la narrativa del Capitalocene confonde l'appropriazione senza scambio di pari valore (cioè l'espropriazione) e l'accumulazione con lo scambio di pari valore (cioè lo sfruttamento), senza un'adeguata distinzione dei due processi. Pertanto, non è in grado di comprendere le concatenazioni causali nella storia dell'accumulazione del capitale, in cui il primo è una necessità per il secondo, e il secondo è il momento determinante rispetto al primo.
La narrazione del Capitalocene amalgama le categorie di Marx nel Capitale in un discorso apparentemente radicale, ma queste categorie non sono interconnesse in termini di necessità e causalità all'interno di una teoria articolata e organica della produzione capitalistica, come la teoria del valore di Marx. Ciò è particolarmente evidente quando si collegano le relazioni concrete dell'accumulazione del capitale ad altre leggi capitalistiche e alla crisi capitalistica; ad esempio, quando categorie come il saggio di plusvalore, il saggio di profitto, il tempo-lavoro socialmente necessario, l'accumulazione del capitale e altre, vengono mescolate in un discorso disgiunto volto a comprendere la crisi ricorrente e i cicli di riproduzione del capitale. Dalla prospettiva del Capitalocene,
«L'essenza storica mondiale dell'aumento della produttività del lavoro – intesa in termini di plusvalore – è l'uso del lavoro gratuito della Natura rispetto alla forza-lavoro.
«La tecnologia capitalista funziona attraverso un semplice principio: far avanzare il saggio del plusvalore. Il saggio del plusvalore dipende da molti fattori e condizioni qualitative e quantitative. Ma poiché la caratteristica fondamentale dell'aumento della produttività è l’aumento del quantitativo di energia e materie prime (capitale circolante) per unità di tempo-lavoro socialmente necessario, il saggio di profitto globale dipende da un triplice processo: (1) la produzione di materiale deve aumentare all’interno del circuito del capitale; (2) il tempo-lavoro necessario nella merce media deve diminuire; (3) i costi di circolazione del capitale (che incidono anche sul capitale fisso) devono essere ridotti (se si vuole che si verifichi un boom) o impediti di aumentare (se si vuole scongiurare una crisi). Il saggio del plusvalore ha quindi una stretta relazione con l'accumulazione per appropriazione. Le crisi di accumulazione si verificano quando la domanda del capitale di un flusso crescente di lavoro gratuito o a basso costo non può essere soddisfatta dalla natura umana ed extraumana.[43]
Il capitalismo è un modo di produzione basato su relazioni interpersonali mercificate, sviluppatesi spontaneamente nel corso di un processo storico. Il suo funzionamento complessivo non è soggetto ad alcuna pianificazione e, per questo motivo, ha dinamiche autonome e leggi deterministiche simili alle leggi della natura, che descrivono il sistema e la sua storia. Questo è l'obiettivo di Marx nel Capitale. La produzione capitalistica è una produzione di merci e il processo produttivo è visto dai capitalisti attraverso la lente dell'equazione costi-benefici, in cui il beneficio, o il profitto, è il plusvalore fornito dallo sfruttamento del lavoro, e il costo è il capitale investito per ottenere il profitto. Ogni singola merce ottenuta dal processo produttivo contiene una frazione del profitto totale fornito dallo sfruttamento del lavoro. Il saggio del profitto globale è direttamente proporzionale al plusvalore o profitto totale ed è inversamente proporzionale al capitale globale investito per ottenere tale profitto. I capitalisti producono solo per il profitto e se non c'è profitto, non c'è produzione.[44] Finché il lavoro vivo viene sempre più espulso dal processo di produzione capitalista a favore del lavoro morto o passato, che non crea plusvalore, il profitto si ottiene a un tasso decrescente, che si esprime al meglio nel lungo periodo. Quindi, i capitalisti devono sovrapprodurre merci non solo per superare il saggio di profitto decrescente, ma anche per aumentare la propria frazione di profitto rispetto al profitto totale prodotto nella società; cioè, devono competere con altri capitalisti per un profitto globale, il cui saggio diminuisce. In sostanza, queste sono le concatenazioni concrete che determinano l'accumulazione del capitale nella società, le sue crisi periodiche e la necessità dell'espansione capitalistica sulla Terra. Sono questi i meccanismi fondamentali che portano alla sovrappopolazione del mondo, alla crisi sistemica del capitalismo e alla crisi planetaria. Il Capitale di Marx dispiega tutte queste concatenazioni concrete nella sua teoria del valore del lavoro in termini di categorie logiche come causalità, fenomeno-essenza, necessità-contingenza, e attraverso l'articolazione delle diverse leggi capitalistiche: la legge dell'accumulazione capitalistica, la legge della popolazione capitalistica e la legge della tendenza alla diminuzione del saggio di profitto, tutte derivate dalla legge del valore.[45]
Tuttavia, la visione del Capitalocene comprende queste concatenazioni alla rovescia e/o rimane ambigua riguardo alle determinazioni reciproche delle categorie. In primo luogo, il saggio del plusvalore nella concezione di Marx è essenzialmente correlato allo sfruttamento del lavoro e non all'«accumulazione per appropriazione» (cioè all'espropriazione). In secondo luogo, se il «flusso di materiale» è il materiale fisico naturale che entra nel processo di produzione, affermare che il saggio del profitto dipende da un aumento del «flusso materiale» è una tautologia, poiché è ovvio che più capitale viene investito, più «nature umane ed extraumane» sono necessarie. Nulla è detto, a questo proposito, sul perché si debba investire sempre più capitale e come questo sia correlato al saggio del profitto; e le relazioni concrete e reciproche tra saggio del profitto e accumulazione di capitale rimangono ambigue. Da una prospettiva marxiana, la competizione capitalistica per un profitto globale, con un saggio decrescente a lungo termine, richiede l'accumulazione di sempre più capitale per superare questa tendenza, il che significa sempre più consumo e infine l’esaurimento delle «nature umana ed extraumana» su un pianeta con risorse finite. Inoltre, più la natura viene consumata, più materiale di scarto viene restituito alla natura, che potrebbe finire per essere tossico non solo per le particolari proprietà fisiche e chimiche del materiale di scarto stesso, ma anche a causa della quantità restituita. Ecco quindi la frattura metabolica di Marx, articolata in relazione all'accumulazione del capitale e in linea con la caduta tendenziale del saggio di profitto, e quindi collegata alla causalità e alla necessità di fondo, inglobate nel quadro della teoria del valore di Marx. Infine, affermare che il saggio del profitto dipende dalla diminuzione del «tempo di lavoro necessario nella merce media» è corretto, ma qual è la relazione concreta tra il saggio del profitto e la diminuzione del tempo di lavoro necessario delle merci o, in altre parole, l'aumento della produttività del lavoro?
In realtà, alla base della narrazione del Capitalocene c'è un'incomprensione delle crisi capitalistiche e del loro rapporto con l'accumulazione del capitale e con il saggio del profitto. I sostenitori del Capitalocene concepiscono le crisi capitalistiche come determinate dalla scarsità di risorse naturali: quando la domanda del capitale di natura umana ed extraumana non può essere soddisfatta. Ma è esattamente il contrario: le crisi sono il risultato di un eccesso di risorse naturali, cristallizzate in merci da un eccesso di lavoro umano; cioè, un eccesso di capitale. Quando il capitale sovra-accumulato raggiunge una certa soglia, non può più essere assimilato nei processi produttivi o dal consumo individuale. La riproduzione del capitale si trova allora di fronte a una barriera che può essere superata solo distruggendo il capitale sovraccumulato attraverso crisi periodiche, che evidenziano il carattere autonomo e fuori controllo della produzione capitalistica. Questa è la legge della teoria della crisi di Marx, non tanto «importante quanto raramente discussa “legge generale” della sottoproduzione», che non esiste nel Capitale.[46] In altre parole, questa è la forma caratteristica della crisi capitalistica, in cui un cattivo raccolto o la mancanza di materie prime sono contingenze che influenzano la legge generale. Se il cattivo raccolto è legato al cambiamento climatico in atto, questo deve essere compreso all'interno della dinamica generale della riproduzione del capitale. Allo stesso modo, se la scarsità di materie prime è legata alla necessità di accumulare capitale, a un saggio del profitto decrescente, o a una strategia monopolistica o a un'altra, questo deve essere compreso nel contesto della riproduzione del capitale secondo leggi deterministiche. I capitalisti non sono in grado di intraprendere questo tipo di ricerca a causa della loro scarsa comprensione della teoria del valore di Marx. Non c'è nemmeno bisogno di dire che quando queste contingenze diventano strutturali, possono diventare esse stesse il momento dominante dell'accumulazione e della crisi del capitale.
Ciò che è importante, per sviluppare le giuste strategie per superare la crisi planetaria, è conoscere le particolari interazioni dei meccanismi di accumulazione del capitale che ci hanno portato alla crisi planetaria in corso. L'attuale crisi sistemica del modo capitalistico, che stiamo affrontando sempre più spesso, è determinata da un saggio del profitto decrescente a lungo termine come meccanismo causale di fondo, grazie al quale ogni crisi si sviluppa con la sua espressione particolare, ma tutte mostrano regolarità ed elementi essenziali comuni. L'accumulazione del capitale con queste determinazioni di fondo porta a una crisi sistemica di valorizzazione del capitale. Quando l'analisi della riproduzione del capitale in termini di valore, viene considerata in termini di proprietà fisiche e chimiche della natura, la crisi planetaria appare come una manifestazione necessaria della valorizzazione del capitale e della sua crisi sistemica. Al contrario, le affermazioni fuorvianti sull'esaurimento della natura o sulle difficoltà di accesso alle «Nature a buon mercato» come determinazioni cardine dell'accumulazione del capitale e della crisi capitalistica, si basano su un fraintendimento della teoria del valore di Marx e non permettono di intraprendere la giusta strategia per lasciarsi alle spalle la crisi planetaria.
Conclusione
La crisi planetaria coinvolge tutta la terra, compreso l'uomo. Si tratta di una profonda alterazione del funzionamento della Terra che colpisce gli organismi viventi e la materia inerte. Pertanto, è necessaria una conoscenza scientifica e completa delle dinamiche del Sistema Terra, fondata sulle discipline classiche delle scienze naturali, per comprendere le risposte della Terra alla crisi e per orientare ogni possibile azione volta a mitigarla. La crisi planetaria non è solo specificamente umana, ma è specificamente capitalistica. È una necessità del modo di produzione capitalistico. Pertanto, qualsiasi azione volta, non solo a mitigare ma a superare questa crisi, richiede una comprensione scientifica del modo di produzione sociale capitalistico e della riproduzione del capitale su cui questo modo si basa. Purtroppo, né le concezioni della crisi planetaria dell’Antropocene né quelle del Capitalocene hanno intrapreso una critica dell'economia politica basata sulla teoria del valore di Marx, che fino ad oggi è l'unica teoria scientifica del modo di produzione capitalistico. Pertanto, nessuno di questi approcci alla crisi planetaria è completo.
La natura è materia e movimento della materia, ed è intrinsecamente dialettica; quindi, la scienza del Sistema Terra deve essere dialettica e materialista se si persegue una comprensione scientifica della natura.[47] Tuttavia, l'approccio della scienza del Sistema Terra non è dialettico né materialista per quanto riguarda lo studio delle modalità di riproduzione sociale, e questo rende l'intera comprensione della crisi planetaria non solo incompleta ma idealistica, poiché il modo capitalistico è assunto come assoluto piuttosto che storico. L'approccio del Capitalocene è metodologicamente e gnoseologicamente viziato, in quanto non tiene conto della necessità di astrarre la natura e la società per il loro studio specifico, prima di intraprendere una ricerca sulle interazioni concrete tra queste categorie, che rivelerebbero l'origine e l'evoluzione capitalistica della crisi planetaria. Infine, l'approccio del Capitalocene manca di una corretta comprensione della teoria del valore di Marx e delle sue leggi costitutive e finisce per avere una concezione idealistica delle relazioni causali tra la crisi sistemica capitalistica e la crisi planetaria, che è l’opposto della comprensione materialista e dialettica di Marx.
Note
[1] Johan Rockström et al., A Safe Operating Space for Humanity, «Nature» 461, no. 24, 2009, pp. 472-75; Will Steffen, Wendy Broadgate, Lisa Deutsch, Owen Gaffney, and Cornelia Ludwig, The Trajectory of the Anthropocene, «The Anthropocene Review» 2, no. 1, 2015, pp. 81-98; Corey J. A. Bradshaw et al., Underestimating the Challenges of a Ghastly Future, Frontiers in Conservation Science 13, 2021.
[2] Si veda P. J. Crutzen, E. F. Stoermer, The Anthropocene, «Global Change Newsletter» 41, 2000, pp. 17-18; Clive Hamilton e Jacques Grinevald, Was the Anthropocene Anticipated?, «The Anthropocene Review» 2, n. 1, 2015, pp. 59-72; Valenti Rull, The ‘Anthropocene’: Neglects, Misconceptions, and Possible Futures, «Science & Society: EMBO Reports 18», n. 7, 2017, pp. 1056-60; Helmuth Trischler, The Anthropocene: A Challenge for the History of Science, Technology, and the Environment, «T. M.» 24, 2016, pp. 309-35; e The Anthropocene as a Geological Time Unit, Jan Zalasiewicz, Colin N. Waters, Mark Williams e Colin P. Summerhayes (a cura di), Cambridge, Cambridge University Press, 2019.
[3] Come riportato nel sito web dell'ICS, l'IUGS ha recentemente congelato tutte le attività con la Federazione Russa a causa della guerra in Ucraina.
[4] Si veda John Bellamy Foster, Late Soviet Ecology and the Planetary Crisis, «Monthly Review» 67, n. 2, giugno 2015, pp. 1-20.
[5] Si veda Innokenti P. Gerasimov, Anthropogene and its Major Problem, «Boreas» 8, n. 1, 1979, pp. 23-30; E. V. Shanster, Anthropogenic System (Period), in Great Soviet Encyclopedia, vol. 2, New York, Macmillan, 1973, p. 140.
[6] Ad esempio, per I fattori culturali e storici determinanti che hanno influenzato la scienza della Terra durante il periodo della Guerra Fredda, sia veda Matthias Heymann e Amy Dahan Dalmedico, Epistemology and Politics in the Earth System Modeling, «Journal of Advances in Modeling Earth Systems» 11, n. 5, 2019, pp. 1139-52.
[7] Si veda Colin N. Waters et al., Global Boundary Stratotype Section and Point (GSSP) for the Anthropocene Series, «Earth-Science Reviews» 178, 2018, pp. 379-429.
[8] Si confronti la fig. 1 in William F. Ruddiman, F. He, SJ Vavrus e JE Kutzbach, The Early Anthropogenic Hypothesis, «Quaternary Science Reviews» 240, 2020, p. 106386 e i grandi grafici sull’accelerazione in Will Steffen et al., The Trajectory of the Anthropocene, op. cit.
[9] Le ere in questione sono il Paleozoico, il Mesozoico e il Cenozoico. Si veda stratigraphy.org/guide/chron.
[10] Si vedano Anthropocene Working Group, Results of Binding Vote by AWG, Maggio 21, 2019, disponibile su quaternary.stratigraphy.org e Philip L. Gibbard et al., A Practical Solution: the Anthropocene is a Geological Event, not a Formal Epoch, «Episodes» 67, no. 2, 2021, pp. 1-9.
[11] Si veda Rull Valenti, The Anthropozoic Era Revisited, «Lethaia» 54, n. 3, 2020, pp. 289-99.
[12] Il termine Capitalian o Capitalinian è stato proposto indipendentemente da Carles Soriano, On the Anthropocene Formalization and the Proposal by the Anthropocene Working Group, «Geologica Acta» 18, n. 6, 2020, pp. 1-10 e da John Bellamy Foster e Brett Clark, The Capitalinian: The First Geological Age of the Anthropocene, «Monthly Review» 73, n. 4, settembre 2021, pp. 1-16 [trad. Il Capitaliniano: la prima età geologica dell’Antropocene, Antropocene.org, 2022; si veda anche Andreas Malm, Fossil Capital, Londra, Verso, 2016.
[13] Si veda Eugenio Luciano, Is ‘Anthropocene’ a Suitable Chronostratigraphic Term?, «Anthropocene Science» 1, 2022, pp. 29-41.
[14] Si veda Will Steffen et al., The Emergence and Evolution of Earth System Science, «Nature Reviews: Earth and Environment» 1, 2020, p. 54.
[15] Per un’ampia critica di quest’orientamento epistemologico, si veda Carles Soriano, Epistemological Limitations of Earth System Science to Confront the Anthropocene Crisis, «Anthropocene Review» 9, n. 1, 2022, pp. 111-25. Per il ruolo dell'essenza, della necessità e della causalità come categorie del materialismo dialettico, si veda M. M. Rosental (anche Rosenthal) e G. M. Straks, Categorías del materialismo dialéctico, Messico, Editoriale Grijalbo, 1960.
[16] Sulle leggi naturali e sulle leggi della produzione sociale, si veda C. Soriano, Epistemological Limitations of Earth System Science, op. cit., pp. 114-16.
[17] Fredric Jameson, Future City, «New Left Review» 21, 2003, p. 76.
[18] Per tali vaghe affermazioni relative all’«azione umana collettiva», si veda Will Steffen et al., Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, «Proceedings of the National Academy of Sciences» 115, n. 33, 2018, pp. 8252-59; e per alcuni esempi di economia ecologica in stile neoclassico, si veda Robert Costanza et al., Developing an Integrated History and Future of People on Earth (IHOPE), «Current Opinion in Environmental Sustainability» 4, n. 1, 2012, pp. 106-14. È molto utile dare un'occhiata a iniziative come IHOPE (disponibile su ihopenet.org ) e Future Earth (disponibile su futureearth.org), che coinvolgono scienziati del Sistema Terra, e fare qualche ricerca sulla provenienza dei fondi.
[19] Si veda Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, UTET, Torino, 2020. «Non c'è alternativa» (TINA) era uno slogan coniato da Margaret Thatcher.
[20] Karl Marx e Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, Opere complete, V, I ristampa, Roma, 1992, p. 44.
[21] György Lukács, Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Ediz. Pgreco, Roma, 2017; Evald Vasilievich Ilyenkov, Unità concreta come unità degli opposti in Dialettica dell'astratto e del concreto nel Capitale di Marx, M., 1960. Sul rifiuto della dialettica della natura da parte del marxismo occidentale e la filosofia della prassi, si veda Rogney Piedra, Marxismo y dialéctica de la naturaleza, La Habana, Editorial de Ciencias Sociales, 2017; John Bellamy Foster, Marx and the Metabolic Rift in the Universal Metabolism of Nature, «Monthly Review» 65, n. 7, dicembre 2013, pp. 1-19.
[22] Si veda Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I: On the Nature and Origins of Our Ecological Crisis, «The Journal of Peasant Studies» 44, n. 3, 2017, pp. 594-630; Jason W. Moore, The Capitalocene, Part II: Accumulation by Appropriation and the Centrality of Unpaid Work/Energy, «The Journal of Peasant Studies» 45, n. 2, 2018, pp. 237-79, citando Donna Haraway, Staying with the Trouble, in Antropocene o Capitalocene?, Jason W. Moore (a cura di), Oakland, PM, 2016, pp. 34-76. Per uno sviluppo dell'idealismo borghese come forma di feticismo, si veda Evald Vasilievich Ilyenkov, Dialectics of the Ideal, Boston, Brill, 2012.
[23] Per il metabolismo sociale alienato sotto il capitalismo, si veda István Mészáros, Oltre il capitale. Verso una teoria della transizione, Edizioni Punto Rosso, 2016 e John Bellamy Foster, Marxism in the Anthropocene, «International Critical Thought» 6, n. 3, 2017, pp. 393-421.
[24] Jason W. Moore, The Capitalocene, op. cit., p. 597.
[25] Si veda Jason W. Moore, Anthropocenes and the Capitalocene Alternative, «Azimuth» 9, 2017, pp. 71-79.
[26] Will Steffen et al., The Emergence and Evolution of Earth System Science, op. cit.
[27] Si confronti il diagramma di Bretherton nel 1986 e l'ultima versione (2020) in Will Steffen et al., The Trajectory of the Anthropocene, op. cit.; si veda anche Soriano, Epistemological Limitations of Earth System Science, op. cit.
[28] Si veda Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma, maggio 1985, collana Universale Idee 147, p. 31; Evald Vasilievich Ilyenkov, Dialectics of the Ideal, op.cit.
[29] Per un'evoluzione storica e logica delle forme del pensiero, si veda M. M. Rosental, Principios de lógica dialéctica, Montevideo, Ediciones Pueblos Unidos, 1962.
[30] Si veda M. M. Rosental, Principios de lógica dialéctica, op. cit.
[31] Si veda Toby Tyrrell, Chance Played a Role in Determining Whether Earth Stayed Habitable, «Communications Earth and Environment» 1, 2020.
[32] Si veda Karl Marx, Il capitale, Libro primo, Roma, Ristampa anastatica della V edizione (ottobre 1964), dicembre 1989, p. 75.
[33] Il concetto di metabolismo e frattura metabolica in Marx è stato esplorato dalla «Monthly Review». La logica dialettica si occupa dell'espressione del movimento o dell'evoluzione della realtà nelle forme del pensiero; si veda M. M. Rosental, Principios de lógica dialéctica, op. cit.
[34] Si veda, ad esempio, Donna Haraway, Anthropocene, Capitalocene, Plantationocene, Chthulucene, «Environmental Humanities» 6, n. 1, 2015, pp. 159-65. Si veda anche Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I, op. cit., p. 610.
[35] Si veda Jason W. Moore, The Capitalocene, Part II, op. cit., p. 245, che cita Christian Parenti, Environment-Making in the Capitalocene: Political Ecology of the State, in Anthropocene or Capitalocene? Nature, History, and the Crisis of Capitalism (a cura di Jason W. Moore), New York, 2016, p. 171.
[36] Si veda Friedrich Engels, Dialettica della natura, in Karl Marx e Friedrich Engels, Opere complete, XXV, Roma, 1974. Il termine valore capitalistico delle merci è preso in prestito da John Bellamy Foster e Paul Burkett, Value Isn’t Everything, «Monthly Review» 70, n. 6, novembre 2018, pp. 1-17. Si veda anche Elke Pirgmaier, The Value of Value Theory for Ecological Economics, «Ecological Economics» 179, 2021, per il fraintendimento del concetto di valore e del discorso del Capitalocene da parte dell'economia ecologica.
[37] Karl Marx, Il capitale, Libro primo, op. cit., p. 777 e segg.
[38] «In relazione all'operaio, che col lavoro si appropria della natura, l’appropriazione si palesa alienazione, l’attività spontanea attività per un altro e attività di un altro, la vitalità sacrificio della vita, la produzione dell'oggetto perdita dell'oggetto presso una estranea potenza, presso un uomo estraneo» (Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili (Galvano della Volpe a cura), Einaudi, Biblioteca del pensiero moderno, Roma, IV edizione, IV ristampa, luglio 1981, p. 205. Si veda anche John Bellamy Foster e Brett Clark, The Expropriation of Nature, «Monthly Review» 69, n. 10, marzo 2018, pp. 1-27 e John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature, «Monthly Review» 70, n. 3, luglio-agosto 2018, pp. 1-20.
[39] A rigore, la natura non viene mercificata, ma espropriata. Ciò che viene mercificato è il valore d'uso ottenuto dalla natura attraverso l'attività lavorativa. Perché ciò avvenga, la natura deve essere prima espropriata. Una volta espropriata, la natura può avere un prezzo, ma la natura può essere una merce e avere un valore solo quando viene elaborata dal lavoro umano. Ecco perché la natura è una fonte di valori d'uso, ma in assenza di lavoro rimane solo natura.
[40] Certamente, la forza lavoro è una merce con la particolarità unica nel regno delle merci di produrre più valore di quanto costa.
[41] Si veda Karl Marx, Il capitale, Libro primo, op. cit., p. 33. Marx è molto esplicito sul fatto che il valore viene creato solo dall'attività viva del lavoro e non dal lavoro passato contenuto nelle merci, che entrano nel processo di produzione come capitale costante. Cioè, il valore non è creato dal lavoro morto o passato contenuto nel capitale costante, il cui valore può essere attivato e trasferito nelle merci successive solo dall'azione del lavoro vivo. In realtà, Marx è molto preciso e, citando anche Benjamin Franklin, definisce l'attività lavorativa di fabbricazione degli utensili come l'universale concreto dell'uomo [N.d.T. nei punti in cui cita B. Franklin, nel primo Libro del Capitale, Marx però non parla mai dell’attività lavorativa come universale concreto; ne parla altrove: per questo non si è riportato il riferimento dell’autore].
[42] Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I, op. cit., p. 606.
[43] Si veda Jason W. Moore, The Capitalocene, Part II, op. cit., p. 269.
[44] «Il saggio del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica: viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto» (Karl Marx, Il capitale, Libro terzo, Roma, Ristampa anastatica della IV edizione (novembre 1965), dicembre 1989, p. 312-313).
[45] C'è una quantità crescente di letteratura su questi argomenti. Alcuni esempi sono Carles Soriano, Antropoceno, reproducción de capital y comunismo, Madrid, Maia Ediciones, 2021; Murray E. G. Smith, Jonah Butovsky e Josh J. Watterton, Twilight Capitalism, Halifax, Fernwood Publishing, 2021; Andres Piqueras, La Tragedia de nuestro tiempo, Barcellona, Anthropos Editorial, 2017.
[46] Si veda Jason W. Moore, The Capitalocene, Part I, op. cit., 606. Sul concetto di diritto nella logica dialettica come astrazione concreta che coglie l'essenza dei molteplici fenomeni che modellano l'oggetto studiato in termini di causalità e necessità, si veda Rosental e Straks, Categorías del materialismo dialéctico e M. M. Rosental, Principios de lógica dialéctica, op. cit.
[47] Si veda Engels, La dialettica della natura, op. cit.
Carles Soriano
Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org
Fonte: Monthly Review vol. 74, n. 6 (01.11.2022)
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