La cronologia geologica, che divide i 4,6 miliardi di anni di storia della Terra in eoni, ere, periodi, epoche ed età, è una delle grandi conquiste scientifiche degli ultimi due secoli. Ognuna di queste divisioni fa riferimento al cambiamento ambientale del Sistema Terra sulla base di prove stratigrafiche, come rocce o nuclei di ghiaccio.

Attualmente, la Terra è ufficialmente situata nell'Eone Fanerozoico, nell'Era Cenozoica, nel Periodo Quaternario, nell'Epoca dell'Olocene (iniziata 11.700 anni fa) e nell'Età del Meghalayano (l'ultima dell'Olocene iniziata 4.200 anni fa). L'argomento qui proposto, ovvero l’entrata del pianeta in una nuova epoca geologica, l'Antropocene, si basa sul riconoscimento che il cambiamento del sistema terrestre, così come rappresentato nella documentazione stratigrafica, è ora principalmente dovuto a forze antropogeniche. Questa prospettiva è stata ampiamente accettata dalla scienza, ma tuttavia non è stata ancora formalmente adottata dalla International Commission on Stratigraphy of the International Union of Geological Sciences, il che significherebbe la sua adozione ufficiale in tutta la scienza.

Nell'ipotesi che l'Antropocene sia presto ufficialmente designato come l’attuale epoca della Terra, rimane la questione dell'età geologica con cui inizia l'Antropocene, dopo l'ultima parte dell’Olocene, il Meghalayano. Adottando la nomenclatura standard per la denominazione delle età geologiche, proponiamo, nel nostro ruolo di sociologi ambientali, il termine Capitaliniano come il nome più appropriato per la nuova età geologica; ciò sulla base della documentazione stratigrafica, e in conformità al periodo storico che gli storici ambientali individuano intorno al 1950, sulla scia della Seconda Guerra Mondiale, l'ascesa delle multinazionali e lo scatenamento del processo di decolonizzazione e sviluppo globale. [1]

Nell'Antropocene è evidente che qualsiasi designazione di età, pur trovando necessariamente tracce nella documentazione stratigrafica, deve essere vista, in parte, non in termini geologici, ma di organizzazione socio-economica. La designazione nei termini delle scienze sociali più ampiamente accettata per il sistema economico mondiale dominante negli ultimi secoli è quella di capitalismo. Il sistema capitalistico ha attraversato varie fasi, la più recente delle quali, sorta dopo la seconda guerra mondiale sotto l'egemonia degli Stati Uniti, è spesso caratterizzata come capitalismo monopolistico globale. [2] A partire dalla prima esplosione nucleare nel 1945, l'umanità è emersa come una forza in grado di influenzare pesantemente l'intero sistema terrestre su una scala geologica di milioni (o forse decine di milioni) di anni. Gli anni '50 sono noti per aver inaugurato "l'era sintetica", non solo a causa dell'avvento dell'era nucleare, ma anche a causa della massiccia proliferazione di materie plastiche e altri prodotti petrolchimici associati alla crescita globale e al consolidamento del capitalismo monopolistico. [3]

La designazione della prima età geologica dell'Antropocene come Capitaliniano è, a nostro avviso, cruciale perché pone la questione di una possibile seconda età geologica dell'Antropocene. L'Antropocene rappresenta un periodo in cui l'umanità, in un punto specifico della sua storia, cioè l'ascesa del capitalismo industriale avanzato dopo la seconda guerra mondiale, è diventata la principale forza geologica capace di influenzare il cambiamento del sistema terrestre (che non esclude l'importanza di numerose altre forze geologiche, non tutte influenzate dall'azione umana, in grado di plasmare il futuro del sistema terrestre, come la tettonica a zolle, il vulcanismo, processi atmosferici erosivi). Se il capitalismo nel prossimo secolo dovesse creare una frattura antropogenica così profonda nel Sistema Terra tale da superare quelli che sono stati individuati come confini o limiti planetari, conducendo al collasso della civiltà industriale e a una conseguente vasta riduzione della popolazione umana - una chiara possibilità secondo gli studiosi se si prosegue sulla strada seguita sino ad ora - , l'Antropocene e senza dubbio l'intero Periodo Quaternario giungerebbero alla fine, portando ad una nuova epoca, o periodo, nella storia geologica, con una drastica diminuzione del ruolo umano. [4] Escludendo un evento di tale portata, le condizioni socioeconomiche che definiscono il Capitaliniano dovranno dar luogo a un assetto radicalmente trasformato di relazioni socio-economiche, e di fatto a un nuovo modo di produzione ecologicamente sostenibile, basato su una relazione più comunitaria degli esseri umani tra loro e con la Terra.

Il significato di tale climaterio ambientale * consiste nel cercare di di sottrarsi all’attuale superamento dei confini planetari, dovuto alla distruzione creativa delle condizioni di vita sul pianeta causata dal capitale. Questa inversione di direzione, che riflette la necessità di mantenere la Terra come casa sicura per l'umanità e per innumerevoli altre specie che la abitano, è impossibile in un sistema orientato all'accumulazione esponenziale del capitale. Un tale cambiamento climatico richiederebbe per la sola sopravvivenza umana la creazione di un rapporto ecologico radicalmente nuovo  con la Terra. Noi proponiamo che questa necessaria (ma non inevitabile) futura era geologica successiva al Capitaliniano, generata da una rivoluzione ecologica e sociale, sia chiamata Comuniana, da comunitario, comunità, collettivo.


Antropocene vs controversia sul Capitalocene

La parola Anthropocene apparve per la prima volta in lingua inglese nel 1973, in un articolo del geologo sovietico E. V. Shantser su The Anthropogenic System (Period), in «The Great Soviet Encyclopedia». Qui, Shantser si riferiva all'introduzione, risalente agli anni ’20, da parte del geologo russo A. P. Pavlov della nozione di «’sistema (periodo) antropogenico’, o ‘Anthropocene’». [5] Durante la prima metà del XX secolo, la scienza sovietica ha svolto un ruolo di primo piano in numerosi campi, tra i quali la climatologia, la geologia e l'ecologia, costringendo i circoli scientifici occidentali a prestare particolare attenzione alle sue scoperte. Di conseguenza, l'articolo di Shantser dovrebbe essere stato abbastanza noto agli specialisti, essendo apparso in una fonte così importante. [6]

La coniazione del termine Antropocene da parte di Pavlov era strettamente connessa al libro Biosfera del geochimico sovietico Vladimir I. Vernadsky, pubblicato nel 1926, nel quale si fornì una iniziale visione del Sistema Terra, rivoluzionando il modo in cui veniva compresa la relazione tra l'uomo e il pianeta. [7] Pavlov utilizzò il concetto dell'Antropocene (o periodo Antropogenico) per riferirsi a un nuovo periodo geologico in cui l'umanità stava emergendo come il principale motore del cambiamento ecologico planetario. In questo modo, Pavlov e i successivi geologi sovietici, fornirono una geocronologia alternativa, che sostituì Antropocene per l'intero Quaternario. In maniera più rilevante, Pavlov e Vernadsky enfatizzarono fortemente il fatto che i fattori antropogenici fossero arrivati a dominare la biosfera nel tardo Olocene. Come osservò Vernadsky nel 1945, «Partendo dalla nozione del ruolo geologico dell'uomo, il geologo A. P. Pavlov [1854-1929] negli ultimi anni della sua vita parlava dell'era antropogenica, nella quale viviamo ora... Egli ha giustamente sottolineato che l'uomo, sotto i nostri occhi, sta diventando una forza geologica potente e in continua crescita... Nel ventesimo secolo l'uomo, per la prima volta nella storia della terra, ha conosciuto e abbracciato l'intera biosfera, completato la mappa geologica del pianeta Terra, e colonizzato tutta la sua superficie. L'umanità è diventata un'unica totalità nella vita della terra». [8]

L'uso corrente di Antropocene, tuttavia, deriva dalla riutilizzazione del termine da parte del chimico atmosferico Paul J. Crutzen che riconiò il termine nel febbraio 2000, durante un incontro dell'International Geosphere-Biosphere Program a Cuernavaca in Messico, dove dichiarò: "Non siamo più nell'Olocene. Siamo nell'Antropocene!" [9] L'uso del termine Antropocene da parte di Crutzen non era basato su ricerche stratigrafiche, ma su una comprensione diretta del cambiamento del sistema terrestre dovuto principalmente alla percezione del cambiamento climatico antropogenico e all'assottigliamento antropogenico dello strato di ozono (ricerca per la quale è stato insignito del Premio Nobel per la chimica nel 1995). La designazione di Antropocene da parte di Crutzen come una nuova epoca geologica riflette così, fin dall'inizio, un senso di crisi e trasformazione nella relazione umana con la terra. [10] Come Crutzen, il geologo Will Steffen e lo storico ambientale John Mcneill dichiararono alcuni anni dopo: "Il termine Antropocene... suggerisce che la Terra ha ora lasciato la sua epoca geologica naturale, l'attuale stato interglaciale chiamato Olocene. Le attività umane sono diventate così pervasive e profonde da rivaleggiare con le grandi forze della natura e spingere la Terra verso una terra incognita. La Terra si sta rapidamente muovendo verso uno stato biologicamente meno diversificato, meno boscoso, molto più caldo e probabilmente più umido e tempestoso." [11] Punti di vista simili sull'effetto dei cambiamenti antropogenici sul sistema terrestre sono stati presentati da uno di noi nei primi anni '90: "Nel periodo successivo al 1945, il mondo è entrato in una nuova fase di crisi planetaria in cui le attività umane hanno cominciato ad influenzare in modo del tutto nuovo le condizioni fondamentali della vita sulla terra.... Mentre l'economia mondiale continuava a crescere, la scala dei processi economici umani iniziò a competere con i cicli ecologici del pianeta determinando, come mai prima d'ora, la possibilità di un disastro ecologico planetario. Oggi, pochi dubitano che il sistema [capitalistico] abbia superato le soglie critiche della sostenibilità." [12]

Forse il modo migliore per capire i cambiamenti apportati dall'Antropocene, come descritti dalla scienza, sta nei termini di una "frattura antropogenica" nella storia del pianeta, in misura tale che gli effetti socio-economici della produzione umana, oggi in gran parte nella forma dovuta al capitalismo, hanno creato una serie di fratture nei processi biogeochimici del sistema terrestre, superando soglie ecologiche critiche e confini planetari, con il risultato che tutti gli ecosistemi esistenti della terra e la civiltà industriale stessa sono ora in pericolo. [13] Indicando la nostra epoca come Antropocene, gli studiosi hanno sottolineato una nuova fase critica nella storia della Terra e una crisi planetaria che deve essere affrontata per preservare la Terra come casa sicura per l'umanità.

Va ricordato che l'idea diffusa secondo la quale l’Antropocene rappresenti "l'età dell'uomo", spesso presente nella letteratura popolare, è del tutto contraria all'attuale analisi scientifica della nuova epoca geologica. Di fatto, riferirsi alle cause antropogeniche del cambiamento del Sistema Terra non significa ignorare le strutture sociali e le disuguaglianze, né implica che l'umanità abbia in qualche modo trionfato sulla Terra. Piuttosto, l’Antropocene, per come definito scientificamente, non solo manifesta la disuguaglianza sociale come parte cruciale del problema, ma al momento rappresenta anche una crisi ecologica planetaria causata dalle forze produttive in una fase distinta dello sviluppo storico umano. [14]

Tuttavia, nonostante l'importanza cruciale del concetto di Antropocene nel promuovere una comprensione non solo dell'attuale fase del Sistema Terra, ma anche dell'attuale emergenza ecologica, tale nozione è stata attaccata pesantemente all'interno delle scienze sociali e umanistiche. Molti di coloro che si trovano al di fuori delle scienze naturali non sono adeguatamente informati sugli aspetti naturali e scientifici del cambiamento del sistema terrestre. Essi reagiscono quindi alla designazione di Antropocene all'interno della geocronologia in termini puramente culturali e letterari, svincolati dalle principali questioni scientifiche, riflettendo il famoso problema delle "due culture", che divide le discipline umanistiche (e spesso le scienze sociali) da quelle scientifiche. [15] In quest'ottica, il prefisso antro è spesso interpretato come avente semplicemente una dimensione umano-biologica, mentre manca di una dimensione socioeconomica e culturale. Come un critico postumanista ha rilevato, non solo la nozione dell'Antropocene, ma anche "la frase cambiamento climatico antropogenico” è un marchio speciale per incolpare le vittime di sfruttamento, violenza e povertà." [16]

Oggi, il termine alternativo più diffuso è quello di Capitalocene, concepito come designazione sostitutiva per l'epoca geocronologica del sistema terrestre successivo all'Olocene. Il principale storico ambientale e ecologista storico-materialista Andreas Malm sostiene che l'Antropocene, per indicare una nuova epoca nella scala temporale geologica, è una «astrazione indifendibile» poiché non affronta direttamente la realtà sociale del capitale fossile. Propone, dunque, di sostituire Antropocene con Capitalocene, spostando la discussione da una geologia dell'umanità a una geologia dell'accumulazione del capitale. [17] In termini pratici e scientifici, tuttavia, questo si scontra con diversi problemi. Il termine Antropocene è già profondamente radicato nelle scienze naturali, e rappresenta il riconoscimento di un cambiamento fondamentale nella storia umana e geologica che è essenziale per comprendere il nostro periodo di crisi ecologica planetaria.

In maniera più rilevante, anche se è vero che l'Antropocene è stato generato dal capitalismo in una certa fase del suo sviluppo, la sostituzione di Antropocene con il termine Capitalocene abbandonerebbe la visione critica essenziale, incarnata dal primo. La nozione di Antropocene, così come viene definita dalle scienze naturali, rappresenta un cambiamento irreversibile nel rapporto dell'umanità con la terra. Non ci può essere, d'ora in avanti, un'immaginabile civiltà industriale sulla terra ove l'umanità, se continua ad esistere, non sia la forza geologica primaria che condiziona il Sistema Terra. Questo è il significato critico di Antropocene. Sostituire il termine Antropocene con Capitalocene significherebbe cancellare questa fondamentale consapevolezza scientifica. Cioè, anche se il capitalismo fosse superato attraverso un "Great Climacteric", che rappresenterebbe la transizione verso un ordine mondiale più sostenibile, questo limitazione fondamentale rimarrebbe. [18] L'umanità continuerà ad operare ad un livello in cui la scala della produzione umana rivaleggia con i cicli biogeochimici del pianeta, e quindi la scelta è tra sviluppo umano insostenibile e sviluppo umano sostenibile. Non si può tornare indietro (se non attraverso un crollo della civiltà e un crollo massiccio), ossia ad un periodo in cui la storia umana ha avuto poco o nessun effetto sul sistema terrestre.

Se si verificasse un'estinzione di massa e un collasso planetario della civiltà, questo sarebbe un evento di fine Antropocene o addirittura di fine Quaternario, non una continuazione dell'Antropocene. Come il grande zoologo britannico E. Ray Lankester (pupillo di Charles Darwin e Thomas Huxley e amico intimo di Karl Marx) osservò nel 1911 in Il regno dell'uomo, data la massiccia e crescente perturbazione delle condizioni ecologiche dell'esistenza umana, per l'umanità "l'unica speranza è controllare... le fonti di questi pericoli e disastri." [19]

Le enormi sfide storiche, geologiche e ambientali che l'umanità si trova ad affrontare richiedono, a nostro avviso, uno spostamento del terreno di analisi alla questione delle età piuttosto che delle epoche nella scala del tempo geologico. Se il mondo entrò nell'Epoca dell’Antropocene intorno al 1950, possiamo anche dire che l'Età del Capitaliniano iniziò nello stesso periodo. In quest’ottica, il Capitaliniano non coincide con la storia del capitalismo, dato che il capitalismo ha avuto le sue origini come sistema mondiale nei secoli XV e XVI. Piuttosto, l'età capitaliniana fu un prodotto del capitalismo monopolistico globale emerso sulla scia della seconda guerra mondiale. Per comprendere l'importanza storica e ambientale dell'emergere del Capitaliniano e collocarlo nel contesto della scala temporale geologica, è innanzitutto necessario affrontare la questione del passaggio da un'epoca geologica all'altra, che va dal tardo Olocene all'Epoca Antropocenica.


Dal Meghalayano al Capitaliniano

L'Epoca dell'Olocene (Olocene significa «del tutto recente») fu proposta per la prima volta come divisione del tempo geologico dal paleontologo francese Paul Gervais nel 1867 e formalmente adottata dall’International Geographic Congress nel 1885. Risale alla fine dell'ultima era glaciale e si riferisce quindi alle condizioni ambientali più calde e relativamente miti della Terra che da circa 11.700 anni fa risalgono fino ad oggi. [20] La sua divisione in età geologiche è stata formalmente proposta soltanto un secolo e mezzo dopo. Ciò si è verificato con la modifica della scala temporale geologica da parte dell’ International Commission on Stratigraphy nel giugno 2018, dividendo l'Olocene in tre età: (1) il Groenlandiano, iniziata 11,700 anni fa, con la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene; (2) il Nordgrippiano, iniziato 8.300 anni fa; e (3) il Meghalayano, che si estende da 4.200 anni fa ad oggi.

Dividere l'Olocene in età ha rappresentato un problema più difficile che per altre epoche del Quaternario, dato il carattere ambientale-climatico relativamente tranquillo dell'Olocene. [21] La prima divisione dell'Olocene, Il Groenlandiano, non ha posto problemi perché corrispondeva ai criteri che hanno dato origine all'Olocene stesso. Il Nordgrippiano venne designato nei termini di un versamento di acqua dolce proveniente da laghi glaciali sbarrati naturalmente che si riversarono nel Nord Atlantico, alterando il flusso delle correnti oceaniche, portando al raffreddamento globale. La delimitazione della terza divisione non fu così semplice. C'erano dati archeologici individuati negli anni '70 che indicavano una megasiccità risalente a 4.200 anni fa (circa 2200 a.C.) che durò diversi secoli e che si pensava avesse portato alla scomparsa di alcune civiltà primitive in Mesopotamia, Egitto e altrove.

Nel 2012, i paleoclimatologi hanno scoperto una stalagmite nella grotta di Mawmluh nello stato di Meghalaya, nel nord-est dell'India, che indicava una siccità secolare. Questo è stato poi preso come chiave geologica per l'età Meghalayana. Nella versione originale del comunicato stampa sul Meghalayano, del 15 luglio 2018 intitolato Collapse of Civilizations Worldwide Defines Younger Unit of the Geologic Time Scale, l’International Commission on Stratigraphy arrivò a dichiarare che un collasso della civiltà si era verificato intorno al 2200 a.C.: «Le società agricole che si sono sviluppate in diverse regioni dopo la fine dell'ultima era glaciale sono state gravemente colpite da un evento climatico di duecento anni che ha portato al collasso delle civiltà e a migrazioni umane in Egitto, Grecia, Siria, Palestina, Mesopotamia, la valle dell’Indo, e la valle del fiume Yangtze. Le prove dell'evento climatico di 4200 anni fa sono state trovate in tutti i sette continenti». [22]

Questo ha portato a forti confutazioni da parte degli archeologi, i quali hanno sostenuto che prove del crollo improvviso delle civiltà a causa del cambiamento climatico intorno al 2200 a.C in realtà non esistano. Sebbene il declino delle civiltà sia avvenuto, molto probabilmente è avvenuto in periodi di tempo più lunghi e c’erano motivi per credere che una serie di fattori sociali abbia giocato un ruolo più significativo della megasiccità. [23] L’archeologo Guy D. Middleton ha scritto su Science che: «Le prove attuali... mettono in dubbio la validità del 2200 a.c. come inizio significativo di una nuova era in termini umani, che ci sia stata una megasiccità o meno... Il cambiamento climatico non porta mai inevitabilmente al collasso della società, sebbene possa porre serie sfide, come accade oggi. Da una prospettiva archeologica, l’età Meghalayana del Tardo Olocene sembra essere iniziata con un piagnucolio piuttosto che un botto." [24]

La controversia sul Meghalayano, qualunque sia l'esito finale, evidenzia una serie di fatti essenziali. In primo luogo, già 4.200 anni fa, il tempo geologico si è intrecciato in modi complessi con il tempo storico. Nel caso del Meghalayano, la demarcazione geologica ha tratto gran parte della sua importanza da un'apparente corrispondenza con la documentazione storico-archeologica. In secondo luogo, anche se l’International Stratigraphic Committee si è allontanato dal suo riferimento originale al collasso delle civiltà e ha cercato invece di definire il Meghalayano semplicemente con criteri geologico-stratigrafici, non si può più evitare la questione delle condizioni sociali associate ad un'era geologica. In terzo luogo, durante l'Olocene dalle prime civiltà fino ad oggi, le questioni del cambiamento ambientale e del collasso della civiltà si ripetono, su scala globale sempre più estesa.

Se Il meghalayano è effettivamente nato nel contesto di una megasiccità, l'evento di passaggio che segnala la fine del Meghalayano (e dell'Olocene) è avvenuto intorno al 1950 e porta all'inizio di quello che l’Anthropocene Working Group considera l'epoca dell’Antropocene e a quello che noi proponiamo come concomitante età Capitaliniana. [25] Questa transizione nel tempo geologico, che è profondamente intrecciata con distinte situazioni storico-sociali, è associata alla Grande Accelerazione del capitalismo monopolistico globale negli anni '50, da cui è conseguita un’età di crisi ecologica planetaria. Ciò ha comportato un progressivo allontanamento da un'ambientale «epoca altamente stabile» verso una «in cui una serie di condizioni limite chiave, in particolare associate ai cicli di carbonio, azoto e fosforo, sono chiaramente al di fuori della gamma di variabilità naturale osservata nell'Olocene». [26] Ora, mega siccità, mega tempeste, innalzamento del livello del mare, incendi incontrollati, deforestazione, estinzione di specie e altre minacce planetarie stanno emergendo in rapido ordine, non semplicemente come forze esterne, ma come il prodotto della frattura antropogenica procurata dal capitalismo nel Sistema Terra.


L'età Capitaliniana

Il «chiodo d’oro» nel tempo geologico che determina la fine dell'Olocene e del Meghalayano, così come la corrispondente comparsa dell’Antropocene e di quello che stiamo proponendo come Capitaliniano, non è ancora stato determinato, anche se un certo numero di “candidati” sono indagati dall’Anthropocene Working Group of the International Commission on Stratigraphy. I due più importanti sono i radionuclidi, a seguito dei test nucleari, e la plastica, a seguito della nascita dell'industria petrolchimica, entrambi prodotti dell'era sintetica. Essi rappresentano l'emergere di una trasformazione qualitativa nel rapporto dell’uomo con la terra. [27] Sebbene gli "strati antropocenici possono essere comunemente sottili", essi "riflettono una grande perturbazione del Sistema Terra" a metà del XX secolo, "sono lateralmente estesi e possono includere ricchi dettagli stratigrafici" in cui sono evidenti distinte "firme" di una nuova epoca ed età. [28]

I radionuclidi di origine antropogenica derivano principalmente dalla ricaduta radioattiva dovuta ai numerosi test nucleari in superficie (e due bombardamenti atomici in guerra) che hanno avuto inizio con la detonazione nucleare Trinity alle 05:29 del 16 luglio 1945, a Alamogordo nel New Mexico. [29] La prima detonazione termonucleare fu il test di Ivy Mike sull'atollo di Enewetak, il 1º novembre 1952. A questa seguì il disastroso test di Castle Bravo nell'atollo di Bikini, il 1º marzo 1954, la cui esplosione fu due volte e mezzo quella che era stata prevista, facendo piovere acqua sui marinai di un peschereccio giapponese, il Lucky Dragon, e sui residenti delle Isole Marshall con esiti di malattia da radiazioni. Gli Stati Uniti hanno condotto oltre duecento test atmosferici e subacquei (e altri sono stati effettuati negli anni '50 e '60 da Unione Sovietica, Regno Unito, Francia e Cina), creando una pioggia radioattiva sotto forma di Iodio-131, Cesio-137, Carbonio-14, e Stronzio-90. Questa ricaduta nucleare, in particolare le forme gassose e particellari che entrarono nella stratosfera, si disperse in tutta la biosfera generando una diffusa preoccupazione ambientale globale, accomunando l'intera popolazione mondiale in uno stesso destino. [30]

I radionuclidi provenienti principalmente da test di armi nucleari sono quindi la base più ovvia per demarcare l’inizio dell'Epoca dell'Antropocene e dell'Età Capitaliniana. Hanno lasciato una traccia permanente in sedimenti, suolo e ghiaccio in tutto il pianeta, fungendo da "robusti marcatori stratigrafici indipendenti" che saranno rilevabili per millenni. [31] Gli effetti delle armi nucleari, a partire dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda Guerra Mondiale, rappresentano un cambiamento qualitativo nella relazione dell’uomo con la terra, al punto che ora è possibile distruggere la vita ad un tale grado, che ci vorrebbero forse decine di milioni di anni per recuperarla. [32] Infatti, la teoria dell'inverno nucleare sviluppata dai climatologi suggerisce che un massiccio scambio termonucleare globale, generaratore di megaincendi in un centinaio o più di grandi città, potrebbe portare a cambiamenti climatici planetari più bruschi e in direzione opposta rispetto al riscaldamento globale, attraverso l'immissione di fuliggine nella stratosfera, causando un calo delle temperature globali o almeno emisferiche di diversi gradi (o anche "diverse decine di gradi") Celsius nel giro di un solo mese. [33]

Negli anni ’50, l'avvento della tecnologia delle armi nucleari rappresenta quindi un enorme cambiamento nel rapporto dell’uomo con la terra, che inaugura l'Antropocene, lasciando una firma distinta nella documentazione stratigrafica; segna anche il momento in cui specifici elementi radioattivi sono stati introdotti nella composizione corporea di tutta le forme di vita. [34] La tecnologia delle armi nucleari non è ovviamente del tutto separabile dall'uso dell'energia nucleare, che presenta anche pericoli di contaminazione radioattiva globale, come negli incidenti nucleari di Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima.

Le materie plastiche, un elemento importante dell'economia negli anni '50, furono il risultato degli sviluppi nella chimica organica, associati alla rivoluzione scientifica e tecnica e alla Seconda Guerra Mondiale. Sono un prodotto dell'industria petrolchimica, quindi dell'ulteriore sviluppo del capitale fossile, che risale alla rivoluzione industriale. [35] Dal 2017 «sono state prodotte più di 8,3 milioni di tonnellate di plastica vergine», in misura maggiore a quella di quasi tutti gli altri materiali prodotti dall'uomo. [36] I rifiuti di plastica sono così pervasivi da trovarsi dispersi in tutto il mondo. Infatti, «le plastiche fuse... hanno frammenti di basalto fusi e frammenti di corallo che formano un assortimento di nuove tipologie di spiaggia» e microplastiche sono contenute in depositi di fanghi oceanici profondi. [37] La maggior parte della plastica, a base di monomeri derivati dagli idrocarburi, non è biodegradabile, tanto da costituire un «esperimento incontrollato su scala globale, in cui miliardi di tonnellate di materiale si accumuleranno in tutti i principali ecosistemi terrestri e acquatici del pianeta." [38] A causa di queste condizioni, la plastica è vista come un altro potenziale indicatore stratigrafico dell'Antropocene. [39]

La produzione di plastica e sostanze petrolchimiche in generale, come i test di armi nucleari, rappresentano un cambiamento qualitativo nella relazione umana con la terra. Esse hanno portato alla diffusione di una serie di sostanze chimiche mutagene, cancerogene e teratogene (che causano difetti alla nascita) particolarmente dannose per la vita perché non sono il prodotto dello sviluppo evolutivo nel corso di milioni di anni. Come i radionuclidi, molte di queste sostanze chimiche nocive sono caratterizzate da bioaccumulo (concentrazione nei singoli organismi) e biomagnificazione (concentrazione a livelli più elevati nella catena alimentare) che rappresentano minacce sempre più pervasive per la vita. Le microplastiche assorbono attivamente inquinanti organici cancerogeni persistenti all'interno di un ambiente più ampio, rendendoli più potenti e tossici. [40] Le plastiche sono durevoli e resistenti alla degradazione, proprietà che «rendono questi materiali difficili o impossibili da assimilare da parte della natura». [41] Il carattere onnipresente delle materie plastiche nel Capitaliniano è evidente nelle massicce rotazioni di plastiche nell'oceano e dall'esistenza di particelle microplastiche in quasi tutta la vita organica.

Ecologisti come Barry Commoner, Rachel Carson, Howard Odum e altri, hanno individuato sia radionuclidi che plastiche/prodotti petrolchimici/pesticidi come incarnanti l'era sintetica emersa negli anni '50. Hanno fornito resoconti dettagliati della trasformazione nella relazione tra l'uomo e la terra, che oggi si riflette nei grafici contemporanei sulla Grande Accelerazione, atti a presentare le tendenze del sistema terrestre in elementi come il drammatico aumento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica, l'acidificazione degli oceani, la cattura dei pesci, il cambiamento dell'uso del suolo e la perdita di biodiversità. L'epicentro di una tale perturbazione ambientale globale sono stati gli Stati Uniti come potenza egemonica dell'economia mondiale capitalistica, che domina e caratterizza il quadro di questo intero periodo. Nella nostra analisi, il sistema economico e sociale degli Stati Uniti incarna così il Capitaliniano poiché nessun'altra nazione ha svolto un ruolo storico tanto grande nella promozione della «povertà di potere» rappresentata dal capitale fossile. [42]

All'inizio di quello che chiamiamo il Capitaliniano, il monopolio capitalistico globale, radicato negli Stati Uniti, è entrato in un periodo di massiccia espansione, alimentato dalla ricostruzione dell'Europa e del Giappone, dalla rivoluzione petrolchimica, dalla crescita del complesso automobilistico, dalla suburbanizzazione, dalla creazione di nuovi beni di consumo domestici, da militarizzazione e tecnologie militari, da incentivi alla produzione e dalla crescita del commercio internazionale. Con l'incessante ricerca del profitto che stimola l'accumulazione di capitale, la produzione e le risorse materiali a sostegno delle attività economiche si sono notevolmente ampliate, imponendo maggiori richieste agli ecosistemi e generando più inquinamento. [43]

Dal momento che la plastica e altri materiali sintetici associati all'espansione dell'industria petrolchimica divennero parte delle attività industriali, della produzione agricola e delle merci di uso quotidiano, emersero inevitabilmente nuovi problemi ecologici. Come Commoner ha spiegato in Il cerchio da chiudere, «l'introduzione artificiale di un composto organico che non è dato in natura, ma è artificiale ed è comunque presente in un sistema vivente, è molto probabilmente dannoso». [44] Tali materiali non si decompongono o scompaiono facilmente in un arco di tempo significativo dal punto di vista umano e finiscono così per accumularsi, presentando una minaccia crescente per gli ecosistemi e gli esseri viventi. I pesticidi e le plastiche che hanno queste caratteristiche sono quindi una violazione delle leggi informali dell'ecologia.

Date le attività del capitalismo monopolistico e il suo apparato tecnologico, lo sviluppo in gran parte incontrollato di materiali sintetici si traduce in una situazione particolarmente pericolosa, spesso chiamata «la società del rischio». [45] Secondo le parole di Peter Haff, professore di ingegneria ambientale alla Duke University, una tecnostruttura capitalista «è emersa senza possedere alcun meccanismo globale di regolazione metabolica. La regolazione metabolica introduce la possibilità di una nuova scala temporale nella dinamica del sistema, una durata di vita, il tempo durante il quale il sistema esiste in uno stato metabolico stabile. Ma senza un tempo di vita intrinseco, cioè senza valori di riferimento imposti per l'uso di energia», questo sistema «agisce solo nella contingenza, senza riguardo per il futuro più lontano, necessariamente orientato verso l'aumento del consumo di energia e materiali», correndo in avanti «senza molta preoccupazione per la propria longevità», tanto meno per la continuità di ciò che è esterno ad esso. [46]

Il metabolismo sociale incontrollabile e alienato del capitalismo monopolistico globale, che coincide con l'introduzione di radionuclidi da test nucleari, la proliferazione di plastiche e sostanze petrolchimiche, e le emissioni di carbonio del capitale fossile, insieme ad innumerevoli altri problemi ecologici derivanti dal superamento delle soglie critiche, si manifesta nel Capitaliniano ed è associato all'attuale crisi planetaria. L'inarrestabile spinta del capitalismo ad accumulare capitale è la sua caratteristica distintiva che procura necessariamente spaccature antropogeniche e distruzione ecologica, in quanto mina sistematicamente le condizioni generali della vita.

Oggi, il momento della verità incombe. Attualmente ci troviamo all'interno di un "Great Climacteric" - identificato per la prima volta negli anni '80 dai geografi Ian Burton e Robert Kates - un lungo periodo di crisi e transizione in cui la società umana o genererà una relazione stabile con il Sistema Terra oppure sperimenterà un collasso di civiltà, come parte di una grande estinzione della vita sulla terra, o sesta estinzione di massa. [47]

Il futuro della civiltà, nel senso più ampio del termine, esige che l'umanità si impegni collettivamente in una rivoluzione ecologica e sociale, trasformando radicalmente le relazioni produttive, al fine di forgiare un percorso verso uno sviluppo umano sostenibile. Ciò comporta la regolazione del metabolismo sociale tra l'umanità e la terra, assicurando che essa operi entro determinati limiti planetari ossia nel quadro del metabolismo universale della natura. In questi termini, c'è una necessità storica oggettiva per quella che chiamiamo la potenziale seconda età geologica dell'Antropocene: il Comuniano.


L'alba di un'altra età: il Comuniano

In un poderoso sforzo intellettuale, nel decennio conclusivo dell’esperienza sovietica, climatologi, geografi, filosofi, e altri studiosi sovietici si sono riuniti per descrivere la crisi ecologica globale come una crisi di civiltà che richiede una nuova civiltà ecologica, radicata nei primcipi del materialismo storico. [48] Questo punto di vista è stato immediatamente ripreso dagli ambientalisti cinesi ed è stato ulteriormente sviluppato e applicato in Cina oggi. [49] Se l'umanità deve sopravvivere, l'odierna civiltà capitalistica votata alla ricerca sfrenata del profitto come proprio fine, che si traduce in una frattura antropogenica nel sistema terrestre, deve necessariamente cedere il passo ad una civiltà ecologica radicata nei valori di uso comunitari. Questo è il vero significato dell'odierna «crisi esistenziale» planetaria a cui di continuo ci si riferisce. [50]

In questo "Great Climacteric", non solo è essenziale porre fine alle tendenze distruttive che stanno rovinando la terra come casa sicura per l'umanità, ma è altresì vitale progettare un'effettiva «inversione» di queste tendenze. [51] Per esempio, la concentrazione di carbonio nell'atmosfera si sta avvicinando a 420 parti per milione (ppm), con un picco raggiunto nel maggio 2021 di 419 ppm, e si sta dirigendo rapidamente verso le 450 ppm, il che comprometterebbe il bilancio planetario del carbonio. La scienza ci dice che, se vogliamo evitare la catastrofe climatica globale, sarà necessario tornare alle 350 ppm e stabilizzare l'anidride carbonica atmosferica a quel livello. [52] Questo, di per sé, può essere visto come sinonimo della necessità di una nuova civiltà ecologica e della generazione antropogenica di una nuova era comunitaria all'interno dell'Antropocene. Ovviamente, questa transizione ecorivoluzionaria non può avvenire attraverso la ricerca sfrenata volta ai fini all’accumulazione, sulla base dell'ingenua convinzione che questo porterà automaticamente a un bene maggiore, a volte chiamato "Adam’s Fallacy", per citare un economista classico come Adam Smith. [53] Piuttosto, la necessaria inversione delle tendenze esistenti e la stabilizzazione del rapporto umano con la terra in accordo con un percorso di sviluppo umano sostenibile possono avvenire solo attraverso una pianificazione sociale, economica ed ecologica, fondata su un nuovo sistema di riproduzione metabolica sociale. [54]

Per creare una tale civiltà ecologica nel mondo contemporaneo sarebbe necessario un impulso radicale (nel senso proprio di radice) proveniente dalla base della società, al di fuori degli interessi acquisiti. [55] Questo capovolgimento dei rapporti sociali di produzione dominanti richiede una lunga rivoluzione che scaturisca da un movimento di massa dell'umanità. Le realtà odierne stanno quindi dando vita ad un nascente proletariato ambientalista, caratterizzato dalla sua lotta contro condizioni ambientali ed economiche oppressive e diretto verso un percorso rivoluzionario di sviluppo umano sostenibile. In questo senso, ampi movimenti ambientalisti-proletari sono già evidenti ai nostri giorni: dal Movimento dei Senza Terra (MST) in Brasile, al movimento internazionale dei contadini La Vía Campesina, alle comuni bolivariane in Venezuela, al movimento degli agricoltori in India, alle lotte del People’s Green New Deal, per la giustizia ambientale e una giusta transizione nei paesi sviluppati, al Red Deal of the North American First Nations. [56]

L'avvento del Comuniano, o l'età geologica dell'Antropocene successiva al Capitaliniano, salvo un evento di estinzione di fine Antropocene, richiede una rivoluzione ecologica, sociale e culturale; una rivoluzione rivolta alla creazione di relazioni collettive all'interno dell'umanità nel suo complesso come base per una più ampia comunità con la terra. Richiede quindi una società orientata sia all'uguaglianza sostanziale che alla sostenibilità ecologica. Le condizioni di questo nuovo rapporto con la terra sono state eloquentemente espresse da Marx che, scrivendo nel diciannovesimo secolo, ha espresso quella che è forse la concezione più radicale di sostenibilità mai sviluppata: »Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive [buoni capifamiglia]». [57] Secondo l’antica visione del materialista greco Epicuro, il mondo «è il mio amico». [58]
La ricostituzione rivoluzionaria del rapporto umano con la terra qui prevista non è da scartare come una mera concezione utopistica, ma piuttosto riguarda la prospettiva di una lotta storica che nasce da una necessità oggettiva (e soggettiva) legata alla sopravvivenza umana. Nelle parole poetiche di Phil Ochs, il grande cantautore di protesta radicale, nella sua canzone Another Age:
I soldati hanno il loro dolore
I miserabili hanno la loro rabbia
Prega per gli anziani
È l'alba di un'altra età. [59]

Nel XXI secolo, sarà essenziale per la grande massa dell'umanità, "i dannati della terra", riaffermare, ad un livello più alto, le sue relazioni comunitarie con la terra: l'alba di un'altra epoca. [60]

 

Note

* Qui, Bellamy Foster usa il termine climacteric per riferirsi alla necessaria transizione sociale epocale riferita all’attuale emergenza planetaria. Vedi: John Bellamy Foster, “The Great Capitalist ClimactericMonthly Review 67, no. 6 (November 2015).

[1] John R. McNeill and Peter Engelke, The Great Acceleration: The Environmental History of the Anthropocene Since 1945 (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2014); Ian Angus, Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra (Trieste: Asterios, 2020), 57–78; Donald Worster, Nature’s Economy (New York: Cambridge University Press, 1994).

[2] Un classico a questo riguardo è Paul A. Baran e Paul M. Sweezy, Il capitale monopolistico. Saggio sulla struttura economica e sociale americana (Torino: Einaudi, 1974).

[3] Barry Commoner, Il cerchio da chiudere. La natura, l'uomo e la tecnologia (Milano: Garzanti, 1972); John Bellamy Foster, The Vulnerable Planet: A Short Economic History of the Environment (New York: Monthly Review Press, 1994), 112–18; Rachel Carson, Primavera silenziosa (Milano: Feltrinelli, 1963); Murray Bookchin, Our Synthetic Environment (New York: Harper Colophon, 1974); Joel B. Hagen, An Entangled Bank (New Brunswick: Rutgers University Press, 1992), 100–21; Robert Rudd, Pesticides and the Living Landscape (Madison: University of Wisconsin, 1964).

[4] Johan Rockström et al., “A Safe Operating Space for Humanity,” Nature 461, no. 24 (2009): 472–75; Will Steffen et al., “Planetary Boundaries,” Science 347, no. 6223 (2015): 736–46; John Bellamy Foster, Brett Clark, and Richard York, The Ecological Rift (New York: Monthly Review Press, 2010): 13–19; Giovanni Strona and Corey J. A. Bradshaw, “Co-extinctions Annihilate Planetary Life During Extreme Environmental Change,” Scientific Reports 8, no. 16274 (2018); James Hansen, Storms of My Grandchildren (New York: Bloomsbury, 2009), ix, 224–26.

[5] V. Shantser, “Anthropogenic System (Period),” in Great Soviet Encyclopedia, vol. 2 (New York: Macmillan, 1973), 140; Alec Brookes and Elena Fratto, “Toward a Russian Literature of the Anthropocene,” Russian Literature 114–115 (2020): 8. Vedi anche Anonymous (probabilmente scritto da E. V. Shantser), “Anthropogenic Factors of the Environment,” in Great Soviet Encyclopedia, vol. 2, 139.

[6] John Bellamy Foster, “Late Soviet Ecology and the Planetary CrisisMonthly Review 67, no. 2 (June 2015): 1–20.

[7] Vladimir I. Vernadsky, La biosfera e la noosfera (Palermo: Sellerio, 1999).

[8] Vladimir I. Vernadsky, “Some Words About the Noösphere,” in 150 Years of Vernadsky, vol. 2, The Noösphere, ed. John Ross (Washington DC: 21st Century Science Associates, 2014), 82. (Vernadsky in questo caso intendeva chiaramente il periodo geocronologico, piuttosto che l'era.) Vedi anche Jan Zalasiewicz, Colin N. Waters, Mark Williams, Colin P. Summerhayes, Martin J. Head, and Reinhold Leinfelder, “A General Introduction to the Anthropocene,” in The Anthropocene as a Geological Time Unit, ed. Jan Zalasiewicz, Colin N. Waters, Mark Williams, and Colin P. Summerhayes (Cambridge: Cambridge University Press, 2019), 6.

[9] Will Steffen, “Commentary,” in The Future of Nature: Documents of Global Change, ed. Libby Robin, Sverker Sörlin, and Paul Warde (New Haven: Yale University Press, 2013), 486; Paul J. Crutzen, “The Geology of Mankind,” Nature 415 (2002): 23; Angus, Anthropocene, 57–58. Il biologo marino Eugene Stoermer ha utilizzato il termine Anthropocene numerose volte negli anni ‘80 per riferirsi in diversi articoli al crescente impatto umano sul pianeta. Ma diiversamente da Pavlov al principio del XX sec. (e del suo influsso su Vernadsky), come Crutzen al principio del XXI che ha lanciato l’indagine sull’Anthropocene, l’uso del termine da parte di Stoermer non ha avuto un impatto nel dibattito geologico sul sistema Terra. vedi Andrew C. Revkin, “Confronting the Anthropocene,” New York Times, May 11, 2011; Angus, Anthropocene, 57.

[10] Will Steffen et al., “Stratigraphic and Earth System Approaches to Defining the Anthropocene,” Earth’s Future 4 (2016): 324–45.

[11] Will Steffen, Paul J. Crutzen, and John R. McNeill, “Are Humans Now Overwhelming the Great Forces of Nature?” Ambio 36, no. 8 (2007): 614; Angus, Facing the Anthropocene, 28–29.

[12] Foster, The Vulnerable Planet, 108.

[13] Clive Hamilton and Jacques Grinevald, “Was the Anthropocene Anticipated,” Anthropocene Review (2015): 6–7. La nozione di frattura antropogenica è strettamente connessa a quella di frattura carbonica sviluppata dalla sociologia ambientale sulla scorta della nozione marxiana di frattura metabolica nella relazione fra produzione e ambiente. vedi Foster, Clark, and York, The Ecological Rift, 121–50.

[14] Ian Angus, A Redder Shade of Green: Intersections of Science and Socialism (New York: Monthly Review Press, 2017), 70–71. Come spiega Angus: “Antropocene designa un’epoca planetaria che non sarebbe sorta senza il concorso dell’attività umana, non una prodotta dall’attività di ogni singolo uomo”.

[15] P. Snow, The Two Cultures (Cambridge: Cambridge University Press, 1998).

[16] Jason W. Moore, “Who Is Responsible for the Climate Crisis?Maize, November 4, 2019. Per uno sguardo critico vedi Angus, A Redder Shade of Green, 67–85.

[17] Andreas Malm, Fossil Capital: The Rise of Steam Power and the Roots of Global Warming (London: Verso, 2016), 391. Malm stesso ha coniato il termine Capitalocene nel 2009. Vedi Jason W. Moore, Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell'era della crisi planetaria, (Verona: ombre corte, 2017), 29.

[18] Ian Burton and Robert W. Kates, “The Great Climacteric, 1798–2048: The Transition to a Just and Sustainable Human Environment,” in Geography, Resources and Environment, vol. 2, ed. Robert W. Kates and Ian Burton (Chicago: University of Chicago Press, 1986), 393; John Bellamy Foster, “The Great Capitalist Climacteric” 1–18.

[19] Ray Lankester, The Kingdom of Man (New York: Henry Holt, 1911), 31–32.

[20] Mike Walker et al., “Formal Ratification of the Subdivision of the Holocene Series/Epoch (Quaternary System/Period): Two New Global Boundary Stratotype Sections and Points (GSSPS) and Three New Stages/Subseries,” Episodes 41, no. 4 (2018): 213.

[21] Walker et al., “Formal Ratification,” 214.

[22]Collapse of Civilizations Worldwide Defines Youngest Unit of the Geologic Time Scale” International Commission on Stratigraphy, July 15, 2018.

[23] Paul Voosen, “Massive Drought or Myth? Scientists Spar Over an Ancient Climate Event Behind Our New Geological AgeScience, August 8, 2018.

[24] Guy D. Middleton, “Bang or Whimper?: The Evidence for Collapse of Human Civilizations at the Start of the Recently Defined Meghalayan Age Is Equivocal,” Science 361, no. 6408 (2018): 1204–5.

[25] Michael Walker presidente del gruppo di lavoro geologico che ha introdotto la divisione dell’Olocene in ere, insiste sul fatto che designare un’epoca come Meghalayana non compromette affatto l’inizio dell’Antropocene a partire dagli anni '50. Semplicemente sottrarrebbe una settantina di anni al Meghalayano “You’re Living in a New Geologic Age, the Meghalayan,” CBC News, July 23, 2018.

[26] Jan Zalasiewicz et al., “Making the Case for a Formal Anthropocene Epoch,” Newsletters on Stratigraphy 50, no. 2 (2017): 210.

[27] Colin N. Waters et al., “The Anthropocene Is Functionally and Stratigraphically Distinct from the Holocene,” Science 351, no. 6269 (2016): 137–47; Colin N. Waters, Irka Hajdas, Catherine Jeandel, and Jan Zalasiewicz, “Artificial Radionuclide Fallout Signals,” in The Anthropocene as a Geological Time Unit, 192–99; Reinhold Leinfelder and Juliana Assunção Ivar do Sul, “The Stratigraphy of Plastics and Their Preservation in Geological Records,” in The Anthropocene as a Geological Time Unit, 147–55. Il pensatore più importante che ha espresso il concetto di età della sintesi è Barry Commoner. Vedi Commoner, Il cerchio da chiudere; Barry Commoner, The Poverty of Power (New York: Alfred A. Knopf, 1976); Barry Commoner, Far pace col pianeta (Milano: Garzanti, 1990); Foster, The Vulnerable Planet, 108–24.

[28] Zalasiewicz et al., “Making the Case for a Formal Anthropocene Epoch,” 212–13.

[29] Sull'importanza dell'anno 1945 come cambiamento della relazione umana con la terra, vedi Commoner, Il cerchio da chiudere, 55–56; Paul M. Sweezy and Harry Magdoff, “Capitalism and the Environment,” Monthly Review 41, no. 2 (June 1989): 3.

[30] John Bellamy Foster, The Return of Nature (New York: Monthly Review Press, 2020), 502–3; Richard Hudson and Ben Shahn, Kuboyama and the Saga of the Lucky Dragon (New York: Yoseloff, 1965); Ralph E. Lapp, The Voyage of the Lucky Dragon (London: Penguin, 1957).

[31] Zalasiewicz et al., “Making the Case for a Formal Anthropocene Epoch,” 211; Waters et al. “Artificial Radionuclide Fallout,” 192–99; Jan Zalasiewicz et al., “When Did the Anthropocene Begin?,” Quaternary International 383 (2014): 196–203; “A New Geological Epoch, the Anthropocene, Has Begun, Scientists Say,” CBC News, January 7, 2016.

[32] Stephen Jay Gould, Otto piccoli porcellini (Milano: Bompiani, 1994), 71; John Bellamy Foster, Ecology Against Capitalism (New York: Monthly Review Press, 1992), 70–72.

[33] Stephen Schneider, “Whatever Happened to Nuclear Winter?,” Climatic Change 12 (1988): 215; Richard P. Turco and Carl Sagan, A Path Where No Man Thought: Nuclear Winter and the End of the Arms Race (New York: Random House, 1990), 24–27; R. P. Turco and G. S. Golitsyn, “Global Effects of Nuclear War,” Environment 30, no. 5 (1988): 8–16.” Il concetto di inverno nucleare portò ad ampie discussioni sugli effettivi effetti indiretti di uno scambio termonucleare globale; il consenso scientifico che emerse, come indicato da Schneider, fu "che gli effetti indiretti ambientali e sociali di una guerra nucleare sono ... probabilmente più minacciosi per la terra nel suo insieme rispetto alle esplosioni dirette o alla radioattività nelle zone bersaglio". Schneider, “Whatever Happened to Nuclear Winter?,” 217.

[34] Commoner, il cerchio da chiudere, 51–59.

[35] Harry Braverman, Lavoro e capitale monopolistico. La degradazione del lavoro nel XX secolo (Torino: Einaudi, 1980), 107–15; Angus, Anthropocene, 206–207; John Bellamy Foster and Brett Clark, The Robbery of Nature (New York: Monthly Review Press, 2000), 247–58.

[36] Roland Geyer, Jenna R. Jambeck, and Kara Lavender Law, “Production, Use, and Fate of All Plastics Ever Made,” Science Advances 3, no. 7 (2017).

[37] Zalasiewicz et al., “Making the Case for a Formal Anthropocene Epoch,” 212–13.

[38] Geyer, Jambeck, and Law, “Production, Use, and Fate of All Plastics Ever Made,” 1, 3.

[39] Zalasiewicz, et al., “The Geological Cycle of Plastics and Their Use as a Stratigraphic Indicator of the Anthropocene,” Anthropocene 13 (2016): 4–17; Waters et al., “The Anthropocene Is Functionally and Stratigraphically Distinct from the Holocene”; Leinfelder and Ivar do Sul, “The Stratigraphy of Plastics and Their Preservation in Geological Records”; Juliana Assunção Ivar do Sul and Monica F. Costa, “The Present and Future of Microplastic Pollution in the Marine Environment,” Environmental Pollution 185 (2014): 352–64.

[40] Tamara S. Galloway, Matthew Cole, and Ceri Lewis, “Interactions of Microplastic Debris throughout the Marine Ecosystem,” Nature Ecology & Evolution 1 (2017); Susan Casey, “Plastic Ocean,” in The Best American Science and Nature Writing 2007, ed. Mary Roach (New York: Houghton Mifflin, 2007), 9–20.

[41] Geyer, Jambeck, and Law, “Production, Use, and Fate of All Plastics Ever Made,” 3.

[42] Carson, Primavera silenziosa; Commoner, Il cerchio da chiudere; Commoner, The Poverty of Power; John Bellamy Foster and Brett Clark, “Rachel Carson’s Ecological CritiqueMonthly Review 59, no. 9 (2008): 1–17.

[43] Baran and Sweezy, Il capitale monopolistico; Foster, Clark, and York, The Ecological Rift.

[44] Commoner, Il cerchio da chiudere, 46.

[45] Ulrich Beck, La società del rischio (Roma: Carocci, 2013).

[46] Peter Haff, “The Technosphere and Its Relation to the Anthropocene,” in The Anthropocene as a Geological Time Unit, 143.

[47] Burton and Kates, “The Great Climacteric, 1798–2048,” in Geography, Resources and Environment, vol. 2, 393; Foster, “The Great Capitalist Climacteric”; Richard E. Leaky and Roger Lewin, The Sixth Extinction: Patterns of Life and the Future of Humankind (New York: Anchor, 1996).

[48] Vedi A. D. Ursul, ed., Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation (Moscow: Progress Publishers, 1983). Dopo la pubblicazione del 1983 di Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation, il vicepresidente dell'Accademia delle scienze dell'URSS, P.N. Fedoseev (anche Fedoseyev), che aveva scritto il saggio introduttivo sull'ecologia e il problema della civiltà nel libro sopra edito, incorporò una trattazione di “Civiltà ecologica” nella seconda edizione del suo Comunismo scientifico. L'agronomo cinese Ye Qianji ha usato il termine in un articolo che ha scritto per The Journal of Moscow University nel 1984, che è stato tradotto in cinese nel 1985. Vedi P. N. Fedoseyev (Fedoseev), Soviet Communism (Moscow: Progress Publishers, 1986); Qingzhi Huan, “Socialist Eco-Civilization and Social-Ecological Transformation,” Capitalism Nature Socialism 27 no. 2 (2016): 52; Jiahua Pan, China’s Environmental Governing and Ecological Civilization (Berlin: Springer-Verlag, 2014), 35; Aran Gare, “Barbarity, Civilization, and Decadence: Meeting the Challenge of Creating an Ecological Civilization,” Chromatikon 5 (2009): 167.

[49] Sulla Cina e la civiltà ecologica, vedi Pan, China’s Environmental Governing and Ecological Civilization; John B. Cobb Jr. (in conversation with Andre Vitchek), China and Ecological Civilization (Jakarta: Badak Merah, 2019); Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3 (Beijing: Foreign Languages Press, 2020), 6, 20, 25, 417–24.

[50] “Interview — Greta Thunberg Demands ‘Crisis’ Response to Climate Change,” Reuters, July 18, 2020.

[51] Sweezy, “Capitalism and the Environment,” 6.

[52] “Carbon Dioxide Peaks Near 40 Parts Per million at Mauna Loa Observatory,” NOAA Research News, July 7, 2021; James Hansen et al., “Target Atmospheric CO2: Where Should Humanity Aim?,” Open Atmospheric Science Journal 2 (2008): 217–31.

[53] Duncan Foley, Adam’s Fallacy (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2006).

[54] István Mészáros, Beyond Capital (London: Merlin, 1995); John Bellamy Foster, “The Earth-System Crisis and Ecological Civilization,” International Critical Thought 7, no. 4 (2017): 439–58; Foster, Clark, and York, The Ecological Rift, 401–22; Foster and Clark, The Robbery of Nature, 269–87; Fred Magdoff, “Ecological Civilization,” Monthly Review 62, no. 8 (2011): 1–25.

[55] Il semplice cambiamento tecnologico è insufficiente per effettuare la necessaria trasformazione ecologica e sociale poiché la tecnologia stessa è vincolata dalle relazioni sociali sottostanti. Nel suo saggio "Determinismo tecnologico rivisitato", l'economista Robert Heilbroner ha indicato che l'ideologia dell'economia moderna tende a concentrarsi sulla "connessione triadica del determinismo tecnologico, del determinismo economico e del capitalismo". Tuttavia, si può sostenere che questa connessione triadica, nella misura in cui esiste nella realtà, limita la razionalità tecnologica o produttiva, spingendola spesso in direzioni irrazionali, poiché il capitalismo come sistema promuove l'accumulazione "ignorando tutti gli effetti delle variazioni ambientali [e infatti tutti gli effetti sul cambiamento dell'ambiente naturale] tranne quelli che influenzano le nostre possibilità di massimizzazione” del profitto. Robert Heilbroner, “Do Machines Make History?,” in Does Technology Drive History?, ed. Merritt Roe Smith and Leo Marx (Cambridge, MA: MIT Press, 1994), 72–73.

[56]Science for the People Statement on the People’s Green New Deal,” Science for the People, accessed July 23, 2021; Nick Estes, Our History Is the Future (London: Verso, 2019); Red Nation, The Red Deal (Brooklyn: Common Notions, 2021); Max Ajl, A People’s Green New Deal (London: Pluto, 2021).

[57] Karl Max, Il Capitale, vol. 3, Editori Riuniti, Roma, 1980, pp. 886, 887.

[58] Karl Marx, Frederick Engels, Opere complete, vol. 5, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 131; Epicurus, The Epicurus Reader (Indianapolis: Hackett Publishing Co., 1994), 3–4.

[59] Phil Ochs, “Another Age,” Rehearsals for Retirement, 1969. Per ascoltare la canzone CLICCA QUI

[60] Frantz Fanon, I dannati della terra (Torino: Einaudi, 2007).



John Bellamy Foster e Brett Clark

Fonte: Monthly Review vol.73 n. 4 ( 01.09.2021)

Traduzione di Alessandro Perduca - Antropocene.org


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