A cosa servono l’Ispra e i suoi pregevoli rapporti annuali, giunti alla ottava edizione, intitolati saggiamente e scientificamente: “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”?
Nel 1984 Antonio Cederna pubblicava sull’Espresso un articolo dal titolo “Mattone selvaggio” dove stigmatizzava quella che definiva una “distorsione mentale” secondo la quale nel diritto di proprietà è compreso il “diritto di edificare” (e, nell’epoca della catastrofe climatica in corso, il diritto di “tagliare gli alberi”) e il territorio un res nullius, una “cosa di nessuno”, come se il suolo naturale e agricolo fossero delle risorse rinnovabili infinite. Cederna denunciava la presenza di un diffuso “abusivismo edilizio virale” nel sud Italia, un vettore elettoralistico-clientelare che faceva tabula rasa delle ricchezze paesaggistiche nazionali, seguito a ruota dall’italico e incivile fatidico “condono edilizio”. La denuncia di Antonio Cederna risale a 37 anni fa e gli otto rapporti annuali dell’Ispra sul consumo di suolo purtroppo ci confermano che non è cambiato nulla nella cultura popolare e amministrativa del bel paese. Ma forse, in peggio, qualcosa è cambiato nella prassi amministrativa del “governo del territorio”, attraverso una specie di metamorfosi antropologica e politica che ha partorito una sorta di “abusivismo edilizio istituzionale”.
In cosa consiste questo “abusivismo edilizio 4.0”? Consiste nel “non legiferare” a livello nazionale uno stop a nuovo consumo di suolo, rinunciando così a cogliere le indicazioni tecnico-scientifiche-climatiche degli annuali rapporti dell’Ispra o nel “legiferare con leggi regionali ossimoro” sul consumo di suolo, vanificando i principi e gli obiettivi dell’azzeramento del consumo di suolo attraverso una mole impressionante di deroghe.
L’Ispra ricorda agli amministratori pubblici che se la velocità di copertura artificiale rimane quella attuale di 2 mq al secondo, si può stimare il nuovo consumo di suolo in 1.552 km2 tra il 2020 e il 2050, con una devastante serie di danni trasversali, ecologici ed economici. Il rapporto Ispra 2021 stima come "dal 2012 al 2021 il suolo consumato non abbia potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155.000 quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori), lo stoccaggio di quasi 3 milioni di tonnellate di carbonio".
Date le conseguenze ecologiche, climatiche, economiche, paesaggistiche e sanitarie, non è un “abuso istituzionale” di chi governa il territorio “non fermare” o “far finta di fermare il consumo di suolo”? Non è un “abuso istituzionale” aver consentito con leggi regionali e delibere regionali e comunali il consumo di 1037 ettari in aree vincolate per la tutela paesaggistica, 1284 ettari entro i 10 km dal mare, 767 ettari in aree a pericolosità idraulica media, 286 ettari in aree a pericolosità da frana, 1852 ettari in aree a pericolosità sismica (Ispra 2021)? Non è una forma di “abusivismo delle istituzioni” perpetuare il processo di artificializzazione dell’ambiente privando i cittadini del “diritto collettivo” ai servizi ecosistemici del suolo naturale, essenziali per la vita biologica sul pianeta? E tale abuso praticato da amministratori, sia di destra che di sinistra, non si configura come una violazione della nostra Costituzione, agli articoli 9 (sulla tutela del paesaggio e dell’ambiente) e agli articoli 41 e 42 (sull’utilità sociale dell’iniziativa economica e sulla funzione sociale della proprietà privata)?
Questa uniformità di pensiero che vede accomunata tutta la partitocrazia, sia di destra che di sinistra, si fonda su un concetto “consociativamente condiviso”: le attività economiche legate al consumo di suolo creano occupazione, consenso elettorale, visibilità. Non c’è il coraggio morale e politico di posare uno “sguardo” ed avere un “linguaggio” diversi sull’emergenza ambientale tutta italiana del consumo di suolo. Si assiste alla rimozione politica pluripartitica dei dati statistici sull’entità di infrastrutture stradali che determinano percentuali significative del consumo di suolo, o dei dati statistici dell’Istat che quantifica in 7 milioni gli immobili inutilizzati o sfitti, in 700.000 i capannoni dismessi, in 500.000 i negozi chiusi. Si rinuncia a priori, pigramente e codardamente, a cercare di creare occupazione, lavoro, benessere, attraverso la manutenzione di grandi e piccole infrastrutture, il restauro architettonico del costruito e in disuso, l’adattamento funzionale del costruito abitativo e infrastrutturale, la difesa idraulico-climatica, la forestazione urbana.
Le conseguenze ecologiche nefaste del consumo di suolo e delle risorse naturali, svincolato dal suo legame con la natura, con la terra, con il pianeta, con il clima, non vengono percepite dagli amministratori e, di conseguenza, dagli stessi cittadini. Assecondare gli interessi legati alla costruzione di grandi opere, strade, residenze, capannoni, centri commerciali, poli logistici, in un clima di conflitto d’interesse latente, sia nella sfera pubblica, sia nella sfera privata, con tutto il loro indotto economico e occupazionale, crea visibilità elettorale, contiguità e collateralità con mezzi di disinformazione servili e diventa un formidabile volano elettorale di consenso.
Il consumo di suolo è diventato una “macchina industriale” di consenso elettorale. Il governo nazionale ha stanziato 1 miliardo per nuove infrastrutture in vista delle Olimpiadi Invernali del 2026 e la Regione Veneto ringrazia per un possibile aiutino alla costruzione della SPV (Superstrada Pedemontana Veneta), dopo aver dato la sacrilega disponibilità ad ospitare eventi panem et circenses sulle Dolomiti, Patrimonio Naturale dell'Umanità. Un “pensiero unico antropocentrico” e “climalterante” che si fa cultura, costume, non osservanza del limite ecologico, prassi amministrativa e urbanistica senza regole e accomodante, stili di vita consumistici di beni e risorse naturali, ricerca del benessere, delle comodità.
Alla maggioranza dei cittadini veneti non interessano gli 800 ettari (per ora) di campagna veneta perduti per la costruzione della SPV perché sono dentro la bolla anestetizzante della narrazione leghista: sono più interessati e bramosi di poter percorrere a 130 km/h la Montecchio-Spresiano.
Dante Schiavon - Collaboratore della Redazione di Antropocene.org
Commenti