Fonte: Socialist Review -  12.01.2021

Il Covid e il cambiamento climatico non sono aberrazioni: sono aspetti della permanente crisi globale del sistema.

“La fine è vicina. L’esecuzione efficace dei test potrà migliorare le distanze sociali fino all'arrivo dei vaccini […] Avere diversi vaccini altamente efficaci per questo orribile virus dopo meno di un anno è un risultato abbastanza sorprendente, tra le cose più grandi che noi abbiamo - con noi intendo sia l'umanità in generale che i biologi molecolari in particolare - mai realizzato.”

Così scriveva Rupert Beale del Francis Crick Institut nella London Review of Books all'inizio del mese scorso. Ma prima di iniziare a festeggiare, dovremmo ricordare che un anno fa la possibilità che il mondo potesse essere travolto da una pandemia che avrebbe ucciso milioni di persone e innescato la peggiore crisi economica dagli anni '30 era al di là dell'immaginazione di quasi tutti noi.

Beale conclude il suo articolo con un avvertimento: “Siamo stati abili, ma anche fortunati. Sviluppare un vaccino Sars-CoV-2 è risultato relativamente facile. Il virus che causerà la prossima pandemia potrebbe non essere così indulgente.” La recente rapida diffusione delle infezioni grazie all'emergere di un nuovo ceppo di Covid-19 è un cupo avvertimento dei limiti della nostra capacità di comprendere, e tanto meno di controllare la natura.

Quindi ora dovremmo saperne di più. Molti di noi hanno letto pionieri marxisti come Mike Davis e Rob Wallace che per anni avvertivano che la distruzione della natura da parte del capitalismo stava creando le condizioni per pandemie come il Covid-19. Forse questa pandemia non era prevedibile, ma lo era certamente il fatto che ci sarebbero state delle pandemie (al plurale) paragonabili alla terribile epidemia  influenzale del 1918-19, la quale uccise tra i 50 ei 100 milioni di persone.

L'esperto di storia mondiale W.H. McNeill ha scritto nel suo classico Plagues and Peoples (1976) [1]: “è sempre possibile che qualche organismo parassita finora sconosciuto possa sfuggire dalla sua nicchia ecologica abituale ed esporre le dense popolazioni umane - che oramai sono una così evidente caratteristica della terra - a una massiccia e devastante mortalità.” Come aveva già inteso McNeill, la relazione tra gli esseri umani e i loro microparassiti - virus e batteri - non è stabile. L'era neoliberista ha visto il capitalismo industrializzare l'agricoltura su scala mondiale e invadere gli spazi selvaggi sopravvissuti. Ora iniziamo a vederne i risultati.

La catastrofe non sta più diventando eccezionale, bensì normale. Questa constatazione sta penetrando i processi di pianificazione dominante. La Brookings Institution, una roccaforte intellettuale del Partito Democratico degli Stati Uniti, ha pubblicato un invito all'amministrazione entrante di Joe Biden affinché istituisca una commissione sul Covid-19 paragonabile alle indagini sull'assassinio di Kennedy e sugli attacchi dell'11 settembre.

L'autrice e membro della commissione Elaine Kamarck, afferma che questo gruppo di esperti non si limiterà a tenere conto del fattore Donald Trump, ma affronterà "come dovremmo prepararci per eventi ad alta intensità e bassa probabilità". Si suppone che questi cosiddetti eventi da "cigno nero" siano rari e imprevedibili, visto che non rientrano nel normale schema degli eventi, e che tuttavia abbiano un impatto fortemente devastante. Ma “sembrano essere sempre più diffusi nel 21° secolo.” Per esempio, “il cambiamento climatico renderà le catastrofi naturali più frequenti e più mortali.”

Questa non è semplicemente una sfida intellettuale e politica per le classi dirigenti dell’intero mondo. Mette pure sotto pressione il marxismo. Ciò non significa che non abbiamo categorie per pensare alla catastrofe. In effetti, sono state classicamente formulate da Rosa Luxemburg nel suo Opuscolo Junius (1916) contro la prima guerra mondiale:

“Ci troviamo oggi, come profetizzò Friedrich Engels più di una generazione fa, davanti all'orribile proposta: o il trionfo dell'imperialismo e la distruzione dell’intera cultura, e, come nell'antica Roma, lo spopolamento, la desolazione, la degenerazione, un vasto cimitero; oppure, la vittoria del socialismo, cioè la lotta cosciente del proletariato internazionale contro l'imperialismo, contro i suoi metodi, contro la guerra.”

In altre parole, socialismo o barbarie. E infatti, Eric Hobsbawm ha definito il periodo tra il 1914 e il 1945 "l'età della catastrofe"— le due guerre mondiali, la Grande Depressione, le vittorie del fascismo e del nazionalsocialismo, il trionfo dello stalinismo, l'Olocausto. La Luxemburg aveva un senso quasi viscerale della profondità di questa catena di disastri, di cui fu vittima precoce, assassinata da una milizia paramilitare nel gennaio 1919.

Ma dopo il 1945, protetto e sorvegliato dagli Stati Uniti, il capitalismo avanzato si è ricostruito sia nell'Europa occidentale che in Giappone e l'economia mondiale ha conosciuto il suo più grande boom. La classe operaia del ricco nord non ha smesso di combattere e per un quarto di secolo ha conosciuto la piena occupazione e uno stato sociale in espansione. La catastrofe è stata scongiurata in Occidente — sebbene in Corea all'inizio degli anni '50, in Indonesia a metà degli anni '60 e in Indocina fino alla fine degli anni '70, rimase una terribile realtà.

Gli anni '70 segnarono l'inizio di una nuova era di cicli economici recessivi che Michael Roberts chiama “la lunga depressione”. La risposta della classe dominante fu il neoliberismo, il quale inflisse una serie di gravi sconfitte alla classe operaia organizzata, ristrutturò la produzione (promuovendo così l'industrializzazione di parti del Sud), e mercificò inesorabilmente tutte le sfere della vita. Ma non riuscì a ripristinare la redditività in misura sufficiente per consentire un'espansione economica relativamente stabile del sistema.
La crescita globale è stata trainata sempre di più dallo sviluppo di bolle finanziarie che hanno stimolato consumi e investimenti. Gli Stati hanno sempre contribuito a creare queste bolle, ma dal crollo del 2007-8, la crescita è arrivata a dipendere dall'iniezione di nuova moneta nel sistema finanziario da parte delle banche centrali, le quali hanno dato impulso ai mercati degli asset, spingendo al rialzo il prezzo di immobili, titoli e azioni e obbligazioni, e ha reso i ricchi ancora più ricchi. Il nuovo gigante economico Cina ha implementato una sua versione di questa dinamica basandola su investimenti nelle industrie di esportazione finanziati dal debito, ciò che sta contribuendo a un calo del tasso di crescita.

Prerequisito

Nel 1938 Leon Trotskij scrisse: “Il prerequisito economico per la rivoluzione proletaria ha già, in generale, raggiunto il punto più alto di fruizione che possa essere raggiunto sotto il capitalismo. Le forze produttive dell'umanità ristagnano. Neanche nuove invenzioni e miglioramenti riescono ad aumentare il livello di ricchezza materiale.”
Questo non era effettivamente vero allora, e certamente non lo è adesso. La crescita della produttività sta rallentando perché gli investimenti ristagnano in assenza di una robusta redditività, ma le forze produttive continuano ad espandersi e continuano ad emergere innovazioni come l'intelligenza artificiale e le auto elettriche. La rapida scoperta dei vaccini Covid-19 è un'illustrazione di questa vitalità tecnologica.

Ma il capitalismo mostra tutti i segni di essere bloccato in un'impasse economica a lungo termine. Il neoliberismo continua a dominare il processo di definizione delle politiche, ma la sua età eroica è ormai lontana. Funziona con il pilota automatico, amministrato da banche centrali e burocrazie come la Commissione europea, con i mercati finanziari in qualità di loro esecutori. Da qui l'irruzione dell'estrema destra nella politica borghese tradizionale, che sfrutta il malcontento creato dalla crisi finanziaria globale e dall’infinita “riforma” neoliberista. Ma, come ha mostrato la presidenza Trump, questi disgregatori non hanno un coerente programma economico alternativo, come (nei loro modi diversi) Franklin Roosevelt e Adolf Hitler avevano negli anni '30.

È un'esagerazione affermare che il sistema stia crollando. È più accurato suggerire che sta generando conseguenze distruttive sempre più difficili da gestire. Nel corso dei decenni, a partire dal 1945, la catastrofe si è profilata come un'ombra crescente all'orizzonte. È diventato chiaro molto tempo fa che, a parte la catastrofe finale della guerra nucleare che incombeva durante l'era della Guerra Fredda (1946-1991), la principale minaccia proveniva dal modo in cui il cieco processo di accumulazione del capitale distrugge il mondo naturale di cui gli esseri umani non sono che una parte dipendente.

La principale tra queste forme di distruzione (anche se, come ci ha insegnato il Covid-19, decisamente non l'unica) è il cambiamento climatico. Ian Angus mostra nel suo eccellente libro “Facing the Anthropocene” (2016) [2] che il riscaldamento globale non è semplicemente una conseguenza a lungo termine dell'intervento umano nella natura o anche della crescente dipendenza del capitalismo dai combustibili fossili, iniziata con la rivoluzione industriale alla fine del XVIII secolo. I famigerati grafici che mostrano l'aumento delle temperature e dei loro effetti decollano realmente dalla metà del 20° secolo, grazie alla prassi della guerra tecnologica del 1939-45, letteralmente alimentata da petrolio e carbone, e dalla successiva espansione di quello che Andreas Malm chiama capitale fossile nel lungo boom del dopoguerra e nell'estensione della produzione all'Asia orientale.

L'inevitabile conseguenza di questo processo - il cambiamento climatico caotico - è stata a lungo prevista da scienziati e attivisti, compresa la crescente scuola di marxisti ecologisti. Ora è arrivata. Prendi il ciclone Idai, che ha causato inondazioni diffuse e morti in Africa orientale nel marzo 2019. Io sono cresciuto nello Zimbabwe (all’epoca: Rhodesia meridionale). Facevamo le vacanze al mare a Beira, una città portuale sulla costa del vicino Mozambico. Idai inondò Beira sotto sei metri d'acqua, distrusse nove decimi della città e uccise mille persone. Ed è parte di uno schema molto più ampio. Secondo le Nazioni Unite, nel 2020 ben sei milioni di persone sono state colpite dalle inondazioni nell’Africa orientale; cinque volte il numero di quattro anni fa.

L'eccezionale sta diventando normale. L'incendio dell'Amazzonia nel 2019 ha causato uno shock diffuso. Da allora abbiamo avuto incendi e inondazioni in Australia, e, durante l'estate, ci sono stati gli incendi boschivi sulla costa occidentale degli Stati Uniti - l'oscurità a mezzogiorno a San Francisco. Naturalmente, i paesi ricchi come gli Stati Uniti e l'Australia possono far fronte più facilmente a disastri come questi. Ma, come mostra la pandemia, decenni di privatizzazione e austerità hanno ridotto le capacità dello Stato, rendendo più difficile per i governi rispondere in modo efficace (supponendo che ne abbiano la volontà, come chiaramente non era il caso di quelli di Trump e Boris Johnson).

La pandemia ha anche drammatizzato una caratteristica di pestilenze e carestie tanto antica quanto la società in classi. I poveri sono molto più vulnerabili alla catastrofe perché non hanno le risorse per comprarsi una via d'uscita dal pericolo. Le cifre di mortalità per il Covid-19 sono state codificate per razza e classe. L'altro lato dell'equazione può essere visto, ad esempio, nell'aumento della domanda per yacht di lusso. In questi, i ricchi possono evitare i centri di infezione e continuare a gestire le loro attività e accumulare ancora più ricchezza.

In tutte queste contraddizioni e nella pressione incessante esercitata su molti lavoratori affinché rischino la vita ogni giorno vediamo ciò che la filosofa marxista argentina Natalia Romé chiama "la normalizzazione della barbarie", che penetra nei pori stessi della società. Possiamo vedere, come suggerì il grande critico radicale Walter Benjamin, scrivendo subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, “lo stato di emergenza in cui viviamo non è l'eccezione, ma la regola”.

Il pensatore marxista che ha affrontato la catastrofe in modo più sistematico è stato Theodor W. Adorno. Un ebreo tedesco riuscito a fuggire dall'Europa dopo la presa del potere nazista, a differenza del suo amico e mentore Walter Benjamin, che si suicidò quando, nel settembre 1940, gli fu impedito di fuggire dalla Francia di Vichy. Adorno tornò in Germania dall'esilio americano nel 1950, ma non dimenticò mai. Nel suo capolavoro filosofico Negative Dialektik (1966) [3], scrisse: “Lo spirito del mondo ... dovrebbe essere definito come una catastrofe permanente”.

Adorno mise in chiaro che con "spirito del mondo", si riferiva ironicamente al capitalismo. Al centro della sua immagine di catastrofe c'erano il nazismo e la Shoah. Tuttavia il suo giudizio sembra totalmente corretto. Il capitalismo è diventato "catastrofe permanente", anche se - almeno per il momento – questa assume meno la forma di una violenza di Stato che di incendi, inondazioni e pestilenze.

Come sempre, la domanda è: cosa si deve fare? Quella che Adorno chiamava la sua "vita offesa" lo rese non proprio ottimista. Egli scrisse: “Oggi la possibilità combattuta di un “qualcos'altro” si è ridotta a quella di scongiurare la catastrofe nonostante tutto.” Ma le due cose - raggiungere "qualcos'altro" e "scongiurare la catastrofe" - non possono essere così facilmente contrapposte. Ovviamente dovremmo organizzarci per evitare che le cose peggiorino –durante la pandemia, per lottare per la protezione dei lavoratori essenziali e contro le minacce padronali ai nostri salari, a condizioni di lavoro, vita e libertà.

Ma se il capitalismo è la catastrofe, l'unico modo in cui possiamo mantenere noi stessi e i nostri figli al sicuro è quello di sbarazzarcene. L'idea di un Green New Deal, lanciata da Alexandria Ocasio-Cortez negli Stati Uniti, è un passo verso una necessaria alternativa sistemica al capitalismo.
Ma la caduta di Jeremy Corbyn sottolinea l'aspra resistenza che il capitale sta opponendo. Ricostruire una forte sinistra, con al centro i socialisti rivoluzionari, è il più urgente dei compiti.

Note

[1] William Hardy McNeill, La Peste nella Storia. L'impatto delle pestilenze e delle epidemie nella storia dell'umanità, Res Gestae, 2012
[2] Ian Angus, Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra, Asterios, 2019
[3] Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, 1970


Alex Callinicos


Traduzione di Iris Legge - Redazione di Antropocene.org


Fonte: Socialist Review - 12.01.2021