10 luglio 2021: sono passati 45 anni dal disastro di Seveso. Un avvenimento che, come sottolineano Carnevale e Basseroni in Mal di Lavoro, "segna quasi simbolicamente lo spartiacque tra un periodo nel quale centrale era il problema della salute di chi dentro la fabbrica lavorava, e un nuovo periodo nel quale l’attenzione si sposta progressivamente verso uno scenario più ampio e complesso, quello della nocività ambientale". Il 3 dicembre 1984 in India, a Bhopal, questo scenario si imporrà ancora più drammaticamente.

Raccogliamo e proponiamo, nel seguente Dossier, alcuni documenti pubblicati dal 1976 ad oggi.


"Il 10 luglio del 1976 la nuvola di diossina che fuoriesce dall’Icmesa di Seveso segna quasi simbolicamente lo spartiacque tra un periodo nel quale centrale era il problema della salute di chi dentro la fabbrica lavorava, e un nuovo periodo nel quale l’attenzione si sposta progressivamente verso uno scenario più ampio e complesso, quello della nocività ambientale, condivisa da tutti i cittadini, portando alla luce contraddizioni riguardanti la sostenibilità dello “sviluppo” e dall’altra la difesa del posto di lavoro nelle industrie a rischio ambientale."

F. Carnevale, A. Baldasseroni, Mal da lavoro, Laterza, 1999


"La duplice crisi del tempo nostro, ecologica ed economica, ha colpito in pieno il piccolo centro di Seveso, presso Milano. Il 10 luglio 1976 un reattore dello stabilimento ICMESA, dove si produceva triclorofenolo, è entrato in surriscaldamento, provocando il cedimento di una guarnizione di sicurezza e liberando gran parte del contenuto all’esterno dell’impianto.” […] “Il disastro di Seveso è tanto grave e tanto complesso da imporsi all’attenzione non solo della popolazione locale, dell’amministrazione regionale della Lombardia e del governo centrale italiano, ma anche della comunità scientifica nel suo complesso, a cui incombe la responsabilità di chiarire inadempienze passate e di incoraggiare iniziative nuove, per soddisfare l’esigenza più immediata della gente di Seveso: la ricerca della verità e di un’azione costruttiva che sia fondata sulla verità."
Così Barry Commoner nella prefazione de "Il cerchio da chiudere" edizione del maggio 1977

Sempre Commoner, in un’intervista al Corriere della Sera del 27 febbraio 1977, dichiarò:
"Seveso rappresenta un momento tipico in cui il ricorso a tecnologie estremamente pericolose conduce alla tragedia, e non un semplice caso. La verità è che questo genere di tecnologie e di processi industriali operano sempre alle soglie della tragedia. […..] E’ assolutamente indispensabile impedire che il potere decisionale spetti alle aziende a al loro management. Vede, adesso si discute su cosa sia accaduto a Seveso, e perché. Ho letto con interesse il numero che “Sapere” ha dedicato all’argomento. Con tutto ciò, se si fosse provveduto per tempo a chiedere ai veri interessati, ai lavoratori e alle loro organizzazioni, un parere specifico, sono persuaso che si sarebbe impedito il disastro […] Anche noi, scienziati, possiamo agire soltanto se l’iniziativa viene data agli interessati e non ai centri di potere."


3 RIVISTE


Di fondamentale importanza i lavori pubblicati su  Sapere, Medicina democratica e Il fatto, la foto.

Indice del numero 796/1976 di Sapere

SEVESO
Un crimine di pace
Il tempo e il colpevole
Il luogo e le vittime
Il reato e gli effetti
I complici e i poteri
Il mandante


3 PDF della rivista > Sapere Seveso 1 - Sapere Seveso 2 - Sapere Seveso 3 -
Fonte: nopedemontana.wordpress.com


Indice dell'articolo pubblicato sul numero 3/1976 di Medicina democratica

ICMESA

Rilanciare l'autogestione della salute
La delega agli Enti Locali: un'esperienza fallimentare
Un aspetto del problema: la bonifica
La Roche: una tipica struttura imperialista
Scheda: gli effetti tossici del TCDD sull'organismo umano
I chili sono 130
Scheda: l'attività mutagena e cancerogenetica del TCDD
Il Comitato Scientifico-Popolare: dalla nascita alla maturità politica
Un'opera di contro-informazione al servizio delle masse
Un gruppo di tecnici affianca la popolazione per vincere anche la battaglia legale

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Indice del numero di giugno 1977 di Il Fatto, la Foto.

Seveso, una tragedia italiana
Testo e commento di Neva Agazzi Maffii
Biblioteca di cronache illustrate diretta da Uliano Lucas
In questo numero foto di
Marcello Arfini, Daniele Bonecchi, Alberto Calcinai, Domenico Carulli, Carlo Cerchioli, Giancarlo De  Bellis, Dino Fracchia, Mauro Galligani, Maurizio Ghidoli, Uliano Lucas, Francesco Ponticelli, Alberto Roveri, Chiara Visconti e agenzie ltalia, Ap.


PDF della rivista > CLICCA QUI


3 LIBRI

La fabbrica dei profumi. Seveso 40 anni fa, di Daniele Biacchessi, Jaca Book, 2016
Ci sono catastrofi che non fanno rumore, non spargono sangue, non spezzano vetri, né innalzano macerie. Quella di Seveso è una delle tante catastrofi silenziose avvenute in Italia e nel mondo che ho raccontato nel 1995, ne “La fabbrica dei profumi”, il mio primo libro d’inchiesta. La ristampa di Jaca Book esce a 21 anni dalla prima edizione di Baldini & Castoldi , 40 anni dopo l’incidente dell’Icmesa. Il libro che leggerete resta ancora oggi un documento fondamentale di conoscenza e di memoria. Per la prima volta viene svelata, e mai smentita, la verità sulla diossina di Seveso.

Sabato 10 luglio 1976. Sono le 12,37. Una nube preme forte verso l’alto, accompagnata da un sibilo violento che rompe quel silenzio d’estate. Proviene dall’Icmesa, una fabbrica chimica posta tra la ferrovia del Gottardo e la superstrada Milano-Meda, non lontana da Seveso. Un fischio acuto, assordante, giunge dal reparto B dove si produce il triclorofenolo, un composto chimico che serve per la produzione di cosmetici e disinfettanti ospedalieri. La reazione esotermica spinge la temperatura tra i 350 e i 500 gradi e disintegra la valvola di sicurezza del reattore. Gli operai addetti alla manutenzione degli impianti fuggono soffocati dal fumo acre. Uno di loro, Carlo Galante, entra nella zona del reattore cinque minuti dopo lo scoppio, apre la valvola di raffreddamento ad acqua. Un gesto di grande coraggio che impedisce una strage. Una nuvola enorme incombe sopra Seveso e una leggera brezza la trascina in tutto il Nord Italia.

Leggi l'articolo completo di Daniele Biacchessi > CLICCA QUI


Diossina. La verità nascosta, di Paolo Rabitti, Feltrinelli, 2012
“Caro sindaco, prima di morire devo dirlo a qualcuno: nell’inceneritore abbiamo smaltito la roba di Seveso.” Siamo a Mantova nel 2002 e chi parla è un anziano ex operaio della Montedison. È da poco deflagrata la notizia che una ricerca epidemiologica ha riscontrato tra gli abitanti della zona contigua al petrolchimico di Mantova una frequenza anomala di sarcoma dei tessuti molli, un tumore correlabile direttamente con la presenza di diossina. Ma è possibile che i resti tossici del più famoso disastro ecologico italiano siano finiti nell’inceneritore di Mantova, quando invece si è sempre sostenuto che fossero stati mandati fuori dall’Italia?

Quando scoppia il caso, già da molti anni Paolo Rabitti, ingegnere mantovano, si sta specializzando nello studio e nella lotta contro le violazioni della normativa ambientale. È stato consulente di Felice Casson nel processo al petrolchimico di Porto Marghera e fa molte domande scomode sull’inquinamento a Mantova. Rabitti non si accontenta di rassicurazioni vaghe: nella sua città ci sono molti più pericoli per la salute di quello che si crede e lui vuole sapere perché. Con tenacia, competenza e passione, Rabitti si mette alla ricerca delle tracce di quella che sarebbe una terribile connessione tra Mantova e Seveso. Dalle prime indagini sull’inquinamento dell’aria di Mantova, fino alle ricerche sulla presenza di diossina nel sangue dei mantovani, passando per una completa revisione di tutto quello che si sa del disastro di Seveso, Rabitti racconta in questo libro più di un decennio di ricerche: un giallo appassionante, un’inchiesta su un mistero italiano e il romanzo di formazione di un cittadino che per difendere i beni comuni lotta con le armi della scienza, dell’indignazione e della coscienza civile.

Leggi la recensione di Andrea Tornago pubblicata su il Manifesto del 23.05.2012 > CLICCA QUI
Fonte: Rete Antinocività bresciana


Una lepre con la faccia da bambina, di Laura Corti, Fandango, 2021
Alle 12.40 del 10 luglio 1976 da una fabbrica dell’hinterland milanese si alza una nube carica di diossina che investe una vasta area e provoca una catastrofe ambientale che sconvolgerà la vita degli abitanti di Seveso.
Laura Conti, medico e segretaria della Commissione sanità ed ecologia del Consiglio regionale lombardo, segue giorno per giorno lo sviluppo di quella crisi.

Il romanzo, pubblicato nel 1978, nasce da quell’esperienza. Si sviluppa sul filo dei ricordi di Marco, dodicenne figlio di un artigiano di Seveso, e dei suoi dialoghi con la combattiva coetanea Sara, figlia di immigrati meridionali che abitano vicino alla fabbrica.
Poco dopo l’incidente Sara affida a Marco la sua gatta, per salvarla dall’abbattimento degli animali nella Zona A, la più inquinata; ma la gatta sta troppo male e muore. Assistiamo, intanto, alle prime reazioni di paura, rifiuto e confusione da parte della popolazione e degli amministratori locali.
Tra i bambini si manifesta una misteriosa malattia della pelle e tra le donne incinte cresce il timore di malformazioni. Nel giro di poche settimane centinaia di abitanti della Zona A, comprese le famiglie di Sara e di Marco, devono abbandonare le loro case e trasferirsi in un grande albergo.
Qui i due giovani protagonisti si trovano ad affrontare contemporaneamente i turbamenti della pubertà e la crisi della loro comunità, che svela le menzogne e le fragilità degli adulti. E mentre si consolida la relazione tra Sara e Marco, matura un dramma che cambierà il corso delle loro vite. In tempi di pandemia e cambiamento climatico, una lettura quanto mai attuale.

Leggi la recensione di Sara Panarella > CLICCA QUI
Fonte: eHABITAT - 13.10.2017





3 DOCUMENTI


Industria e ambiente: il caso Seveso

Benito Leoci, Giorgio Nebbia e Luigi Notarnicola

Quella mattina dell’estate 1976, quando dall’Icmesa di Meda uscì una “nuvola” di polveri contenenti “la diossina”, ha segnato uno spartiacque nei rapporti fra industria e ambiente. Da allora “Seveso”, il nome della cittadina vicino Meda, su cui ricadde gran parte della diossina dell’Icmesa, e “diossina”, sono diventati simboli di fabbriche esposte a rischi di gravi incidenti e di “chimica del male”. A dire la verità la diossina era intorno a noi, nelle società moderne, da almeno dieci anni; l’articolo che segue, pubblicato nel 1977, ricostruisce l’intreccio fra l’incidente di Seveso, l’impiego di erbicidi contaminati da diossina nella guerra del Vietnam, cominciata alcuni anni prima e lo scandalo dell’esaclorofene, un altro derivato del triclorofenolo, la sostanza da cui si era formata e si forma la diossina. (g.n.)

[...] La nube tossica alla “diossina” ha riproposto, accanto a molti altri problemi socio-sanitari, temi più e più volte dibattuti. L’episodio di Seveso è in definitiva l’ultimo anello di una lunga serie di avvenimenti che sono la logica conseguenza di un modello di sviluppo che ha sempre anteposto gli interessi privati a quelli collettivi, chiaramente individuati nella salvaguardia del territorio, dell’ambiente e della salute pubblica. Gli abitanti di Seveso oggi, quelli di un’altra parte d’Italia domani, sono esposti a pericoli gravissimi non perché la scienza e la tecnica fatalmente e casualmente comportano pericoli, ma semplicemente perché nell’attuale società capitalistica esse non hanno più come scopo il miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo.

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Fonte: musilbrescia.it

L'ambientalismo operaio visto da Seveso
Laura Centemeri

Nei miei lavori mi sono occupata di territori dell’industria ma anche di territori delle grandi infrastrutture, principalmente in Italia (Centemeri 2005, 2017). Ho poco indagato l’interno della fabbrica e il mondo del lavoro e rivolto prevalentemente la mia attenzione alle comunità e alle dinamiche di mobilitazione nei territori.
Mi sono dunque occupata di territori abitati ed inquinati e alle diverse forme di danno che l’inquinamento causa, in quanto danno all’ambiente – nel senso generale del termine. Mi sono anche interessata alle diverse forme di riparazione di questi danni. Riparazione, innanzitutto, ma non unicamente, nei termini di una richiesta di giustizia.
Mi sono cioè interessata prevalentemente a come emerge in un territorio inquinato una mobilitazione che denuncia l’inquinamento, a partire dalle molteplici esperienze situate del danno all’ambiente. Perché il danno all’ambiente è danno alla salute delle persone, ma anche danno agli ecosistemi, spesso danno d’immagine per una comunità, danno economico, danno che tocca gli affetti – nella morte di persone care, nella distruzione di luoghi cari e dei loro abitanti non umani – , danno che tocca modi di vivere, abitudini, cose banali a cui, però, si tiene.

 Questa mia riflessione sull’inquinamento e il danno all’ambiente è nata da una ricerca che ho condotto sul disastro di Seveso. In questa ricerca mi sono interessata a quello che è successo dopo la contaminazione da diossina che ha colpito l’area della Brianza milanese compresa tra le città di Seveso, Meda, Desio, Seregno e Cesano Maderno a seguito dell’esplosione il 10 luglio 1976 di un reattore della fabbrica chimica ICMESA di proprietà della multinazionale svizzera Hoffman-La Roche.

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Fonte: leparoleelecose.it del 30.10.2019

Diossine Furani e PCB

APAT (oggi ISPRA) - Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici - (Quaderni) Laboratorio/2006

Il presente opuscolo è stato redatto per raccogliere in modo unitario le informazioni di base di natura tecnica, scientifica e giuridica relative alle diossine, furani e policlorobifenili. Il lavoro non si rivolge esclusivamente a un pubblico specializzato e pertanto è stato redatto con un taglio divulgativo per facilitarne la comprensione ad un pubblico più vasto, pur rimanendo fedele alla sua funzione di strumento di studio o analisi per lettori del settore scientifico e per il personale delle Pubbliche amministrazioni e dei settori produttivi, che si trova a dover gestire le problematiche conseguenti la scoperta della presenza di tali inquinanti nell’ambiente o in taluni prodotti alimentari. Diossine, furani e policlorobifenili costituiscono tre delle dodici classi di inquinanti organici persistenti riconosciute a livello internazionale: si tratta di prodotti particolarmente stabili e riconosciuti come tossici sia per l’ambiente che per l’uomo.

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Fonte: ISPRA 


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Seveso, 10 luglio 1976: una storia da raccontare
- di Fabio Tosetto
contiene immagini e fotografie provenienti da archivi Rai, radiotelevisione italiana - RTSI, radiotelevisione svizzera italiana - Mediateca Regione Lombardia - Fondazione Corriere della Sera (2006 Legambiente Lombardia Onlus)