Un commento
La riflessione che attraversa questo articolo di Enrico Giannetto, fisico, storico e filosofo della scienza all’Università di Bergamo, è una critica radicale dell’antropocentrismo e, a margine, del pensiero occidentale che ne è fortemente determinato nel suo approccio conoscitivo e nella sua visione della realtà in senso lato. Se l’eurocentrismo ha impedito fino in tempi recenti, come nel caso di Husserl, di riconoscere al pensiero orientale il titolo di “filosofia orientale”, ritenendolo «troppo legato al ragionamento mitico o religioso», cosa per altro imprecisa, un’apertura all’altro, al cosiddetto diverso da noi, ci è provenuto dall’antropologia, per cui oggi si parla di etnoscienze come di etnofilosofia, usando tali definizioni in relazione a «ogni aspetto dell'umanità, ogni corrente di pensiero, ogni comprensione di vita e del mondo», dove la contestualizzazione e il confronto diventano metodologie di lettura utili a cogliere differenze, specificità e somiglianze di là da qualsiasi visione gerarchica ed etnocentrica.
Ma ancora questo non è bastato a incrinare l’antropocentrismo che è possibile cogliere a tutti i livelli, se è vero che l’apertura a culture, civiltà diverse dalla nostra non ha mai incrinato il rapporto dell’uomo, non solo occidentale, con le cosiddette nature non umane, col regno animale e vegetale, e l’ambiente in senso lato, ritenuto dall’umanità, quasi nel suo complesso, come Bestand di energia e di informazione da saccheggiare a suo uso e consumo (si veda E. Giannetto, Un fisico delle origini , 2010): qui, come altrove, l’autore non pone il problema dell’uso sconsiderato delle risorse quanto quello, più fondamentale, del diritto ad essere e della sacralità della vita in quanto tale.
In un altro articolo di qualche anno addietro, il nostro infatti prendeva le distanze dal concetto di “antispecismo”, preferendogli quello di “anti-umanismo”, in quanto il primo non risolve un’ambiguità non dichiarata mentre il secondo riesce meglio a «denunciare tutti i crimini commessi dall’umanità, dove per umanismo si intenderà non una particolare prospettiva filosofica, ma la modalità violenta di essere-nel-mondo dell’essere umano». («Il Cristianesimo non è un umanismo», in Uomini&Animali. Una relazione ancora da svelare, a cura di M. Corsini e L. Mazzoni, Verona 2016).
Solo a partire da tale premessa si può comprendere meglio il concetto di “Speciophilosophy”, presentato nel presente articolo, che al pari delle etnofilosofie, si prospetta come un tentativo di rapportarsi al pensiero animale da un punto di vista non antropocentrico, pertanto non umano. Così come, anche grazie all’antropologia, si è giunti alla conclusione che «non c'è motivo di negare al pensiero orientale il titolo di filosofia orientale, per quanto diverga dal modo di pensare europeo», allo stesso modo non si può negare che gli animali siano privi di pensiero per il fatto che il loro sia un pensiero visivo, cioè pensino per immagini (pensiero noetico), mentre noi uomini pensiamo quasi esclusivamente per parole (pensiero dianoetico). Ora, come l’unico pensiero non è quello dianoetico («Il pensiero non può essere ridotto al ragionamento verbale» e infatti quello umano è «una sintesi del pensiero visivo e del linguaggio verbale nel ragionamento verbale»), non è nemmeno il migliore modo di pensare, ma una delle tante modalità. Pertanto, «anche gli animali non umani pensano» e ormai «i tempi sono maturi per comprendere veramente le filosofie animali, e rispettare tutti gli altri esseri viventi e migliorare anche il nostro modo di pensare e di vivere».
Alla domanda perché l’Occidente abbia elaborato filosofie razionali basate su un uso denotativo delle parole, privandole «del loro carattere vivo, legate alla loro funzione comunicativa e potere evocativo (poetico) o performativo» sostituendo pertanto «il mondo reale con una ricostruzione razionale di esso: il mondo reale viene sostituito per un mondo dei segni concettuali», l’autore trova risposta in due principali ragioni: «proiettare il dominio umano sulla Natura e gli altri esseri viventi o legittimarlo attraverso una rappresentazione antropocentrica del mondo». Obiettivi dichiarati consapevolmente o inconsciamente. «Le filosofie umane sono, per la maggior parte, filosofie del predatore umano vittorioso, sono il divoratore semiotico di altri esseri viventi, non più forme di simbolismo ma di metabolismo».
Una visione non antropocentrica e sacrale della vita nel suo complesso, Giannetto la ritrova nel cristianesimo delle origini, a cui dedica da anni continui studi, traducendo tra l’altro i testi evangelici, canonici e cosiddetti apocrifi, e altre opere ad essi collegati, dalle fonti più antiche (in copto, aramaico della Vetus Syra…). Il cristianesimo primitivo, restituito da questi testi, nella ricostruzione di Giannetto si presenta come «“Filosofia degli uccelli del cielo e i gigli del campo", una filosofia di vita che non implica alcun possesso, nessuna proprietà, niente capitale, niente soldi, niente lavoro violento o dominio sulla Terra e sui suoi esseri viventi, non violenta fagocitosi di altri esseri: i gigli non combattono per l'esistenza, come sostiene la prospettiva predatoria darwiniana deformata». Il “Regno di Dio” non si prospetta pertanto come un aldilà ma come il risultato qui ed ora di una conversione che rifiuta l’uomo vecchio e abbraccia il modello dell’uomo nuovo, non più centro dell’universo e fagocitante altre creature ma parte di esso. Questa dimensione di etica universale del cristianesimo delle origini, persa con il processo di ellenizzazione cui successivamente andò incontro, viene recuperata dalla “rivoluzione francescana”, «quando riuscì a liberarsi dalla metafisica intellettualistica greca e … iniziò a decostruire ogni filosofia teorica che, da un'osservazione imparziale, si rivelasse ridurre ogni essere vivente a un oggetto del pensiero umano».
La radicalità della riflessione dell’autore va ancora oltre quando afferma che il carnivorismo rappresenta il cosiddetto “peccato originale”. Ancora prima della nascita delle città con le loro società complesse, della divisione del lavoro con l’istituzione delle prime ingiustizie sociali, è proprio il passaggio da una società di raccoglitori, peraltro sopravvissuta per milioni di anni, a una di cacciatori a segnare un fondamentale punto di svolta nella storia umana. Questa adesione a un’alimentazione basata sul consumo di carne – avvenuta per carenza di alimenti vegetali a disposizione ma probabilmente anche per imitazione di comportamenti ferini – coi suoi risvolti epigenetici ha generato una frattura da allora raramente colmata tra l’uomo e gli altri animali, ritenuti da quel momento oggetti a sua disposizione. Origine anche di una prima alienazione dal mondo. Si può ben dire che da allora l’uomo ha considerato diversamente la realtà: appunto da come la divorava. Questa violenza ai danni di altra vita è stata costantemente rimossa, anche perché sempre meno persone hanno partecipato «direttamente all'atto di predare e uccidere», delegando questa funzione a chi compiva macellazioni rituali e quindi ai macellai come li conosciamo.
L’analisi di Giannetto si estende anche alla dieta carnea degli stessi animali, richiamandosi come nel caso umano alle acquisizioni dell’epigenetica, in base alla quale è il contesto ambientale ad attivare o meno certi geni, ragion per cui non è da escludersi che anche molti animali inizialmente erbivori siano diventati carnivori, in fasi particolari della storia del pianeta, per sopperire e integrare la loro dieta in assenza di vegetazione disponibile: come suggeriva Nietzsche a proposito dell’uomo e della morale, anche in questo caso è la ricostruzione della storia delle specie nel loro contesto che potrà farci cogliere la vera “natura” di certi comportamenti dal senso comune concepiti come eterni e connaturati.
Comunque, come crediamo di aver evidenziato, di dati e argomenti, anche estremamente coraggiosi, in grado di sollecitare riflessioni, il presente articolo ne offre in grande quantità, come ogni pensiero che possa dirsi vitale. Ci basta fermarci qui. Il lettore attento naturalmente potrà scoprirne altri.
Alessandro Cocuzza – Redazione di Antropocene.org