Fonte: Monthly Review - 01.10.2023
Si pensa spesso che il materialismo ecologico, di cui il marxismo ecologico rappresenta la versione più sviluppata, trovi le sue origini esclusivamente nel pensiero occidentale. Ma se così fosse, come spiegheremmo il fatto che il marxismo ecologico sia stato accolto tanto prontamente (o forse, più prontamente) in Oriente quanto in Occidente, scavalcando le barriere culturali, storiche e linguistiche per sfociare infine nell’attuale concetto di civiltà ecologica in Cina? La risposta è data dal fatto che, riguardo al materialismo dialettico e all’ecologia critica, esiste un rapporto dialettico tra Oriente e Occidente molto più complesso di quanto si creda, rapporto che affonda le sue radici nei millenni.
Le concezioni materialista e dialettica della natura e della storia non nascono con Karl Marx. Le origini di un “naturalismo organicista” e dell’“umanismo scientifico”, secondo il grande scienziato e sinologo inglese marxista Joseph Needham, autore di Scienza e civiltà in Cina, possono essere fatte risalire al periodo che va dal sesto al terzo secolo a.C., sia in Grecia, a cominciare dai pre-Socratici e sino ai filosofi ellenistici, sia nell’antica Cina, con l’emergere dei filosofi taoisti e confuciani durante il periodo delle guerre fra stati sotto la dinastia Zhou[1]. Come ha mostrato Samir Amin nel suo Eurocentrismo, la «filosofia della natura [in opposizione alla metafisica] è per essenza materialista» e ha costituito una «svolta cruciale nei modi di produzione tributari, sia in Oriente che in Occidente, a partire dal quinto secolo a.C.»[2].
In Within the Four Seas: The Dialogue of East and West del 1969, Needham rilevava la massima rapidità con cui il “materialismo dialettico” venne adottato in Cina durante la Rivoluzione Cinese e come, in Occidente, questo fatto sia apparso come un grande mistero. Tuttavia, il senso di mistero, sosteneva, non si estese ugualmente in Oriente. Scriveva Needham: «Posso quasi immaginare gli studiosi cinesi che», dinnanzi al materialismo dialettico marxista, «dicono a sé stessi: “Che meraviglia: tutto ciò è molto simile alla nostra philosophia perennis integrata con la scienza moderna, finalmente giunta a casa nostra»[3]. La dialettica materialista marxista, con la sua profonda critica ecologica radicata nell'antico materialismo epicureo, secondo Needham, era così affine alle filosofie cinesi taoista e confuciana da creare, in Cina, un forte consenso intorno alle posizioni filosofiche marxiste, e ciò soprattutto perché la stessa filosofia perenne della Cina veniva in questo modo indiretto integrata con la scienza moderna. Se il Taosimo era una filosofia naturalista, il Confucianesimo aveva come controcanto, scrive Needham, una «passione per la giustizia sociale»[4].
La tesi della convergenza di Needham – o, più semplicemente, la tesi di Needham, come la chiamerò di seguito – era che la dialettica materialista marxista possedesse una particolare affinità con il naturalismo organicista cinese, così come espresso in particolar modo dal Taoismo, a sua volta simile all’antico epicureismo, filosofia alla base della concezione materialista della natura elaborata da Marx stesso. Come altri scienziati marxisti e figure culturali associate a ciò che è stato chiamato “secondo fondamento del marxismo”, sviluppatosi in Gran Bretagna nella metà del ventesimo secolo, Needham rinveniva nell’epicureismo molti tra i principi teoretici sui quali il marxismo, inteso come una filosofia critica materialista, trovava le sue fondamenta[5]. È stata l’analoga evoluzione del materialismo organicista in Oriente e in Occidente – ma che, nel caso del marxismo, è stato integrato con la scienza moderna – a spiegare il profondo impatto del materialismo dialettico in Cina[6].
La tesi di Needham, come qui presentata, può inoltre gettare luce sull’ipotesi pretestuosa, recentemente avanzata dal teorico culturale Jeremy Lent, autore di The Patterning Instinct, secondo cui la concezione cinese della civiltà ecologica troverebbe le sue radici interamente nella filosofia tradizionale della Cina stessa, piuttosto che nell’influenza del marxismo[7]. La tesi di Lent non riconosce che la civiltà ecologica come categoria critica è stata introdotta per la prima volta dagli ambientalisti marxisti dell’Unione Sovietica nei suoi ultimi decenni di vita e subito adottata dai pensatori cinesi, che l’avrebbero poi sviluppata in modo più completo[8].
Per i filosofi e gli scienziati ambientali delle società post-rivoluzionarie che avevano familiarità con il materialismo dialettico, era naturale scorgere la risposta ai problemi ecologici nell’invocazione di una nuova civiltà ecologica, che costituiva uno sviluppo evolutivo necessario del socialismo stesso. Ciò era ulteriormente favorito dal fatto che la Cina, secondo Needham, avesse evitato la scissione del pensiero caratteristica dell’Occidente attraverso gli opposti speculari dell’idealismo astratto/teologia astratta e del materialismo meccanicistico. Quindi, dalla prospettiva critica introdotta da Needham, è possibile guardare al concetto di civiltà ecologica come un’evoluzione organica delle filosofie del naturalismo dialettico sia in Oriente che in Occidente, a cui il marxismo ha aggiunto una componente scientifica cruciale.
È chiaro, inizialmente la tesi di Needham può apparire oscura dalla prospettiva abituale della sinistra occidentale, poiché si basa su un’interpretazione marxista epicurea, di stampo classico, circa le origini del materialismo storico, mentre al contempo mette in relazione quest’ultima con una concezione della scienza e della civiltà cinesi millenarie desueta agli occhi occidentali. Questo doppio strappo ha a che fare con la ben nota alienazione della tradizione marxista occidentale sia dalla scienza che dal materialismo, che va di pari passo con un profondo eurocentrismo, tipico del marxismo contemporaneo in Occidente, associato alla sistematica minimizzazione del colonialismo e dell’imperialismo[9].
Tutto ciò suggerisce che la tesi di Needham, che vede affondare le radici del materialismo dialettico in idee materialiste ed ecologiche sorte separatamente e con storie piuttosto differenti in Oriente e in Occidente, ma che hanno messo capo a un’affinità particolare con il marxismo in Cina, merita di essere discussa in quest’epoca di crisi planetaria, a fronte dell’esigenza di riunificare l’umanità in termini più ecorivoluzionari[10]. Tuttavia, affrontare le antiche filosofie alla base del materialismo ecologico sia in Oriente che in Occidente, e la relazione tra queste e lo sviluppo del marxismo ecologico-materialista oggi, ci richiede uno sforzo per superare le barriere eurocentriche insieme a quelle culturali che ostacolano l’emergere di un’ecologia della prassi su scala planetaria.
Eurocentrismo e marxismo
La critica dell’eurocentrismo come forma ideologica è nata all’interno della tradizione marxista. È stata introdotta da Needham in Within the Four Seas e successivamente utilizzata da Amin nella prefazione alla prima edizione del suo Eurocentrismo. Sia per Needham che per Amin, l’eurocentrismo è definito come l’idea che la cultura europea costituisca la cultura universale a cui tutte le altre devono conformarsi, dal momento che le culture non occidentali vengono semplicemente ridotte a culture particolari [11]. Come ha sostenuto Needham, «la fallacia di base dell’eurocentrismo è quindi il tacito assunto che, poiché la scienza e la tecnologia moderne, sviluppatesi in effetti nell’Europa post-rinascimentale, sono universali, anche tutto ciò che è europeo sia universale»[12]. Allo stesso modo, Amin scrive: «L’eurocentrismo [...] sostiene che l’imitazione del modello occidentale da parte di tutti i popoli rappresenti l’unica soluzione alle sfide del nostro tempo». L’eurocentrismo, da un lato, proietta se stesso quale cultura universale e, dall’altro, rifiuta il vero universalismo dei popoli[13].
In questo senso, il pensiero marxista classico e il socialismo in generale si sono sempre radicalmente opposti all’eurocentrismo, inteso come ideologia del colonialismo occidentale. Questo vale sia per Marx e Friedrich Engels, soprattutto negli ultimi anni, sia per V. I. Lenin e Rosa Luxemburg. Nel XX secolo, inoltre, l’impulso alla rivoluzione si è spostato verso il Sud globale e la sua lotta contro l’imperialismo, generando nel processo nuove analisi marxiste all’interno delle opere di figure diverse come Mao Zedong, Amílcar Cabral e Che Guevara, che hanno tutti insistito sulla necessità di una rivoluzione mondiale.
Certo, è senz’altro possibile ritrovare tracce di etnocentrismo europeo in alcuni dei primi lavori di Marx, che risentono delle fonti che aveva a disposizione all’epoca, la maggior parte delle quali provenienti da rapporti coloniali europei. Tuttavia, da decenni i teorici marxisti del sottosviluppo riconoscono – inizialmente grazie al lavoro di Horace B. Davis negli Stati Uniti, di Kenzo Mohri in Giappone e di Suniti Kumar Ghosh in India – che alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento Marx si fosse concentrato sempre più sulla critica del colonialismo, sostenendo attivamente le ribellioni anticoloniali e preoccupandosi progressivamente di analizzare le condizioni materiali e culturali delle società non occidentali[14]. La crescente attenzione di Marx per le società non capitaliste fu il prodotto della sua vicinanza alle varie rivolte contro il colonialismo, attenzione che fu ampliata ulteriormente sotto la spinta della “rivoluzione del tempo etnologico” con la scoperta della preistoria e l’ascesa degli studi antropologici, avvenuta in concomitanza con la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin[15]. Marx si cimentò a fondo nella ricerca relativa alla storia e alle culture delle società periferiche dell’Europa, spingendosi sino a studiare la lingua russa, ad esplorare la comune contadina russa, e a analizzare le formazioni sociali in Algeria, India, Cina, Indonesia e nelle nazioni indigene delle Americhe. Fu, almeno inizialmente, un forte sostenitore della Rivoluzione Taiping in Cina[16].
A questo proposito, l’importante opera di Kohei Saito Marx in the Anthropocene costituisce una netta deviazione rispetto al numero crescente di studi che dimostrano come Marx non sia mai stato eurocentrico (nei termini discussi più sopra), allontanandosi in modo deciso da qualsiasi residuo di etnocentrismo europeo tra la fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento e l’inizio degli anni Sessanta. A sostegno della sua tesi, contraria a quest’ultima, Saito fa riferimento all’affermazione contenuta nella Prefazione alla prima edizione del Capitale, in cui Marx «notoriamente» informa i suoi lettori tedeschi che «la storia è da voi raccontata», intendendo con ciò che lo sviluppo borghese tedesco avrebbe seguito il percorso di base già tracciato dalla borghesia inglese. Per Saito, questo fatto stabilisce di per sé il carattere eurocentrico del Capitale di Marx nel suo presupporre che tutti i Paesi, in qualsiasi luogo, dovessero seguire lo stesso percorso lineare europeo. E tuttavia, la questione del mondo extraeuropeo era del tutto assente dall’argomentazione della prefazione del Capitale, che si rivolgeva esclusivamente alle condizioni dell’Europa occidentale, e in particolare al significato degli sviluppi britannici per ciò che sarebbe accaduto in Germania. Marx chiarì in seguito questo aspetto nella lettera del 1881 a Vera Zasulich (e nelle varie bozze di questa lettera), spiegando come l’argomentazione relativa allo sviluppo lineare nel Capitale fosse riferito specificatamente all’Europa occidentale, e come linee di sviluppo fondamentalmente diverse fossero possibili in Russia e in altre società non capitalistiche[17].
Saito cerca di suffragare la sua accusa di eurocentrismo presente nel primo volume del Capitale facendo forza sulla tesi di Marx secondo cui le comunità non capitaliste dei villaggi di Giava e di altre parti dell’Asia dovessero essere considerate economicamente immutabili, o stagnanti. Citando il riferimento di Marx all’«enigma dell’immutabilità [economica] delle società asiatiche», Saito afferma che ciò costituisca una prova non solo del suo eurocentrismo ma anche dell’orientalismo di Marx. Tuttavia, guardando al contesto, è chiaro che Marx facesse concreto riferimento alla tendenza economica delle comunità di villaggio di Giava, dove non esisteva ancora un’economia di scambio sviluppata, a riprodursi sulla base della riproduzione semplice, piuttosto che di quella allargata. Per questo Marx cita la sua fonte, A History of Java di T. Stamford Raffle (1817), affermando che l’«economia interna» delle comunità di villaggio «rimane invariata» nonostante tutti i cambiamenti politici in atto all’interno delle loro società più grandi, che da questo punto di vista non erano certo statiche. Quindi, per quanto riguarda il carattere economicamente immutabile e la stagnazione delle comunità di villaggio a Giava e in altre parti dell’Asia, che Marx colloca sullo sfondo dei continui sconvolgimenti e degli incessanti cambiamenti di dinastia all’interno di queste stesse società, egli si riferiva chiaramente a forme/relazioni produttive concrete e materiali nelle comunità contadine alla base della società. Naturalmente, la semplice riproduzione di tali comunità di villaggio appariva in netto contrasto rispetto alle economie in costante espansione e le incessanti rivoluzioni tecnologiche delle società dell’Occidente basate sull’accumulazione all’epoca della rivoluzione industriale. Per Marx, tali differenze dovevano essere comprese in termini storici e materialisti, non culturalisti[18].
La “Grande Divergenza” tra Oriente e Occidente all’epoca della Rivoluzione Industriale è stata una questione importante tra la fine del XVIII e il XIX secolo, su cui non solo Marx, ma tutti gli economisti politici classici hanno cercato delle spiegazioni[19]. Non c’è dubbio che l’Oriente, per un certo periodo, rispetto all’Occidente, sia rimasto in una fase di ristagno economico. Ad esempio, nel 1800 la Cina rappresentava un terzo del potenziale industriale mondiale. Nel 1900 questa percentuale era scesa al 6,3% (e nel 1953 ad appena il 2,3%)[20]. Marx spiegò questa divergenza storica tra Oriente e Occidente, già evidente ai suoi tempi, in termini di forme/modalità produttive specifiche e come un prodotto, in larga parte, del colonialismo europeo. Nel primo volume del Capitale, egli descrive i terribili effetti della schiavitù coloniale olandese a Giava e come essa sia servita a distruggere le comunità dei villaggi. Nulla di tutto ciò è stato argomentato in termini culturali nazionalisti o razzisti, come invece accadeva nella tradizione coloniale-eurocentrica dominante in Occidente[21].
Così, il marxismo, come rappresentato classicamente prima da Marx ed Engels e poi da figure come Lenin e Luxemburg, si opponeva fortemente a qualsiasi tipo di eurocentrismo e di colonialismo/imperialismo occidentale, spiegando le traiettorie di sviluppo in termini materialisti piuttosto che culturalisti. Tuttavia, il successivo marxismo occidentale, quale tradizione filosofica particolare, è stato spesso ambivalente nei confronti dell’imperialismo e profondamente etnocentrico nel suo approccio al marxismo, giungendo a ritenere il marxismo in Occidente, come ha osservato criticamente Needham, in possesso di una sorta di «superiorità a priori», nonostante il fatto che la rivoluzione si fosse da tempo spostata verso la periferia del sistema mondiale capitalista[22]. Ciò è andato di pari passo con la negazione da parte del marxismo occidentale della dialettica della natura, e quindi della scienza, della natura e di qualsiasi forma di materialismo ontologico. In molte analisi post-marxiste sono state abbandonate anche le nozioni di classe e di socialismo[23].
La sfida principale che l’ecosocialismo deve affrontare in Occidente è quindi quella di ricollegare il marxismo alle sue radici materialiste. Una concezione materialista della storia non potrebbe esistere in modo significativo senza una concezione materialista della natura (e viceversa). La teoria della frattura metabolica di Marx dipendeva infatti da questa concezione molto più ampia. Né il marxismo potrebbe esistere in forma puramente ideale, separato dalla critica di classe e dell’imperialismo o indipendentemente dai nuovi linguaggi rivoluzionari che stanno emergendo nel Sud globale. In questo senso, i parallelismi tra la concezione materialista della natura e il materialismo organico, messi in evidenza da Needham rispetto alla Grecia presocratica ed ellenistica e al periodo degli Stati Combattenti in Cina, sono cruciali per comprendere sia la storia che il futuro del marxismo ecologico. Cosa più importante, il concetto cinese di civilizzazione ecologica deve essere inserito in questo contesto di riscoperta delle radici di un materialismo organico-ecologico.
Epicureismo e Taoismo
Per meglio comprendere la tesi di Needham relative all’affinità del marxismo con la filosofia tradizionale cinese, è necessario riconoscere che, come molti altri scienziati e teorici della cultura associati al secondo fondamento del marxismo, Needham vedeva nel materialismo epicureo la chiave della concezione marxiana, materialista, della natura e la base del materialismo dialettico. L’essenza della visione materialista, comune sia all’epicureismo che al taoismo e fondamento di tutto l’umanismo scientifico, è che la natura possa essere compresa nei suoi stessi termini, come se avesse un’origine spontanea. Per il Taoismo, «il Tao [la Via della natura] è venuto all’esistenza da sé»; allo stesso modo, per l’Epicureismo, «la natura, libera, affrancata da padroni superbi, | di per sé stessa spontaneamente compie tutto senza gli dei»[24]. La cultura cinese, sosteneva Needham in Scienza e civiltà in Cina, aveva conservato «una filosofia organica della Natura […] molto simile a quella che la scienza moderna è stata costretta ad adottare [soprattutto nell’ambito del materialismo dialettico] dopo tre secoli di materialismo meccanicistico»[25]. «Il naturalismo nel Tao Te Ching», come mostra P. J. Laska nell’introduzione alla sua traduzione inglese dell’opera,
è simile al naturalismo che si è sviluppato nell’antica filosofia greca, a partire dai Presocratici e proseguito con i sistemi atomistici di Democrito ed Epicuro. Ciò che [tuttavia] contraddistingue il naturalismo dell’antica Cina è l’aggiunta del concetto di Tao, che significa “la Via”, il processo cosmico che comprende sia l’Essere che il Non-Essere. Il materialismo greco antico manca di questo concetto proto-ecologico [...]. Ciò che accomuna il naturalismo orientale e quello occidentale è l’eliminazione delle proiezioni antropiche che trasformano gli eventi naturali in agenti soprannaturali [...]. Nel Tao Te Ching l’ordine naturale si sviluppa spontaneamente dall’interazione dei vari “esseri” che compongono “l’Uno”.
Il risultato fu un «naturalismo olistico», costituito, come il materialismo epicureo e il naturalismo dialettico marxiano, a partire dall’idea dell’unità degli opposti e del processo continuo[26].
Marx notava che per Epicuro, nella cui opera era possibile rinvenire una «dialettica immanente» in accordo con la natura, il «mondo è mio amico»[27]. Allo stesso modo, per il Taoismo, insisteva Needham, «il mondo naturale non era qualcosa di ostile o malvagio, da sottomettere incessantemente per mezzo della volontà di potenza e con la forza bruta, ma qualcosa di più simile al più grande degli organismi viventi, i cui principi regolatori dovevano essere compresi in modo che la vita potesse essere vissuta in armonia con esso»[28]. Così, «l’Ordine della Natura era un principio di movimento incessante, di cambiamento e di ritorno [...]. Non si trattava del concetto della non-azione [wu wei], ma di un’azione non contraria alla Natura». Nel pensiero cinese, «la materia si diffonde e ricompone in forme sempre nuove»[29]. In Occidente, l’epicureismo ha fornito una prospettiva materialista affine, sfociata nell’elaborazione delle nozioni di emergenza e di livelli integrativi e che ha fornito un realismo critico poi sviluppato in modo più completo attraverso la dialettica materialista di influenza marxiana. Come il Taoismo, l’Epicureismo vedeva nell’autarchia [sufficiency] (il principio dell’abbastanza) un valore centrale. «Oggi», scriveva Needham, «siamo tutti taoisti ed epicurei»[30].
Se il materialismo epicureo rappresentava un materialismo organico simile al taoismo, per Needham i suoi elementi più radicali e ambientali erano andati perduti nella cultura predominante in Occidente, dove era stato sostituito da un materialismo meccanicistico e da una concezione unilaterale del «dominio della natura» – quanto egli chiamava, seguendo Theodore Roszak, un «imperativo meccanicistico» e una «scientificizzazione della natura» diventata distruttiva. I principali antidoti in risposta a questa visione meccanicistica (e all’idealismo astratto), furono il materialismo dialettico marxista, la filosofia del processo di Alfred North Whitehead e le nuove filosofie dell’emergenza, che giunsero a rappresentare i più alti livelli di sviluppo del pensiero scientifico[31].
In contrasto con il dualismo meccanicistico e idealista dominante in Occidente, la Cina aveva per molti versi conservato il suo naturalismo organico ed era stata in grado di integrarlo con la scienza moderna facendo uso del materialismo dialettico marxista, grazie alla sua comprensione più complessa della relazione dell’umanità all’ecologia evolutiva, mediando tra la scienza occidentale e la filosofia tradizionale cinese. La filosofia naturale tradizionale cinese raggiunse il suo livello più alto, secondo Needham, nel XII secolo con il neoconfucianesimo, che costituiva «di fatto una concezione organica della Natura, una teoria dei livelli integrativi, un naturalismo organico [...] strettamente alleato alle concezioni del materialismo dialettico». Una delle «idee più profonde del neoconfucianesimo», scrive, si trova «nella famosa frase wu chi erh thai chi, “ciò che non ha un polo eppure è esso stesso il polo supremo”, ossia la concezione dell’intero universo come un’unità organica, di più, come un unico organismo»[32].
Bertrand Russell, suggeriva Needham, stava semplicemente parafrasando la seconda parte del Tao Te Ching nel suo libro The Problem of China quando riassumeva il Taoismo come «Produzione senza possesso, azione senza imposizione di sé, sviluppo senza predominio»[33]. Quale espressione del rapporto sociale dell’uomo con la natura, ciò aveva un carattere profondamente ecologico. Con il suo rapporto molto diverso con il mondo naturale, sottolineava Needham, la Cina aveva evitato alcuni degli aspetti peggiori della frattura metabolica nella fertilità del suolo (analizzata criticamente da figure come Justus von Liebig e Marx) mediante il continuo «uso di escrementi umani come fertilizzanti», evitando «le perdite di fosforo, azoto e altri nutrienti del suolo che avvenivano in Occidente»[34].
La civiltà ecologica come ecologia marxiana con caratteristiche cinesi
Secondo quella che ho denominato tesi di Needham, il naturalismo dialettico marxista, sviluppatosi come un’ontologia organico-materialista con radici profonde nell’antica filosofia materialista greca, aveva una particolare affinità con la filosofia tradizionale cinese, giacché questa forma di umanismo scientifico non era stata soppiantata in Cina da un dualismo egemonico di materialismo meccanicistico e idealismo/teologia astratta, come invece avvenuto in Occidente. Il fatto che la Rivoluzione cinese fosse una rivoluzione contadina significa anche che fosse radicata in condizioni materiali molto diverse da quelle che governavano la civiltà borghese in Occidente. Queste condizioni ideali e materiali rendevano la Cina, come sosteneva Needham negli anni Settanta, più aperta al marxismo nella sua forma dialettico-materialista e alle concezioni ecologiche rivoluzionarie derivanti da quella tradizione, oltre che alla filosofia tradizionale cinese. Il socialismo con caratteristiche cinesi, da Mao sino ai nostri giorni, include quindi una componente dialettico-ecologica che è diventata sempre più, e non meno, evidente, ed è oggi esemplificata dalla nozione di civiltà ecologica.
Il concetto di civiltà ecologica, come abbiamo visto, è nato nell’ultimo decennio dell’Unione Sovietica come estensione naturale del socialismo. Secondo il filosofo ambientalista sovietico Ivan T. Frolov, che scriveva nel 1983, l’approccio di Marx all’unità/alienazione dell’umanità e della natura prese avvio riconoscendo che gli esseri umani, in quanto esseri sociali, regolano il metabolismo tra loro e la natura nel suo complesso attraverso la produzione e lo sviluppo di una «seconda natura» all’interno della società. Il carattere alienato della produzione all’interno del capitalismo ha creato molteplici contraddizioni tra gli esseri umani e la natura, alle quali ci si riferisce oggi come frattura metabolica[35]. La risposta, sosteneva Frolov, era l’«umanizzazione della scienza» e lo sviluppo di un «umanismo scientifico», in accordo con la produzione socializzata, sottolineando la necessità di una nuova cultura ecologica. Come disse il filosofo sovietico V. A. Los
È nel corso della formazione di una cultura ecologica [civiltà ecologica] che possiamo aspettarci non solo una soluzione teorica alle acute contraddizioni esistenti nelle relazioni tra l’uomo e il suo habitat all’interno della civiltà contemporanea, ma anche la loro soluzione pratica. La società che ha creato una cultura ecologica è, per dirla con Karl Marx, «l’unità completa dell’uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura»[36].
L’idea di civiltà ecologica è stata in breve tempo adottata dal pensatore cinese Ye Qianji nel 1987 ed è diventata centrale nella definizione del socialismo con caratteristiche cinesi sotto Hu Jintao nel primo decennio di questo secolo[37]. La civiltà ecologica è spesso vista come poco più che una controparte socialista della modernizzazione ecologica capitalista. Di fatto, però, è radicalmente estranea alla concezione generale della civiltà industriale in Occidente. Piuttosto, essa è concepita come una forma di sviluppo umano realmente sostenibile, che esemplifica gli obiettivi del socialismo con caratteristiche cinesi. È uno sviluppo della classica critica ecologica di Marx ed Engels, alla quale si aggiungono le condizioni culturali e storiche della Cina[38]. Come ha scritto Chen Xueming in The Ecological Crisis and the Logic of Capital, «a differenza della società capitalista, la società socialista non conduce l’essere umano a diventare un ‘animale economico’ che sa solo come realizzarsi rispetto alla vita materiale. Lo scopo del socialismo non è quello di sviluppare un modo di vivere all’interno delle condizioni del capitalismo, ma di creare un modo di vivere nuovo […]. Le caratteristiche essenziali e i valori fondamentali del socialismo consistono nel creare un modo di essere che, a differenza del modo di vivere capitalistico, miri a realizzare lo sviluppo integrale dell’essere umano»[39].
Ma se il materialismo storico e dialettico marxiano, basato nello specifico sulla critica ecologica classica introdotta dallo stesso Marx, ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo del concetto cinese di civiltà ecologica, non si può ignorarne la naturale sinergia (come espresso nella tesi di Needham) con il pensiero tradizionale cinese. Fare ciò, infatti, sarebbe eurocentrico. La relazione complessa e dialettica tra il concetto di civiltà ecologica e il socialismo con caratteristiche cinesi è visibile nel pensiero di Xi Jinping in questo contesto. Come ha spiegato Huang Chengliang, le «Origini teoriche del pensiero di Xi Jinping circa la civiltà ecologica» possono essere ricondotte a cinque fonti: (1) la filosofia marxista, che integra «le tre teorie fondamentali della ‘dialettica della storia, del materialismo dialettico e della dialettica della natura’»; (2) la saggezza ecologica tradizionale cinese relativa all’«unità [essere umano]-natura e la legge della natura»; (3) l’attuale contesto storico della governance ecologica in Cina in risposta alla crisi ecologica; (4) le lotte per sviluppare un modello progressivo ed ecologico di sviluppo sostenibile; e (5) l’articolazione della civiltà ecologica come principio di governo della nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi[40].
Pertanto, la caratteristica della visione cinese della civiltà ecologica odierna, come esemplificata nel pensiero di Xi, è rappresentata da una dialettica ecologica e un’economia politica marxiane intrecciate a elementi ad essa compatibili tratti dal Taoismo, dal Confucianesimo e dal Neo-Confucianesimo, creando una potente filosofia organica ecologica-materialista. Piuttosto che un semplice prodotto ideale, il concetto e l’attuazione della civiltà ecologica sono determinati dalla crisi ecologica, dalle lotte per uno sviluppo ecologicamente sostenibile e dalla nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi, in cui lo sviluppo di un socialismo maturo caratterizzato da un nuovo stile di vita ecologico diviene l’obiettivo primario.
Ciò è evidente oggi in alcune delle più celebri affermazioni di Xi sulla civiltà ecologica. Così, è possibile vedere come si sposino i valori ecologici marxiani e quelli tradizionali cinesi quando Xi dichiara:
L’uomo e la natura formano una comunità di vita; noi, come esseri umani, dobbiamo rispettare la natura, seguire le sue vie e proteggerla. Solo osservando le leggi della natura l’umanità può evitare costosi errori nel suo utilizzo. Ogni danno che infliggiamo alla natura tornerà infine a perseguitarci. È questa la realtà che dobbiamo affrontare. La modernizzazione che perseguiamo è caratterizzata da una coesistenza armoniosa tra l’uomo e la natura [...]. Dovremmo profondere un forte impegno per l’eco-civiltà socialista e lavorare per sviluppare un nuovo modello di modernizzazione con gli esseri umani che si sviluppa in armonia con la natura[41].
A ciò vanno affiancate le affermazioni secondo cui la Cina avrebbe «incoraggiato modi di vita semplici, moderati, green e a basse emissioni di carbonio, opponendosi allo sperpero e al consumo eccessivo»[42]. Nel suo discorso dell’aprile 2020, Costruire una eco-civiltà per uno sviluppo sostenibile, Xi esordiva citando Engels: «Non dobbiamo però lusingarci troppo per le vittorie dell’uomo sulla natura. Perché ciascuna di queste vittorie si vendica su di noi». Xi concludeva: «Dobbiamo comprendere appieno come l’umanità e la natura formino una comunità di vita e intensificare gli sforzi su tutti i fronti per costruire una civiltà ecologica»[43].
Nell’analisi di Xi, l’enfasi tradizionale cinese sull’armonia tra umanità e natura, o l’idea che «l’uomo e il cielo sono uniti in uno», si sposa con le visioni ecologiche marxiane in maniera così affine da poter essere spiegata solo nei termini della tesi di Needham sullo sviluppo correlativo del materialismo organico sia in Oriente che in Occidente, con il marxismo come anello di congiunzione[44]. Da questo punto di vista, la nozione cinese di civiltà ecologica, grazie alla sua coerenza teorica complessiva e all’ascesa della Cina in generale, è destinata a svolgere un ruolo sempre più importante nello sviluppo del marxismo ecologico a livello mondiale. Come ha scritto Needham: «La Cina ha imparato a suo tempo molto dal resto del mondo; ora forse è giunto il momento che le nazioni e i continenti imparino di nuovo da lei»[45].
Note
[1] Joseph Needham, Within the Four Seas: The Dialogue of East and West, University of Toronto Press, Toronto, 1969, p. 27, 97; Arun Bala, Chinese Organic Materialism and Modern Science Studies: Rethinking Joseph Needham’s Legacy, «Culture of Science», 3, n. 1, 2020, pp. 62–63.
[2] Samir Amin, Eurocentrism, Monthly Review Press, New York, 2009, p. 109. Trad. it. Eurocentrismo, La Città del Sole, Napoli, 2022. In questo contesto Amin non nomina specificamente la Cina, concentrandosi piuttosto sul modo di produzione tributario greco in età pre-ellenistica, ritenuto qui legato alle culture egizia e fenicia, e poi sull’età ellenistica. L’argomentazione di Amin, tuttavia, è completata da quella di Needham relativa alla crescita simultanea dell’umanismo scientifico/materialismo organicista in Cina, associato al confucianesimo e al taoismo, che iniziò tra il V e il IV secolo a.C., venendo in questo modo a coincidere con l’ascesa della filosofia materialista della natura in Grecia. Cfr. Needham, Within the Four Seas, 97, 212. Ciò si inserisce quindi nell’argomentazione generale di Amin relativa alle culture tributarie, associate a quella che viene spesso definita l’età assiale.
[4] Joseph Needham, Within the Four Seas, op. cit., p. 93.
[5] Il ruolo fondante del materialismo epicureo era presente anche nella maggior parte degli altri principali pensatori che fanno parte della seconda fondazione del pensiero marxista. Tra questi, la scienza rossa britannica e il materialismo culturale, esemplificati dal lavoro di figure come Benjamin Farrington, Needham, J. D. Bernal, J. B. S. Haldane, Lancelot Hogben, Christopher Caudwell e Jack Lindsay. Anche altri socialisti non marxisti, come Arthur G. Tansley, hanno attinto al materialismo epicureo. Cfr. John Bellamy Foster, The Return of Nature, Monthly Review Press, New York, 2020, pp. 526–30. Sul “secondo fondamento del marxismo” cfr. John Bellamy Foster, Engels and the Second Foundation of Marxism, «Monthly Review» 75, n. 2, 2023, pp. 1–18, trad. it. Engels e il secondo fondamento del marxismo, Antropocene.org, 05.06.2023
[6] Sull’impatto straordinario avuto da Epicuro nel pensiero di Marx, cfr. John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, Monthly Review Press, New York, 2000, pp. 1–65; Diego Fusaro, Marx, Epicurus, and the Origins of Historical Materialism, Pertinent Press, Oxford, 2018.
[7] Jeremy Lent, What Does China’s ‘Ecological Civilization’ Mean for Humanity’s Future?, «Ecowatch», 9 Febbraio, 2018, ecowatch.com; John Bellamy Foster, Ecological Civilization, Ecological Revolution, «Monthly Review», 74, no. 5, Ottobre 2022, pp. 1–11, trad. it. Civiltà ecologica, rivoluzione ecologica. Una prospettica ecologico-marxista, Antropocene.org, 17.11,2022. Lent adotta una prospettiva culturalista che, mentre sembra allontanarsi dall’eurocentrismo enfatizzando i punti di forza della filosofia tradizionale cinese, in realtà rinforza questo stesso eurocentrismo creando ciò che Amin chiama un “eurocentrismo al rovescio”, utile solo a rafforzare le visioni eurocentriche dello sviluppo europeo, presentando al contempo lo sviluppo cinese come un semplice culturalismo rovesciato rispetto all’eurocentrismo. Cfr. Amin, Eurocentrism, p. 214.
[8] Arkadiĭ Dmitrievich Ursul (a cura di), Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation, Progress Publishers, Moscow, 1983; I. Bellamy Foster, Ecological Civilization, Ecological Revolution, op. cit., pp. 3–4.
[9] Sul problema dell’imperialismo e del Marxismo in Occidente, cfr. Zhun Xu, The Ideology of Late Imperialism, «Monthly Review» 72, no. 10, marzo 2021, pp. 1–20.
[10] È l’incapacità di comprendere o prendere seriamente il ruolo centrale che Needham assegna al materialismo dialettico quale sviluppo del materialismo organico greco (che aveva perciò un’affinità con il naturalismo organicista cinese, tanto che il materialismo dialettico fu quasi scambiato per la filosofia perenne cinese, travestita come una scienza naturale) che portò gli storici della scienza a sostenere che la tesi di Needham «sulla relazione tra la scienza materialista e organica cinese e la scienza moderna» fosse paradossale, priva di una «spiegazione filosofica coerente». Arun Bala, Chinese Organic Materialism and Modern Science Studies, op. cit., p. 73; Wen-yuan Qian, The Great Inertia: Scientific Stagnation in Traditional China, New Hampshire, Dover, 1985, p. 133.
[11] Questo punto è stato articolato con più chiarezza nell’introduzione generale alla sociologia della religione di Max Weber, solitamente pubblicata come l’introduzione all’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. Cfr. Max Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism, Unwin Hyman, London, 1930, pp. 13–31.
[12] Joseph Needham, Within the Four Seas, op. cit., p. 13.
[13] Samir Amin, Eurocentrism, [prima edizione], Monthly Review Press, New York, 1989, pp. vii–xiii.
[14] Horace B. Davis, Nationalism and Socialism, Monthly Review Press, New York, 1967, pp. 59–73; Kenzo Mohri, Marx and ‘Underdevelopment’, «Monthly Review» 30, no. 11, aprile 1979, pp. 32–42; Suniti Kumar Ghosh, Marx on India, «Monthly Review» 35, no. 8, gennaio 1984, pp. 39–53; John Bellamy Foster, Marx and Internationalism, Monthly Review 52, no. 3 luglio-agosto 2000, pp. 11–22. Si veda anche Kevin B. Anderson, Marx on the Margins, University of Chicago Press, Chicago, 2016.
[16] John Bellamy Foster, Brett Clark, and Hannah Holleman, Marx and the Indigenous, «Monthly Review», 71, no. 9, febbraio 2020, pp. 1–19; John Newsinger, The Taiping Peasant Revolt, «Monthly Review» 52, no. 5, ottobre 2000, pp. 29–37.
[17] Karl Marx, Capital, vol. 1, Penguin, London, 1976, p. 90; Kohei Saito, Marx in the Anthropocene, Cambridge University Press, Cambridge, 2022, pp. 184–85; Karl Marx, The Reply to [Vera] Zasulich, in Teodor Shanin, Late Marx and the Russian Road, Monthly Review Press, New York, 1983, p. 124.
[18] Karl Marx, Capital, vol. 1,op. cit., p. 479; Kohei Saito, Marx in the Anthropocene, op. cit., pp. 183–84.
[19] Kenneth Pomeranz, La grande divergenza. La Cina, l’Europa, e la nascita dell’Economia mondiale moderna, Il Mulino, Bologna, 2012.
[20] David Christian, Maps of Time, University of California Press, Berkeley, 2004, pp. 406–9; Paul Bairoch, The Main Trends in National Economic Disparities Since the Industrial Revolution, in Disparities in Economic Development Since the Industrial Revolution, Paul Bairoch and Maurice Lévy-Leboyer (a cura di), St. Martin’s Press, New York, 1981, pp. 7–8.
[23] Cfr. Ellen Meiksins Wood, The Retreat from Class, Verso, London, 1986; Ellen Meiksins Wood and John Bellamy Foster (a cura di), In Defense of History, Monthly Review Press, New York, 1997.
[24] Joseph Needham, Within the Four Seas, op. cit., p. 91, Lucrezio, De rerum natura, II, op. cit., 1090-92.
[25] Joseph Needham, Science and Civilization in China, vol. 1, Cambridge University Press, Cambridge, 1954, p. 4. Sul ruolo dell’epicureismo nello sviluppo della scienza moderna, si veda H. Floris Cohen, How Modern Science Came into the World, Amsterdam University Press, Amsterdam, 2010, pp. 102–44. Stephen Greenblatt, The Swerve: How the World Became Modern, W. W. Norton, New York, 2012.
[26] The Original Wisdom of Dao De Jing: A New Translation and Commentary, trad. P. J. Laska, ECCS Books, Green Valley, Arizona, 2012, p. xvii.
[27] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, New York, International Publishers, 1975, vol. 1, 413; John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, op. cit., pp. 52–53; K. Marx e F. Engels, Collected Works, vol. 5, op. cit., pp. 141–42.
[28] Joseph Needham, Light from the Orient, «Environment», New Zealand Environment, 20 agosto 1978, pp. 8 –11.
[29] Joseph Needham, Science and Civilization in China, vol. 4, parte 1, Cambridge University Press, Cambridge, 1971, p. xxvi, p. 61; Tu Weiming, The Continuity of Being: Chinese Visions of Nature, in Mary Evelyn Tucker and John Berthrong (a cura di), Confucianism and Ecology, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1998, p. 106; Dao De Jing, p. xi, p. 80 (verso 63).
[30] Joseph Needham, Time: The Refreshing River, George Allen and Unwin, London, 1943, pp. 55–56; Epicurus, The Epicurus Reader, Hackett, Indianapolis, 1994, p. 39.
[32] Joseph Needham, Within the Four Seas, op. cit., pp. 67–68, 94; Joseph Needham, Science and Civilization in China, Cambridge University Press, Cambridge, 1956, vol. 2, p. 55, p. 484, p. 567, trad. it. Scienza e civiltà in Cina, trad. di Mario Baccianini e Gianluigi Mainardi, Einaudi, Torino, 1981-83.
[33] Joseph Needham, Within the Four Seas, op. cit., p. 63; Bertrand Russell, The Problem of China, George Allen and Unwin, London, 1922, p. 194.
[34] Joseph Needham, Light from the Orient, op. cit., pp. 10–11.
[35] Ivan T. Frolov, The Marxist-Leninist Conception of the Ecological Problem, in A. D. Ursul (a cura di), Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation,op. cit., pp. 37–39.
[36] A. Los’, On the Road to an Ecological Culture, in A. D. Ursul (a cura di), Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation, op. cit., p. 339.
[37] Qingzhi Huan, Socialist Eco-Civilization and Social-Ecological Transformation, «Capitalism Nature Socialism» 27, n. 2, 2016, pp. 51–63; Arran Gare, Barbarity, Civilization and Decadence: Meeting the Challenge of Creating an Ecological Civilization, Chromatikon 5, 2009, p. 167; Jiahua Pan, China’s Environmental Governing and Ecological Civilization, Springer, New York, 2016, p. 35.
[38] Wang Wei, The Marxist Thought on Ecological Civilization, Proceedings of the Second International Conference on Language, Art, and Cultural Exchange, Advances in Social Science, Education and Humanities Research, vol. 559, 2021, pp. 617–20; Xiao-pu Wang, Li-min Zhang, and Qiu-ying Song, Marx’s Ecological View and Ecological Civilization Construction of China, «International Conference on Social Science and Technology Education», Atlantis, Amsterdam, 2015, pp. 930–35.
[39] Chen Xueming, The Ecological Crisis and the Logic of Capital, Brill, Boston, 2017, pp. 547–48. [Traduzione leggermente modificata dall’autore, ndt].
[40] Huang Chengliang, Theoretical Origins of Xi Jinping’s Thought in Ecological Civilization, «Chinese Journal of Urban and Environmental Studies» 7, n. 2, 2019, pp. 1–2.
[41] Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3, Foreign Languages Press, Beijing, 2020, pp. 54–56; K. Marx e F. Engels, Collected Works, vol. 25,op. cit., pp. 460–61.
[42] Xi Jinping, Full Text of Xi Jinping’s Report at the 19th CPC National Congress, «China Daily», 18.10.2017; Jeremy Lent, Can China Really Lead the Way to an ‘Ecological Civilization’?, «China Daily», 29.04.2018; “Xi Jinping Stresses Mobilizing National Resources for Core Technology Breakthroughs in Key Fields,” State Council Information Office, People’s Republic of China, 08.09.2022.
[43] Xi Jinping, Build an Eco-Civilization for Sustainable Development, in «The Governance of China», vol. 4, Foreign Languages Press, Beijing, 2022, p.413.
[44] Xin Zhou, Ecological Civilization in China: Challenges and Strategies, «Capitalism Nature Socialism», 32, no. 3 (2021), p. 86; Tao Te Ching, p. 19 (verso 16), p. 29 (verso 25).
[45] Joseph Needham, Moulds of Understanding, George Allen and Unwin, London, 1976, pp. 302–3.
John Bellamy Foster
Traduzione di Giovanni Fava - Redazione di Antropocene.org
Fonte: Monthly Review, vol. 75, n. 06 (01.10.2023)
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