Fonte: Climate&Capitalism - 05.03.2023
Gli insetti del mondo sono tra le principali vittime della concentrazione agricola capitalistica. Il loro massacro è una grave minaccia per la biosfera.
Nella prima parte si è parlato del forte calo delle popolazioni di insetti in tutto il mondo.
In questa seconda parte si considera il ruolo delle monocolture.
Negli anni successivi alla Seconda Guerra mondiale, il capitalismo globale è andato in overdrive, con effetti devastanti sulla biosfera. Alimentata da combustibili fossili e prodotti petrolchimici, la Grande Accelerazione ha posto fine a dodicimila anni di relativa stabilità ambientale e climatica dell'Olocene, dando inizio all'epoca dell'Antropocene. Come conclude una relazione sintetica del 2004 dell’International Geosphere-Biosphere Programme,
«La seconda metà del XX secolo è unica nell'intera storia dell'esistenza umana sulla Terra. Molte attività umane hanno raggiunto il punto di decollo nel corso del XX secolo e hanno subìto una forte accelerazione verso la fine del secolo. Gli ultimi cinquant’anni hanno senza dubbio visto la più rapida trasformazione del rapporto dell’uomo con il mondo naturale nella storia dell'umanità».[1]
Il rapporto dell'IGBP includeva grafici che illustravano un aumento senza precedenti dell'attività umana e della distruzione dell'ambiente mondiale, a partire dal 1950 circa.[2] Uno di questi, intitolato Biodiversità globale, tracciava il tasso di estinzione degli animali, che gli autori stimavano da 100 a 1.000 volte superiore ai tassi di estinzione naturale del passato.[3] È una misura della debolezza degli studi sugli insetti, il fatto che la discussione sul declino della biodiversità menzionasse mammiferi, pesci, uccelli, anfibi e rettili, ma non insetti o altri invertebrati.[4]
Come abbiamo visto, la ricerca recente ha cambiato decisamente questo quadro. Le popolazioni di insetti non solo sono in declino, ma si stanno riducendo molto più velocemente rispetto agli altri animali. Gli insetti comprendono la metà del milione di specie animali che, secondo gli scienziati, rischiano l'estinzione nel corso di questo secolo.[5] Gli insetti del mondo sono tra le principali vittime della Grande Accelerazione. Se essa continua, il loro rapido declino sarà una delle caratteristiche più letali dell'Antropocene.
Concentrazione e semplificazione
Il motore più importante della diminuzione degli insetti è la distruzione dell'habitat, in particolare il ruolo dell'agricoltura industriale nello sfrattare innumerevoli specie dal loro ambiente. Altri habitat di insetti sono stati compromessi e distrutti, ma i terreni agricoli sono fondamentali a causa della loro enorme diffusione: l'agricoltura occupa il 36% della terra totale del mondo e il 50% della terra abitabile. All'interno di quell'enorme area, immense distese sono impegnate in quella che può ragionevolmente essere descritta come una guerra agli insetti.
Tutte le attività agricole alterano gli ecosistemi locali e disturbano la vita degli insetti, ma, come spiega l'ecologo Tony Weis, fino a poco tempo fa un’agricoltura di successo richiedeva di lavorare il più possibile in accordo con gli ambienti naturali, non contro di essi:
«Nel corso della storia, la vitalità a lungo termine dei paesaggi agricoli è dipesa dal mantenimento della diversità funzionale dei suoli, delle specie coltivate (e del germoplasma dei semi all'interno delle specie), degli alberi, degli animali e degli insetti per mantenere l'equilibrio ecologico e i cicli dei nutrienti. A tal fine, gli agro-ecosistemi sono stati gestiti con una varietà di tecniche diverse, come la multicoltura, i modelli di rotazione, i sovesci (trasformazione di tessuti vegetali non decomposti in suolo, in genere a partire da legumi ricchi di azoto), i maggesi, l'agro-forestazione, l'attenta selezione delle sementi e l'integrazione di piccole popolazioni di animali».[6]
Nei decenni successivi alla Seconda Guerra mondiale, nella agricoltura si è assistito all'equivalente della rivoluzione industriale del XIX secolo: il passaggio dalla piccola produzione di beni alla produzione di massa su larga scala, dipendente dai combustibili fossili. Mentre la maggior parte delle aziende agricole era ancora a conduzione familiare, le decisioni su cosa coltivare e come coltivare venivano prese sempre più spesso nei consigli di amministrazione delle aziende. Gli ecologisti dell’agricoltura Ivette Perfecto, John Vandermeer e Angus Wright, così descrivono la rivoluzione metabolica nella produzione alimentare:
«La capitalizzazione dell'agricoltura nel secondo dopoguerra è stata realizzata principalmente attraverso la sostituzione di input generati all'interno dell'azienda agricola stessa, con input prodotti all’esterno dell'azienda e che dovevano essere acquistati. A partire dalla prima meccanizzazione dell'agricoltura, che ha sostituito la forza di trazione a quella animale, alla sostituzione del compost e del letame con i fertilizzanti sintetici, alla sostituzione del controllo biologico e delle colture coi pesticidi, la storia dello sviluppo tecnologico agricolo è stata un processo di capitalizzazione che ha comportato la riduzione del valore aggiunto all'interno dell'azienda stessa. Nelle aziende agricole odierne, la manodopera proviene da Caterpillar o John Deere, l'energia da Exxon/Mobil, i fertilizzanti da DuPont e la gestione dei parassiti da Dow o Monsanto. I semi, letteralmente il germe che rende possibile l'agricoltura, sono stati brevettati e devono essere acquistati».[7]
Il boom della produzione agricola del dopoguerra si basava su un'ampia gamma di nuove tecnologie, tra cui attrezzature meccanizzate, mangimi di massa, fertilizzanti sintetici e sementi fornite da aziende. I nuovi input funzionavano molto bene, ma come sottolinea la storica dell'agricoltura Michelle Mart, «la rivoluzione tecnologica in agricoltura era più accessibile ad alcuni che ad altri».
«Molti piccole aziende agricole a conduzione familiare non potevano permettersi gli ingenti investimenti necessari per le nuove tecnologie né disponevano di vasti appezzamenti di terreno che le rendevano economicamente fattibili. Nel 1955, i costi operativi totali dell'azienda agricola media erano triplicati rispetto a quindici anni prima, provocando un calo del numero di aziende agricole e del numero di persone che lavoravano la terra. Dal 1939 al 1950, il numero di aziende agricole negli Stati Uniti è diminuito del 40%, e il numero è sceso di quasi un altro 50% dal 1960 al 1970, mentre le dimensioni di un'azienda agricola media sono aumentate di due acri [1 acro = 0,4 ha] ogni anno».[8]
Secondo il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2012 «il 36% di tutti i terreni coltivati si trovava in aziende agricole con almeno duemila acri di terreno coltivato, rispetto al 15% del 1987».[9] Sebbene solo il 12% circa delle aziende agricole statunitensi possa essere definito un'attività commerciale di grandi dimensioni, esse rappresentano l'88% del reddito agricolo netto annuale.[10]
Nel Nord America e in Europa, le grandi aziende agricole sono state create, in genere, dalla fusione di aziende più piccole. Nel Sud del mondo, la deforestazione gioca il ruolo principale: circa cinque milioni di ettari di foresta all'anno vengono disboscati e sostituiti da gigantesche aziende agricole e ranch.[11] Tra il 1980 e il 2000, oltre la metà dei nuovi terreni agricoli ai Tropici è stata creata disboscando le foreste. Tra il 2000 e il 2010, la percentuale è stata dell'80%.[12]
La gestione redditizia di grandi aziende agricole con macchinari costosi richiede una specializzazione. Ogni coltura ha requisiti particolari, quindi piuttosto che acquistare più macchine, gli agricoltori si sono concentrati su singole specie: solo mais, o solo grano, o solo soia, e così via. Il modello di campi con colture diverse che caratterizzava l'agricoltura tradizionale è stato sostituito da immense aree coltivate a piante geneticamente identiche. La maggior parte delle recinzioni, delle siepi, dei boschi e delle zone umide – habitat di piccoli mammiferi, uccelli e insetti – sono stati eliminati per massimizzare la produzione e consentire alle macchine di coprire facilmente l'intera area.
Esistono ancora milioni di piccole aziende agricole dedite a più colture, ma la produzione e le vendite sono dominate ovunque da un piccolo numero di aziende agricole molto grandi, ognuna delle quali coltiva o alleva solo una o due specie di piante o animali. In tutto il mondo, circa il 75% delle varietà di piante coltivate è di fatto scomparso dai mercati agricoli, lasciando solo nove specie vegetali che ora comprendono quasi due terzi di tutte le colture. Come commenta Michael Pollan, questo ha importanti implicazioni per le diete umane: «Il grande edificio di varietà e scelta che è un supermercato americano risulta poggiare su una base biologica notevolmente ristretta, costituita da un piccolo gruppo di piante dominato da un'unica specie, la Zea mays, la gigantesca erba tropicale che la maggior parte degli americani conosce come mais».[13]
Lo storico dell'ecologia Donald Worster descrive la trasformazione dell'agricoltura del XX secolo come una «radicale semplificazione dell'ordine ecologico naturale».
«Quella che un tempo era una comunità biologica di piante e animali così complessa da essere difficilmente comprensibile per gli scienziati, che era stata trasformata dagli agricoltori tradizionali in un sistema ancora altamente diversificato per la coltivazione di prodotti alimentari locali e altri materiali, ora è diventata sempre più un apparato rigidamente congegnato che compete in mercati diffusi per il successo economico. Nel linguaggio odierno chiamiamo questo nuovo tipo di agroecosistema monocoltura, intendendo una parte della natura che è stata ricostituita al punto da produrre una singola specie, che cresce sul terreno solo perché da qualche parte c'è una forte domanda di mercato».[14]
Questa «disconnessione dei processi naturali, gli uni dagli altri, e la loro estrema semplificazione» è, come scrive John Bellamy Foster, «una tendenza intrinseca dello sviluppo capitalistico».[15] Per un sistema economico che spinge costantemente verso la semplificazione e la mercificazione di ogni cosa, i milioni di specie di insetti sono una complicazione non necessaria e indesiderata.
Il passaggio alla monocoltura ha ridotto, da solo, in modo sostanziale la diversità degli insetti. Alcuni insetti si sono evoluti per vivere praticamente ovunque, ma molti non possono sopravvivere senza avere accesso a piante specifiche. Le farfalle monarca, ad esempio, possono mangiare solo foglie di milkweed e le loro uova non si schiudono se vengono deposte su qualsiasi altra pianta. La semplificazione di milioni di ettari ha ridotto radicalmente il numero di monarche, insieme a molti altri specialisti dell'habitat. Per essi, migliaia di ettari coltivati a mais, a soia o a grano potrebbero anche essere deserti, con tutto il nutrimento e il supporto vitale che forniscono.
Ma l'agricoltura industriale non si limita a sottrarre passivamente il sostegno agli insetti: li attacca in modo aggressivo.
(Continua)
Note
[1] Will Steffen et al., Global Change and the Earth System: A Planet Under Pressure, Springer, 2004, p. 231.
[2] Per l'aggiornamento 2015 della Grande Accelerazione si veda Ian Angus, When Did the Anthropocene Begin…and Why Does It Matter?, «Monthly Review», settembre 2015; e Ian Angus, Facing the Anthropocene: Fossil Capitalism and the Crisis of the Earth System, Monthly Review Press, 2016, pp. 44-5, trad it. Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del Sistema Terra, a cura di Giuseppe Sottile ed Alessandro Cocuzza, Asterios, Trieste, 2020.
[3] Will Steffen et al., Global Change and the Earth System: A Planet Under Pressure, Springer, 2004, p. 218.
[4] Will Steffen et al., Global Change and the Earth System: A Planet Under Pressure, Springer, 2004, pp. 118-9. In effetti, nell'intero rapporto la parola insetto compare solo una volta!
[5] Pedro Cardoso et al., Scientists’ Warning to Humanity on Insect Extinctions, «Biological Conservation» 242, 2020.
[6] Tony Weis, The Global Food Economy: The Battle for the Future of Farming, Fernwood Publishing, 2007, p. 29.
[7] Ivette Perfecto, John Vandermeer e Angus Wright, Nature's Matrix: Linking Agriculture, Conservation and Food Sovereignty, Earthscan, 2009, pp. 50-51.
[8] Michelle Mart, Pesticides, A Love Story: America's Enduring Embrace of Dangerous Chemicals, University Press of Kansas, 2015, p. 13. (Dopo aver controllato le fonti citate dalla Mart, ho corretto gli errori tipografici nelle date).
[9] James M. MacDonald, Robert A. Hoppe e Doris Newton, Three Decades of Consolidation in US Agriculture, USDA Economic Research Service, 2018, III.
[10] Timothy Wise, Still Waiting for the Farm Boom: Family Farmers Worse Off Despite High Prices, Tufts University Global Development and Environment Institute, 2011, p. 5.
[11] Erik Stokstad, New Global Study Reveals the ‘Staggering’ Loss of Forests Caused by Industrial Agriculture, «Science», 13 settembre 2018.
[12] Christine Chemnitz, Global Insect Deaths: A Crisis Without Numbers, in Insect Atlas 2020, Paul Mundy (a cura di), Friends of the Earth Europe, 2020, p. 15.
[13] Michael Pollan, The Omnivore’s Dilemma: A Natural History of Four Meals, Penguin Books, 2006, p. 18, trad it. Il dilemma dell'onnivoro, Adelphi, Milano, 2008.
[14] Donald Worster, The Wealth of Nature: Environmental History and the Ecological Imagination, Oxford University Press, 1993, pp. 58, 59.
[15] John Bellamy Foster, The Vulnerable Planet: A Short Economic History of the Environment, Monthly Review Press, 1999, p. 121.
Ian Angus
Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org
Fonte: Climate&Capitalism 05.03.2023
Aggiungi commento