Fonte: New Internationalist - 13.09.2022
Al momento in cui scrivo, più di un terzo del Pakistan è sott'acqua. Alluvioni improvvise, generate da piogge monsoniche anomale, hanno finora causato la morte di 1350 persone. Un milione di edifici residenziali sono totalmente o parzialmente danneggiati, facendo sfollare più di 50 milioni di persone dalle loro case.
Si prevede che l'alluvione aggiungerà danni per 10 miliardi di dollari a un'economia che già vacilla. Più di 793.900 capi di bestiame sono morti, privando le famiglie di tutto il Pakistan di una fonte critica di sostentamento e di vita. Circa due milioni di ettari di colture e frutteti sono stati colpiti.
Questi impatti sono innegabilmente un sintomo dell'accelerazione della crisi climatica. Nonostante produca meno dell'1% delle emissioni globali di carbonio, il Pakistan subisce alcune delle peggiori conseguenze della crisi climatica globale. Negli ultimi vent'anni, il Paese si è costantemente classificato nel Global Climate Risk Index tra i primi dieci paesi più vulnerabili al mondo. Come afferma Julien Harneis, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Pakistan: «Questa super inondazione è causata dai cambiamenti climatici – le cause sono internazionali».
La popolazione pakistana è l'ultima vittima di una crisi globale alla quale non ha contribuito quasi per nulla e che è stata invece determinata dalle eccessive emissioni dei Paesi ricchi e delle imprese inquinatrici. Questa ingiustizia fondamentale è alla base delle crescenti richieste di risarcimento per il clima da parte del Pakistan e di tutto il Sud del mondo.
Una di queste richieste è la cancellazione del debito. L'ingiustizia del debito e la crisi climatica vanno di pari passo. Con l'intensificarsi di eventi climatici estremi, paesi in prima linea, come il Mozambico e gli stati insulari dei Caraibi si trovano ad affrontare danni economici crescenti. Dopo questi eventi, i governi a basso reddito (e spesso già fortemente indebitati) si trovano ad affrontare il problema di una carenza di fondi e non hanno altra scelta se non quella di contrarre ulteriori prestiti per ricostruire i mezzi di sussistenza e le comunità.
Possiamo già vedere come questo ciclo si sta verificando in Pakistan. Anche prima delle alluvioni, il Pakistan stava affogando nel debito, avendo dovuto affrontare un forte calo di valuta estera a causa dell'impennata dei prezzi globali delle materie prime e dell'aumento del dollaro statunitense. Il costo dell'elettricità e del cibo è salito alle stelle. Entro la fine di quest'anno, il Pakistan dovrà pagare un totale di circa 38 miliardi di dollari al FMI, alla Banca Mondiale e ad altre istituzioni finanziarie, tra cui la Chinese State Bank. Una spirale di prestiti che sta generando un'imminente crisi economica.
Le inondazioni hanno provocato una raffica di aiuti stranieri: l'USAID ha contribuito con 30 milioni di dollari, che si aggiungono al contributo delle Nazioni Unite di 3 milioni di dollari della scorsa settimana. L'ONU sta lanciando un nuovo piano di soccorso per il Pakistan, mentre i suoi funzionari hanno fatto eco alle richieste di maggiori contributi da parte di tutto il mondo. Ma non è ancora abbastanza.
Mentre le organizzazioni umanitarie si affannano a cercare fondi per le emergenze, un volto familiare torna a farsi vivo. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha recentemente approvato una richiesta di salvataggio con un piano di erogazione di 1,1 miliardi di dollari al Paese. A prima vista, questo potrebbe sembrare un passo fondamentale per la ripresa del Pakistan, ma accumulare ulteriore debito su un Paese già in preda a una crisi finanziaria non potrà che portare a un ulteriore disastro.
L'evidenza empirica supporta in modo schiacciante l'idea che un'ampia porzione di debito pubblico danneggi il potenziale di crescita economica e, in molti casi, l'impatto diventa più pronunciato con l'aumentare del debito. L'elevato grado di indebitamento del Pakistan ha reso il Paese più vulnerabile agli shock economici e lo ha indebolito politicamente nei confronti dei potenti finanziatori esterni. Ha inoltre ridotto notevolmente la capacità del Pakistan di investire nell'istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture.
Se l'Occidente intende sostenere il Pakistan in questa crisi, deve attuare una serie di misure che affrontino l'entità dei danni inflitti dal Nord globale al Sud dalla rivoluzione industriale. Come primo passo, ciò dovrebbe includere la cancellazione completa del debito, insieme a un aumento considerevole dei finanziamenti per il clima, per sostenere le comunità ad adattarsi agli impatti del cambiamento climatico.
Inoltre, molti Paesi vulnerabili al clima, tra cui Bangladesh, Etiopia e Tuvalu, chiedono ora ai Paesi ricchi un risarcimento per i disastri che stanno affrontando.
Questi vengono spesso definiti “Danni e perdite”, voce che ancora oggi, nel 2022, non fa parte ufficialmente dell'agenda dei negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP). I Paesi vulnerabili al clima hanno chiesto in numerose occasioni un risarcimento per il clima ai Paesi ricchi e alle multinazionali che hanno creato il caos climatico, ma ogni volta sono stati bloccati. Alla COP27 dovranno esserci ulteriori progressi concreti in queste discussioni.
Il concetto di cancellazione del debito non è nuovo. Durante la pandemia, sono state messe in atto alcune riduzioni del debito per i paesi a basso reddito, anche se il settore privato ha continuato a riscuotere i pagamenti, il che ha inevitabilmente aggravato la crisi economica generata dal Covid-19. Ma anche i creditori privati possono essere tenuti a bada quando c'è una forte richiesta morale. A luglio, pochi mesi dopo l'invasione russa, i creditori dell'Ucraina hanno raggiunto un accordo storico per cessare la riscossione dei pagamenti dei debiti contratti durante la guerra. Questo ha dato un sollievo vitale all'economia ucraina e ha permesso al paese di concentrarsi a spendere ogni centesimo disponibile per sostenere la popolazione.
Se le istituzioni internazionali sospendessero la riscossione dei debiti, il Pakistan non avrebbe bisogno di nuovi prestiti. Il denaro inviato dal Pakistan per pagare i creditori internazionali potrebbe essere speso per dare una nuova sistemazione ai milioni di sfollati. Il Pakistan ha bisogno di almeno quattro anni per ricostruire la propria economia e per coprire i danni causati dalle inondazioni e dalle forti piogge.
Ma rimane anche una questione più ampia: chi dovrebbe pagare per la crisi climatica? Perché il Pakistan dovrebbe chiedere prestiti per pagare gli impatti di una crisi che non ha causato? Il ministro pakistano per il clima, Sherry Rehman, ha dichiarato al Guardian che gli obiettivi di emissione globali e i risarcimenti devono essere riconsiderati, data la natura accelerata e inesorabile delle catastrofi climatiche che colpiscono paesi come il Pakistan.
Naturalmente, riparare all'apartheid climatico e risolvere la crisi non è semplice come staccare un assegno, e sono necessarie molte altre misure per sostenere la popolazione pakistana nella catastrofe che sta affrontando.
Tuttavia, in assenza di una riduzione del debito o di finanziamenti per compensare le perdite e i danni, il ciclo del debito e delle crisi climatiche del Pakistan è destinato solo a peggiorare.
Farooq Tariq
Traduzione di Alessandro Cocuzza - Redazione di Antropocene.org
Fonte: Climate&Capitalism 10.10.2022
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