Video dell'incontro del 2 febbraio con Silvano Tagliagambe, traduttore e curatore di: “Dalla biosfera alla noosfera. Pensieri filosofici di un naturalista”, di Vladimir I. Vernadskij, Mimesis Edizioni 2022.



Il dibattito sui temi ambientali riscosse un certo interesse nell’URSS già dai primi decenni del Novecento, grazie soprattutto all’attività pionieristica di Vernadskij, il quale ebbe il merito di porre le basi scientifiche di questo nuovo indirizzo di ricerca. Questa innovazione fu il frutto di un clima culturale da tempo predisposto e orientato a discutere l’idea degli esseri umani come protagonisti, nel bene e nel male, di una evoluzione attiva, dipendente dalle loro scelte e decisioni.


"Vernadskij va a buon diritto considerato il fondatore della tradizione di ricerca che mette al centro l'interazione tra il suolo, i mari, i laghi, i fiumi e la vita in essi contenuta e considera gli organismi viventi non semplici spettatori, ma partecipanti attivi e artefici dell'evoluzione della Terra. Alla base di questo indirizzo di indagine sta la convinzione, anch'essa esplicitamente enunciata, che la Terra e la vita che la abitano costituiscano un solo sistema, che ha la capacità di autoregolarsi in modo da mantenere al suo interno le condizioni adatte alla sopravvivenza degli organismi viventi mediante un processo attivo, sostenuto dall'energia fornita dalla luce solare.
Lo studio di questo grande sistema non può, ovviamente, essere condotto in modo frammentario e parziale, rispettando i tradizionali confini tra le singole competenze disciplinari. Esso esige un approccio del tutto nuovo e diverso, che frantumi e attraversi ogni barriera divisoria tra campi differenti e proponga un'indagine che abbia attenzione primaria per i problemi teorici da affrontare e risolvere, e non per le suddivisioni del sapere scientifico che sono, tra l'altro, "un fatto formale, esterno e superficiale." Silvano Tagliagambe





L’antropocene e le sue origini come problema culturale


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Al di là delle controversie su temi e concetti come quelli di sostenibilità, sviluppo, crescita e descrescita, principio di precauzione, rapporti intergenerazionali è innegabile che la questione che sta emergendo sempre più come cruciale e imprescindibile a livello non solo culturale, ma anche politico e sociale sia quella dell’incidenza e delle conseguenze dell’azione umana sull’ambiente terrestre nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche. Per raggruppare tutti gli aspetti dell’intricata problematica riguardante questa specifica questione in un filone ben definito di ricerche Paul Crutzen, meteorologo e ingegnere olandese, al quale è stato conferito nel 1995 il premio Nobel per la chimica, insieme a Frank Sherwood Rowland e a Mario Molina “per i suoi studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono”, come recita la motivazione ufficiale, ha proposto nel 2000 di riferirsi al termine antropocene, composto dal greco
ἄνϑρωπος (‹uomo›) e καινός (nuovo). Questo termine fu utilizzato per la prima volta negli anni Ottanta dal biologo statunitense Eugene Stroemer, pioniere della paleolimnologia, che si occupò in particolar modo delle specie di acqua dolce dei Grandi Laghi del Nord America.

Da allora questo è diventato uno dei temi dominanti del confronto e del dibattito all’interno della comunità scientifica internazionale, che fa ampio uso del termine, anche se l’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche, così come la Commissione Internazionale di Stratigrafia, non lo hanno ancora ufficialmente approvato. Quest’ultima ha tuttavia istituito nel 2009 l’Anthropocene Working Group (AWG), un gruppo di lavoro che nell’ultimo decennio ha lavorato per capire se ci fossero i presupposti per parlare di questa come una nuova epoca geologica. Il riscontro è stato positivo: lo scorso maggio l’AWG ha deciso di proporre formalmente nel corso del 2021 alla Commissione Internazionale di Stratigrafia di aggiungere l’Antropocene all’interno della storia della Terra. L’inizio della nuova era potrebbe coincidere con la metà del ’900, il momento dal quale, secondo l’AWG, è possibile individuare nelle rocce la presenza di radionuclidi provenienti dalla detonazione della prima bomba atomica della storia.

Al di là del nome ormai generalmente attribuito a questo indirizzo di indagine, alla sua genesi e alle differenti opinioni intorno alla sua introduzione nel lessico della geologia e della scienza in generale, è fuori di dubbio che la discussione sui nodi di tipo storiografico e concettuale identificabili attraverso il sempre più comune riferimento a esso costituisca uno dei più importanti dibattiti del nostro tempo.

Un aspetto da rilevare in proposito è il contributo decisivo che all’emergere di questa problematica e alla rigorosa definizione scientifica dei suoi contorni e dei suoi tratti distintiti ha dato, già all’inizio del Novecento, e quindi ormai più di un secolo fa, il pensiero russo.

Lo riconoscono in modo esplicito Simon L. Lewis e Mark A. Maslin prima in un articolo dal titolo Defining the Antropocene, pubblicato da ‘Nature’ nel marzo 2015, e poi nel libro The Human Planet: How We Created the Anthropocene. (Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, Einaudi, Torino 2019). In entrambi questi lavori gli autori si pongono una domanda che riguarda le ragioni della rimozione, per tutto il Novecento, nei paesi occidentali delle cause e delle conseguenze dei cambiamenti nell’uso delle risorse e dei mutamenti climatici malgrado il fatto che nella letteratura scientifica fossero da tempo disponibili elementi convincenti riguardanti le condizioni che ne avevano determinato l’avvento e si chiedono esplicitamente: “Per quale motivo, benché queste alternative fossero comuni nell’Ottocento, l’Occidente scelse il termine Olocene, che non cita gli esseri umani come causa importante del cambiamento ambientale?”. La risposta che essi si danno parte dall’ammissione del fatto che la stessa cosa non accadde, ad esempio, tra gli scienziati del blocco sovietico, per cui l’ipotesi che viene avanzata è che la differenza potrebbe essere dovuta alle diverse ideologie politiche dominanti.

Minimizzare e marginalizzare le preoccupazioni ambientali è stata una caratteristica fondamentale delle società occidentali per tutto il Novecento, perciò l’Olocene era più ovvio, e molto meno controverso dell’Antropocene come nome geologico dell’epoca attuale. “Olocene” era il termine che un accademico che prepara i futuri geologi a vivere nell’industria petrolifera o mineraria avrebbe scelto per quieto vivere. Non minacciava né l’attività della geologia né le attività permesse dalla geologia.

L’interesse che, già da allora, questa problematica riscosse in Russia era frutto di un clima culturale da tempo predisposto e orientato a discutere l’idea degli esseri umani come protagonisti, nel bene e nel male, di una evoluzione attiva, dipendente dalle loro scelte e decisioni.
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- Ringraziamo Mimesis Edizioni per averci concesso il permesso a pubblicare l'Introduzione di Silvano Tagliagambe -