Fonte: The Ecologist - 25.08.2021
Il modo in cui stiamo utilizzando il territorio sta accelerando la crisi climatica. Il sistema alimentare globale sta causando sia danni ambientali che l’aumento di emissioni di gas a effetto serra.
La capacità delle comunità di tutto il mondo di vivere in modo autonomo e armonioso nei territori a cui sono legate è sistematicamente e violentemente ostacolata dalle multinazionali in nome della fornitura di cibo e energia.
Inoltre, attraverso accordi commerciali internazionali non solo alle stesse comunità vengono sottratte le terre, ma è a loro negato l’accesso ai raccolti che vengono esportati.
Questa serie di articoli è stata pubblicata in collaborazione con Dalia Gebrial e Harpreet Kaur Paul e la Rosa Luxemburg Stiftung di Londra. È apparsa per la prima volta in una raccolta intitolata Perspectives on a Global Green New Deal.
Bilancio
Il sistema alimentare mondiale sta causando danni ambientali attraverso l’uso estremo delle risorse idriche, l'inquinamento degli ecosistemi causato dai pesticidi e degli scarichi agricoli, che producono circa un quarto delle emissioni di gas serra del mondo.
Negli ultimi due decenni, si stima che 26,7 milioni di ettari di terra siano stati acquisiti da investitori stranieri per essere utilizzati nel settore delle attività agricole.
Eppure, l'industria agricola mondiale guidata dalle multinazionali - a cui ci riferiamo come agribusiness - implicata in queste acquisizioni è diventata solo più inefficiente, disuguale, inquinante e dipendente dal trasferimento delle merci.
Tutto ciò è radicato nell'ineguaglianza della proprietà della terra. Le aziende agricole industriali hanno infatti tolto la terra a coloro che la usano per la produzione diretta e locale di cibo, e che spesso hanno legami spirituali, culturali e ancestrali con essa.
Molte di queste aziende agricole utilizzano vaste porzioni di territorio per la produzione monoculture, come l'olio di palma o lo zucchero, il che comporta un tributo enorme alla salute del suolo e ne compromette la capacità futura di una diversificazione delle colture.
Privazioni
Secondo il GRAIN, le piccole aziende agricole costituiscono il 90% di tutte le aziende - eppure questi piccoli agricoltori hanno solo il 25% del terreno agricolo mondiale su cui lavorare. In effetti, i piccoli agricoltori - soprattutto donne - nutrono la maggior parte del mondo utilizzando meno di un quarto di tutto il terreno agricolo.
Le grandi imprese agroalimentari che possiedono la maggior parte della terre e che controllano il commercio di grano, le biotecnologie e la produzione industriale di cibo, forzano i produttori locali di cibo e impoveriscono i popoli, e questa loro attività comporta un uso intensivo delle risorse idriche e un degrado ambientale.
Inoltre i lavoratori dell'industria continuano ad essere tra i più precari del mondo.
L'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) stima che almeno 170.000 lavoratori del settore agricolo muoiano ogni anno - sia per la mancanza di protezioni, sia per il maggior rischio di povertà o per l'esposizione a pesticidi tossici.
Nel contempo, i popoli indigeni sono custodi dell'80% della biodiversità rimasta nel mondo, ma si trovano ad affrontare una grave insicurezza alimentare, povertà estrema e altre privazioni dei diritti umani.
Commercio
L'agribusiness fondamentalmente non riesce a soddisfare adeguatamente i bisogni alimentari della popolazione mondiale - una persona su tre affronta qualche forma di malnutrizione, e una su nove soffre la fame.
La "supermercificazione" dei sistemi alimentari porta ad un aumento della dipendenza dal cibo lavorato, piuttosto che da quello fresco, contribuendo ad un aumento della malnutrizione e dell'obesità. I bambini sono i soggetti più vulnerabili , e secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, la malnutrizione è il fattore che contribuisce a circa il 45% delle morti di bambini sotto i cinque anni.
I sistemi alimentari di oggi sono dominati da accordi commerciali e politiche economiche che danno la priorità ai profitti piuttosto che al diritto al cibo.
Il potere è concentrato nelle mani di poche corporation che beneficiano delle regole del libero commercio e delle politiche agricole orientate all'esportazione.
Tale regime privilegia le grandi imprese agroalimentari a scapito di altre, creando instabilità nel sistema alimentare mondiale.
Inquinamento
Tuttavia, il cibo prodotto in questo modo rappresenta una piccola parte della produzione mondiale - l'ONU stima che il 70-80% del cibo consumato nella maggior parte del Sud del mondo è prodotto da piccole aziende agricole.
Il 20-30% del cibo prodotto dalle grandi aziende agricole ha un impatto enorme e distruttivo su tutto il sistema.
I grandi commercianti di materie prime, come Bunge Ltd, Cargill, Luis Dreyfus e Archer Daniels Midland, sono gli equivalenti agricoli delle compagnie di combustibili fossili come Shell e BP.
Essi raccolgono i frutti di un sistema corrotto e sono sovvenzionati da sussidi statali, mentre lasciano insoddisfatti i bisogni fondamentali di milioni di persone e distruggono l’ambiente.
Gli accordi commerciali incoraggiano le piantagioni di natura commerciale e l'industria della carne, incentivando così la deforestazione, il dirottamento delle risorse idriche lontano dalle comunità locali e l'inquinamento degli ecosistemi.
Pascolo
Infatti, la deforestazione che si effettua per la coltivazione di mangimi è una delle più grandi minacce alla biodiversità, che è vitale per un'agricoltura sostenibile, per una produzione alimentare resiliente e sostenibile e per l’assorbimento del carbonio.
Questo modello provoca anche l'emarginazione delle donne dal processo decisionale agricolo, le cui conoscenze e pratiche basate sulla sussistenza non sono prese in considerazione e quindi rese impossibili.
Le donne non hanno voce in capitolo nella definizione dei programmi di lavoro, e dipendono sempre più dagli uomini per il denaro e l'accesso al mercato per acquistare il cibo che prima coltivavano.
Questo contribuisce a una crescente dissonanza tra il ruolo delle donne come agricoltori e il riconoscimento sociale che viene loro accordato, e ha implicazioni particolarmente preoccupanti per la sicurezza alimentare delle famiglie, dato che la responsabilità principale è nelle mani delle donne.
Inoltre dà la priorità a modi di sapere e di fare legati al business rispetto a metodi più sostenibili, come i sistemi tradizionali a rotazione, il pascolo permanente e il pascolo conservativo.
Sussistenza
Queste forme sostenibili di agricoltura che possono ripristinare i suoli e la biodiversità, e assorbire il carbonio atmosferico , vengono accantonate, mentre la domanda di colture che richiedono alti input di fertilizzanti, fungicidi, pesticidi ed erbicidi viene forzatamente aumentata.
Il crescente aumento della presenza femminile e la precarizzazione della forza-lavoro agricola salariata negli ultimi anni ha permesso la flessibilità per i grandi coltivatori, aumentando la precarietà dei lavoratori.
Anche il costo ecologico dell'agribusiness è chiaro. Come modello, l'agribusiness aumenta pericolosamente le emissioni e contestualmente distrugge gli habitat selvaggi, portando al collasso del clima, cosicché l'industria agricola sta, paradossalmente, rendendo l'accesso al cibo sempre più precario.
Come esempio recente, va ricordato il ciclone Idai - che ha colpito Mozambico, Malawi e Zimbabwe nel marzo 2019 e da solo ha distrutto quasi due milioni di acri di colture tra cui mais, manioca, fagioli, riso e arachidi.
La diaspora causata dall'aumento della frequenza e dell'intensità di condizioni meteo estreme è particolarmente sentito da coloro che dipendono dal settore della pesca e dell'agricoltura per il reddito e la sussistenza.
Sistema
Le pratiche agricole industriali minacciano anche la stabilità del cibo, riducendo la nostra resilienza all'intensificazione degli impatti ecologici futuri - come la desertificazione.
Un rapporto del 2015 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura ha rilevato che, a livello mondiale, da 25 a 40 miliardi di tonnellate di terriccio vengono perse ogni anno per erosione, dovuto soprattutto all'aratura e alle coltivazioni intensive.
Il rapporto speciale dell'IPCC dell'agosto 2019 sui cambiamenti climatici e la terra ha rilevato che, per diventare adatta allo scopo in un'epoca di cambiamenti climatici, l'agricoltura deve allontanarsi da approcci intensivi e industrializzati, e orientarsi verso sistemi alimentari basati sull'agroecologia e una minore e migliore produzione di carne
I paesi che hanno maggiormente subito l’impatto ambientale pur non essendone causa sono stati invece obbligati - attraverso accordi commerciali - ad aprire i loro mercati agli investitori stranieri che utilizzano un sistema di coltivazione intensivo del cibo che esportato, che causa un aumento della quantità di carbonio atmosferico e quindi inquina.
Un circolo vizioso e paradossale, dove l'agribusiness mondiale sta dietro ad alcune delle più grandi minacce alla sostenibilità e all'accessibilità al cibo, è quindi codificato nel DNA del nostro sistema alimentare mondiale.
Prodotti agrochimici
Uno studio sulla Povertà Estrema e Diritti Umani ci avverte che si sta delineando uno “scenario di apartheid climatico in cui i ricchi pagano per sfuggire al surriscaldamento, alla fame e ai conflitti, mentre il resto del mondo è abbandonato alla sofferenza".
In risposta a questa crisi, il movimento contadino internazionale La Vía Campesina ha sviluppato il concetto di "sovranità alimentare" negli anni '90.
Introdotta al World Food Summit del 1996, la sovranità alimentare è stata inquadrata come una critica esplicita al sistema alimentare Mondiale neoliberale, rappresentando una rottura radicale con il sistema agrario dominante.
La Dichiarazione di Nyeleni del 2007 definisce la sovranità alimentare come "il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologici e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli".
La sovranità alimentare dà la priorità a fattori come la produzione locale, la commercializzazione diretta, l'uso di metodi agroecologici, l'opposizione alle colture geneticamente modificate e ai prodotti agrochimici, e i diritti alla terra, all'acqua, ai semi e alla biodiversità.
A base vegetale
Un Green New Deal globalmente giusto deve pensare alla terra e al cibo come parte dei beni comuni mondiali, e quindi da regolare e condividere equamente. Deve anche riconoscere l'intima relazione tra sovranità della terra e giustizia alimentare.
Questo significa sostenere i diritti delle terre indigene, fermare l'accaparramento delle terre per l'estrazione mineraria, le piantagioni agro-industriali e i biocarburanti e vietare la speculazione fondiaria da parte delle grandi istituzioni finanziarie.
Sostenere modelli agroecologici regionali, brevi e rigenerativi, così come le conoscenze tradizionali che minimizzano l'uso di input tossici, riducono lo spreco di cibo e ridistribuiscono i sussidi dell'agricoltura industriale ai piccoli agricoltori; ciò non solo abbasserebbe la temperatura del pianeta, ma potrebbe nutrire il mondo almeno tre volte tanto.
È del tutto possibile vivere in un mondo in cui tutti hanno accesso al cibo gestito pubblicamente. Le politiche agricole di 53 paesi forniscono attualmente una media di 528 miliardi di dollari all'anno di sostegno diretto alle imprese agricole, prevalentemente intensive.
Queste risorse devono essere reindirizzate verso pratiche eque e resistenti al cambiamento climatico. Inoltre, anche se non sostituisce la ridistribuzione della terra e delle risorse, qualsiasi innovazione tecnologica, come la carne alternativa a base vegetale, deve essere accessibile a tutti coloro che ne hanno bisogno e la desiderano.
Infine
Portare le industrie agricole alla proprietà pubblica, ripensare a ciò che produciamo e a quanto ne abbiamo davvero bisogno, democratizzare l'accesso alla terra e al controllo del processo decisionale sul cibo per dare priorità al sostentamento rispetto al potere del mercato è fondamentale, soprattutto per rivalutare i diritti di una forza lavoro dominata dalle donne e consentire la giustizia alimentare.
Abbracciare questo tipo di "cittadinanza alimentare" può assumere molte forme, compreso il sostegno a un maggiore impegno urbano-rurale, l'approvvigionamento collettivo e la partecipazione ai consigli di politica alimentare. Questi movimenti basati sulla comunità stanno prendendo il controllo dei sistemi alimentari locali e regionali con l'obiettivo di promuovere un cambiamento dal basso.
Infatti, i bisogni alimentari ed energetici della popolazione mondiale non contraddicono i principi della sovranità della terra, secondo cui "la terra appartiene a coloro che la lavorano, se ne prendono cura e ci vivono".
Al contrario: è necessario un nuovo accordo verde mondiale che conservi la sovranità della terra per giungere ad un accordo equo.
Harpreet Kaur Paul e Dalia Gebrial sono curatrici e redattrici di Perspectives on a Global Green New Deal, dove questo articolo è apparso per la prima volta.
Traduzione di Vincenzo Riccio - Redazione di Antropocene.org Articoli da The Ecologist in traduzione italiana
Fonte: The Ecologist 25.08.2020
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