Fonte: International Socialism - 23.07.2021
Negli anni quaranta dell'Ottocento, nei manoscritti successivamente pubblicati come L'Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels esposero la prima dichiarazione completa dell'approccio alla comprensione della storia e della società che sarebbe poi stata alla base dei loro testi e della loro attività politica per il resto della vita. Lo fecero sotto forma di una serie di critiche ai filosofi che allora erano influenti nei circoli radicali in Germania.
Cominciarono con una favola:
Una volta un valentuomo si immaginò che gli uomini annegassero nell’acqua soltanto perché ossessionati dal pensiero della gravità. Se si fossero tolti di mente questa idea, dimostrando per esempio che era un’idea superstiziosa, un’idea religiosa, si sarebbero liberati dal pericolo di annegare. Per tutta la vita costui combatté l’illusione della gravità, delle cui dannose conseguenze ogni statistica gli offriva nuove e abbondanti prove. Questo valentuomo era il tipo del nuovo filosofo rivoluzionario tedesco. [1]
Al giorno d’oggi, i filosofi che Marx ed Engels all’epoca criticarono, sono quasi dimenticati, ma il loro modo di pensare è presente in molti scritti ambientalisti moderni. Di solito è espresso in termini più sottili e sofisticati rispetto a chi pensava che l'annegamento fosse causato da una credenza irrazionale nella gravità. Tuttavia, l'idea che la distruzione ambientale sia causata da idee sbagliate, da una falsa concezione del rapporto dell'umanità con la natura, può essere trovata proprio nell'ampio spettro del pensiero verde. In termini più formali, la credenza è che salvare la Terra richieda l'adozione generale di una filosofia ecocentrica che sia centrata sulla natura piuttosto che sull'uomo. Tra gli ambientalisti radicali è spesso accoppiata all'accusa che il marxismo sia antropocentrico, che si occupi solo o che privilegi in maniera inappropriata i bisogni umani.
Ad esempio, il compianto David Orton, che si definiva un "biocentrista di sinistra", rifiutò di firmare la Dichiarazione Ecosocialista di Belem del 2011 perché la considerò "centrata sulle persone, non sulla Terra". [2] Allo stesso modo, l'ambientalista australiano Robyn Eckersley scrive che Karl Marx aveva "un orientamento strumentale e antropocentrico verso il mondo non umano", con il risultato che "gli eco-marxisti considerano l'ecocentrismo come un freno non necessario allo sviluppo umano". [3]
Joel Kovel, redattore di lunga data della rivista Capitalism Nature Socialism, ha sostenuto che l'ecosocialismo deve essere "motivato da un'etica ecocentrica" e che "il ‘valore intrinseco della natura’ è il concetto cardine che differenzia l'ecosocialismo dai vari socialismi del 19° e del 20° secolo”. [4] Allo stesso modo, il gruppo Ecosocialist Horizons dichiara: “Crediamo nel valore intrinseco della natura, e crediamo che la massima espressione di questo sia il ricupero globale dei beni comuni, che chiamiamo ecosocialismo”.[5]
Questi argomenti esprimono quanto è stato chiamato i "due dogmi dell'ecologismo"”, ossia che l'antropocentrismo è la causa principale dei comportamenti anti-ambientali e che un vero sostegno alla tutela e al ripristino dell'ambiente richiede il riconoscimento del valore intrinseco della natura non umana. [6] Per mezzo secolo questi argomenti sono stati al centro della disciplina accademica chiamata etica ambientale.
Nessun ecosocialista mette in dubbio l'importanza della natura non umana e noi tutti condanniamo le azioni rapaci e anti-ecologiche che caratterizzano il capitalismo. Comunque, "ecocentrismo" e "valore intrinseco della natura" non sono solo parole — sono concetti che incarnano una visione particolare del rapporto tra natura umana e non umana e di come si può fermare la distruzione ambientale. Prima di adottarli, gli ecosocialisti dovrebbero avere una chiara comprensione di cosa significano e valutare attentamente se sono compatibili con la nostra lotta contro l'ecocidio capitalista.
A mio avviso, il dibattito "antropocentrismo contro ecocentrismo" è stato concepito male fin dall'inizio e ha distolto l'attenzione delle persone sinceramente preoccupate per l'ambiente dai problemi e dalle soluzioni reali. Il concetto correlato di “valore intrinseco della natura” non è mai stato chiaramente definito e non fa che creare confusione. Entrambe le idee sviano dalla comprensione chiara e scientifica del rapporto tra l'umanità e il resto della natura che dobbiamo avere per interpretare e cambiare il mondo.
In considerazione della sfortunata tendenza della sinistra a trattare ogni disaccordo come motivo di ostracismo, devo sottolineare che questo è un disaccordo tra gli attivisti ambientali, e lo sollevo con l'obiettivo di portare avanti il nostro progetto comune, che può essere rafforzato solo da una discussione aperta sulle nostre differenze.
Una guerra tra idee verdi
Per comprendere i problemi, dobbiamo tornare agli inizi del moderno movimento ambientalista negli anni '60.
Il meraviglioso libro Silent Spring di Rachel Carson, pubblicato nel 1962, fu la prima grande dichiarazione dell'ambientalismo moderno. Prima di Carson, la preoccupazione per la protezione della natura era solitamente chiamata conservazionismo e ambientalismo era una parola usata dagli psicologi per indicare come la personalità fosse condizionata dalla vita sociale piuttosto che dalla biologia. A metà degli anni '60, il termine assunse un nuovo significato e la preoccupazione pubblica stava assumendo proporzioni di massa, che raggiunsero il culmine nell'aprile 1970, quando negli Stati Uniti oltre venti milioni di persone aderirono a raduni e corsi di insegnamento durante la prima Giornata della Terra. Gli anni '70 hanno visto l'emergere di una vasta gamma di gruppi di attivisti verdi nei campus.
Quel primo decennio di ambientalismo fu segnato da una guerra di idee. Questo conflitto si è svolto tra scrittori concentrati sulle cause socio-economiche della distruzione ambientale e coloro che pensavano che la crisi fosse riconducibile agli esseri umani in quanto tali.
Carson era nel primo gruppo. Scrisse che il principale ostacolo alla sostenibilità risiede nel fatto che viviamo «in un'era dominata dall'industria, in cui il diritto di fare un dollaro ad ogni costo è raramente messo in discussione». La scienza veniva usata impropriamente per servire «gli dei del profitto e della produzione». [7] Opinioni simili venivano espresse, tra altri, da Murray Bookchin, che attribuì l'inquinamento dell'aria e dell'acqua al fatto che "le leggi più perniciose del mercato hanno la precedenza sulle leggi più stringenti della biologia", e da Barry Commoner, che scrisse che le tecnologie distruttive per l'ambiente erano “profondamente radicate nella nostra struttura economica, sociale e politica”. [8]
Alla fine degli anni '60, questo nuovo tipo di ambientalismo, radicato in una critica sociale radicale, aveva un'ampia udienza nei campus universitari degli Stati Uniti, ma quando il radicalismo studentesco diminuì, prevalsero punti di vista meno impegnativi per il capitalismo, in particolare nei circoli accademici. Tra il marzo 1967 e il dicembre 1968, due articoli ampiamente ristampati e un libro best-seller definirono un'ideologia sociale conservatrice che da allora ha fortemente influenzato l'ambientalismo tradizionale e la filosofia ambientale accademica.
In The Tragedy of the Commons, Garrett Hardin incolpò la natura umana dell'eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, dato il presunto desiderio di ogni uomo di prendere più della sua giusta quota delle risorse della Terra. In The Population Bomb, Paul Ehrlich sostenne che la causa principale di tutti i problemi ambientali fosse la sovrappopolazione umana, specialmente nel Terzo mondo. Ho scritto di entrambe queste opere altrove. [9]
Il terzo documento, “The Historical Roots of Our Ecological Crisis”, in cui lo storico Lynn White considera la crisi ambientale conseguenza di idee errate, in particolare di "atteggiamenti distintivi verso la natura che sono profondamente radicati nel dogma cristiano", è apparso sull'influente rivista Science nel 1967. [10] Scrisse che la "spietatezza dell'umanità nei confronti della natura" trova la sua origine dalla visione giudaico-cristiana secondo cui "Dio ha pianificato tutto questo esplicitamente per il beneficio e il dominio dell'uomo: nessun elemento nella creazione del mondo aveva alcuno scopo se non quello di servire gli scopi dell'uomo". Ciò portò alla “religione più antropocentrica che il mondo abbia mai visto”. Per millenni, lavorare la terra ha significato placare e onorare gli spiriti e i folletti che abitavano e proteggevano tutta la natura, ma ora la chiesa insegnava che era accettabile "sfruttare la natura con uno stato d'animo di piena indifferenza".
“La vittoria del cristianesimo sul paganesimo”, scrisse White, “è stata la più grande rivoluzione psichica nella storia della nostra cultura”. Gli effetti di quella rivoluzione continuano fino ad oggi, colpendo profondamente anche le persone che credono di non avere opinioni religiose. "La crisi ecologica continuerà a peggiorare fino a quando non rifiuteremo l'assioma cristiano secondo cui la natura non ha ragione di esistere se non per servire l'uomo".
Tre decenni dopo, il presidente della Società Internazionale per l'Etica Ambientale scrisse:
In quel documento, White, che avesse intenzione di farlo o meno, ha fissato un'agenda in due fasi per una futura filosofia ambientale. In primo luogo, identificare e criticare quegli aspetti della visione del mondo che abbiamo ereditata e che ci ha portato a una relazione disfunzionale con l'ambiente naturale; e in secondo luogo, identificare e articolare una nuova visione del mondo, validata pragmaticamente, una visione del mondo, cioè, che ci consentirà di vivere in modo sostenibile e simbiotico con entità non umane e la natura nel suo insieme. [11]
L'articolo di White è stato ristampato su Time Magazine, Horizon, The New York Times, The Boy Scout Handbook, The Whole Earth Catalog e il Sierra Club Bulletin, così come in altre pubblicazioni, inclusa la guida distribuita durante i teach-in di grande successo della Giornata della Terra nel 1970. “Quasi immediatamente... divenne una dotazione standard di antologie e libri di testo da utilizzare nei corsi universitari di studi ambientali, storia della tecnologia e scienza, società e tecnologia”. [12]
Filosofi al galoppo
La tesi di White sul cristianesimo anti-natura che rovescia il paganesimo pro-natura fu respinta dalla maggior parte degli storici, e lo stesso White alla fine la abbandonò. Tuttavia, la sua affermazione generale secondo la quale concezioni contro la natura sono da biasimare in quanto alla base della distruzione ambientale è sopravvissuta. Nel 1973, il filosofo Richard Sylvan ha secolarizzato l'argomento sostituendo il cristianesimo con generici "sistemi etici occidentali" che avrebbero giustificato crimini come la caccia alle balene blu fino all'estinzione. È necessario un nuovo sistema etico, scrisse, perché "gli interessi e le preferenze umane sono troppo campanilistici per fornire una base soddisfacente per decidere cosa è desiderabile dal punto di vista ambientale". [13] Il saggio di Sylvan si è unito a quello di White come base di antologie e libri di testo.
Quando White e Sylvan scrissero i loro articoli sull'antropocentrismo, i college e le università negli Stati Uniti subirono una improvvisa crescita nel numero di iscritti: l'arrivo della generazione del baby boom fece raddoppiare le iscrizioni totali tra il 1964 e il 1974. Ciò, a sua volta, produsse un numero senza precedenti di incarichi di insegnamento in campi di studi specializzati che potevano essere promossi come rilevanti per gli studenti socialmente consapevoli. Una di queste facoltà specializzate era l'etica ambientale, un campo che non esisteva nel 1970, ma che alla fine del decennio era una sotto-disciplina riconosciuta in molti dipartimenti di filosofia universitaria.
Come commenta lo storico Roderick Nash, "la crescente percezione di una crisi ambientale negli anni '70 spronò i filosofi al pieno galoppo intellettuale". [14] L'articolo di White offriva il tipo di quadro ideologico su cui si costruiscono le carriere. È stato, nelle parole di uno dei fondatori del nuovo campo, “il catalizzatore che ha generato la sottodisciplina dell'etica ambientale”.
Da allora ha profondamente modellato il dibattito filosofico sui valori ambientali... La maggior parte degli studiosi di etica ambientale ha ritenuto le critiche di White più che convincenti e ha cominciato a proporre posizioni etiche "non antropocentriche" come antidoto. [15]
Con poche eccezioni, i filosofi verdi hanno convenuto che la crisi ambientale fosse una questione morale. Potrebbe quindi essere risolta solo adottando un'etica ambientale basata su una filosofia non antropocentrica che estenda la considerazione morale alla natura non umana. Nelle parole di Eckersley:
È stato dimostrato che un approccio ecocentrico è più coerente con la realtà ecologica, che è più probabile che ci conduca verso la maturità psicologica e che permetta alla più grande diversità di esseri (umani e non umani) di svilupparsi a modo loro. In effetti, l'ecocentrismo può essere visto come la rappresentazione della saggezza cumulativa delle varie correnti del moderno pensiero ambientale. [16]
L'argomento, in poche parole, era che la visione del mondo dominante nella società moderna considera i bisogni degli umani più importanti dei bisogni della natura non umana. Questo punto di vista - variamente etichettato come antropocentrismo, razzismo umano o specismo - consente agli umani di danneggiare i non umani a vantaggio degli umani. “La preoccupazione per noi stessi a scapito della preoccupazione per il mondo non umano è ritenuta una causa fondamentale del degrado e del potenziale disastro ambientale”. [17] Finché predominerà l'etica antropocentrica, la distruzione del mondo naturale continuerà senza sosta.
Se gli esseri umani sono considerati più importanti delle altre specie, ne seguirà sempre che qualsiasi bisogno, voglia o desiderio umano devono necessariamente avere la priorità sul bisogno o sugli interessi della natura non umana, non importa quanto critici o essenziali quest'ultimi bisogni siano. [18]
Quindi diventava necessario un nuovo sistema etico che riconoscesse il diritto morale della natura non umana di esistere e svilupparsi senza interferenze umane e indipendentemente dai bisogni umani. In breve, dobbiamo sostituire il nostro antropocentrismo con l'ecocentrismo.
Fu questo argomento a innescare la nascita e la rapida espansione dell'etica ambientale come sotto-disciplina della filosofia accademica. Alla fine degli anni '70, aveva una propria rivista trimestrale (sempre una necessità nel mondo accademico: "pubblica o muori") e frequenti conferenze. Nel 2000 c'erano almeno quattro riviste e due associazioni professionali. Una bibliografia incompleta elenca 166 libri sull'etica ambientale pubblicati tra il 1970 e il 2002. [19] Se le pubblicazioni sono la misura, questo tentativo può considerarsi riuscito.
Ballando sulla capocchia di uno spillo
I fondatori della filosofia ecocentrica erano convinti di fare importanti progressi fondamentali nella filosofia e nell'etica. Nash ha grandiosamente considerato le conclusioni dell'etica ambientale come "rivoluzionarie" e "probabilmente la più drammatica crescita della moralità nel corso del pensiero umano":
L'emergere di questa idea che il rapporto uomo-natura dovrebbe essere trattato come una questione morale condizionata o frenata dall'etica è uno degli sviluppi più straordinari della storia intellettuale recente. Alcuni ritengono che contenga il potenziale per un cambiamento fondamentale e di vasta portata sia nel pensiero che nel comportamento, paragonabile a quello che l'ideale dei diritti umani e della giustizia conteneva al tempo delle rivoluzioni democratiche nel XVII e XVIII secolo. [20]
Ciò sembra radicale, ma nella pratica questa evoluzione nell’etica si è rivelata molto difficile da definire. Si sono moltiplicate le interpretazioni contrastanti di ciò che non è antropocentrismo e del valore intrinseco.
Il filosofo Alasdair MacIntyre afferma che ai giorni nostri, "nell'argomentazione morale, l'apparente assunzione di principi funziona come una maschera che cela preferenze personali". Il risultato sono “simulacri di moralità” caratterizzati da interminabili dibattiti in cui non vi è un modo razionale per scegliere tra le varie posizioni. [21] Questo vale certamente per i dibattiti tra i teorici dell’etica ambientale. Dopo decenni di discussioni, non c'è accordo su cosa significhino effettivamente termini come ecocentrismo, biocentrismo e valore intrinseco.
Al posto di un tale accordo, ci rimane invece una serie di questioni filosofiche irrisolte:
Rifiutare l'antropocentrismo significa estendere la considerazione morale solo ad altri esseri viventi oppure a tutta la natura? La preoccupazione morale si applica a ogni singolo animale, fiume e albero? O si riferisce solo a specie ed ecosistemi?
Stiamo parlando di tutti gli esseri viventi o solo di alcuni? Di tutti gli animali o solo di quelli che giudichiamo essere senzienti? E gli insetti? Che dire dei batteri, di gran lunga i più numerosi degli esseri viventi? Sono inclusi anche i virus?
Cos'è esattamente il valore intrinseco? È in qualche modo inerente alle cose solo perché esistono, o è qualcosa che gli esseri umani attribuiscono alle cose? In quest’ultimo caso, non si tratta di antropocentrico?
Il valore intrinseco è assoluto o relativo? Esistono livelli e gradi di valore intrinseco? Se così fosse, chi decide e come? Un bambino che dorme ha un valore intrinseco maggiore o minore di una zanzara portatrice di malaria? È morale uccidere le zanzare prima che infettino i bambini, o dobbiamo rispettare tutti gli esseri viventi allo stesso modo e lasciare che la natura faccia il suo corso mortale?
Le domande continuano all'infinito, ricordando i dibattiti forse apocrifi tra gli scolastici medievali su quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo.
Per quanto possono sembrare bizzarre e pignole, le discussioni su tali questioni hanno occupato innumerevoli ore in conferenze accademiche e riempito migliaia di pagine in libri e riviste accademiche. Gli esperti di etica ambientale hanno preso ogni posizione immaginabile su di loro, e alcune sono inconcepibili. Il professore della Rutgers University David Ehrenfeld, ad esempio, rivendicava che il virus del vaiolo ha il diritto morale di continuare a esistere. [22] Sebbene è una posizione estrema, è del tutto coerente con l'insistenza sul fatto che tutte le cose naturali hanno il diritto morale di continuare ad esistere senza l'interferenza umana.
La caratteristica più notevole di questi dibattiti è quanto siano astratti. Libro dopo libro si discute di etica ambientale facendo pochi riferimenti concreti ai problemi ambientali reali. Invece ci vengono presentate “teorie sociali/morali che presuppongono un mondo radicalmente diverso da quello che occupiamo, rendendole del tutto irrilevanti come soluzioni ai problemi che abbiamo di fronte nel mondo reale, non fantastico”. [23]
Un esempio importante a riguardo è l'argomento dell'"ultimo uomo" di Richard Sylvan per una nuova etica ambientale - ampiamente citato e discusso. Sylvan ha sostenuto che sotto i sistemi etici occidentali dominanti sarebbe moralmente accettabile per l'ultimo uomo sulla Terra distruggere sistematicamente e deliberatamente ogni altro essere vivente sul pianeta. [24]
Questa fantasia è, come alcuni critici di Sylvan hanno moderatamente osservato, "radicalmente poco caratterizzata". [25] Cosa è successo a tutte le altre persone? Sono morte tutte subito all’istante o è stato un processo lungo? Sarebbe un uomo solo davvero capace di distruggere ogni cosa vivente? Perché l'ultimo uomo dovrebbe distruggere tutto? È una distruzione deliberata, un atto di disperazione o qualche bizzarro rito religioso? Anche se sospendiamo volontariamente l'incredulità circa lo scenario di Sylvan del genere 'Ai confini della realtà ', perché, poi, l'esistenza (o meno) dell'etica ecocentrica avrebbe qualche effetto sul comportamento dell'ultimo essere umano sulla Terra o di chiunque altro?
Si è tentati di entrare in questi dibattiti e di partecipare a ciò che Marx ed Engels hanno descritto come un "castello in aria teorico". [26] Tuttavia, sebbene questo castello possa essere divertente, non ci porta da nessuna parte. Il resoconto di MacIntyre delle discussioni morali senza fine che "apparentemente non riescono a trovare un capolinea" è stato raramente illustrato meglio. [27]
Qui non si tratta di discussioni casuali. I partecipanti sono filosofi accademici professionisti che utilizzano i più sofisticati strumenti di argomentazione e analisi che il loro campo ha sviluppato. Il fatto che non siano in grado di trovarsi d'accordo suggerisce fortemente, come dice MacIntyre, che c'è qualcosa di fondamentalmente sbagliato:
Se coloro che affermano di essere capaci di formulare principi su cui gli agenti morali razionali dovrebbero concordare non sono in grado di ottenere un accordo sulla formulazione di tali principi con i loro colleghi, che condividono il loro scopo e metodo filosofico di base, c'è ancora una volta la prova prima facie che il loro progetto è fallito. [28]
Questo progetto è fallito perché è stato concepito male fin dall'inizio. L'antropocentrismo non è il problema e l'ecocentrismo non è la soluzione.
In primo luogo, tutti i partecipanti al dibattito sono esseri umani, offrendo giudizi umani su azioni umane. Un umano non può pensare come una montagna, perché le montagne non pensano. Non possiamo difendere gli interessi morali dei pesci. Possiamo solo difendere un giudizio umano su quali pensiamo possano essere gli interessi morali dei pesci. L'etica ecocentrica può essere creata, difesa e attuata solo dagli esseri umani. Nessuno suggerisce che orsi o coyote dovrebbero essere persuasi ad accettare che conigli e scoiattoli abbiano un diritto morale di vivere: solo gli umani possono esprimere tali giudizi e comportarsi di conseguenza. In questo senso pratico, gli esseri umani non possono essere altro che antropocentrici.
Ma allo stesso modo, gli esseri umani non sono separati dalla natura: siamo parte di e incorporati nel mondo naturale e non possiamo agire o addirittura esistere senza di esso. Una persona che abbatte un albero o scava una miniera utilizza strumenti realizzati con una comprensione delle leggi naturali, e lo fa mentre respira l'aria ed è tenuta in piedi dalla legge di gravità. In breve, l'attività umana cambia la natura dall'interno, e in questo senso pratico non possiamo evitare di essere ecocentrici.
La cosiddetta moralità antropocentrica non è la causa della distruzione ambientale — è una giustificazione per pratiche che inevitabilmente si verificano in una società basata sull'accumulazione di capitale. Come spiega Michael Parenti:
L'essenza del capitalismo, la sua ragion d'essere, è convertire la natura in merce e la merce in capitale, trasformando la Terra vivente in ricchezza inanimata. Questo processo di accumulazione del capitale devasta il sistema ecologico globale. [29]
Questo è il motivo per cui il capitalismo non ha risposto a decenni di prediche sull'immoralità della distruzione ambientale.
Morale contro moralismo
Negli anni '90, diversi scrittori hanno cercato di formulare una teoria politica che chiamavano ecologismo, basata su un'etica ecocentrica, ed all’inizio lo sforzo sembrava riuscito. Andrew Dobson, il cui libro di testo Green Political Thought del 1990 fece il possibile per divulgare il concetto di ecologismo, notò nel 1995 che quando fu pubblicata la prima edizione, "Non conoscevo nessun libro di testo... che includesse un capitolo sul pensiero politico ecologico, ma ora ce ne sono diversi". [30] Comunque, l'ecologia non andò oltre la definizione dei principi di base e la critica di altre opinioni politiche come non sufficientemente verdi.
Il numero di nuovi libri sull'ecologia è diminuito drasticamente dopo il 2000. Dobson ha recentemente affermato che quando la quarta edizione di Green Political Thought fu pubblicata nel 2007, “Non ero più così sicuro che l'ecocentrismo fosse il cuore non negoziabile dell'ecologismo... Il suono dell'ecocentrismo è stato soffocato dal suono dell'ambientalismo pragmatico”. [31]
Questo vale certamente per la maggior parte dei partiti verdi, che non hanno trovato alcun uso pratico (cioè elettorale) per l’aspetto filosofico. Tuttavia, l'idea che la Terra possa essere salvata solo adottando un codice morale ecocentrico è ancora comune nei movimenti ambientalisti e tra alcuni ecosocialisti. La rivista online Ecological Citizen, ad esempio, ha recentemente raccolto oltre mille firme da attivisti e accademici per una "Dichiarazione di impegno per l'ecocentrismo", che sostiene che "il riconoscimento del valore intrinseco della natura e un forte sostegno all'ecocentrismo" sono "un cammino necessario per il fiorire della vita sulla Terra”. [32]
Uno dei primi a firmare è stato l'eminente filosofo ambientale J. Baird Callicott, che ha sostenuto che "la filosofia ambientalista è un attivismo in difesa dell’ambiente del tipo più radicale ed efficace" e che l'etica non antropocentrica ha un'applicazione pratica diretta:
Se tutti i valori ambientali sono antropocentrici e strumentali, allora devono competere testa a testa con i valori economici derivati dalla conversione delle foreste pluviali in legname e polpa, delle savane in pascoli per il bestiame, e così via. In altre parole, gli ambientalisti devono dimostrare che preservare la diversità biologica ha un valore strumentale maggiore per le generazioni presenti e future rispetto al disboscamento, alla conversione agricola del territorio, ai bacini di raccolta idroelettrici, all'estrazione mineraria e così via. Tutto ciò sarebbe un caso filosofico persuasivo del valore pratico che deriva dall’attribuire importanza al valore intrinseco delle entità naturali non umane e della natura nel suo insieme. [33]
Se prendessimo tutto ciò sul serio, dovremmo convincerci che solo l'assenza di un "caso filosofico persuasivo" ha permesso alle gigantesche corporazioni di continuare a distruggere foreste e savane. Immaginate gli amministratori delegati di società di combustibili fossili e agroalimentari giganti come Exxon Mobil e Monsanto che spiegano agli azionisti che i profitti sono diminuiti perché un professore li aveva avvertiti del valore intrinseco delle entità naturali non umane. Immaginate gli azionisti che applaudono vigorosamente e approvano grandi bonus ai dirigenti che estendono la considerazione morale agli ecosistemi.
Nel mondo reale, una valanga di prove scientifiche concrete, inclusi resoconti dettagliati dell'impatto del riscaldamento globale sulla natura umana e non umana, non ha fatto alcuna differenza pratica per le emissioni di gas serra. Sono il potere e i profitti dell'industria dei combustibili fossili e dei suoi alleati a determinare l'agenda ambientale, non la scienza o l'etica.
Come affermano Marx ed Engels, «la “liberazione” è un atto storico, non un atto ideale». Per questo motivo «i comunisti non propugnano né l’egoismo contro l’abnegazione né l’abnegazione contro l’egoismo, e non accettano teoricamente questa opposizione né nella forma casalinga né in quella ideologica e strampalata, ma piuttosto ne dimostrano l’origine materiale». [34]
Gli assalti umani alla natura – “disboscamento… conversione agricola del territorio… bacini di raccolta idroelettrici… estrazione mineraria” e molti altri – non continuano a causa della cattiva filosofia, ma proprio perché sono redditizi. La moralità non ha nulla a che fare con le decisioni dei predoni. Finché è redditizio distruggere la Terra e non c'è una forza contraria per fermarli, continueranno a farlo, anche se minano le fonti della propria ricchezza e le condizioni che rendono vivibile il nostro pianeta.
Questo non vuol dire che il comportamento anti-ecologico non debba essere condannato per motivi morali, piuttosto, vuol dire che bisogna insistere sul fatto che la moralità non è la stessa cosa del moralismo. Come scrive Perry Anderson, tale distinzione aiuta a superare la tendenza dei giudizi morali a "diventare sostituti di resoconti esplicativi della storia":
La coscienza morale è certamente indispensabile all'idea stessa di socialismo. Lo stesso Engels ha sottolineato che "una morale veramente umana" sarebbe uno dei tratti distintivi del comunismo, il miglior prodotto della sua conquista delle secolari divisioni sociali e antagonismi radicati nella scarsità. D'altra parte, il moralismo denota la vana intrusione dei giudizi morali al posto della comprensione causale... Il suo risultato finale è quello di svalutare del tutto il giudizio morale. [35]
L'indignazione per la devastazione del mondo naturale da parte del capitalismo è del tutto appropriata, ma solo un'analisi concreta delle cause sociali, economiche e politiche di tale distruzione può indicare le soluzioni. L'opinione che i problemi e le crisi ambientali siano causati da false idee e possano quindi essere superati promuovendo una filosofia alternativa, può solo portare a prospettive politiche costruite sulla sabbia o, peggio, prive di fondamento.
Ian Angus
Note
[1] Karl Marx, Friedrich Engels, 1983, pp. 3-4.
[2] Orton, 2011.
[3] Eckersley, 1992, pp. 82-85.
[4] Kovel, 2011; Kovel, 2013.
[5] Ecosocialist Horizons, 2013.
[6] Hayward, 1998, p. 12.
[7] Carson, 2019, p 34; Carson, 1998, p. 210.
[8] Bookchin, 1962, p26; Commoner, 1966, p. 124.
[9] Angus & Butler, 2011; Angus, 2008.
[10] White, 1967.
[11] Callicott, 1999a, pp301-302.
[12] Whitney, 1993.
[13] Sylvan, 1993.
[14] Nash, 1989, p123.
[15] Norton, 2005, pp163-164.
[16] Eckersley, 1992, p179.
[17] Eckersley, 1992, p42.
[18] Eckersley, 1998, p174.
[19] Hargrove, 2011.
[20] Nash, 1989, pp4, 7.
[21] MacIntyre, 1995, pp8-10, 19. MacIntyre non è un marxista, ma nessun altro filosofo contemporaneo ha scritto in modo così chiaro e perspicace sulla filosofia morale.
[22] Ehrenfeld, 1981, 209.
[23] Hayward, 1990, p3; Lee, 1989, p9.
[24] Sylvan, 1973.
[25] O’Neill, Holland & Light, 2008, p108.
[26] Marx & Engels, 1983, p32.
[27] MacIntyre, 1995, p6.
[28]MacIntyre, 1995, p21.
[29] Parenti, 1997, pp154-155.
[30] Dobson, 1995, pviii.
[31] Dobson, 2010.
[32] Washington ed altri, 2017.
[33] Callicott, 1999b, p31.
[34] Marx & Engels, 1983, pp15, 229.
[35] Anderson, 1980, p86.
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Traduzione di Iris Legge - Redazione di Antropocene.org
Fonte: International Socialism - 23.07.2021
Commenti
Si sta mettendo in discussione il principio che lo spazio sia un bene comune. Aziende private americane (SpaceX, Blue Origin) e giapponesi (Ispace), ma anche statali cinesi si stanno preparando a sfruttare le risorse della Luna.
Per contrastare l’inizio dello sfruttamento minerario della Luna un gruppo di accademici australiani ha elaborato una bozza dei diritti della Luna (https://www.earthlaws.org.au/moon-declaration/), al fine di riconoscere al nostro satellite uno status di entità sovrana (ecocentrismo) da contrapporre all’antropocentrismo degli attuali trattati internazionali, che vertono sulle necessità umane di condividere le conoscenze e non portare i conflitti nello spazio.