Dagli anni Sessanta in poi, troppo lenta è stata la presa di coscienza delle sinistre sull’importanza della questione ecologica. Ancora oggi molti nascondono la propria cecità sul problema dietro al nuovo mito consumistico della green economy. Eppure pensatori e piccole avanguardie hanno sempre gridato forte la necessità di una visione complessa che mettesse in primo piano i limiti della dissipazione delle risorse terrestri.
UNO DEI PRIMI e più efficaci ecologisti è stato Dario Paccino (1918-2005), di cui ora viene ripubblicata quella che è considerata la sua opera più significativa, si tratta di L’imbroglio ecologico. L’ideologia della natura (ombre corte, pp. 235, euro 20).
Mezzo secolo è passato dalla prima edizione, 1972, di Einaudi. La nuova edizione viene introdotta da uno splendido saggio di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini e Sirio Paccino, che contestualizzano il testo nel suo periodo storico, ne individuano le geniali intuizioni, e ripercorrono l’originale sentiero di ricerca dell’autore.
Partigiano, giornalista, divulgatore scientifico, militante marxista dell’area dell’estrema sinistra e del movimento del ‘77, fondò con Valerio Giacomini l’associazione Pronatura e la rivista Natura e società; assieme a Mario Lodi curò un sussidiario scientifico per le scuole medie; e pubblicò decine di altri libri significativi, tra cui: La trappola della scienza. Tutti vivi ad Harrisburg (che fu un testo-chiave del movimento contro le centrali nucleari di fine anni ‘70 inizio ‘80), Diario di un provocatore, I colonnelli verdi, e anche di un originale Manuale di autodifesa linguistica, senza dimenticare la direzione di Rossovivo, rivista di critica marxista all’ecologia dominante (1979-1986).
Per fugare ogni dubbio, l’imbroglio di cui si parla nel titolo del libro appena rieditato e la critica all’ecologia dominante, «non si riferiscono al fatto che la crisi ecologica sarebbe sovradimensionata o addirittura, inventata, ma al fatto che essa viene affrontata attraverso un inganno, che consiste nell’evitare di andare alla radice della cause strutturali che l’hanno prodotta e la riproducono». «L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio» sosteneva Chico Mendes, Paccino ci dice che è anche peggio: «l’ecologia, praticata, sostenuta e divulgata senza tenere presenti i rapporti sociali di produzione e di forza, si trasforma in un’ideologia che copre e fa scomparire sia lo sfruttamento del lavoro sia i processi di messa a profitto della natura».
Marginalizzato dalla cerchia degli intellettuali, continuò a tenere un contatto dialettico con ambientalisti riformisti, come Giorgio Nebbia, che nel 2018 sul manifesto ricordò la rilevanza del pensiero di Paccino con un articolo dal titolo «Un ecologo inquieto». È negli anni ‘70, che «il ricercatore scomodo lascia il passo alla figura che cambierà radicalmente l’orizzonte critico dell’ecologia. Intercetta ed elabora le minacce della trasformazioni dell’assetto socio-economico in atto e mette in relazione sinergica esperienze diverse, nel comune intento di tutelare salute e dignità: dalle lotte operaie di Porto Marghera contro la nocività in fabbrica a Medicina Democratica, dalle rivendicazioni per il diritto alla salute alla rivoluzionaria legge Basaglia».
Nel 1976, il marxista epicureo Jean Fallot pubblica, per la Bertani editore, Sfruttamento inquinamento guerra. Scienza di classe, in cui il filosofo analizza il dominio capitalista nelle sue articolazioni: «L’inquinamento è la conseguenza storicamente determinata più rilevante del sistema di dominio e dello sfruttamento». Nell’introduzione a questo libro, Paccino rileva che per Fallot la rivoluzione è condizione necessaria ma non sufficiente per salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica, e aggiunge «certo comunque che se sussiste una possibilità di sopravvivenza, di integrazione della società con la natura, di solidarietà umana, essa è legata alla rivoluzione».
TRE ANNI PIÙ TARDI in un articolo pubblicato su A rivista anarchica, Paccino, sulla scia delle riflessioni di Gunther Anders, scrive: «la scienza e la tecnologia, che stanno a fondamento dell’attuale mondo produttivo, non sono divinità che l’uomo ha rintracciato girovagando nei giardini del sapere. Si tratta di modelli che il dominio in generale , e il capitalismo in particolare, hanno prescelto in funzione del controllo e del profitto».
Merita un elogio la casa editrice ombre corte, non solo per aver ripubblicato un testo fondamentale della cultura ecologista, ma anche perché lo ha inserito nell’ambito di un’attenzione editoriale per autori che continuano a riflettere sulle questioni ecologiche e ambientali, come Jason W. Moore, Dipesh Chakrabarty, Eduardo Viveiros de Castro, James O’Connor, Razmig Keucheyan. L’imbroglio ecologico rivive e si rivitalizza contestualizzato tra questi autori. Antropocene, capitalocene, Chthulucene, e ancora ambiente-estinzione-ribellione: le strategie sono da inventare, ma la lettura di Dario Paccino ci dà solide basi su cui costruire un «ecologismo conflittuale» e necessario.
Marc Tibaldi
Fonte: il Manifesto - 26.05.2021
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